Una manovra da 23 miliardi: 8 al fisco, confermato il Reddito

Resta un grosso punto in sospeso – il capitolo pensioni dopo la fine di Quota 100 – ma da ieri lo schema a grandi linee della prima manovra del governo Draghi è tracciato. Il Consiglio dei ministri ha approvato il Documento programmatico di bilancio (Dpb). La scadenza per inviarlo a Bruxelles non è stata rispettata (era il 15 ottobre) e per la verità anche il varo dell’articolato vero e proprio slitterà alla prossima settimana, visto che il premier sarà al Consiglio europeo sia giovedì che venerdì, nonostante la scadenza fosse prevista per oggi.

Il testo è stato approvato “all’unanimità”, dopo due ore e mezza di riunione a Palazzo Chigi, preceduta in mattinata da una cabina di regia della maggioranza. Il via libera è arrivato solo grazie alla decisione di congelare la discussione sul capitolo pensioni, superando così la “riserva politica” espressa dai ministri leghisti. Draghi non ha voluto forzare la mano, una mossa che sarebbe apparsa come uno schiaffo il giorno dopo la batosta dei ballottaggi. La questione è nota: dopo Quota 100, che scade a fine anno, va trovato un modo per evitare un ritorno per tutti agli stringenti requisiti della riforma Fornero (mai abrogati), ma l’ipotesi offerta dal ministro dell’Economia Daniele Franco di Quota 102 nel 2022 e quota 104 nel 2023 non è piaciuta ai leghisti e per la verità nemmeno ai sindacati, tanto più che riguarda una platea (50 mila persone) ancora più piccola di quella della misura voluta nel 2018 ai tempi del Conte 1. C’è una settimana per trovare la soluzione, ma grandi interventi sono esclusi.

Nel complesso la prossima manovra vale tra i 23 e i 25 miliardi, grazie allo spazio fiscale aperto dalla decisione di mantenere il deficit di 1,2 punti di Pil sopra il livello a cui si sarebbe fermato nel 2022 senza interventi. Draghi e il ministro dell’Economia Daniele Franco hanno presentato uno schema sostanzialmente definito nei numeri complessivi, con margini ristretti di trattativa per i partiti (che potranno dilettarsi con il solito fondo per le “esigenze parlamentari”). Circa 8 miliardi saranno destinati alla riduzione delle tasse, due in più dell’ultimo intervento sul bonus Irpef, (portato da 80 a 100 euro ampliando la platea fino ai 40mila euro di reddito). Questa volta potrebbe riguardare i contribuenti fino a 55mila euro di reddito che scontano l’aliquota del 38% (previsto anche un taglio dei contributi per le aziende). Il centrodestra, compresa Italia Viva, chiedeva un taglio da 10 miliardi.

I 5Stelle incassano la conferma del Reddito di cittadinanza, che viene rifinanziato per il 2022 portando lo stanziamento dai 7 miliardi iniziali ai quasi 9 che si spenderanno quest’anno dopo il disastro del Covid. In cambio dal Movimento hanno aperto a una revisione in manovra che sulla carta si annuncia abbastanza indolore (ritocco sui controlli e riduzione dell’assegno per chi rinuncia alle offerte di lavoro) ammesso che il centrodestra seppellisca qualsiasi velleità di ridimensionare la misura. I grillini però devono dire addio per ora alla proroga totale del Superbonus edilizio al 110% per tutto il 2023: sarà riservato solo ai condomini (sembra destinato a saltare il bonus facciate), anche se la discussione è aperta.

Per il resto arrivano 2 miliardi in più l’anno fino al 2024 per la Sanità, un nuovo fondo (da circa 1 miliardo) per fronteggiare il caro bollette, una cifra minima visto che – ha confermato ieri l’Authority per l’energia – i prezzi continueranno a salire a lungo. Sono attesi fondi per la scuola e l’università, il taglio dell’Iva sugli assorbenti, la stabilizzazione dei congedi per i papà e del bonus tv.

Resta ancora da definire lo stanziamento per la riforma degli ammortizzatori sociali. Il testo, a cui lavora il ministro Andrea Orlando, non è chiuso: nella versione più estesa vale quasi 8 miliardi, più del doppio di quanto il Tesoro sembra disposto a concedere. Se ne riparlerà – come molte altre misure – nei prossimi giorni.

