Di Battista, talebano sincero, che punta a creare il terzo polo

Per la prima volta dalla sua uscita dal Movimento 5 Stelle, Alessandro Di Battista ha davanti a sé un futuro partitico concreto. Di Battista ha detto di voler fare “politica” anche da cittadino. Lo fa: nei suoi libri, nei suoi reportage, nelle sue apparizioni in tivù. Nelle ultime settimane Di Battista ha ripetuto di essere pronto a partire per un tour. Accanto a lui ci saranno amici ed ex colleghi. E già qui c’è un problema, perché se tra quei colleghi figureranno i Paragone e le Lezzi, allora l’ex deputato M5S si saboterà da solo in partenza.

Il tour, per Di Battista, è anche un modo per contarsi e soppesare gli eventuali fan pronti a divenire elettori. Se fino al governo Conte-2 il ruolo di Di Battista sembrava marginale e velleitario, il conformismo dilagante gli regala di colpo spazio. Allo stato attuale, di fronte a Draghi, ci sono perlopiù due approcci estremizzanti: da una parte la divinizzazione servile e dall’altra il bombardamento idiota. Di Battista potrebbe incunearsi in questi due poli, arrivando (con molto impegno e un po’ fortuna) a creare non dico un terzo polo, ma un’alternativa per molti desiderabile. Una cosa tipo Italia dei Valori, magari però senza Razzi e Scilipoti.

L’operazione, per Di Battista, è difficilissima. Di Battista non è un “organizzatore” e un “uomo di macchina”, ma un battitore libero: lui parte in quarta e colpisce. Non ha le capacità, e la duttilità, di Di Maio. E per fare un partito serve anzitutto quella roba lì. Ci sono poi i limiti caratteriali e ideologici. Alessandro non sa mediare. Non concepisce (o quasi) il compromesso. Ha un’idea altissima della politica, ed è quindi condannato puntualmente a bruciarsi. È un talebano sincero, che ragiona un po’ coi paraocchi: o bianco o nero. Ha un’idea comicamente mitizzata del primo M5S (lo stesso che candidava i Barillari, i De Vito e le Salvatore…). È incline al “benaltrismo” e al “bastiancontrarismo” (esempio: se tutti parlano di deriva fascista, lui fa un post su tutt’altro argomento. Lasciando intendere che le cose serie sono quelle lì e che gli altri parlino di cazzate). Tende a pensare che “gli altri” siano tutti uguali e che un Bersani valga Giorgetti. E – soprattutto? – ha un odio viscerale per il Pd. Avere dubbi su quel partito è sacrosanto, ma Di Battista va oltre e bombarda a prescindere tutto ciò che anche solo sembra Pd. Arrivando a tirare la volata, cioè la retromarcia, per le prime Laricchia effimere che passano.

Questi difetti, che sono più che altro ingenuità e mancanza atavica di concretezza, vengono però controbilanciati e anzi messi in minoranza dalle qualità di Di Battista: il carisma; l’onestà intellettuale; la passione; la sincerità; l’onestà; la coerenza; la voglia di studiare e informarsi; la tigna. Qualità rare, che ne fanno al contempo una bella persona e uno dei pochi politici in grado di generare un dibattito (e un seguito).

Di Battista, grazie al conformismo dilagante, potrebbe creare una terza forza in grado se va “male” di fare opposizione seria e se va bene di condizionare positivamente il “campo progressista” (tipo ago della bilancia). Certo, Di Battista potrebbe anche realizzare tutto questo dall’interno del M5S, come pungolo e coscienza critica di Conte, ma finché i 5 Stelle appoggeranno Draghi non se ne parla. Il suo peso politico? Difficile dirlo, ma se uno come Paragone prende quasi il 3 a Milano e Calenda sfiora il 20 a Roma, allora vale tutto e Di Battista il suo 5 per cento – su scala nazionale – potrebbe pure raggiungerlo. Staremo a vedere, ma chi lo reputa finito sbaglia.

