Fratelli d’Italia ha un problema. No, non si allude qui a certe scivolate dei suoi iscritti ed eletti verso l’immaginario para-fascista e a volte neanche para. Fdi ha un problema perché, pensato come una grossa federazione romana con qualche appendice, viene travolto da un successo a cui non era preparato: gli mancano struttura nel territorio, riferimenti nella società, personale politico, qualche intellettuale d’area e magari un esperto di comunicazione che gli impedisca di fare paragoni a cazzo di cane. La faccenda – dopo che ieri notte un paio di scritte finto-Br (“ricordati di Piazzale Loreto”) hanno deturpato l’esterno del comitato elettorale di Enrico Michetti – ha assunto dimensioni preoccupanti. L’interessato, in una nota, l’ha messa così: “È stato profanato (sic) il mio comitato”. Ora Giorgia Meloni, sobria come di costume: “Minacce di morte al candidato sindaco di Roma Enrico Michetti firmate con la stella rossa delle Brigate Rosse e comitato elettorale vandalizzato”. Altri hanno invece voluto riprendere il parallelo con la “strategia della tensione” lanciata dopo l’assalto alla Cgil dalla stessa ”Soy-una-mujer”: “Ecco i frutti avvelenati del ritorno orchestrato alla strategia della tensione”, parole che curiosamente arrivano dalla vicecapogruppo alla Camera di FdI, Isabella Rauti, un cognome che nella “strategia della tensione”, quella vera, ha un suo peso grazie al papà. Il capogruppo, invece, Francesco Lollobrigida, non s’è limitato a quello, ma ha dato l’assalto al cielo: “Governo e forze di maggioranza hanno usato criminali (Forza Nuova, ndr) per indebolire l’opposizione, come è accaduto col delitto Matteotti nel 1924 e negli anni 70 con la strategia della tensione”. Matteotti, sicuro? “Qualcuno si chiede che c’entra Matteotti: il Fascismo coprì i criminali che ammazzarono Matteotti e ne fu complice. Colpì l’opposizione parlamentare approfittando dell’emergenza. Chiaro?”. Qui ci sono due problemi. Il primo è di ordine storico: non è che il fascismo coprì e fu complice del delitto Matteotti, ne fu il mandante e l’esecutore, parte quest’ultima che i post-fascisti si assunsero poi nella strategia della tensione. Il secondo è umano e lo riassumeremo in un’esortazione: Eddai su, Francé, fai meno…
Questa televisione “scippa” i lettori alla carta stampata
“Probabilmente, per certi giornalisti che cercano di catturare l’interesse del pubblico la verità è troppo semplice”
(da Memorie intime di Georges Simenon – Adelphi, 2007 – pag. 282)
Nell’era della multimedialità, in cui la comunicazione si esprime attraverso la carta stampata, la radio, la tv e Internet, non c’è ovviamente nulla di male che un giornalista vada in televisione e partecipi a qualche trasmissione o talk-show. Né tantomeno se fa televisione in proprio, cioè per contro della propria testata o per un’emittente del proprio gruppo editoriale. Ma, quando si tratta in particolare della tv pubblica, sarebbe opportuno capire in base a quali regole vengono invitati e ospitati i giornalisti esterni, a tutela del pluralismo dell’informazione e in questo caso anche del pluralismo politico.
Ora, in un articolo apparso sul Manifesto e sul quotidiano online Blitz, l’ex sottosegretario alle Comunicazioni Vincenzo Vita ha puntato il dito contro quelle che lui definisce “comparsate”, ponendo una domanda che merita una risposta precisa e definitiva: con quale criterio sono scelti i giornali in tv? E ha insinuato il sospetto che sia una misteriosa agenzia a deciderlo, in base a una logica di mercato. Tanto più la questione richiede un chiarimento da parte della Rai che, avendo il compito istituzionale di fornire un servizio pubblico, è chiamata a rispettare i principi del pluralismo e della trasparenza ancor più delle emittenti private. Vorrà occuparsene magari la Commissione parlamentare di Vigilanza?
Cogliamo l’occasione per parlare anche dello sfruttamento intensivo a cui i quotidiani sono sottoposti nelle varie Rassegne Stampa televisive. Fino a che si mostrano le prime pagine, poco male: possono offrire una gamma di titoli e di argomenti attirando i telespettatori (s’intitola “Oggi in prima”, infatti, la rassegna stampa mattutina di Rai News 24). Ma quando si saccheggiano sistematicamente le pagine interne, i commenti, le interviste, gli “scoop”, allora il discorso cambia e questa pratica diventa dannosa e controproducente. Nel senso che la tv rischia di “bruciare” la carta stampata, esaurendo l’interesse e la curiosità dei potenziali lettori.
