Escort per B., due anni e 10 mesi per Tarantini

Rigettatii ricorsi in Cassazione e, dunque, definitiva la condanna a 2 anni e 10 mesi per reclutamento e favoreggiamento della prostituzione. Si conclude così la vicenda giudiziaria di Gianpaolo Tarantini, l’imprenditore pugliese condannato lo scorso anno dalla Corte d’Appello di Bari per aver portato, tra il 2008 e il 2009, alcune escort nelle ville e negli appartamenti di Silvio Berlusconi, all’epoca dei fatti presidente del Consiglio. La terza sezione penale ha inoltre dichiarato inammissibile il ricorso di Patrizia D’Addario, una delle donne reclutate da Tarantini che fin dal primo grado aveva chiesto un risarcimento per danni. Domanda però sempre respinta dato che, secondo i giudici, D’Addario ha scelto di prostituirsi autonomamente.

Corinaldo, un indagato arrestato: armi e droga

Uno dei componenti del gruppo di giovani ritenuto responsabile della strage alla discoteca Lanterna Azzurra di Corinaldo (Ancona) è ora destinatario, insieme ad altre tre persone (una delle quali è il padre di un altro indagato per la stessa vicenda), di un’ordinanza di custodia cautelare a fronte delle ipotesi di reato, a vario titolo, di lesioni personali, detenzione abusiva di armi e munizioni, ricettazione, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e violenza privata, con l’aggravante di reati connessi ad attività mafiose. Tra i destinatari delle misure cautelari (tre in carcere e uno ai domiciliari) c’è Ugo Di Puorto, figlio di Sigismondo Di Puorto, quest’ultimo ritenuto reggente del clan dei Casalesi in provincia di Modena.

“Gare truccate e caporalato su ambulanze”. Sequestrato il colosso “First aid one Italia”

Sei appalti pubblici per il servizio di ambulanze anche in epoca Covid e un giro d’affari di circa 11 milioni. Il tutto aggiudicato con “metodi fraudolenti” e le accuse, gravissime, di caporalato con gli autisti costretti a fare ore di lavoro massacranti per paghe ben sotto gli standard sindacali. Da qui: “Una prassi costante caratterizzata dall’imposizione di turni gravosi”. La storia, in parte già emersa nel marzo scorso con 4 arresti coordinati dalla Procura di Pavia, si allarga dopo il sequestro eseguito ieri dalla Guardia di finanza ai titolari della cooperativa sociale First Aid One Italia con sede operativa a Bollate (Milano) e che a partire dal 2016 ha rastrellato appalti in tutta Italia: Lombardia, Marche, Umbria, Lazio. Circa 200mila euro, terreni, auto, conti correnti. Questo il saldo del sequestro alla società gestita da prestanome, mentre uno dei reali titolari, Francesco Calderone, figurava come dipendente e questo perché già condannato per turbativa nella scelta del contraente dalla corte d’Appello di Milano. Particolare non di poco conto che, se emerso, avrebbe estromesso la cooperativa da ogni gara pubblica. Ai tre amministratori di fatto è contestato anche il reato di caporalato. Mentre fin da marzo risulta coinvolto per turbativa Michele Brait, già dg dell’Asst di Pavia vicino a Forza italia. Sul fronte del caporalato invece la Procura di Pavia scrive: “Il monitoraggio dell’attività di videoripresa ha confermato che il personale impiegato lavorava anche 13 ore al giorno”. E senza straordinari pagati. Tutto questo, scrive la Procura, con grave rischio per la sicurezza. Si legge: “Gli autisti sono stati costretti a rispettare turni gravosi da cui deriva inevitabilmente uno stato psico-fisico non efficiente e rischioso per la salute (…) dei soggetti trasportati”. Oltre a questo, il reato di frode è contestato anche per una “fraudolenta” dichiarazione del numero di autoambulanze usate. La cooperativa dirà di averne 99, di queste 75 dichiarate addirittura presenti in altre gare contemporaneamente. Un mezzo risulterà essere uno spazzaneve. Le ambulanze non venivano poi sanificate, anche in tempi di pandemia. Si legge negli atti: un mezzo in 20 giorni ha trasportato 92 pazienti ed è stato sanificato appena 4 volte. Di più: “Un’ambulanza è stata adibita anche illecitamente al trasporto di merce (un motore a scoppio) nonché a locale di risposo e di ristoro del personale”. Tra gli appalti vinti: quello di Regione Lombardia “per la gestione e il contenimento dell’emergenza Covid-19”.