 

Da Sartre a Heidegger e Croce: pure per loro il calcio è poesia

Per Sartre la vita imita il calcio, per Givone il calcio la spiega. Fra questa dicotomia, solo apparentemente tale, oscilla il libro di Alessandro Gnocchi Il capocannoniere è sempre il miglior poeta dell’anno. Perché se è vero che Sartre, nel suo razionalismo, ha ragione, è altrettanto vero, come dice Givone, che il calcio è un fertilissimo campo di metafore della vita (la principale e più nota è la guerra) che dà innumerevoli spunti di riflessione in ambito politico, sociale, sociologico, letterario. E dei rapporti fra calcio e letteratura si occupa appunto Gnocchi. Un libro godibilissimo perché Gnocchi, capo dei servizi culturali de il Giornale, rinuncia a ogni leziosità colta in favore di uno stile piano, sciolto, digeribile da tutti. In realtà Gnocchi possiede, o per meglio dire è posseduto, da una doppia anima: quella del letterato e quella del tifoso “la mattina in biblioteca, la sera a vedere la partita, la giornata perfetta”. Nel primo capitolo “Riscaldamento” ci offre una serie di curiosità ignote anche ai più appassionati calciofili. Parla di letterati, filosofi, poeti, narratori che oltre a parlare di calcio lo hanno praticato. Di Pasolini lo sapevamo tutti. Come era intuibile che Albert Camus, con quel suo bel fisico da pied-noir algerino, tanto diverso dallo stortignaccolo Sartre, fosse un buon portiere. Ma chi avrebbe mai immaginato che l’austero e solitario Heidegger, terrore di ogni studente di filosofia quando deve affrontare La questione della tecnica o le riflessioni su Nietzsche dove riesce, impresa quasi impossibile, ad andare oltre il pensiero del filosofo di Röcken , avendo imparato dallo stesso Nietzsche che “non fa onore al suo maestro chi rimane sempre allievo” e che negli ultimi anni della sua vita si era rifugiato su una montagna quasi irraggiungibile da cui aveva fatto ruzzolare, con disgusto, Sartre, che si pretendeva suo allievo, fosse stato in gioventù “un’ala sinistra mica male”? Che il pesantissimo Derrida, altro interprete, però mal riuscito, di Nietzsche, fosse stato un “valido centravanti” e che Benedetto Croce fosse in gioventù “una promessa del calcio”? Quest’ultima probabilmente è un’invenzione di Antonio Pennacchi. Ma in fondo anche questa è letteratura. Sulla letteratura.

Ma veniamo al sodo. “Saba ha scritto le cinque poesie italiane più note sul calcio: Squadra paesana, Tre momenti, Tredicesima partita, Fanciulli allo stadio e Goal. Quest’ultima descrive le reazioni delle squadre a una rete segnata. Tutto è vissuto attraverso i sentimenti dei portieri. Quello battuto è inutilmente consolato dai compagni. Quello inviolato festeggia da lontano. È una poesia sulla solitudine. Del portiere, di Saba, degli uomini in generale”. Motivo ripreso, non per il portiere ma per la squadra, da Max Pezzali in La dura legge del gol. Il mito vuole che Wittgenstein “ebbe un’illuminazione davanti a una partita di calcio a Cambridge. Anche il linguaggio era un gioco. Era nata la teoria cardine di Wittgenstein: il gioco linguistico”. Non è una fumisteria filosofica: il calcio è un linguaggio, la partita un racconto. Un racconto che si dipana in 90 minuti (oggi molto di più con le cinque insopportabili sostituzioni) e dove ogni gesto, anche il pallone calciato sfacciatamente in tribuna, ha un senso poetico. Su molte cose Gnocchi e io siamo d’accordo. Il vero calcio non è quello televisivo. Caduti i vecchi riti il calcio è l’ultimo luogo riservato al sacro. E come ogni manifestazione sacrale vuole una concentrazione assoluta. Ecco perché non si può andare a vedere una partita con una donna. Non puoi vedere una partita allo stadio, che è come una chiesa, e allo stesso tempo sbaciucchiarti. Tutto ciò che abbiamo detto finora vale per il calcio d’antan, non per quello di oggi. E credo che Gnocchi, anche se non lo dice, possa essere d’accordo. Del resto non si può essere tifosi quasi maniacali della Cremonese, cioè di una squadra minore, senza amare il calcio romantico di una volta oggi invaso da Televisione, Economia, Tecnologia.

