La politica ha ceduto a favore di pochi perché non ha risposte

In Italia stiamo sperimentando l’Epistocrazia, almeno in versione contemporanea. Le tradizionali istituzioni della Democrazia continuano a esistere, ma hanno ceduto una parte (quantitativamente) minima, ma (qualitativamente) importante delle proprie funzioni a un gruppo ristretto di “competenti”. Infatti, i poteri esecutivo e legislativo continuano a esserci, ma hanno passato le decisioni più importanti per uscire dalla crisi pandemica a un gruppo ristretto. Molti cittadini sono pienamente soddisfatti dall’operato dell’attuale Governo Epistocratico, mentre nutrono un crescente rifiuto per quello democratico e per il Parlamento. L’affermazione dell’Epistocrazia italiana evidenzia il cattivo funzionamento dei meccanismi tradizionali della Democrazia. Già molto prima della pandemia le istituzioni che sono deputate a rappresentare i cittadini, e cioè partiti, movimenti politici e corpi intermedi, hanno dimenticato che le scelte democratiche si nutrono del conoscere i fatti concreti e poi si sono dimostrati incapaci di comprendere il radicale cambiamento in atto (globalizzazione ed evoluzione tecnologica) e quindi nel complesso di fornire le risposte adeguate ai problemi della convivenza. Nell’ultimo quarto di secolo hanno cancellato il dibattito politico sulle idee. Di conseguenza non sono stati capaci di elaborare alcuna proposta culturale in cui i cittadini possano identificarsi per costruire il futuro. Il governo Draghi si divide in due parti. Un gruppo ristretto di “competenti” che propongono soluzioni pragmatiche per risolvere (a modo loro) alcuni problemi che il governo si è impegnato ad affrontare. Un gruppo più ampio che rappresenta i partiti che compongono e legittimano il governo che, persistendo nelle cattive abitudini, si occupano di tutto tranne che di risolvere problemi. La debolezza della parte partitica del governo ha giustificato prima la necessità della scelta di Mattarella e dopo la presenza nell’esecutivo di un gruppo epistocratico che opera, di fatto, per conto suo. Il gruppo Epistocratico presenta le proprie scelte al resto del governo e dei partiti che lo compongono in un’ottica quasi consulenziale piuttosto che di confronto democratico. I partiti accettano questa situazione, perché consente loro di continuare a gestire il potere burocratico e finanziario. Si può concordare o no con l’operato e il metodo del governo dei “competenti” come lo si è con i servizi di una società di consulenza. Non vi è nulla di male in questo. Non è un attentato alla Democrazia. Al contrario, sono i meccanismi distorti della nostra Democrazia rappresentativa che hanno prodotto l’Epistocrazia temporanea, con lo scordarsi che governare si nutre di conoscenza. Nel momento in cui i partiti dovessero decidere di staccare la spina al governo Draghi, i competenti sono licenziati. A questo punto però, ci si pone una domanda: chi sostituisce gli epistocratici? Partiti e movimenti politici si sono culturalmente impoveriti e non sono oggi in grado di presentare alcuna proposta ai cittadini. Ci si affida quindi a loro con la fondata paura che non combineranno un granché, ma genereranno tensioni sociali radicali? Si ritorna sul mercato a cercare un buon consulente?

La ragione istituzionale vorrebbe che fossero i partiti a rianimare la Democrazia. Per farlo dovrebbero abbandonare le logiche del potere, oltretutto motivate con i rispettivi sogni utopici, per avviare un processo di cambio generazionale (non tanto anagrafico quanto attitudinale) attraverso idee e proposte.

La nostra Democrazia ha bisogno di chi sia in grado di comprendere il cambiamento in corso e presentarsi ai cittadini con soluzioni nuove. Sapranno i partiti, diventati gestori del potere, avviare questo processo di cambiamento? Per ora, no. Sproniamoli a studiare per farlo.