Open Day

Espletata la pratica elettorale per pochi intimi, la politica rientra nella cronaca che più le si confà: quella giudiziaria. Ungheria a parte, l’inchiesta Open illumina la spropositata ricchezza della corrente renziana, che ha prima scalato il Pd, poi l’ha occupato militarmente a dispetto dei disastri elettorali e tuttoggi ne controlla un bel pezzo tramite Lotti (a proposito: che deve ancora combinare perché Letta lo metta alla porta?), mentre il duo Renzi-Boschi fa danni in Arabia Viva. E meno male che costoro reclamavano una commissione d’inchiesta sulla bufala dei banchi a rotelle e sul presunto scandalo mascherine. Purtroppo l’inchiesta romana su Arcuri, che ci salvò nell’ora più buia della pandemia e perciò è dipinto da mesi come un volgare furfante, sta un po’ deludendo le attese dei fan: doveva dimostrare che Conte aveva scelto un tangentaro, i due ladroni avevano comprato “14 anni e mezzo di mascherine” (copyright Paolo Mieli) e bene ha fatto Draghi a paracadutare il generalissimo Figliuolo. Ora l’accusa di corruzione è caduta, perché Arcuri non ha intascato un euro. E ne restano in piedi due piuttosto contraddittorie: peculato perché Arcuri avrebbe saputo che i due brasseur dei cinesi prendevano provvigioni e pagato la fornitura più del dovuto per farcele rientrare (cosa che lui nega); e abuso d’ufficio perché non contrattualizzò i due mediatori per pagargli le provvigioni (violando il Regio decreto 2240/1923 del 1° governo Mussolini). Una versione giudiziaria del Comma 22.

Arcuri ha elencato ai pm tutti i politici (Meloni, Malan, Mallegni, Mor, Pivetti), che in quei mesi convulsi di caccia mondiale al tesoro delle mascherine, gli segnalarono – alcuni meritoriamente, altri per interesse – produttori disponibili a fornirle, ma a prezzi meno vantaggiosi di quello pagato ai cinesi. I puristi del giorno dopo, anzi dell’anno dopo, sostengono che parte di quelle mascherine fossero imperfette o pericolose perché poco filtranti. Però a validarle non fu Arcuri, ma il Cts, per smentire il quale servirebbe una perizia seria. E comunque erano meglio di niente: la Lombardia, teatro della strage più grave al mondo, impose ai cittadini di proteggersi con qualsiasi mezzo, anche sciarpe e foulard. Poi, nel giro di due mesi, il putribondo commissario allestì la produzione nazionale e l’Italia, unica nell’Ue, garantì protezioni gratis a tutte le scuole. Ora chi invocava commissioni d’inchiesta su Conte&Arcuri ritrova i suoi nella lista dei politici che raccomandavano improbabili fornitori e se stesso nel registro degli indagati per Open, dove non giravano mascherine, ma soldi a palate. I classici pifferi di montagna che andarono per suonare e furono suonati.

Generazione “TikTok”: da PinkPantheress a ElyOtto, i nuovi talenti nascono sul social