Innanzitutto oggi sul calcio giocato prevale il calcio raccontato e con un’enfasi sconosciuta fino a non molto tempo fa. Bruno Pizzul è stato il telecronista della Nazionale dal 1986 al 2002. Riusciva a rendere il patos della partita, tenendo ovviamente per la nostra Nazionale, ma senza lo sbraco dei telecronisti d’oggi. Ogni goal, parata sono straordinari, meravigliosi, unici (contraddizioni in termini), invece son cose che, salvo rare eccezioni, abbiamo visto mille volte. Insopportabile è poi il Var. Tu fai un goal e non puoi nemmeno esultare, devi aspettare cinque minuti. Decide il Var. L’arbitro è ridotto a un passacarte, un impiegato della tecnologia. Non è un più il dio in campo (“Rigore è quando arbitro fischia”, Boškov). Il calcio, proprio perché appartiene al sacro, è tradizione. E qui Gnocchi introduce Leopardi, secondo cui il poeta deve conoscere a fondo i cardini di quello che, usando un termine molto riduttivo, potremmo definire il suo mestiere, ma deve anche saperli superare e andare oltre (Calci di rigore: la libertà del calcio). È il pensiero anche di Carmelo Bene. Ma oggi in circolazione non ci sono né Bene né tantomeno Leopardi. Io sto quindi con gli ultras, gli infamati ultras che qualche anno fa, in rappresentanza di 72 società, organizzarono in una giornata di giugno, canicolare e patibolare, una civile e composta manifestazione davanti al grattacielo della Figc di Milano al grido di: “Ridateci il calcio di una volta”.

 

L’assurdo divieto di dire i nomi dei pm nei processi

Proseguirà nelle prossime sedute della Commissione Giustizia della Camera l’esame dello schema di decreto legislativo (atto n. 285) di adeguamento della normativa nazionale alla Direttiva del Parlamento europeo 2016/343 sul rafforzamento della presunzione di innocenza dell’imputato e del suo diritto di presenziare al processo.

Va ricordato che le Direttive Ue sono atti legislativi che stabiliscono gli obiettivi che tutti i Paesi sono obbligati a realizzare: spetta tuttavia ai singoli Stati definire disposizioni nazionali circa i mezzi con cui tali obiettivi vadano raggiunti. Circa i due obiettivi previsti dalla Direttiva 343 occorre sottolineare che essi sono stati acquisiti, sin dal secolo scorso, nel vigente codice di procedura penale per cui:

1) l’imputato, in tutte le fasi del procedimento e fino alla sentenza definitiva, dev’essere considerato (e pubblicamente indicato) quale “presunto non colpevole”, come stabilisce l’articolo 27 della Costituzione;

2) è riconosciuto all’imputato, in ogni stadio del procedimento, sia il diritto al silenzio e sia il diritto di essere presente e, viceversa, di rinunziare liberamente a presenziare al procedimento a suo carico (art. 420 C. p. p.), essendo affetto da nullità il procedimento tenuto in sua assenza senza che risulti espressamente che abbia rinunziato a presenziarvi (si vedano Corte Costituzionale, Corte suprema di Cassazione e Corte europea dei Diritti dell’uomo).

A questi fondamentali principi si ispirano gli articoli 1 e 2 del decreto, mentre gravi problemi di trasparenza degli atti di indagine non coperti dal segreto attraverso comunicazioni pubbliche (che per il punto 17 della Direttiva sono quelle rilasciate dalle Autorità giudiziarie, dalla Polizia e da altre Autorità pubbliche preposte all’osservanza della legge), sorgono dall’applicazione del punto 18. Per esso, “l’obbligo di non presentare gli indagati non dovrebbe impedire alle autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine”. Entro questi limiti e nel rispetto dell’interesse pubblico alla conoscenza delle prove di accusa, la divulgazione dovrebbe essere la più completa possibile e affidata, secondo logica, al pm titolare e dominus dell’indagine, l’unico che sia a conoscenza di tutti gli atti, il quale affianchi il procuratore della Repubblica, titolare dell’Ufficio, nelle conferenze stampa, nelle interviste e nelle dichiarazioni pubbliche in genere. È pertanto augurabile che la Commissione elimini dall’art. 5 del Decreto sia l’ingiustificato monopolio del procuratore della Repubblica nei rapporti con gli organi dell’informazione (comma 1) e sia l’assurdo divieto per i giornalisti di pubblicare ogni riferimento ai nomi dei magistrati assegnatari dei procedimenti (comma 2), una norma che trova il suo illustre precedente nei processi staliniani degli anni Trenta, nei quali i nomi dei giudici istruttori non apparivano e gli atti di accusa venivano firmati dal procuratore generale dell’Urss, Andrej Vyshinskij (vedi I grandi processi di Mosca – 1936-37-38, Rusconi 1977, pagg. 214).

 

Gamba di legno al luna park, bombe di nostalgia e strani furti di cappelli

Presissimi dall’erigere monumenti equestri a Draghi, i giornaloni nazionali tralasciano di continuo notizie che, seppur minori, non sono meno interessanti di quelle in prima pagina. Evitando quelle stomachevoli (“Operatori cimiteriali sezionano cadaveri per mangiarseli”) e quelle inverosimili (“Nuova ricerca dimostra che ai polli d’allevamento piace essere mangiati”), e consapevoli che, una volta scelta una notizia, si tratta di confezionarla in uno stile che ne ottenga il massimo senza essere arrestati, occupiamoci dunque delle altre Notizie dimenticate.