 

Le comiche al Colle, tra i soliti noti e B. “super partes”

Le giornate successive alle elezioni storicamente sono impagabili per numero di boiate che si possono leggere nelle acute analisi post voto. Ora l’acrobazia più in voga è il peso delle elezioni amministrative sulla nomina del presidente della Repubblica. Perché dite voi? Ma perché adesso il centrodestra se la fa sotto e non vuole andare più a elezioni per paura di essere travolto dall’onda rossa (si fa per dire naturalmente). Dunque l’idea di spedire Mario Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale senza nemmeno un cambio di camicie e calzini (idea cara a Giorgia Meloni, in particolare) è tramontata. “Quando si perdono tutti i duelli nelle grandi città, nessuna esclusa, vuole dire che qualche ingranaggio si è inceppato nella macchina da voti di Salvini e Meloni”, scriveva ieri La Stampa. Noi non siamo tanto sicuri che il voto delle città si trasferirà tal quale nelle urne delle prossime Politiche: visto che quasi un elettore su due non ha votato al primo turno e al secondo non parliamone, è pericoloso azzardare previsioni. Metti caso che a un po’ di quei puzzoni populisti che abitano in periferia gli salti in mente di levarsi un attimo dal divano – dove grazie al Reddito di cittadinanza oziano come tanti Oblomov – per andare a votare: cambia tutto in un attimo.

Detto ciò, prendiamo per buono che il trasloco di Draghi sia un’ipotesi tramontata definitivamente: non è una cattiva notizia, perché la candidatura dell’attuale premier si basava su una non innocua confusione istituzionale, e cioè l’idea che Draghi potesse continuare a fare il suo lavoro semplicemente cambiando scrivania. Ma il capo del governo (repetita iuvant) e il capo dello Stato in una Repubblica parlamentare fanno proprio due mestieri diversi. Attenzione perché anche il Mattarella bis pare sia tramontato: finalmente si sono rassegnati e hanno capito che il presidente in carica, forse privo di ambizioni monarchiche e rispettoso della Costituzione, non è fatto della stessa pasta di Napolitano. Può davvero essere che manco se lo pregano in ginocchio resta. Allora urgono altri nomi, tra cui alcuni evergreen come Prodi, Veltroni, Casini e Franceschini a cui si aggiunge una nuova risorsa della Repubblica, Paolo Gentiloni. E poi Giuliano Amato (non è davvero un’elezione quirinalizia se manca Amato) e financo Clemente Mastella, autocandidatosi ai microfoni di Un giorno da pecora. Come si vede, è meglio dei quotidiani sportivi nei giorni del mercato dei calciatori.

Fin qui però tutto normale. Andrà come andrà, intanto però sul fronte comico si registrano i tentativi di far passare la candidatura di Silvio Berlusconi come un’ipotesi realistica e auspicabile (da lui medesimo soprattutto, come si evince dall’incontro di ieri con Meloni e Salvini). Della cosa ha scritto su queste stesse colonne Peter Gomez qualche settimana fa, ricordando gli innumerevoli motivi per cui questo matrimonio non s’ha da fare (nel caso vogliate fare un ripassino delle vicende giudiziarie di B, trovate tutto a pagina 3). Ma Augusto Minzolini non ci sta: ieri sul Giornale ha scritto che Salvini e Meloni hanno bisogno “di una personalità di cui conoscono la lealtà e che abbia le relazioni e la capacità per garantirli in Europa. Silvio Berlusconi sarebbe l’identikit perfetto: per natura garantirebbe loro, ma anche un candidato premier di sinistra”. Se la reputazione europea di B. ci strappa un sorriso (tipo quello di Sarkozy e Merkel), la sua natura super partes è roba forte. Forse il direttore del Giornale allude ai bei tempi del patto della crostata, ma noi ci ricordiamo pure il conflitto d’interessi agitato da sinistra come una bandierina e mai tradotto in legge.