Cosa consideriamo oggi per “talento”? Una dote artistica o la capacità di ricercare visibilità? Essere bravi o diventare famosi? Se prima di Internet, le case discografiche avevano il controllo totale sulla produzione e distribuzione della musica, con gli artisti indipendenti che di rado raggiungevano il successo internazionale, oggi la situazione è radicalmente cambiata e chi intende far carriera in questo ambito deve saper trovare strade alternative. Dalle audizioni negli uffici discografici negli anni 70 e 80 ai “Karaoke casting” televisivi degli anni 90, fino ai grandi raduni di massa dei pre-casting dei talent show odierni, oggi è il momento dei social media, in particolare del cinese TikTok, che offre le migliori opportunità ai giovani talenti: in pratica un nuovo luogo d’incontro tra artisti e industria musicale, che ne sta segnando una nuova alba. Il social cinese, soprattutto durante la pandemia, ha dettato l’agenda del mondo della musica, lanciando nuovi artisti, livestreaming di concerti e brani diventati virali. La app esplosa nel 2019, quando l’azienda cinese ByteDance ha fatto confluire sulla piattaforma gli utenti di Musical.ly, lo scorso anno ha visto gli utenti lievitare del 60%, passando da 500 a 800 milioni. E sono oltre gli 70 artisti diventati famosi grazie alla sua piattaforma che hanno già firmato contratti con major, come Dixie D’Amelio, Priscilla Block, Claire Rosinkranz, Powfu e Tai Verdes. L’eccezione diventa regola. Tra i casi più eclatanti c’è quello di PinkPantheress, la cui carriera musicale è iniziata con l’uscita del singolo Break it Off su TikTok all’inizio del 2021: la ventenne artista britannica, con soli sei brani all’attivo sul social, dopo aver firmato un contratto con la Parlophone, ha appena pubblicato il suo album d’esordio, che definisce “New Nostalgic”, To Hell With It. Un fulgido esempio del tipo di impatto che il social può avere sugli emergenti. Oppure prendiamo il caso di ElyOtto, che su TitTok è esploso grazie a SugarCrash!, che poi sarebbe il suo unico successo virale. Fra un uso massiccio di autotune e ritmi ipnotici, e un solo brano in curriculum, ElyOtto ha firmato un contratto con la Rca a soli 17 anni, dopo che altre sette etichette gli avevano manifestato il proprio interesse. In ogni caso, i tiktoker che hanno raggiunto la notorietà grazie al social cinese, lo hanno fatto con formule tradizionali, spaziando tra generi e stati d’animo, con canzoni orecchiabili, agevolati anche dalla natura audio ripetitiva di TikTok. Aveva ragione Jacques Brel quando diceva che “il talento è solo voglia di fare qualcosa. Tutto il resto è sudore, traspirazione, disciplina”.

“Manca la vecchia politica. E i registi che vanno in bus”

“Lo spunto mi è venuto dalla foto di Aldo Moro in doppiopetto sulla spiaggia di Torvaianica attorniato da bambini in costume. Mi è parso di poter ribaltare il campo rispetto a Buongiorno, notte, che era tutto interno alla prigione: qui guardo fuori, dalla strage a chi vive esternamente la prigionia, Cossiga, Zaccagnini, Andreotti, Eleonora Moro e i terroristi, fino all’epilogo”. Alla XVI Festa del Cinema di Roma Marco Bellocchio porta le prime immagini della sua prima serie, Esterno notte, targata Rai e The Apartment, interpretata da Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Toni Servillo.

Nelle tre sequenze mostrate, Zaccagnini, Andreotti e Cossiga visitano in ospedale il Moro (Gifuni, super) incredibilmente liberato: “Mi dimetto dalla Dc”, dichiara il presidente; una manifestazione con l’assalto a un’armeria; Moro a colloquio con Papa Montini (Servillo), cui chiede appoggio per l’apertura ai comunisti: “Penso alla coscienza dei cattolici contrari a divorzio e aborto, penso a un partito che si definisce cristiano e invece si allea – gli oppone Paolo VI – con chi ha convenzioni diverse su temi fondamentali”. “Con la tragedia di Moro tutta una classe politica è entrata in crisi, i partiti tradizionali hanno iniziato a boccheggiare: quella passione politica è oggi inimmaginabile, ci si può anche rallegrare del successo delle sinistre, ma meno del 50% degli aventi diritto è andato a votare”, osserva Bellocchio. Che non nasconde il rimpianto per la Dc, ovvero per “le sinistre all’opposizione all’epoca del mio apprendistato al Centro Sperimentale: i registi andavano ancora in autobus, come voleva Monicelli, e satira e commedia erano antigovernative. Poi i pesi politici sono cambiati e il cinema italiano pure”.

La politica degli autori della Festa trova un altro protagonista in Zerocalcare, all’anagrafe Michele Rech: anche per lui la prima serie, Strappare lungo i bordi, sei episodi animati da circa quindici minuti dal 17 novembre su Netflix. Ritorna in formato inedito l’universo ormai celebre – Valerio Mastandrea dà voce all’Armadillo – del fumettista e si affina la sua poetica resistente: “Io sono un tristone, ma da romano so bene come i piagnoni siano l’ultimo anello alimentare delle prepotenze. Faccio dell’ironia la fortificazione di questo nucleo triste”. Senza dimenticare, appunto, l’impegno: “La mia politica è quella dei centri sociali, non dei partiti, dal basso. Voto sempre perché mi piace fare la fila con i vecchietti, è un grande rito collettivo. Ma non mi sono sentito rappresentato da nessuno dei candidati sindaci”.