Roma. Rapporto Istat sulla criminalità: più omicidi in famiglia, meno furti in casa. Con tutti quei familiari che ammazzano i parenti, i ladri hanno paura di fare furti a domicilio. L’aspetto triste della vicenda è che forse la gente si ammazzerebbe di meno, se i ladri facessero più furti in casa.

Roma. Ieri papa Francesco ha chiamato la polizia. Ha chiesto se per caso avevano ritrovato un grande cappello bianco a doppia punta. Più tardi ha richiamato: falso allarme, se l’era accattato “per sbaglio” il papa emerito.

Torino. Scoperta una nuova variante del Coronavirus che causa la Covid-19. Sintomo caratteristico: quando sei in treno, vedi dal finestrino il treno accanto che si muove, e non riesci a capire se si muove il tuo o lui.

Germania. Nuovi studi dimostrano che le persone sovrappeso tendono a sentirsi male ad alta quota. Questa è una tragedia. Sappiamo quanto piaccia alle persone sovrappeso l’alpinismo.

Vienna. Due pensionati austriaci, Ignaz Straus e Ilse Hofer, si sono sposati, 90 anni lui e 88 lei. Il matrimonio è stato semplice e commovente. La luna di miele, disgustosa.

Regno Unito. Alcuni scienziati dell’Università di Birmingham hanno scoperto che una sostanza chimica presente nella saliva è efficace nel trattamento del colon irritabile. Cosa diavolo stavano facendo in quel laboratorio?

Londra. Mick Jagger ha compiuto 78 anni. L’avete visto in faccia? Ratzinger, 94 anni, ha una pelle più giovane della sua. Eppure hanno condotto lo stesso tipo di vita: sesso, droga, rock’n’roll. Mah!

Afghanistan. Dopo 20 anni di conflitto, regna un grande silenzio nella regione. A Kabul c’è chi fa esplodere bombe per nostalgia. BOOM! “Ah, ti ricordi quando eravamo all’asilo?”.

Stati Uniti. Negli Usa è allarme recessione, sostiene Nouriel Roubini, economista della Nyu Stern School of Business. Biden conferma: “Il deficit è così elevato che per un po’ potremo invadere solo una nazione all’anno”.

Stati Uniti. Marte sta effettuando il suo passaggio più vicino alla terra da 60.000 anni a questa parte. La Nasa ammonisce: “Non toccate Marte”.

Stati Uniti. Jeff Bezos aggiungerà un gruppo di nostalgici fascisti al prossimo equipaggio della Blue Origin, nell’ambito di un esperimento per determinare l’influenza della gravità zero sulle teste di cazzo.

Francia. In un luna park di Parigi un uomo con una gamba di legno è salito sulle montagne russe. Durante il giro della morte, la gamba gli è volata via, ha colpito tre birilli, e l’uomo ha vinto una bambola.

 

Le urne vuote, la democrazia e la crisi M5S

Quando Matteo Salvini, suonato come un tamburo da uno storico cinque, sei, sette a zero, prova a consolarsi con il fatto che i sindaci del centrosinistra sono stati eletti dalla minoranza di una minoranza dice una cosa vera. Però, dovrebbe nel contempo domandarsi dove diavolo sia finita la baldanzosa maggioranza della maggioranza di centrodestra di cui anche Giorgia Meloni menava vanto immaginando l’imminente presa di Palazzo Chigi. Perché hai voglia ad accusare la stampa gaglioffa (Salvini), la “criminalizzazione della destra” (Meloni), il destino cinico e baro e l’invasione delle cavallette quando il tuo popolo preferisce andare al mare o ai giardinetti piuttosto che scomodarsi a votare per Enrico Michetti (Roma), o per Paolo Damilano (Torino). Voti scomparsi perfino quelli su cui contava il candidato lumbard

di Varese, battuto pure lui malgrado i ripetuti viaggi in città dell’ex capitano (o proprio per questo). Sul boom dell’astensione dovrebbero seriamente riflettere anche tutti coloro – a cominciare dall’Informazione Unica dei Migliori – che da ieri sera girano per le tv versando calde lacrime sulla crisi della democrazia rappresentativa, e dove finiremo di questo passo signora mia. Facendo finta di non ricordare la campagna di annientamento politico del M5S a cui si sono diligentemente applicati in questi anni. Per esempio bombardando senza sosta le sindache Raggi e Appendino, trattate come abusive se non come nemiche assolute (sì, proprio due donne, come dimenticano le donne che ora si stracciano le vesti per l’assenza di donne sindaco).