 

Meloni & c. state buoni: qui c’è solo calma piatta

È difficile capire perché la politica e i media che la rappresentano, o piuttosto ne sono agli ordini, si siano così incarogniti. Non siamo a un passaggio storico decisivo in cui ci sia da scegliere se stare di qua o di là, col cosiddetto “mondo libero” o con quello comunista (anche se i “Grandi della Terra” avevano già deciso tutto a Yalta, ma noi non potevamo saperlo). In Europa il comunismo è morto e sepolto da tempo insieme alle ideologie che suscitavano forti passioni. Destra e sinistra sono poco più che dei nomi, ombre del passato e si fa fatica a coglierne le differenze, se non in qualche dettaglio. Siamo tutti atlantisti e per un “forte legame transatlantico” e poco ci importa, a quanto pare, che si sia occupati dagli americani che hanno sul nostro territorio 60 basi militari, alcune nucleari. Tutto ciò non ha impedito a Giorgia Meloni, strumentalizzando alcuni moti di piazza e le polemiche che ne sono seguite, di affermare che in Italia è in atto una “strategia della tensione”. Meloni è tra i tanti che pensano che il mondo cominci con loro. Non era ancora nata o era infante quando l’Italia è stata teatro per alcuni anni di gravissimi fatti di sangue di matrice politica: Piazza Fontana, strage di Piazza della Loggia a Brescia, bomba alla stazione di Bologna, aereo civile abbattuto sopra i cieli di Ustica. Se fosse strategia non è possibile dire, anche se molto probabile, perché il nostro Paese era allora territorio di confine tra i due Imperi.

Comunque la “strategia della tensione” è un’altra cosa. Paragonare quei fatti con i moti neofascisti o no vax, roba di piccolo calibro, tanto che non c’è scappato nemmeno il morto, è un “parlar da stupid” per dirla con Jannacci, come da stupidi, o peggio, è strumentalizzarli nell’uno o nell’altro senso.

Sono andato a rileggermi l’Unità del dopoguerra. Nonostante si fosse all’indomani di un sanguinoso conflitto civile, l’accanimento contro i fascisti era meno violento di quello che c’è oggi e che ci costringe a dichiararci tutti integerrimi antifascisti pena la garrota pubblica. Ho ritrovato un carteggio tra Armando Cossutta allora giovane capofila dell’“ala dura” del Pci e mio padre, Benso Fini, che dirigeva il Corriere Lombardo, quotidiano liberale. Siamo nel 1953 alla vigilia delle elezioni politiche. Cossutta si duole che il Lombardo non abbia dato al Pci lo stesso spazio dato agli altri partiti. Fini risponde che si sbaglia. Quel che colpisce in questo carteggio è il reciproco garbo. Quei due uomini, che se si fosse arrivati al momento del dunque si sarebbero scannati, si rivolgono l’un l’altro con grande civiltà. Questo è un momento privato ma vale anche, in larga misura, nell’arengo pubblico. La polemica con i comunisti raramente andava oltre il bonario duetto “Don Camillo e Peppone” o il “Trinariciuti” affibbiato sempre da Guareschi ai comunisti. Insomma siamo poco oltre i ‘bauscia’ e i ‘casciavit’ fra tifosi interisti e milanisti. Dall’altro campo rispondeva, sull’Unità Fortebraccio coi suoi corsivi d’una ironia micidiale quanto sottile. La Tribuna politica condotta da Jader Jacobelli non era una rissa come nei talk di oggi. La stampa, a parte eventi eccezionali come lo “scandalo Montesi”, non andava a ficcare il naso nella vita privata degli uomini di potere. Il gossip politico, tanto in voga oggi per screditare l’uno o l’altro, non esisteva (un titolo come “Patata bollente” allora non era nemmeno pensabile, avrebbe screditato solo l’autore). A loro volta gli uomini politici avevano il buon senso e anche il buon gusto di essere riservati. Chi ha mai saputo qualcosa della moglie di Andreotti o dei suoi figli? Mogli e amanti, se le avevano, restavano sullo sfondo, come le mogli della nomenklatura sovietica che comparivano solo ai funerali dei mariti in lise pelliccette di astrakan.

I giovani italiani sono inerti, gli adulti asintomatici, se esprimono un dissenso lo fanno nel più pacifico dei modi: disertando le urne. Ai ballottaggi non è andato a votare il 60% degli aventi diritto, un dato che dovrebbe far riflettere, come abbiamo già scritto, gli esponenti dei partiti invece di lacerarsi e logorarsi in sordide lotte intestine, dimenticando di fatto, al di là delle belle parole, le esigenze dei cittadini.