C’è vita Supernova al Salone ’21. Tanto Green, e anche pass

“Scusi, dov’è la Conad?”: domanda una signora appena fuori dal Salone internazionale del libro di Torino. Non è lì per quello, chiaro. È giovedì, primo giorno di fiera: la 33esima edizione non si apre sotto i migliori auspici, e uno spettro si aggira per il Lingotto, quello dell’astensionismo. Pochi visitatori, molti in cerca di market anziché di McCarthy; sparute scolaresche; padiglioni mezzi vuoti – anche per colpa delle norme di distanziamento Covid –; addetti ai lavori ancora latitanti; editori imbronciati. Bene, è andato tutto bene, però, anzi benissimo, considerati il virus, le restrizioni, i malumori. E l’assenza di Ambra Angiolini. C’è ancora “Vita supernova” a Torino – il titolo benaugurante scelto dal direttore Nicola Lagioia –, almeno per i libri e per i lettori, vaccinati alle code, ai panini da autogrill bulgaro, alle mascherine a gas, ai chilometri a piedi, alla moquette sporca.

Diamo i numeri. È stato indubbiamente una fiera da record: 150 mila visitatori, ben oltre quelli del 2019 (148.034 e 170.786 nel 2018, mentre nel 2020 la kermesse si è fermata). “È il Salone con più persone di sempre. Ne avevo ipotizzate 70-80.000”, giubila Lagioia. Erano in molti, moltissimi, ma nessun politico: è il segno dei tempi. Fuori dall’incontro con Romano Prodi, per dire, il commento più sentito è: “Dal vivo sembra più magro”. Mentre un peso massimo del ministero della Cultura si aggira tra i padiglioni, bofonchiando: “La lettura è sopravvalutata. Come il sesso”. Il pubblico, oltre che numeroso, è esoso: le vendite sono andate – stand by stand – più che bene, ringalluzzendo anche gli editori imbronciati. Mondadori parla di un aumento del 30 per cento rispetto all’ultima edizione. Visi radiosi pure all’Einaudi, alla Rizzoli, in Adelphi. Per Sellerio l’incremento è stato del 30 per cento rispetto al 2018, l’anno d’oro di Librolandia. Alla Laterza dichiarano che è stata superata la cifra incassata tre anni fa e Stefano Mauri, per il Gruppo Gems, snocciola una crescita del 50 per cento. Intanto l’editoria italiana torna alla Buchmesse di Francoforte dopo un’edizione digitale: saranno 66 gli espositori presenti.

Lettori e no. I dati forniti dall’Aie, l’Associazione italiana editori, gelano in parte gli ardori manifestati delle case editrici: i lettori in Italia si contraggono ulteriormente, arrivando al 56 per cento, benché le vendite aumentino, specie dei libri di varia. La top ten dei best-seller vede in testa, da gennaio a settembre, Stefania Auci con L’inverno dei leoni (Nord), tallonata da Valérie Perrin (e/o) coi suoi fiori cimiteriali. Seguono Alessandro Sallusti e Luca Palamara con Il sistema (Rizzoli) e, al decimo posto, Giorgia Meloni con Io sono Giorgia (Rizzoli). Come si diceva, i politici latitano. O al massimo stanno in Rizzoli scambiandola per l’Aventino.

Ospiti, in & out. Le parole più degne di essere ricordate sono quelle che la scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie ha regalato alla folla del Salone, durante l’inaugurazione: “Sogno un mondo con meno diseguaglianze, vera piaga moderna. È un pensiero radicale, ma anche Galileo lo fu”. Simpatico e franco, poi, Carlo Verdone, uno dei più gettonati dal pubblico, a pari merito con i vari Alberto Angela, Asia Argento, Francesco Guccini… “Quando si fa la regia”, ha detto l’artista, “si deve trovare un compromesso con il produttore, ma la liberà della scrittura è impagabile”. Il francese Michel Houellebecq, invece, ha vaticinato che “chi è violento nella scrittura lo è molto poco nella vita privata, perché la scrittura permette di liberarsi di tutto quello che si ha di violento”. Forse si è dimenticato di Adolf Hitler quando vergava Mein Kampf. Ma pazienza, Michel è sempre irresistibile, sdentato o no. Il più commosso, poi, è apparso Massimo Cacciari nel ricordare l’amico scrittore Daniele Del Giudice, recentemente scomparso. La più attesa, infine, era forse Ambra Angiolini: non per letteratura, ma per gossip, e polemica strisciante (da Striscia la notizia). Dopo la rottura con il compagno, l’allenatore juventino Massimiliano Allegri, si è alzato un polverone: perciò, l’Einaudi ha deciso di annullare la presenza dell’attrice per il “troppo clamore”.