La loro colpa? Aver polarizzato sui loro nomi una speranza di cambiamento, giusta o sbagliata che fosse, di milioni di cittadini. Molti dei quali disorientati, disillusi e anche delusi nelle aspettative (vedi Roma) hanno preferito disertare le urne. E così il tentativo di incanalare la protesta attraverso il Movimento nelle istituzioni è stato in larga parte vanificato. Come dimostrano le piazze di Trieste, Roma, Milano invase da un popolo disordinato, disorientato, disilluso e anche deluso che privo di un riferimento politico credibile si offre al primo squadrista che passa. Bel risultato davvero.

“Tampone a un over 85? Se vuole, paga”

Nonostante “una iniziale sottovalutazione del rischio da parte della dirigenza del Pio Albergo Trivulzio (Pat, ndr)”, la Procura di Milano ha chiesto ieri l’archiviazione per il direttore generale del Pat Giuseppe Calicchio accusato di epidemia colposa e omicidio colposo in relazione alla circolazione di Sars-Cov 2 nelle strutture del Pat e all’incremento di morti registrate tra metà marzo e metà aprile 2020. Una linea, quella adottata dalla Procura, che riguarderà altre Rsa coinvolte in fascicoli simili. L’inchiesta sulla “Baggina” di Milano ha percorso il periodo da gennaio ad aprile 2020. Analizzate 400 cartelle cliniche. Le indagini affidate non solo alla Guardia di finanza, si legge nell’ atto dei pm, hanno dimostrato “l’impossibilità di tracciare (…) il percorso del virus” nei reparti. Il che è “un ostacolo insuperabile” per la “dimostrazione rigorosa del nesso causale” di “condotte commissive” e “omissive” rispetto a una “maggiore diffusione” del Covid all’interno della Rsa milanese. Al netto di questo, la Procura ha individuato condotte “omissive” senza reato. Fin dall’inizio, si legge, la dirigenza risulta “attrezzata in modo incongruo alla bisogna”. E le indicazioni dei vertici, per i pm, sono “volte a evitare allarmismi”. Come emerge da una inedita chat tra il dg e la dottoressa Rossella Velleca (non indagata). Scrive Velleca: “La lussata è morta in pronto soccorso. Era positiva. Evitiamo di emettere bollettino?”. Il dg: “Scriviamo sintomatologia respiratoria anziché positiva”. È il 16 marzo 2020. Ancora prima, il 2 marzo in altra chat, un medico scrive a Calicchio che una sospetta Covid mandata al S. Giuseppe è “stata sottoposta a ecografia polmonare e anche a un tampone”. Il dg Calicchio risponde: “Ora io non vorrei essere cinico (…), dopo gli 85 anni a che pro fare il tampone? Se lo vuoi paghi o assicurazione. A cosa serve sapere se è Covid o polmonite normale?”. Il 2 aprile l’avvocato Erika Miglioranza (non indagata) già responsabile affari-istituzionali del Pat scrive al dg: “Il bollettino (…) della Velleca esce senza decessi?”. Calicchio: “Avvocato sì, questa sera”. Una dottoressa, sentita dai pm, spiega: “L’atteggiamento della dirigenza all’inizio è stato di scarsa sensibilità (…). Si tendeva a negare l’evidenza della diffusione”. Tanto che la stessa dirigenza inizialmente vietò l’uso volontario delle mascherine. Il dg Calicchio, stando agli atti, fece altro: “Raccomandò di far rimuovere dal Pat un cartello” in quanto, scrive Calicchio: “Non serve se sono state impartite info chiare”. Chiosa la Procura: “Si tratta di un manifesto (rimosso, ndr) la cui affissione era stata richiesta dalla Regione” perché “sensibilizzazione, formazione (…) sono fondamentali nella prevenzione del virus”. Dopodiché al Pat a fine aprile iniziarono i primi test sierologici in linea con quanto deciso dalla Regione e dall’allora assessore al Welfare, Giulio Gallera. Questo atteggiamento “omissivo” non configura un reato. E, in ipotesi, “omissivo” è l’aver ricoverato pazienti non tamponati provenienti da altro ospedale. Al netto di ciò la Procura chiede di archiviare. Anche se “l’adozione” di alcune misure “avrebbe (…) limitato la diffusione del contagio” e “un eccesso di mortalità (…) ascrivibile al Covid-19”.