Insomma siamo in una calma piatta, una bonaccia, che non giustifica in alcun modo le isterie della classe politica e della stampa che la asseconda.

 

La cuoca cinese di mia zia, i partiti col proprietario e i pasticciotti alla crema

Mia zia ha una cuoca cinese bravissima a cucinare pugliese, crede lei. Poiché è la nipote di Qing Jiang e Mao, di politica ci capisce, e quando ho dei dubbi le chiedo lumi. Stava infornando dei pasticciotti (dolcetti di pasta frolla ripieni di crema pasticcera). “Come mai il M5S è in difficoltà, Yu?” “I motivi sono tanti, ma il principale mi sembra questo: in un partito tradizionale, che una volta all’anno fa un congresso dove le varie correnti di pensiero possono confrontarsi sull’attualità e sul da farsi con dibattiti e mozioni che vengono votate dai delegati, i quali rappresentano la realtà territoriale di quel partito (e non c’è nulla di male a essere un partito tradizionale, con congressi e correnti e delegati e mozioni e votazioni finali sulla linea da seguire: è la fisiologia dei partiti democratici in tutto il mondo libero, quella che permette loro di restare al passo coi tempi), in un partito così uno come Alessandro Di Battista sarebbe forse il leader della corrente maggioritaria di un M5S fuori dal governo. Purtroppo, i partiti con un proprietario (il M5S ha Grillo come Forza Italia ha Berlusconi) non hanno quella fisiologia: senza dibattito interno, alla fine si fa quello che vuole il proprietario”. “E il voto su una piattaforma digitale?” “Apparentemente democratico, mortifica le minoranze del partito, che non possono far valere le proprie ragioni in un confronto leale: in sostanza si ratifica la dittatura del proprietario, del suo cerchio magico, e della maggioranza che si fida ciecamente dei leader. Come risultato, il partito con un proprietario sopravvive finché sopravvive il proprietario. In Cina, morto Mao, restò il partito. Qua? La patologia dei partiti della Prima Repubblica era la corruzione, e chi è venuto dopo ne ha approfittato per convincere gli elettori a buttare il bambino con l’acqua sporca. Si è confusa la fisiologia con la patologia. Purtroppo i partiti con proprietario hanno sempre successo, all’inizio, nella fase delle promesse. A quel punto, i partiti di stampo tradizionale li hanno imitati, appiattendosi il più possibile sulla figura del leader. Pannella, un precursore, aveva messo il suo nome sul simbolo del Partito Radicale (e adesso il Partito Radicale in Parlamento non c’è più). Lo imitarono nel tempo Berlusconi, Grillo, Di Pietro, Salvini, Meloni, Bonino, Grasso. Con Letta a Siena, nuova forzatura: c’era solo il suo nome, senza il simbolo. Da quelle parti, dire Pd è come dire Monte dei Paschi. La tattica ha funzionato”. “Secondo te Di Battista rientrerà nel M5S?” “Non importa. Vuole tornare a fare la forza anti-sistema, in lotta contro la scatoletta di tonno. Cioè contro Goldman Sachs, Bilderberg e quarto livello. Auguri!” “Dibba è il primo a sapere che non potrà rientrare finché non lo decide Grillo” “Che nel frattempo, da apocalittico che era, si è integrato. Ha detto: ‘Draghi è un grillino! Si vuole iscrivere, allora facciamo il Meetup, lei va in giro a fare volantinaggio, si iscrive, mi porta la fedina penale e speriamo che vada bene’. Neo che chiede all’agente Smith di fare volantinaggio e di mostrargli la fedina penale! Ah ah ah!”. “Poi ha stretto un patto con Bettini”. “L’ex Sbardella di Veltroni. Ma senza avere la sua esperienza politica. Così adesso Bettini può starsene sornione su un ramo come lo Stregatto, a papparsi con calma i voti grillini in uscita. Come ci resti, al governo, senza voti? Frequentare il salotto della Federici non basta. Vieni, i pasticciotti sono quasi pronti”. L’ultima volta ci ha messo dentro le orecchiette.