Green, non solo pass. L’edizione firmata Green pass è stata sia green sia pass: tantissimi i giovani in fiera, interessati soprattutto ai temi ambientalisti, come l’allarme sulla catastrofe climatica, che ha spopolato in incontri e dibattiti. A testimoniarlo, tra gli altri, il sold out per David Quammen, l’autore di Spillover, su virus e dintorni, che peraltro ha parlato in streaming. Tra le belle sorprese Covid-free, c’è pure un noir ambientato nel pieno della pandemia. Autore Fabio Federici, colonnello dei carabinieri. Nel romanzo, Il pigiama rosa (Oligo Editore), si legge: “Oggi il contrasto alla mafia non è più considerato una cosa importante”. Sarà colpa del clima: quello nei palazzi del potere, non del meteo. Il premio bizzarria va infine allo “Scrittore per strada”, un signore accovacciato a terra tra i padiglioni, che batte compulsivamente i tasti della sua macchina per scrivere. Per l’elemosina? Macché. Per testimoniare che la moquette è pulita.

Cibo per la mente. La lezione del Salone n. 33 è che un vero scrittore si riconosce dalla fame, anche se non è Hamsun. “Non ci sono confezioni singole di biscotti?”, domanda l’autrice indignata al tavolo delle colazioni in hotel. “In camera non c’è nulla da mangiare. E certo qui non c’è modo di fare la spesa”. Ma se c’è vicina la Conad…

Tammy Faye, Dio& american Dream

Una bambina guarda all’interno di una chiesa attraverso una finestra. Sono i suoi occhi a penetrare quello spazio sacro col desiderio di essere presente, di entrare in quel mondo a lei interdetto.

Alla fine, rompe gli indugi: entra, beve al calice ed esplode in convulsioni religiose parlando in lingue, attirando l’attenzione di tutti. Non sappiamo se il delirio è una finzione o una realtà. Il dubbio ci verrà vedendo il film, ma la risposta non arriverà. Il punto è che sono i suoi occhi che aprono spazi e le permettono di conquistare la gente. Sono Gli occhi di Tammy Faye, il film che ha aperto la Festa del Cinema di Roma 2021.

Si devono fare i complimenti al direttore artistico della Festa, Antonio Monda, per la scelta. L’occhio della telecamera inquadra le vicende di una coppia di telepredicatori americani, Tammy Faye e Jim Bakker, fondatori della rete PTL Satellite Network, che generò più di 120 milioni di spettatori all’anno negli anni Settanta. La loro storia era già stata raccontata da un documentario realizzato nel 2000 da una coppia di specialisti in gotico americano, Fenton Bailey e Randy Barbato. Il perimetro definito dal film – potremmo dire con la scrittrice Flannery O’Connor, maestra del grottesco – è il “territorio del diavolo”. Il sacro, la parola di Dio, i valori cristiani diventano il pretesto per una vita lussuosa, del tutto antievangelica.

La coppia esprime i valori del Prosperity Gospel, quella “teologia della prosperità” che ha segnato la collusione tra religione e potere negli Stati Uniti e non solamente. In buona sostanza, il nucleo di questa “teologia” è la convinzione che Dio vuole che i suoi fedeli abbiano una vita prospera, e cioè che siano ricchi dal punto di vista economico, sani da quello fisico e individualmente felici. Questo tipo di finto cristianesimo colloca il benessere del credente al centro della preghiera, e fa del suo Creatore colui che realizza i suoi pensieri e i suoi desideri. Dio è un potere al servizio dell’American dream, o meglio con una sua interpretazione riduttiva, come se l’opulenza e il benessere fossero il vero segno della predilezione divina da “conquistare” magicamente con la fede. La pellicola ci fa pure ben capire il contesto dal quale sono spuntate figure come Paula White, “madre spirituale” di Donald Trump, che non ha perso occasione per compiere riti propiziatori – in vere e proprie sceneggiate televisive – sul presidente, individuato come uomo della provvidenza.