Economia illegale e sommersa vale 203 miliardi di euro

Viene scalfita, ma resta una montagna gigante, l’economia non osservata italiana, vale a dire l’insieme delle attività economiche sommerse e illegali che per loro natura sfuggono alla statistica ufficiale: un settore che vale 203 miliardi di euro, pari all’11,3% del Pil. Rispetto al 2018, il dato si riduce comunque di oltre 5 miliardi (-2,6%) confermando la tendenza in atto dal 2014. A rilevarlo è l’Istat sottolineando che la componente dell’economia sommersa ammonta a poco più di 183 miliardi di euro mentre quella delle attività illegali supera i 19 miliardi. La fotografia scattata dall’Istituto di statistica, essendo datata 2019, si riferisce dunque a un quadro antecedente la pandemia. Tale dinamica rappresenta un’inversione di tendenza rispetto a quanto evidenziato fra il 2011 e il 2014, quando la quota del sommerso sul valore aggiunto era cresciuta poco meno di un punto percentuale (dal 12,6% al 13,4%, pari a circa 9 miliardi di euro), prosegue l’Istat. Il ridimensionamento del peso dell’economia sommersa è principalmente dovuto all’andamento della sotto-dichiarazione la cui incidenza, dopo una crescita nel periodo 2011-2014 (0,4%, dal 6,3% al 6,7%), si è ridotta dal 6,7% del 2014 al 5,6% del 2019. Una dinamica analoga, sebbene meno marcata, si verifica per il valore aggiunto da lavoro irregolare. Nel 2019 la sua quota si riduce di 0,7 punti percentuali rispetto al 2014, quando era del 5,5%. Non c’è freno, invece, nell’illegalità dove i consumi finali di beni e servizi sono pari a 22 miliardi, in aumento di 0,4 miliardi rispetto al 2018.

Mps, “condotta antisindacale della banca”

Il 16 settembre i sindacati dei 21.300 dipendenti del Monte dei Paschi avevano minacciato di agire contro l’azienda per le decisioni sulla riorganizzazione della banca. Ieri sono passati dalle parole ai fatti: hanno denunciato Mps per comportamento antisindacale al tribunale e al giudice del lavoro di Siena per “tre procedure fortemente impattanti” e chiedono di bloccare il distacco decennale di 300 bancari, la chiusura di nuove filiali e il piano di riassetto del settore corporate. Intanto è attesa entro fine mese la chiusura della trattativa tra il governo, UniCredit, Mcc e Amco sullo “spezzatino” del Monte. Secondo voci raccolte dal Financial Times, per sterilizzare i rischi dell’acquisizione il Ceo di UniCredit Andrea Orcel avrebbe chiesto al Mef, primo azionista del Monte con il 64%, di portare la ricapitalizzazione di Mps a 7 miliardi, trovando l’ostilità del governo. Le notizie hanno fatto scendere l’azione Mps e anche i bond subordinati per i timori di un loro coinvolgimento in un eventuale bail-in.

Cucchi, “pestaggio ingiustificato e sproporzionato”

Per la Corte d’Assise d’Appello il pestaggio subìto da Stefano Cucchi è stato ingiustificato e sproporzionato. Nella motivazione della sentenza, che lo scorso 7 maggio ha condannato a 13 anni di carcere per omicidio preterintenzionale i due carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’alessandro, i giudici hanno scritto che “le violente modalità con cui è stato consumato il pestaggio ai danni dell’arrestato, gracile nella struttura fisica, esprimono una modalità nell’azione che ha trasnodato la semplice intenzione di reagire alla mera resistenza opposta alla esecuzione del fotosegnalamento”. Nell’ambito del processo bis sulla morte di Cucchi, deceduto a 31 anni il 22 ottobre 2009 mentre era sottoposto a custodia cautelare, sono stati condannati per falso anche il maresciallo Roberto Mandolini (4 anni per aver falsificato il verbale d’arresto del giovane) e il carabiniere Francesco Tedesco (2 anni e 6 mesi, scagionato in primo grado dall’accusa di omicidio preterintenzionale).