 

Occasione d’oro: Silvio al Quirinale

 

“Il centrodestra non può sbagliare la prova del Quirinale.

Finora, nell’euforia che ne ha appannato i sensi, la coalizione non ha dato il meglio di sé. Anzi. Ora però, i giochi sono aperti, l’elezione del successore di Sergio Mattarella è il 18 gennaio, si può dire domani. I primi ad avere interesse a mettere in piedi una strategia comune sono proprio Matteo Salvini e Giorgia Meloni: il primo ha sperimentato in questa legislatura che, se non hai la fiducia personale di un capo dello Stato, l’incarico di formare un governo te lo puoi scordare; l’altra – basta pensare a ciò che è successo in questa campagna elettorale –, dovrebbe essere consapevole che corre l’identico rischio. Entrambi hanno bisogno, quindi, di una personalità di cui conoscono la lealtà e che abbia le relazioni e la capacità per garantirli in Europa. Silvio Berlusconi sarebbe l’identikit perfetto: per natura garantirebbe loro, ma anche un candidato premier di sinistra. Magari può essere considerata un’operazione complicata, di difficile riuscita, ma non provarci, o dissimulare, non dare cioè l’immagine di un centrodestra unito, sarebbe un grave errore. Forse non riusciranno a eleggere una personalità così (e non è detto), ma sicuramente nell’intento ridaranno vita a una coalizione.

Augusto Minzolini (il Giornale)

“L’effetto Green pass sui test è un bene, il limite è che lo fanno sempre gli stessi”

“È un un buon tracciamento, come qui in Italia non è praticamente mai stato fatto, ma non ha una bella matrice. Continuiamo a monitorare una quota a parte della popolazione, di fatto testiamo sempre gli stessi. Non è proprio la condizione migliore: come sappiamo, un tracciamento ideale va fatto su base casuale, ma è comunque meglio di niente”.

Fabrizio Pregliasco, virologo e direttore sanitario del Galeazzi di Milano, così commenta l’“effetto collaterale” dell’obbligo di Green pass, di fatto esaurito sul fronte vaccini, ma assai vivace su quello dei test antigenici.

Professor Pregliasco, l’effetto Green pass sulle vaccinazioni sembra ormai esaurito. Che giudizio dà di questa scelta “estrema” del governo italiano?

È stata una scelta in linea con l’ottica di massima prudenza che ha ispirato il nostro Paese fin dall’inizio della pandemia. E fin dall’inizio abbiamo optato per cercare di mitigare la diffusione del virus, ottenendo risultati importanti. Potevamo fare come il Brasile di Bolsonaro e il Regno Unito di Johnson nel 2020: lasciamo che il virus faccia il suo corso e poi semmai raccogliamo i cocci. Non sono state strade azzeccatissime, diciamo. Quella italiana del Green pass obbligatorio rimane, a mio avviso, una scelta in linea con il criterio di massima prudenza: diminuire al minimo i casi per poter assistere al meglio i contagiati. E ovviamente fare il maggior numero di vaccini possibile.

Si è detto spesso che ciò che accade in Gran Bretagna anticipa ciò che sarà in Italia. Dalle parti di Londra negli ultimi tempi le cose non sembrano andare benissimo…

Nel Regno Unito, in modo temerario, hanno riaperto tutto senza condizioni da mesi, fregandosene di fatto delle conseguenze. Speriamo poi che il nuovo picco di contagi non sia dovuto a questa nuova variante Delta plus, anche se per il momento sembra assai minoritaria e più “sportiva” della Delta, con una maggiore contagiosità contenuta intorno al 10%. Come detto, in Italia abbiamo optato per una maggiore prudenza, da sempre. Anche se ora ci aspetta una nuova battaglia.

Dobbiamo temere una nuova ondata?