Diretto da Michael Showalter e sceneggiato da Abe Sylvia, il film sorprende perché penetra con lo sguardo acuto dentro il magma di questo territorio diabolico, mostrandolo però senza ombra di moralismo. Al contrario, l’occhio si immerge nella vicenda dei due svelando la contraddittorietà della loro vita e delle loro scelte. E questo soprattutto grazie a Tammy Faye, vera protagonista straordinaria della pellicola, magistralmente interpretata da Jessica Chastam, la quale ha studiato la figura di Tammy per ben sette anni, arrivando persino a memorizzarne i gesti e le inflessioni vocali grazie alle numerose ore di registrazioni che ha visto.

Tammy e Jim si incontrano da giovani in una chiesa mentre Jim si esercita a predicare. Sono studenti. La freschezza della coppia rivela i desideri di una fede aperta alla vita e alla sua bellezza, rifiutando – anche a colpi di citazioni bibliche – le ossessioni di chi invece interpreta la fede in termini cupi e ossessivi. I due si sposano, e la loro vita si apre a peripezie che si seguono. Per caso, si ritrovano proiettati nel mondo televisivo. E hanno gran successo. L’intuizione di Tammy è di predicare con i pupazzi. La cifra del divertimento e dell’apertura divertita alla vita domina le immagini, sebbene si avverta da subito un gusto di plastica. Il passaggio al declino è però inesorabile. Il successo abbaglia la coppia che, sempre per la gloria di Dio, costruisce per sé un patrimonio di miliardi di dollari grazie alle donazioni ricevute sempre più in abbondanza, e anche grazie a strategie ben accorte di marketing. E la predicazione diventa soap opera.

Come si comprende, la grazia dell’annuncio di una fede gioiosa si trasforma in una trappola innescata dal successo mondano. L’amore fresco e vivace dei due si trasforma in una convivenza sempre più algida. Tammy Faye mantiene la sua indole radicalmente aperta a una predicazione che sa entrare in empatia con ogni condizione umana, accogliendo persone provenienti da ogni ceto sociale e condizione umana. Quando tutti voltarono le spalle ai malati di Aids, invita nel suo show Steve Pieters, un celebre pastore gay colpito dalla malattia. E tuttavia è presa dalla spirale rovinosa, senza sapersene distaccare fino in fondo. Incinta per la seconda volta, non sa riconoscere più nel marito l’uomo amato da ragazza. Ormai non si sente più toccata con amore da tempo. La voglia di seguire un nuovo amore non dura però che un istante, il quale però apre un tempo di intorpidimento e cura di psicofarmaci che le rubano la vitalità.

Con la direzione della fotografia di Michael Gioulakis, le scenografie di Laura Fox, i costumi di Mitchell Travers e le musiche di Theodore Shapiro, Gli occhi di Tammy Faye sa intrecciare furbizia e infantilismo alla Betty Boop, innocenza e erotismo, buoni sentimenti e manipolazioni: tutto frullato nell’apocalisse finale che fa esplodere la vanità come un palloncino colorato.

Straordinaria la scena di una trasmissione televisiva in onda dopo che Tammy aveva assunto psicofarmaci. È col marito dentro una scenografia composta da una barca, dal mare e dal cielo. Tammy, come in un delirio, si distacca dal copione – finalmente! – e tenta di salire sulla barca, che però è finta, come lo sono il mare e il cielo. E Tammy lo dichiara apertamente, come da dentro un sogno: un po’ Truman show, un po’ felliniana Gelsomina. Quanta cura ha messo l’attrice che la interpreta nel cesellare la figura del personaggio!

Il mondo che hanno costruito è finto, malandrino, carnale. Ma si scontra con un potere più astuto e meno giocoso, quello del rigorismo conservatore di predicatori decisamente meno mediatici, ma certamente più cinici e più politicamente astuti.

La vita di Tammy Faye è una finzione, ben espressa simbolicamente dagli strati di make up ben steso sul viso fino a diventare una maschera clownesca. E la sua risata sembra a tratti un grido disperato. Ma è proprio quando raggiunge la dimensione clownesca che la grazia la tocca in maniera paradossale. La grazia agisce nel territorio del diavolo, e questa donna non le resiste, lasciando vivo in sé il “tarlo” dell’autenticità.