Il ras delle coop: “De Luca? Ci conosciamo da 30 anni”

“Conosco il governatore Vincenzo De Luca da più di 30 anni, da prima che diventasse sindaco di Salerno ed era il segretario provinciale del Pci-Pds”. Fiorenzo Zoccola, per tutti Vittorio, il ras delle cooperative salernitane finito in carcere con l’accusa di essere il regista di un’associazione a delinquere che si è nutrita tra appalti senza gara e favori elettorali, e che avrebbe agito con spregiudicatezza nonostante 9 proroghe delle indagini avrebbero dovuto suggerigli cautela, ha parlato davanti ai magistrati in qualità di indagato. Ma anche di persona molto informata su tanti fatti. A cominciare dalla storia del ‘sistema Salerno’, che conosce molto bene, perché ha contribuito a farla. E sulla quale, salvo sorprese, verrà risentito nei prossimi giorni. Forse già venerdì, assistito dal suo avvocato Michele Sarno, candidato sindaco del centrodestra sconfitto e capo in pectore dell’opposizione al ‘sistema’. Circostanza che ha scatenato la polemica dei parlamentari 5 Stelle Tofalo, Cioffi e Provenza, che gli hanno chiesto “chiarezza sul ruolo che intende tenere”. Intanto il sindaco Vincenzo Napoli, indagato per turbativa d’asta, ha varato una giunta divisa a metà tra tecnici e politici, tra il tentativo di voltare pagina e la consapevolezza di non poter deviare troppo per non far deragliare un treno in corsa da più di vent’anni. “Un quadro politico deprimente – dice Elisabetta Barone, la candidata sindaco 5 Stelle per la quale si è speso Conte in persona – con tre assessori solo apparentemente tecnici, in realtà legati a una parte politica, un paravento per coprire le difficoltà”.

La parola ‘sistema’ la mutuiamo dalla sintesi del Gip Geraldina Romaniello a proposito dei rapporti “dal 2002 in poi” tra l’amministrazione comunale e le cooperative di tipo B: “Un sistema di illeciti affidamenti (…) che ha radici lontane nel tempo e che trae linfa vitale dalla partecipazione di esponenti della politica locale che, di tale impianto, si avvantaggiano per scopi personali ed elettorali”.

Si riferisce in particolare a Giovanni Savastano, detto Nino, assessore comunale uscente alle Politiche Sociali e consigliere regionale di ‘Campania Libera’, la civica di De Luca, messo ai domiciliari con l’accusa di essere stato a disposizione di Zoccola e del suo cartello. Secondo la Procura di Salerno guidata da Giuseppe Borrelli, Savastano avrebbe blindato due delibere di giunta, la 195/20 e la 294/20, per prorogare illegittimamente gli affidamenti della manutenzione cittadina alle coop che lo hanno appoggiato alle elezioni regionali. Ieri Savastano è stato interrogato dal Gip per circa tre ore. “Ha chiarito la natura dei suoi rapporti con Zoccola, l’epoca alla quale risalgono e la natura del suo interesse per le vicende dei lavoratori”, spiega l’avvocato Cecchino Cacciatore.

Tornando al ‘sistema’, se esiste e se possiamo chiamarlo ‘sistema Salerno’, Zoccola è da ritenerne uno dei ‘cofondatori’. Insieme a De Luca (non indagato, ma il suo nome viene evocato continuamente nelle carte e nelle intercettazioni) e a un ristrettissimo gruppo di collaboratori e sodali storici del governatore. Una squadra composta ai tempi in cui era sindaco. Tra i quali Felice Marotta, entrato in Comune come operaio e poi via via elevato negli anni dell’ascesa di De Luca fino a vicesegretario generale (pur senza laurea), che in una vecchia intercettazione delle indagini di venti anni fa sulla trasformazione urbanistica di Salerno lo chiamava con timore reverenziale “la belva”. Marotta è indagato per concorso in turbativa d’asta con il sindaco Vincenzo Napoli, del quale è componente della segreteria. Napoli fu assessore in quota Carmelo Conte della giunta Giordano (ne faceva parte anche De Luca), l’ultima amministrazione prima di De Luca sindaco. Era il 1992. Entra nel giglio magico deluchiano una quindicina di anni dopo: nel 2006 diventa presidente di Salerno Mobilità, e poi capo staff del sindaco De Luca. Quando questi decade da sindaco per incompatibilità con il ruolo di viceministro delle Infrastrutture, Napoli viene ‘promosso’ sindaco. Lo stesso schema del 2001, quando De Luca, esauriti i primi due mandati consecutivi, diventa deputato e promuove a primo cittadino il capo staff Mario De Biase.