Come minimo dobbiamo immaginarci uno scenario di colpo di coda. Una pandemia è come un sasso lanciato in uno stagno, provoca una serie di onde: le prime sono passate, ora siamo in fase calante ma arriverà l’inverno, freddo, più vita al chiuso, influenza stagionale, altre infezioni respiratorie. Tutti elementi che, come minimo, creeranno un po’ di agitazione.

Insomma non è finita.

Avremo a che fare con il Covid ancora per qualche anno, anche se il virus diventerà molto probabilmente endemico.

L’obbligo di Green pass non pare aver dato la spallata decisiva alla campagna vaccinale…

Non del tutto, anche se i numeri in Italia sono comunque molto alti.

L’effetto collaterale è una gran massa di tamponi. Finalmente un trattamento adeguato?

In parte. Il limite è che si finisce per testare sempre gli stessi: la quota di popolazione non vaccinata che fa i tamponi per poter andare al lavoro. I dati sono inevitabilmente falsati.

Si arriverà ad autorizzare la terza dose anche per gli under 60?

Valuteremo dopo questo probabile colpo di coda. In termini precauzionali vanno protetti gli over 60 maggiormente a rischio. Per gli altri forse è ancora presto. Non dimentichiamo però che l’Oms da tempo raccomanda di soddisfare prima la domanda di vaccinazioni nelle zone del mondo che sono rimaste indietro. È il solito discorso di arrocco del mondo ricco.

Vaccini al capolinea. Le terze dosi ormai doppiano le prime

Mario Draghi è soddisfatto. “Dopo un avvio stentato la campagna di vaccinazione europea ha raggiunto risultati molto soddisfacenti” e “in Italia la campagna procede più spedita della media Ue: a oggi l’86% sopra i 12 anni ha fatto almeno una dose e l’81% è completamente vaccinata”, ha detto il presidente del Consiglio nelle comunicazioni al Parlamento alla vigilia del Consiglio europeo. È soddisfatto anche perché l’Italia ha aumentato le donazioni di vaccini verso i Paesi a medio e basso reddito, dove la quota di popolazione vaccinata è molto inferiore rispetto a quelli ricchi (meno del 3% contro una media attorno all’80%), favorisce la circolazione del virus e il rischio di varianti più contagiose, come la Delta, che è stata individuata per la prima volta in India: era il motivo per cui Argentina, Sudafrica e altri Paesi chiedevano la sospensione dei brevetti alla Wto, ma Usa e Ue si sono opposti.

Nel frattempo, però, in Italia l’effetto Green pass sulle vaccinazioni sembra essersi esaurito. Se prendiamo i dati di martedì le terze dosi sono state oltre 55 mila contro 36 mila prime dosi. E ancora: si esulta per lo scaricamento di oltre 800 mila Green pass sempre nel corso della giornata di martedì, ma di questi quasi 600 mila sono certificati da tampone negativo e meno di 200 mila quelli dei vaccinati. L’aumento vertiginoso dei tamponi è uno degli effetti più evidenti dell’introduzione dell’obbligo di lasciapassare verde per l’accesso ai luoghi di lavoro: non se ne sono mai fatti così tanti per la sola sorveglianza sanitaria, ma almeno in una certa misura torneranno utili anche sotto quel profilo. Saranno gratis i tamponi in Austria, dove il governo dal 1° novembre ha imposto una certificazione simile alla nostra per lavorare. Tutti guardano con apprensione alla Gran Bretagna che ha tolto le restrizioni, ha puntato tutto sui vaccini e si ritrova con oltre 40 mila contagi e più di 200 morti al giorno. Il governo di Boris Johnson spinge per la terza dose e per ora esclude restrizioni.