Migliaia di auto-voti: il Senato contesta l’elezione di Cario (Sud America) nel 2018

Una data ufficiale ancora non c’è, ma è attesa entro la fine del mese la resa dei conti sul seggio assegnato nella Circoscrizione Sud America alle ultime Politiche. Su cui da allora aleggia il sospetto di brogli, oggetto anche di due indagini penali a Roma e a Buenos Aires. Intanto la Giunta del Senato ha deciso di contestare formalmente l’elezione di Adriano Cario, imprenditore e presidente dell’Associazione Centro Calabrese in Argentina che tre anni fa ha staccato un biglietto di solo andata per Palazzo Madama. Ché dopo un’istruttoria durata un paio di anni è venuto fuori che l’alto gradimento registrato sul suo nome in alcune sezioni del Consolato della Capitale argentina è più che sospetto: una valanga di preferenze, circa 22 mila su un totale di oltre 24 mila ottenute in tutta la ripartizione, che hanno fatto scattare l’esposto del suo concorrente ossia Fabio Porta del Pd, che si è pure rivolto in procura: i magistrati della Capitale si sono affidati anche alle perizie calligrafiche e ne sono venute fuori delle belle. A vergare le schede oggetto di indagine sarebbero state poche mani. In una delle sezioni sospette, tanto per dare un’idea, sono state rilevate sempre le stesse dieci mani in azione sulla quasi totalità delle schede; in un’altra tutte le schede campionate sono risultate riconducibili a cinque mani, due delle quali probabilmente all’opera anche nell’altra sezione oggetto di analisi. Con il risultato che in ben 32 sezioni elettorali, Cario ha riportato percentuali superiori al 70% (con picchi dell’80-90% in tre), di lunga superiori a quelle delle altre 68 sezioni del consolato argentino dove i risultati per lui sono stati prossimi al 15%. Stesso discorso per la sua lista di elezione, cioè l’Usei, che avrebbe raggiunto nelle sezioni del consolato di Buenos Aires percentuali non comparabili con quelle ottenute in altri consolati della ripartizione (47% contro percentuali tra il 17 e il 28). Porta non ha dubbi: per effetto di questi brogli ballano almeno 12 mila voti in più. Al netto dei quali sarebbe sua la vittoria e il seggio che da tre anni è occupato “abusivamente” da Cario. Che ora dovrà comparire di fronte alla Giunta per le elezioni del Senato per un faccia a faccia con l’ex deputato dem, che attende giustizia anche dalla magistratura di ben due continenti.

Non è un movimento di estrema destra, ma contro il governo

La storia che stanno raccontando i grandi media mentre sono in piazza tra fumogeni e cariche non corrisponde alla realtà che sto vivendo a Trieste in questi giorni: sono stati vittima degli idranti delle forze dell’ordine cittadini pacifici, addirittura anche gente che non manifestava ma magari sostava davanti a qualche bar. È sconcertante.

Quello che è certo è che non si tratta di una “piazza” fascista, altrimenti non ci avrei messo piede. Sono venuto qui all’inizio per capire cosa si muoveva, perché io sono vaccinato ma assolutamente contrario a una misura che lede il diritto al lavoro come questa che introduce l’obbligo del Green pass. E mi sono ritrovato per davvero dentro un fenomeno molto diverso da come viene raccontato sulla maggior parte della stampa italiana. Si sono riunite in questo movimento persone provenienti da tutte le realtà produttive della città, attorno al nucleo centrale dei lavoratori del porto perché quel luogo è simbiotico con Trieste, più di un simbolo. Non è un movimento no vax, anche se in minima parte ci sarà una presenza di persone contrarie al vaccino. È un movimento, invece, contrario alle politiche di questo governo, tanto che gli slogan più urlati riguardano Mario Draghi. Il premier ha un ruolo centrale, infatti, nel disastro sociale ed economico che viviamo essendo stato in passato ai vertici finanziari d’Europa. O vogliamo pensare che non abbia responsabilità? E adesso il suo governo è responsabile del comportamento delle forze dell’ordine che qui a Trieste non si fanno nessun problema a caricare lavoratori e cittadini pacifici che manifestano per il diritto al lavoro. Manifestazioni come quelle di questi giorni a mia memoria non hanno precedenti in città se non in un’occasione: era il 2018 e Trieste scese in piazza contro Casa Pound. Altro che città di destra.

È vero, è stato confermato sindaco per la quarta volta Roberto Dipiazza, sostenuto dai partiti di centrodestra, ma non ha votato neppure la metà degli aventi diritto, né al primo turno né al ballottaggio. E il candidato del centrosinistra, Francesco Russo, è stato imposto da un’operazione di palazzo pescando nel magma ex democristiano che il Pd coltiva ancora. La stragrande maggioranza delle forze in campo non è riuscita ad articolare una risposta alla “piazza” di Trieste.