Il ‘sistema Salerno’ è anche questo: assicurare la continuità amministrativa secondo criteri di fedeltà e appartenenza i più stretti possibili. Non è nelle carte dell’inchiesta. Ma è parte della storia.

“Alpa sotto attacco: vittima di infamanti campagne stampa”

Essendo stato il professore e mentore di Giuseppe Conte, il professor Guido Alpa, stimato giurista e accademico di livello internazionale, è stato trasformato da certa stampa in una sorta di burattinaio che muoveva i fili dei governi Conte-1 e Conte-2 e che detta la linea anche al Conte leader del M5S. Un’immagine respinta da decine di docenti universitari di tutta Italia, che hanno firmato nei giorni scorsi un appello in sua difesa: “Da tre anni a questa parte, il prof. Alpa è oggetto di una continua, virulenta e infamante campagna mediatica. Gli vengono attribuiti inesistenti favoritismi concorsuali nei confronti” di Conte, “oscure relazioni di potere economico e politico (…). Noi che conosciamo il prof. Alpa da anni, sentiamo il dovere di far sentire alta la nostra voce a testimonianza della statura scientifica e morale del prof. Alpa (…) Rivolgiamo alle istituzioni dello Stato – che nel corso di questi decenni Alpa ha servito con generosità e discrezione, che dunque ben ne conoscono le qualità – perché da questa aggressione ne giudichino non la vittima, ma l’infimo livello degli aggressori”. Primo firmatario, Pietro Rescigno, Linceo. Seguono tantissimi docenti delle università di Milano, Roma, Genova, Bologna, Firenze, Palermo, Catania e di altre sedi. Tra i firmatari Mario Serio, professore di Diritto privato comparato all’Università di Palermo, avvocato, difensore disciplinare di magistrati, ex membro laico del Csm.

Perchè ha firmato l’apello in difesa del professor Alpa?

In questi lunghi anni di frequentazione come figura accademica, ho conosciuto il professor Alpa come uomo probo, molto attento alla selezione di allievi particolarmente brillanti tra i quali certamente c’era Conte, studioso di Diritto civile, ben prima di entrare nella scena politica. Non ho mai avuto rapporti professionali con Alpa, ma conoscendolo come docente e studioso integerrimo, ho creduto che fosse mio dovere testimoniare quanto la sua figura sia molto lontana dal modo in cui è stata prospettata da alcuni.

E se Conte non fosse diventato presidente del Consiglio ne parleremmo?

Non credo proprio. Aggiungo che l’ingresso in politica di Conte non abbia giovato a Guido Alpa, anzi l’ha messo in difficoltà: incarichi che certamente avrebbe avuto non gli sono stati più proposti pur meritandoli. Osservo, inoltre, che non c’era un interesse così spasmodico della stampa in tutti gli anni in cui Alpa è stato presidente del Consiglio nazionale forense, cioè l’organo supremo dell’avvocatura italiana. Da tre anni e mezzo, invece, la sua vita è finita sotto i raggi X.

Si è detto che Alpa abbia condizionato le scelte politiche di Conte, specialmente le nomine…

Mi sembra un’ipotesi assolutamente irreale, Alpa è al culmine della carriera, professore emerito di Diritto civile alla Sapienza, il massimo riconoscimento per un accademico, le sue opere sono lette in tutto il mondo, ha avuto alti riconoscimenti pure dall’organo supremo dell’avvocatura inglese e non ha mai fatto politica attiva.

Peculato e abuso d’ufficio: le nuove accuse ad Arcuri

C’è una legge che risale al 1923 e che secondo la Procura di Roma Domenico Arcuri, ex Commissario straordinario per l’emergenza e oggi amministratore delegato di Invitalia, avrebbe violato nel rapporto con Mario Benotti, l’uomo al centro dell’indagine sulla maxi-fornitura di 800 milioni di mascherine acquistate nel marzo 2020. Si tratta del Reggio decreto 2240 che agli articoli 16 e 17, come ricostruito dagli investigatori, impone “la forma scritta dei contratti stipulati da una pubblica amministrazione” ed è da qui che nasce la contestazione di abuso d’ufficio che i pm di Roma muovono all’ex Commissario, ma anche ad Antonio Fabbrocini, ex responsabile dell’ufficio acquisiti della struttura commissariale. Sia Fabbrocini che Arcuri poi sono indagati anche per peculato. Così, per spiegare la propria posizione, sabato scorso, Arcuri è stato interrogato dai pm di Roma che indagano sull’acquisto di 801 milioni di mascherine per circa 1,2 miliardi di euro da tre aziende cinesi. A fare da mediatore per queste forniture, secondo i pm, è stato Benotti, ex giornalista Rai, già caposegreteria dell’ex sottosegretario Sandro Gozi (estraneo all’indagine). Mediazione che i magistrati ritengono esser stata “illecita” e per la quale Benotti (tramite una sua società) avrebbe incassato circa 12 milioni di euro. Altri 59 milioni circa invece sarebbero finiti alla Sunsky srl di Andrea Tommasi. Benotti e Tommasi, con altri, sono indagati per traffico di influenze illecite.