Fin qui in Italia la somministrazione della terza dose, come ha ricordato ieri il ministro della Salute, Roberto Speranza, durante un question time alla Camera, è stata avviata per immunocompromessi, ultraottantenni, residenti nelle Rsa e il personale sanitario; è stata già autorizzata per gli over 60 e i fragili di ogni età. Siamo arrivati, ha detto ancora Speranza, a 700 mila inoculazioni. C’è una forte pressione per generalizzare la terza dose, ma il ministro non ha fretta: “L’evidenza scientifica e il confronto con la comunità internazionale ci porterà, passo dopo passo, a valutare la terza dose eventualmente anche per altre categorie, che oggi però sono fuori da quelle indicate”, ha detto Speranza. Si continuerà a discuterne per mesi, perché la platea interessata conta già diversi milioni di italiani e ci vorrà tempo per esaurirla. Intanto si avvia a soluzione il problema delle persone, per lo più straniere, vaccinate con il russo Sputnik e il cinese Sinovac non approvati dall’Ue: proprio Bruxelles ha reso noto che gli Stati membri possono riconoscere almeno il vaccino russo, il che consentirebbe una vita più serena a migliaia di badanti, colf, autisti e lavoratori agricoli dei Paesi dell’Est; possibile che si sblocchi anche la situazione per Sinovac, come reclamano diverse comunità cinesi in Italia.

Un aggiornamento del report dell’Istituto superiore di sanità sulla mortalità legata al Covid-19 conferma che i deceduti con ciclo vaccinale completo sono persone che hanno in media 85,5 anni contro i 78,3 dei non vaccinati e risultano affette da una media di cinque patologie preesistenti contro le 3,9 dei non vaccinati: soprattutto cardiopatie, demenza e tumori hanno un’incidenza più significativa tra i vaccinati. Sono i dati che emergono dall’analisi di 671 cartelle cliniche di persone decedute tra il 1° febbraio e il 5 ottobre 2021. Nel periodo considerato, riferisce l’Iss, sono stati registrati 38.096 decessi di persone positive al SarsCov2 e fra questi 33.620 relativi a persone prive di qualsiasi copertura vaccinale e 1.440 vaccinati con ciclo completo (3,7% di tutti i decessi Covid positivi dei mesi indicati); gli altri avevano ricevuto una sola dose. In sostanza, secondo l’Iss, il rischio di morte tra i non vaccinati è 23 volte superiore a quello dei vaccinati con ciclo completo.

Celentano cita Caselli in difesa di Mimmo Lucano

Con un video social sulle note di Cammino, Adriano Celentano difende Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace condannato a 13 anni e 2 mesi di reclusione, in un post intitolato “Ingiustizia è fatta” (ripreso da una prima pagina del manifesto), Adriano cita Gian Carlo Caselli sul Fatto: “Il senso profondo della disputa tra Creonte e Antigone sta nella necessità di conciliare le leggi umane e divine”. E chiude: “È incredibile come noi mortali viviamo questi brevi attimi di vita sulla terra, senza minimamente pensare alla grandiosità di ciò che possiamo perdere dopo la MORTE…”.

Ancora due morti sul lavoro nei campi

Ancora incidenti mortali sul lavoro. Ieri pomeriggio a Casere, in Valle Aurina (provincia di Bolzano), una persona è stata travolta e uccisa da un mezzo agricolo. Il medico d’urgenza giunto sul posto con l’elisoccorso Pelikan 2 ha solo potuto costatarne la morte. A Pozzuoli (Napoli) invece un anziano agricoltore è morto schiacciato dal suo trattore in campagna. L’uomo, residente a Qualiano, da qualche anno curava un vigneto di proprietà della Diocesi di Pozzuoli in via Trepiccioni e dalle prime ore dell’alba con il trattore si era dedicato ai lavori di pulizia del fondo dopo la vendemmia.

Ginecologa scomparsa, indagato il primario

La Procura di Trentoha iscritto nel registro degli indagati, per il reato di maltrattamenti, l’ex primario Saverio Tateo e la vice Liliana Mereu del reparto di ostetricia dell’ospedale Santa Chiara di Trento, dove lavorava Sara Pedri, la ginecologa di 31 anni originaria di Forlì scomparsa dal 4 marzo.

L’auto della donna è stata trovata in Val di Non. Il giorno prima della scomparsa, Pedri si era dimessa dall’ospedale. Ad agosto i carabinieri del Nas avevano ipotizzato il reato di maltrattamenti e avevano chiesto, con una informativa trasmessa alla Procura, di iscrivere nel registro degli indagati l’ex primario e la vice.