 

Sul carro della lotta sono saliti anche fascisti e neonazisti

Quando è arrivato alla presidenza Zeno D’Agostino la situazione del lavoro e in particolare del lavoro occasionale, a chiamata, nel porto di Trieste era la peggiore in Italia. Cooperative fallite, contenziosi a non finire, un vero Far West. D’Agostino, cogliendo al volo la possibilità legale di stabilizzare la forza lavoro offertagli dall’istituzione delle Agenzie del lavoro, ha ritenuto di poter porre fine a una situazione che produceva solo danni al porto di Trieste. Ha ristabilito la legalità e ridotto la precarietà. Perché allora i portuali oggi gli si rivoltano contro? Perché quella di Trieste non è una lotta propriamente sindacale, come per la Gkn di Campi Bisenzio, ma una protesta politica contro la gestione governativa della pandemia. Quindi concentra su un unico obbiettivo simbolico non solo tutta la rabbia, le frustrazioni, le pulsioni che si sono accumulate in questo anno e mezzo, non solo la protesta studentesca, non solo i lavoratori con le loro famiglie, ma anche tutto il potenziale esplosivo del movimento no vax e la volontà dell’opposizione di Fratelli d’Italia e dei gruppi neonazi di destabilizzare il governo Draghi, sfidando apertamente l’ordine pubblico. Il movimento No Green Pass è stato generato a Trieste da un’area giovanile che di solito la stampa classifica come “dei centri sociali” ma che in realtà ha radici molto più complesse e una composizione molto più articolata. I portuali, desiderosi di affermare la loro presenza politica sul piano cittadino, ci sono saltati dentro e quindi invece di manifestare davanti ai simboli del potere statale sono andati a bloccare il porto e lì hanno servito su un piatto d’argento un bel pranzo a chi non era invitato. A turisti di passaggio, a no vax militanti, a neonazi. L’immagine che resterà nella gente del porto di Trieste sarà un’immagine negativa mentre a pochi chilometri più là, alla Fincantieri di Monfalcone, dove l’organizzazione del lavoro poggia su appalti e subappalti, dove si reclutano saldatori nei cimiteri delle navi del Bangladesh, dove la magistratura ha trovato casi di corruzione e di caporalato, tutto continuerà come prima. Che cosa resterà poi del “modello Trieste”, di quella strategia che ha fatto uscire il porto dalla sua pluridecennale stagnazione, che lo ha inserito di nuovo nella grande Mitteleuropa, saranno i prossimi mesi a dimostrarlo. Quel che si può dire è che un porto funziona se i portuali lavorano con l’animo in pace. Dopo le cariche della polizia non torneranno a lavorare come hanno fatto finora.

 

Sul fronte del porto il confine della rivolta

Dopo tre giorni di occupazione del varco 4 del porto di Trieste è intervenuta la forza pubblica. Ieri mattina la polizia ha sgomberato circa 300 attivisti No Green Pass dall’epicentro delle proteste degli ultimi giorni: una piazza nata come uno sciopero di portuali, divenuta la calamita di un movimento nazionale che si oppone al certificato verde e più in generale ai vaccini. In un primo momento gli agenti hanno invitato i manifestanti a liberare la zona. I manifestanti, protetti da un cordone di sicurezza di una ventina di portuali, hanno provato a resistere seduti a terra e abbracciati. A quel punto le forze dell’ordine hanno caricato: nel corso di una lunga mattinata, hanno investito la folla con idranti e fumogeni, prima di passare anche a manganellate. Un manifestante si è sentito male ed è stato soccorso dagli agenti, che ha poi abbracciato, ripreso dalle telecamere. Alcuni video mostrano donne e bambini che si proteggono dal fumo dei lacrimogeni.

Con il passare delle ore al corteo si sono aggiunte migliaia di persone. Nel pomeriggio circa 3mila manifestanti hanno occupato pacificamente Piazza Unità d’Italia, luogo simbolo della città. Stefano Puzzer, portavoce dimissionario del sindacato dei portuali ribelli del Clpt, è stato ricevuto dal Prefetto Valerio Valenti: “Continuiamo a lottare in modo non violento”, ha dichiarato. Nel frattempo, però, altre 300 persone – con la novità di gruppi anarchici e autonomi, aggiuntisi a una piazza finora di orientamento politico più di destra – hanno dato vita a una vera e propria guerriglia urbana, con lanci di sassi e bottiglie, assediando nuovamente il molo sgomberato la mattina. Alle 21, con gli scontri ancora in corso, il bilancio era di 5 manifestanti denunciati e tre poliziotti feriti. Una svolta drammatica della protesta, completamente fuori controllo e slegata dallo sciopero iniziale avviato dai portuali. E persino dall’operatività del porto, ricominciata nei giorni scorsi, che mercoledì vivrà un giorno particolarmente delicato per l’arrivo di due grandi navi portacontainer. Ecco perché ora sono in tanti a porsi la stessa domanda: che cos’è questa piazza e cosa può diventare?