Tammy Faye è una vittima sacrificale: del rigorismo della madre, dell’ambizione e delle ambiguità del marito, dell’establishment politico-religioso e, in fondo, anche di sé stessa, finendo per perdere la cognizione del confine fra il ridicolo e il patetico. Per questo la grazia la insegue fino alla fine. È una icona di salvezza proprio perché indossa i panni della perdizione. E forse la sua verità è affidata al suo canto eccentrico. Tutto questo reclama dallo spettatore una incredibile empatia.

La pellicola di Showalter ha al centro gli occhi della protagonista. Freschi e vivaci da giovane, poi invasi dalla stanchezza e dal torpore stucchevole causato della ricchezza, accompagnati da ciglia finte. E tuttavia sempre agitati dal tormento della sincerità. Infine – quelli da anziana – occhi segnati dall’insensatezza nei quali però si legge un segno permanente della Grazia. E le luci si spengono mentre Tammy canta il Glory, Glory halleluhja, immersa in una allucinazione che però ha un briciolo di una paradossale profezia sulla sua vita.

 

Sánchez: “Basta con l’immunità per i sovrani”

Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha proposto di abolire l’immunità totale che la Costituzione garantisce ai sovrani. “Non penso che questo status sia necessario per un capo di Stato”, ha detto il leader socialista, spiegando di voler “aprire il dibattito su una modifica della Costituzione”. L’inviolabilità del re, ha aggiunto, non è più appropriata “in una democrazia che si è consolidata in oltre 40 anni”. L’abolizione dell’immunità dei sovrani è sempre più popolare nella società civile, in relazione alle accuse di corruzione emerse contro l’ex re Juan Carlos. Il sovrano emerito può essere perseguito solo dalla Corte Suprema e solo per atti compiuti dopo l’abdicazione del 2014. Juan Carlos ha lasciato la Spagna nell’agosto 2020 per “facilitare” il lavoro del figlio, Felipe VI.

Flirt e menzogne: licenziato direttore del tabloid “Bild”

Licenziato Julian Reichelt, direttore della Bild, il quotidiano più venduto in Germania (circa 3 milioni di copie al giorno), rimosso dopo rivelazioni su presunti comportamenti inappropriati con sottoposti e menzogne. Lo ha annunciato il capo del gruppo editoriale Axel Springer, sottolineando che il 41enne Reichelt è stato rimosso “con effetto immediato”, dopo che già in precedenza era stato sospeso nell’ambito dell’indagine interna. Il gruppo ha dichiarato di aver ottenuto nuove informazioni sull’attuale condotta di Reichelt “a seguito di notizie dei media”, che hanno rivelato come non abbia “separato chiaramente le questioni personali e private”. Il New York Times ha pubblicato nuovi dettagli sulla presunta relazione di Reichelt con una tirocinante, caratterizzata da “abuso di potere”.

Facebook non si basta più: ora vuol creare il metaverso

Stavamo iniziando a comprenderli, questi social network: il modo in cui hanno costruito il loro monopolio sui nostri dati, la profilazione, la privacy. Giorno dopo giorno, l’opinione pubblica stava iniziando a preoccuparsene un po’ di più, complice una politica più attenta e pressante sul tema, gli Usa particolarmente aggressivi, talpe pronte a rivelare ogni piccolo segreto. E invece Facebook ha fatto un balzo in avanti, ha alzato l’asticella, ha fissato un orizzonte lontano dall’etichetta ormai nota dei social e anche dagli Usa. Ha accelerato nel tentativo di seminarci.

“Voglio reinventare Facebook, trasformandolo in un social network ‘incarnato’, dove le persone potranno vivere, come nella realtà – ha spiegato il fondatore della piattaforma Mark Zuckerberg – Vogliamo essere ricordati non come un social network, ma come la società che ha costruito il metaverso”. E ieri ha addirittura annunciato 10mila assunzioni nei prossimi 5 anni in Europa per realizzarlo. “La regione sarà messa al centro dei nostri piani per aiutare a costruire il metaverso che ha il potenziale di aiutare a sbloccare l’accesso a nuove opportunità creative, sociali ed economiche – hanno detto Nick Clegg, vicepresidente Global Affairs, e Javier Olivan, vicepresidente Central Product Services –. Una delle più urgenti priorità è quella di trovare ingegneri altamente specializzati, una campagna di reclutamento avverrà in tutta la regione”. Metaverso, dunque. E fanno sul serio.