Non è certamente questa la causa principale della crisi in cui versa l’editoria, ma è evidente che tutto ciò non giova alla diffusione dei giornali. Si tratta di uno “scippo” in piena regola, da parte di colleghi armati di pennarelli o evidenziatori elettronici per sottolineare i testi che leggono alla velocità degli avvisi commerciali, spesso sbagliando nella fretta nomi e cognomi, verbi, aggettivi, espressioni. Basta assistere a una qualsiasi di queste tele-rassegne per riconoscere un valore insostituibile alla mediazione della carta stampata.
Naturalmente, anche qui si tratta di valutare i criteri di scelta e di assortimento delle varie testate o testatine. E soprattutto, la visibilità e il trattamento che vengono riservati a ciascuna. Di recente, per esempio, il lettore Paolo Broccoli ha scritto al nostro giornale per segnalare che il disinvolto conduttore della Rassegna Stampa su Rai News 24 “non perde occasione di bacchettarvi”, affermando che anche Il Fatto Quotidiano “ha ammesso la sconfitta dei 5Stelle e che questa era di per sé già una notizia”. La lettera concludeva: “Stupisce che un giornalista del servizio pubblico si lasci andare a certi commenti. Non dovrebbe essere neutrale?”. Sì, almeno quando legge gli articoli altrui, a maggior ragione in assenza degli autori e in mancanza di contraddittorio. Ma invece il canale all news della Rai comincia così di prima mattina e finisce quando “è già domani”.
Rifuggire dal passato: opporsi e partecipare resta l’antidoto
Pubblichiamo un estratto dell’ultimo libro di Furio Colombo, appena uscito per La nave di Teseo, che raccoglie i suoi interventi in Parlamento: una cronaca della Seconda Repubblica e delle sue macerie
Niente è stato evitato. Il peggio che poteva accadere, nel Parlamento eletto secondo la legge Calderoli (il “Porcellum”) nel maggio 2008, è accaduto. A volte vi è stata una resistenza percepibile, a volte una resistenza blanda, altre una collaborazione parziale con l’intenzione (infondata, purtroppo) di migliorare un po’ le cose. (…) Dall’inizio della legislatura sono passate, una dopo l’altra, spesso con il voto di fiducia, le peggiori leggi, le più umilianti per un Paese democratico. Nessuna ha mai avuto a che fare con la bufera finanziaria che intanto si era abbattuta sul mondo, con durissime conseguenze per l’Italia; o contro la stagnazione, la disoccupazione, il precariato, la povertà in continuo aumento, o i disabili. Le parole riportate in queste pagine ed estratte dai verbali della Camera dei deputati nei primi due anni della XVI legislatura, non sono che un riflesso di ciò che stava accadendo in aula. Un riflesso triste, perché basta poco a capire che si è trattato sempre di un lavoro squallido e inutile, nonostante il tentativo disperato e senza successo di interrompere l’incubo. Purtroppo non è stata tracciata da alcuna opposizione una linea netta di rifiuto e di resistenza, un “no” senza condizioni alla sottomissione del Parlamento a un governo di farsa, di corrotti, di imputati scampati all’arresto, di persone che non hanno voluto o saputo governare. Ti veniva spiegato che l’intento era di “migliorare” un po’ le cose. Buona intenzione, ma infondata, perché significava partecipare, per esempio, alla costruzione del federalismo fiscale leghista, fondato sull’idea mai abbandonata della secessione; oppure collaborare con qualche ritocco all’ignobile legislazione sul lavoro degli impiegati pubblici elaborata da un uomo instabile (vedi le violente scenate in pubblico contro chi non gli poteva rispondere) con il pretesto puerile, eppure accolto come serio, di “stanare i fannulloni”. (…) Alla fine non occorre più ripetere ancora un giudizio umano, morale o politico, sulla classe dirigente che ha governato e messo il piede sul collo al Parlamento. Le vicende storiche sono così veloci che si stanno incaricando di rispondere subito, invece di aspettare i posteri. E danno, prima ancora dei giudici, una sentenza definitiva di condanna. Restano due domande senza risposta che fanno sì che ci sia ben poca luce sul paesaggio di detriti e macerie: come ha potuto il Parlamento, tutto il Parlamento, avere un’immagine così misera di se stesso e del suo mandato, e lasciarsi governare giorno per giorno, atto spregevole per atto spregevole, dalle comparse che hanno svolto impropriamente e a volte fino all’incriminazione, o fino al ridicolo, la parte di “ministri”? Ma anche: come hanno potuto leader politici dell’opposizione, della sinistra, essere talmente privi di istinto politico, cadere nella trappola, lasciarsi tagliare le vie d’uscita per restare in contatto con un Paese disperato e umiliato? Come è accaduto che, fra la rivolta dei cittadini e la continuità con il sistema politico, che pure era (e resta, mentre scrivo) nelle mani del malaffare, la scelta non sia caduta sul legame con i cittadini in rivolta, ma resti dedicato a una presunta superiorità della politica?