“la prima riflessioneche mi viene da fare è questa: la polarizzazione è fra chi fa parte di questo sistema, diciamo così, e chi si sente escluso, chi sente di non farne parte e si oppone alle sue regole”. Lo scrittore Mauro Covacich, originario di Trieste, ovvi vive tra la sua città di nascita e Roma: “La mia impressione è che si tratti di un popolo accomunato da frustrazione, ma difficilmente catalogabile. Non è di per sé espressione di disagio economico, né si può dire che difetti di istruzione, è molto trasversale. Li accomuna essere contro e, per quanto possa sembrare irrazionale, hanno trovato un collante nell’opposizione ai vaccini. Trieste, inoltre, ha una lunga tradizione in quello che definirei un pensiero critico, portato a mettere in discussione l’autorità”.

Covacich ha assistito alle proteste degli ultimi giorni dalla sua casa vicino al porto: “Mi è sembrato di vedere persone felici, che finalmente potevano riconoscersi in qualcosa, un momento di vera pienezza che mi ha ricordato i ragazzi che occupano la scuola al liceo. A pensarci bene, questo movimento si è incontrato con uno sciopero indetto per un principio, cosa che non ricordo di aver visto più da molti anni: non lo facciamo più, nemmeno di fronte a temi che lo meriterrebbero davvero. Gli oppositori al Green Pass hanno trovato nel portuale una figura perfetta, perché incarna il lavoro in senso positivo. Un tempo era un lavoratore di sinistra a Trieste, oggi non più. Cosa diventerà questa piazza? Io ho l’impressione che sparirà nel vento, con la velocità dei social. È un assemblaggio di narcisismi ed egoismi, richieste di libertà senza idea di comunità. Ma non saranno gli idranti a scioglierla, penso servirebbero di più centinaia di follower, per persone che non si sentono abbastanza protagoniste nella società in cui vivono”.

Anche Maurizio Pessato, vicepresidente della società di sondaggi Swg, è un triestino doc. Non è un caso, premette, se le proteste degli ultimi giorni sono nate proprio qui: “Mia nonna, nata e morta a Trieste, ha vissuto sotto cinque Stati diversi. Qui abbiamo una consuetudine a dissentire con le istituzioni, a cui il triestino guarda da sempre con disincanto”. Nella composizione del movimento, secondo Pessato, si sommano due componenti: “Da un lato i nostri sondaggi ci dicono che esiste in tutto il Paese una base di contrari o scettici ai vaccini che si aggira fra il 15% e il 20%. Si tratta di una fetta di società che è mossa dalla paura e che si sente incompresa. In parte è stata strumentalizzata dall’estrema destra, ma parliamo di un’area molto più vasta. E attenzione: i dati ci dicono che i partiti che provano a cavalcare questo malcontento finiscono male. Gli umori sono mutevoli e cambiano in fretta”. Il salto di qualità, secondo il sondaggista, è però avvenuto con lo sciopero dei portuali: “Loro sono stati l’innesco. Erano già un gruppo organizzato che hanno veicolato una protesta che altrimenti non avrebbe avuto questa portata. Su chi ha poi usato chi, in seguito, ci sarebbe da discutere. Di certo tutto questo sarebbe stato impossibile 30 anni fa, senza i social. Alla classe dirigente, e a chi governa, mi sento di dire questo: non si può ignorare questa piazza, e non si può pensare che tutto si risolva con un po’ di soldi del Recovery Fund”.

Trieste era già stata segnalata alcuni mesi fa in uno studio condotto da alcuni docenti dell’Università di Oxford, che stavano indagando sulla radicalizzazione delle proteste contro le restrizioni decise durante la pandemia: “Era tra le città con la percentuale più alta di mobilitazione in Italia – spiega Andrea Ruggeri, professore ordinario di relazioni internazionali a Oxford – E già allora abbiamo assistito a un fenomeno interessante: i disordini, già alla fine del 2020, erano stati fomentati sia da movimenti di estrema destra che gruppi di anarchici e autonomi”.

Per capire che sbocco avrà questa protesta, secondo Ruggeri, occorre guardare agli organizzatori: “Sappiamo che sono mobilitazioni legate ad alcuni temi, come i vaccini e il Green Pass, ma non sappiamo quali sono gli attori che mettono davvero in comune gruppi distinti, i broker politici per così dire. La situazione è più imprevedibile però di un anno fa: allora gli obiettivi erano più chiari, si trattava di rivendicazioni economiche. Oggi non più e quindi potrebbe essere più difficile trovare una soluzione”.