Nell’inchiesta, Arcuri era inizialmente indagato per corruzione, reato per il quale la Procura ha già chiesto l’archiviazione (non c’è ancora una decisione del gip). Restano però altri due reati contestati (insieme con Fabbrocini, che potrebbe essere convocato nelle prossime settimane): peculato e abuso d’ufficio. Nel primo caso, secondo il capo d’imputazione, “si appropriavano, disponendo uti dominus a vantaggio di Benotti, 11 milioni di euro circa, traendoli dal Fondo costituito presso la Presidenza del Consiglio, nella misura in cui comprendevano nella stipulazione del prezzo dei contratti di fornitura” “e quindi liquidavano (a valere del detto Fondo) anche il compenso privato che il produttore cinese, incassato il prezzo, girava a Benotti”. In altre parole – è il ragionamento degli investigatori – le provvigioni per Benotti &C. sborsate dai cinesi sono il frutto delle forniture pagate dall’Italia.

Centrale è quindi la questione della mediazione di Benotti. Da qui l’accusa di abuso d’ufficio: secondo i pm, Arcuri e Fabbrocini avrebbero omesso “intenzionalmente di formalizzare e palesare il rapporto” di mediazione creando di conseguenza “una illecita posizione di vantaggio patrimoniale” per Benotti e Tommasi e consentendogli così anche “l’opportunità di monetizzare”. Sabato, sentito per circa 4 ore dai pm, Arcuri in sostanza ha spiegato che i due non erano degli intermediari, ma procacciatori di affari che lavoravano nell’interesse delle aziende produttrici. Da Commissario avrebbe anche imposto alla struttura commissariale di non sottoscrivere per nessuna ragione contratti con soggetti diversi dai fornitori di prodotti in quel momento fondamentali per fronteggiare l’emergenza. Per Arcuri, insomma, una contrattualizzazione sarebbe stata al di fuori di ogni prassi. Sui rapporti con Benotti, ai pm ha spiegato che, dopo aver ascoltato la sua proposta, lo ha semplicemente indirizzato agli uffici preposti, senza aver mai saputo delle provvigioni intascate.

Intanto ieri la Procura ha ordinato il sequestro delle oltre 800 milioni di mascherine fornite dalle società cinesi, indagate per frode nelle pubbliche forniture. “L’esame fisico/chimico – si legge nel decreto di sequestro – ha rivelato che gran parte di esse non soddisfano i requisiti di efficacia protettiva richiesti dalle norme” e “addirittura, alcune forniture sono state giudicate pericolose per la salute”. Secondo gli inquirenti, “una considerevole porzione” della fornitura “è stata validata sulla base della sistematica sostituzione dei test-report”.

Dunque Inail e Iss “si sono trovate nella scomoda condizione di dover sconfessare, in caso di giudizio negativo, pagamenti con denaro pubblico già erogati”. Gran parte delle mascherine sono state già utilizzate, così la Guardia di Finanza non ha chiaro il numero di dispositivi ancora fermi nei magazzini delle protezioni civili, visto che il primo parziale stop al loro utilizzo risale al 15 aprile 2021. Per questo la Procura ha chiesto alla Struttura commissariale di fornire i dati aggiornati sulle giacenze.

Mura la madre morta: figlio incassa pensione

Per due anniha murato il corpo della madre nell’armadio della camera da letto avvolgendolo in sacchi di plastica che aveva ricoperto di argilla e legno perché voleva continuare a incassare la sua pensione da 1.700 euro al mese. Per questo un uomo di cinquant’anni di Buccinasco, in provincia di Milano, è stato denunciato dai carabinieri per occultamento di cadavere e truffa aggravata ai danni dello Stato. A segnalare ai carabinieri la presenza del cadavere della donna è stata la compagna dell’uomo dopo che lui stesso le aveva raccontato tutto. Il cinquantenne ha poi ammesso ogni circostanza. L’abitazione è stata sequestrata dall’autorità giudiziaria che ha inoltre disposto il sequestro dei conti correnti.