I tecnici dell’economia parlano spesso di discontinuità come modo di separarsi dal passato inerte e dare vita a una ripresa. Credo che questa sia la parola chiave anche per la politica: nella partecipazione, nell’elezione, nella rappresentanza, nel governare, nel fare opposizione. Se ci sarà un futuro, oltre la palude.
Ita, operazione riuscita ma il paziente è morto
Con l’ultimo volo serale tra Cagliari e Roma si sono conclusi giovedì i 74 anni di storia di Alitalia, dei quali gli ultimi 20 particolarmente travagliati, tra crisi periodiche, ridimensionamenti successivi e continue perdite di bilancio. Ieri mattina, col primo volo tra Linate e Bari è invece decollata Ita, la nuova compagnia a totale capitale pubblico che prende il posto di Alitalia, ma è grande meno della metà e ha imbarcato meno di un quarto dei dipendenti della vecchia azienda. Al momento nessuno sa dove sia diretta, da un punto di vista industriale e strategico. In realtà un viaggiatore che si fosse imbarcato sia sull’ultimo volo di Alitalia che sul primo di Ita senza essere informato del passaggio d’azienda, non si sarebbe accorto assolutamente di nulla. Infatti nella giornata di ieri equipaggi Alitalia in divisa Alitalia sono saliti a bordo di aerei Alitalia e hanno volato, avvalendosi dell’organizzazione di Alitalia, per trasportare passeggeri che si sono prenotati nelle scorse settimane su un sito Alitalia.
In sostanza per ora nulla di nuovo e di diverso nei cieli italiani a parte il punto di vista della Commissione europea che ha imposto i paletti alla neonata azienda e ha valutato nelle parole del Commissario alla concorrenza Vestager dello scorso 10 settembre che “l’Italia ha dimostrato che c’è una netta rottura tra Alitalia e la nuova compagnia aerea Ita, e che il suo investimento in Ita è in linea con i termini che un investitore privato avrebbe accettato”. Per Vestager si tratta dunque di un investimento che si rivelerà profittevole per lo Stato italiano, che vi ha stanziato 3 miliardi, di cui 1,35 autorizzati e 700 milioni già erogati. È un ottimismo da far impallidire il Candido di Voltaire e piuttosto inusuale se si considera che il recente conferimento pubblico, in quanto valutato come operazione di mercato, non è considerato aiuto di Stato mentre lo fu nella seconda metà degli anni 90 la ricapitalizzazione pubblica dell’Alitalia di allora, guidata da Domenico Cempella il quale poi dopo diversi anni consecutivi di utili fu in grado di portarli effettivamente a casa. Può darsi che Vestager abbia esaurito tutta la sua riserva di rigore con la vecchia Alitalia, a cui ha centellinato anche i rimborsi Covid, e non gliene sia rimasta più per la neonata Ita. Oppure può darsi che sia una dei pochi a conoscere la vera destinazione finale di Ita e che la ritenga coerente con un disegno di ricomposizione dei cieli europei che la Commissione sembra tenacemente perseguire dall’inizio degli anni 2000, quando il Commissario ai trasporti De Palacio disse che con la liberalizzazione sarebbero sopravvissuti solo pochi grandi vettori e tra questi l’Italia non era prevista.
Si spiegherebbero allora contemporaneamente tre cose. In primo luogo le piccolissime dimensioni di Ita, di poco maggiori rispetto a quelle del vecchio vettore regionale Meridiana, da poco liquidato dopo la sua trasformazione in Air Italy. Ita parte infatti con soli 52 aerei, di cui solo sette di lungo raggio, e con 2.800 dipendenti, peraltro insoddisfatti per i consistenti tagli retributivi subiti rispetto ad Alitalia, per le condizioni di ingaggio e per le modalità di reclutamento. Qualche numero per illustrare l’ampiezza del declino del vettore nazionale: la flotta della vecchia Alitalia superò i 52 aerei nel lontano 1962, l’anno successivo all’inaugurazione dell’aeroporto di Fiumicino, e superò i 2.800 dipendenti nel 1957, quando incorporò l’altra azienda pubblica di trasporto aereo, la Lai. Sempre nel 1957 Alitalia aveva in flotta ben 13 aerei di lungo raggio, contro i sette del debutto di Ita che già alla nascita detiene un record da Guinness dei primati tra tutti i vettori mondiali di tipo tradizionale: ha più consiglieri di amministrazione nel cda, ben 9, che aerei di lungo raggio, solo 7. In secondo luogo si spiegherebbe lo spezzatino europeo che l’ha privata del ramo handling e del ramo manutenzioni, rimasti alla vecchia amministrazione straordinaria in attesa di gare per la loro cessione separata. E in terzo luogo spiegherebbe lo spostamento del baricentro dei voli da Fiumicino a Linate, attuato concentrando su Roma quasi tutto il ridimensionamento rispetto ad Alitalia e salvaguardando quasi integralmente Milano.