Cos’è il metaverso. Il concetto nasce con un romanzo del 1992 (Snow Crash di Neal Stephenson) ma per averne una rapida idea si può anche solo guardare il trailer del film Ready Player One, in Italia nel 2018, in cui il giovane protagonista che vive in un mondo ormai al collasso nel 2045 riesce a evadere dalla realtà grazie a un visore per la realtà virtuale che lo trasporta a Oasis. “La gente ci viene per tutto quello che si può fare – dice a un certo punto – ma ci rimane e per tutto quello che può essere”. Gli occhiali gli permettono di vedere questo universo parallelo, una tuta gli permette di sentire sul proprio corpo e la propria pelle tutte le sensazioni tattili come fossero vere, altri strumenti gli permettono di camminare davvero. Il fatto che sia una persona reale e che ce ne siano altre dietro gli avatar, i gemelli digitali delle persone reali, gli permette anche di innamorarsi. È un universo parallelo ma anche un gioco: il suo creatore (morto) ha messo in palio, per chi troverà il tesoro che ha nascosto di 500 miliardi di dollari.

E infatti anche il mondo del gaming, i videogiochi, se ne sta interessando: da Epic Games, che è il produttore del famosissimo gioco Fortnite, a Nvidia e Roblox. La prima ha già creato una piattaforma per connettere mondi in 3D su cui le aziende possono disegnare “gemelli digitali” di prodotti che esistono nel mondo reale o di edifici e fabbriche sia in Fortnite cheRoblox gli utenti, oltre a giocare con i propri avatar, sono anche creatori di contenuti e si utilizzano monete virtuali per acquistare “oggetti virtuali”. Dentro Fortnite è stato finanche istituito un memoriale a Martin Luther King Jr, ci sono stati trailer di importanti film e concerti come quello di Ariana Grande. La Vans vende anche i suoi accessori digitali griffati.

Raddoppiare l’universo, al netto delle sovrastrutture, significa anche raddoppiare le opportunità di guadagno. Da tutta la tecnologia necessaria per realizzare un universo parallelo funzionante e fedele e reattivo a quella per farvi parte (visori, schermi, sensori etc). Infine, l’indotto. Su Minecraft di Microsoft, ad esempio, i creatori di contenuti avrebbero ricavato complessivamente già più di 350 milioni di dollari. Insomma, Second Life – che già pareva avanguardistica – non è lontana da raggiungere la sua evoluzione massima. Bisognerà vedere se funzionerà e se sarà compatibile con le regole.

Intanto, fare dell’Europa il punto d’appoggio di questo progetto è strategicamente vincente: ci si allontana dagli Usa e si acquista credito verso un mercato che mira all’autosufficienza e che sta approvando un pacchetto di regole per normare l’ecosistema digitale. Facebook si pone cosi come grosso player economico nel nascente “Mercato unico digitale”: sarà portatore di innovazione ma anche di lavoro. E questo, da queste parti, ha sempre assicurato un maggiore potere contrattuale.

Mosca rompe con la Nato: stop alla missione e alle relazioni

Lo ha annunciato ieri il ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov: Mosca sospende dal 1º novembre la sua missione presso la Nato in risposta all’espulsione compiuta la scorsa settimana di otto funzionari accusati di essere membri dell’intelligence. La Nato ha riferito di aver “preso atto” dei commenti di Lavrov dai media. “La Russia non continuerà a fingere che un cambiamento nelle relazioni con la Nato sia possibile nel prossimo futuro”, ha aggiunto Lavrov. Nello stesso giorno, l’Ufficio informazioni della Nato a Mosca, presso l’ambasciata belga, sarà chiuso e gli accrediti degli impiegati verranno ritirati. “Se la Nato ha delle domande urgenti, può contattare il nostro ambasciatore in Belgio”, ha concluso Lavrov. Il Consiglio Nato-Russia, sorto a Roma nel 2002, si era sviluppato con una serie di commissioni congiunte, dal terrorismo all’Afghanistan.