Sotto il cielo grigio dell’astensione ha stravinto il Pd. Nell’Italia dove ha votato meno di un elettore su due, con un’affluenza record al 43,9 per cento che segna un tracollo rispetto al dato del primo turno (52,6 per cento), i dem si sono imposti sul centrodestra nel secondo turno delle Comunali con un margine di 20 punti a Roma, dove il successo largo era nell’aria, ma anche nella Torino dove non era affatto scontato. Due città che nel 2016 videro il trionfo dei 5Stelle, e dove cinque anni dopo il M5S ha guardato il ballottaggio da spettatore.
Il suo leader Giuseppe Conte sta zitto per ore, in un lunedì difficile. Poi in serata, anche sulla spinta dei mal di pancia interni, parla con un post in cui non cita il Pd e non esulta: “Il vero protagonista di questa tornata di ballottaggi è in modo drammatico l’astensionismo, a Roma, Torino e Trieste il Movimento sarà all’opposizione”. È gelido con gli alleati, Conte. Quei dem che festeggiano la vittoria del centrosinistra a geometrie molto variabili – con il M5S spesso ma non sempre in coalizione – che sommando le già conquistate Milano, Bologna e Napoli ai due capoluoghi presi ieri può celebrare il 5 a 0 sul centrodestra, che ha puntato ovunque su candidati civici e ovunque ha sbagliato nomi e campagna. Ma il conto finale per le destre sconfina nella disfatta, visto che il Pd è riuscito a riconfermare il proprio sindaco a Varese, la culla della Lega, dove Matteo Salvini era stato quattro volte in campagna elettorale. Ma i dem si sono anche ripresi Savona, con il candidato del centrodestra e del governatore Toti fermo al 37 per cento. Perfino nella Latina che anni fa volevano ribattezzare Littoria, la città del fu sottosegretario leghista Claudio Durigon, ha rivinto Damiano Coletta, civico appoggiato dal centrosinistra. Una sorpresa, visto che Vincenzo Zaccheo (Fratelli d’Italia) aveva sfiorato la vittoria al primo turno. E per Giorgia Meloni è una delusione che si aggiunge a quella per la netta sconfitta a Roma del suo candidato, Enrico Michetti (“Ma nei sondaggi restiamo il primo partito” rivendica). Infine ci sono Cosenza, dove il centrosinistra vince con un socialista e Isernia, dove si è imposto un candidato sostenuto da Pd e 5telle. Cosa resta al centrodestra? La Trieste dei portuali in rivolta, dove il sindaco uscente, il forzista Roberto Dipiazza, prevale di un soffio sul dem Francesco Russo. E c’è la riconferma nella sua Benevento dell’eterno Clemente Mastella, che ha battuto il candidato del centrosinistra. Briciole, davanti a un quadro che permette al segretario dem Enrico Letta di celebrare “una vittoria trionfale, oltre ogni aspettativa”.
Tale da spingere Salvini a spostare l’attenzione su altro, cioè ad attaccare la ministra dell’Interno Lamorgese “che usa i guanti con i neo-fascisti e invece adopera lacrimogeni e idranti contro operai e studenti a Trieste”. E comunque poi ci sono sempre i numeri dell’astensione, cifre da democrazia quasi dimezzata. Un rigetto esploso nelle grandi periferie urbane. Cioè nella Roma dove ha votato il 40,6 per cento, a fronte del 48 e qualcosa del primo turno, e nella Torino dove alle urne è andato il 42,1, il minimo storico. Il dem Roberto Gualtieri, per dire, ha vinto nella Capitale grazie al 24 per cento degli aventi diritto.
Non è un caso che il candidato torinese del centrodestra, Paolo Damilano, lo abbia ammesso: “Sulle periferie siamo arrivati tardi”. In quei quartieri che nel 2016 furono il motore delle vittorie delle grilline Virginia Raggi e Chiara Appendino il centrodestra non ha saputo portare la gente alle urne. Invece nei centri medio-piccoli l’affluenza è stata nettamente migliore, come testimoniano il 59,9 di votanti a Benevento, il 57,5 a Isernia e il 52,1 a Latina.
Di certo l’astensione è un avviso anche per il Pd, che deve fare i conti anche con la totale assenza di sindache. Letta promette una classe dirigente “anche femminile”. Ma nelle Comunali 2021 il rosa non c’è.
I PARERI
Flop Il leghista ha sopravvalutato i no vax e si è sgonfiato come renzi
Ormai sappiamo che è difficile che l’elettorato cambi rapidamente posizione ideologica, motivo per cui le elezioni si vincono soprattutto a seconda di quale gruppo si astiene maggiormente. Se guardiamo a quel che è successo fuori dall’Italia – per esempio in Norvegia e in Germania – verrebbe da dire che la pandemia abbia portato più sostegno alla sinistra, anche solo per l’avvertita esigenza di un forte intervento dello Stato nell’economia. Gli elettori di destra in questo momento sono scontenti e spiazzati, complici alcune scelte dei partiti. Credo che la Lega, per esempio, abbia sopravvalutato il peso elettorale dei gruppi No Vax e No Green Pass, in realtà molto limitato. Poi, certo, influisce la scelta di candidati deboli, così come la mutata percezione di Salvini, che sembra ripercorrere la parabola di Renzi: a un certo punto era indicato come l’unico in grado di far vincere la propria coalizione, ma quando si è scoperto che non era così allora è arrivato il crollo.
Donatella della Porta
Disaffezione il governo dei tecnici ormai ha messo all’angolo i partiti
Quella della scarsa affluenza è una tendenza generale in Europa. In questo caso però c’è il fatto che la politica, negli ultimi mesi, è stata messa ai margini dal nuovo governo, che ha tolto rilievo alle dinamiche dei partiti e alla loro competizione. E così i cittadini sono portati a pensare che ci sono i tecnici, così bravi ed efficienti da badare a tutti i problemi senza che ci si debba più accapigliare. La disaffezione nei confronti della politica credo sia indirettamente legata a questo passaggio, con i partiti messi all’angolo del dibattito. Senza dimenticare l’elemento delle periferie, in effetti dimenticate e dunque con un’affluenza molto bassa. Ma vorrei ricordare l’eccezione di Bologna, dove invece le periferie sono andate a votare: merito di un totale rinnovamento generazionale, di un’alleanza larga con una forte componente di sinistra e dunque di un esperimento molto interessante che ha saputo muovere gli elettori.
Piero Ignazi
Periferie FdI è urbano e borghese, non può sfondare tra gli “ultimi”
Il calo dell’affluenza negli ultimi anni è continuo e dunque non deve stupire, anche se ora siamo a un livello davvero preoccupante. L’elemento che forse meglio spiega lo scalino tra centro e periferie è la mancanza di un attore politico in grado di intercettare il consenso di queste ultime. Fino al 2018 lo ha fatto molto bene il M5S, poi, per un breve periodo, ci è riuscita la Lega. Ma questa volta FdI, che doveva essere il megafono della protesta anche solo perché unico all’opposizione, non è riuscito a coinvolgere quella parte di elettorato, che è rimasto a casa. Sono persone che magari torneranno a votare, ma che non hanno considerato credibile alcun partito. D’altra parte FdI è sempre stato un partito urbano e borghese, ha sempre avuto una forte connotazione identitaria che forse gli preclude di sfondare fino in fondo in periferia.
Marco Valbruzzi