Per la prima volta dalla sua uscita dal Movimento 5 Stelle, Alessandro Di Battista ha davanti a sé un futuro partitico concreto. Di Battista ha detto di voler fare “politica” anche da cittadino. Lo fa: nei suoi libri, nei suoi reportage, nelle sue apparizioni in tivù. Nelle ultime settimane Di Battista ha ripetuto di essere pronto a partire per un tour. Accanto a lui ci saranno amici ed ex colleghi. E già qui c’è un problema, perché se tra quei colleghi figureranno i Paragone e le Lezzi, allora l’ex deputato M5S si saboterà da solo in partenza.
Il tour, per Di Battista, è anche un modo per contarsi e soppesare gli eventuali fan pronti a divenire elettori. Se fino al governo Conte-2 il ruolo di Di Battista sembrava marginale e velleitario, il conformismo dilagante gli regala di colpo spazio. Allo stato attuale, di fronte a Draghi, ci sono perlopiù due approcci estremizzanti: da una parte la divinizzazione servile e dall’altra il bombardamento idiota. Di Battista potrebbe incunearsi in questi due poli, arrivando (con molto impegno e un po’ fortuna) a creare non dico un terzo polo, ma un’alternativa per molti desiderabile. Una cosa tipo Italia dei Valori, magari però senza Razzi e Scilipoti.
L’operazione, per Di Battista, è difficilissima. Di Battista non è un “organizzatore” e un “uomo di macchina”, ma un battitore libero: lui parte in quarta e colpisce. Non ha le capacità, e la duttilità, di Di Maio. E per fare un partito serve anzitutto quella roba lì. Ci sono poi i limiti caratteriali e ideologici. Alessandro non sa mediare. Non concepisce (o quasi) il compromesso. Ha un’idea altissima della politica, ed è quindi condannato puntualmente a bruciarsi. È un talebano sincero, che ragiona un po’ coi paraocchi: o bianco o nero. Ha un’idea comicamente mitizzata del primo M5S (lo stesso che candidava i Barillari, i De Vito e le Salvatore…). È incline al “benaltrismo” e al “bastiancontrarismo” (esempio: se tutti parlano di deriva fascista, lui fa un post su tutt’altro argomento. Lasciando intendere che le cose serie sono quelle lì e che gli altri parlino di cazzate). Tende a pensare che “gli altri” siano tutti uguali e che un Bersani valga Giorgetti. E – soprattutto? – ha un odio viscerale per il Pd. Avere dubbi su quel partito è sacrosanto, ma Di Battista va oltre e bombarda a prescindere tutto ciò che anche solo sembra Pd. Arrivando a tirare la volata, cioè la retromarcia, per le prime Laricchia effimere che passano.
Questi difetti, che sono più che altro ingenuità e mancanza atavica di concretezza, vengono però controbilanciati e anzi messi in minoranza dalle qualità di Di Battista: il carisma; l’onestà intellettuale; la passione; la sincerità; l’onestà; la coerenza; la voglia di studiare e informarsi; la tigna. Qualità rare, che ne fanno al contempo una bella persona e uno dei pochi politici in grado di generare un dibattito (e un seguito).
Di Battista, grazie al conformismo dilagante, potrebbe creare una terza forza in grado se va “male” di fare opposizione seria e se va bene di condizionare positivamente il “campo progressista” (tipo ago della bilancia). Certo, Di Battista potrebbe anche realizzare tutto questo dall’interno del M5S, come pungolo e coscienza critica di Conte, ma finché i 5 Stelle appoggeranno Draghi non se ne parla. Il suo peso politico? Difficile dirlo, ma se uno come Paragone prende quasi il 3 a Milano e Calenda sfiora il 20 a Roma, allora vale tutto e Di Battista il suo 5 per cento – su scala nazionale – potrebbe pure raggiungerlo. Staremo a vedere, ma chi lo reputa finito sbaglia.