A chi serve un vettore piccolo, di solo volo, con base a Milano e pochissimo presente sul lungo raggio? Pensando male, ma rischiando di indovinare, la risposta è che serve a inoltrare i passeggeri della ricca area lombarda, ad alta disponibilità di spesa, verso un grande hub di un grande vettore europeo incluso nella lista europea dei salvati dalla liberalizzazione, così che possa poi trasportarli verso tutte le destinazioni mondiali. In tal caso la meta finale auspicata per Ita, ma non rivelata, è la città di Colonia, sede di Lufthansa.
Il meglio della tivù: dal nuovo “squid game” a “Love is in the air”
E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:
Netflix, streaming: Squid Game, serie tv (9 ep.). Oberate dai debiti, centinaia di persone vengono convinte da un’organizzazione misteriosa a rischiare la vita in una serie di giochi infantili tipo “Un, due, tre, stella!” dove però, se perdi, muori. Ogni morte aggiunge 100 milioni di won al montepremi di 45 milioni di won (33 milioni di euro). Lo svolgimento del gioco è controllato da guardie spietate, vestite in modo inquietante (o da guardie inquietanti, vestite in modo spietato: giudicate voi) (ed è inutile illudersi: ad Halloween saremo invasi da gente con addosso le tute verdi e fucsia dei personaggi di Squid game). All’ultima puntata scopriamo chi è l’uomo che ha organizzato questo elettrizzante gioco al massacro, ma lo capite già alla prima, se siete avvezzi alle sorprese narrative orientali (è lo stesso topos sfruttato da Tarantino per l’episodio di Kill Bill 1 con Hattori Hanzo). Idem per il fratello scomparso del poliziotto infiltrato. Comunque, a tenere incollato allo schermo lo spettatore è il gusto sadico di vedere dei prigionieri terrorizzati dalla situazione senza via di scampo (siamo tutti nazisti potenziali): chi ne uscirà vivo? E come? Soprattutto: perché non applicano la stessa idea ai concorrenti del Grande Fratello Vip? Sarebbe un grosso incentivo a guardarlo. Formidabili i dialoghi (SAE-BYEOK: “Prenditi cura del tuo corpo. È l’unica vera casa che hai”. GI-HUN: “Lo so, la mia casa è piuttosto in disordine. Ma ho una donna che viene una volta la settimana”). Nella prima puntata, i giocatori ottengono di tornare alle loro vite (il regolamento lo permette), ma lo squallore delle loro esistenze li convince a proseguire il gioco. Che poi è il dilemma dei parlamentari grillini.Canale 5, 16.50: Love is in the air, serie. Aydan e Ayfer confessano a Seyfi di aver ucciso Alexander. Per assicurarsi di non aver lasciato tracce compromettenti sul luogo del delitto, tornano tutti e tre al ristorante. Preoccupata, Ayda si convince che l’unica soluzione sia lasciare la serie.Rai 1, 10.55: La Santa messa, varietà. Il cristianesimo ha duemila anni, ma ha già saputo conquistarsi la fiducia del pubblico. La Santa messa celebra la passione, morte e resurrezione di Cristo, e il bello della versione tv è che puoi partecipare al sacrificio del figlio di Dio in pigiama. Inoltre, grazie al telecomando, puoi skippare l’omelia, sempre noiosissima, andando su Rai Movie, dove questa domenica trasmettono alla stessa ora In ginocchio da te, un musicarello anni 60 con Gianni Morandi (In ginocchio da te: non sarebbe un titolo migliore di La Santa messa? E si potrebbe far presentare il programma a Lorena Bianchetti, una ragazza che mi attizza come poche, perché la sua timidezza apparente credo sia solo una posa che nasconde una virago ambiziosa e senza scrupoli. Già che ci siamo: perché non far dire la Santa messa direttamente a Lorena Bianchetti? Truccata a menadito, e in un attillato, candido golfino d’angora. Il mio cuore batterebbe al ritmo di “Il Signore ha messo un seme”. Picchi di share all’elevazione. Canale 5, 15.10: Una vita, soap. Dopo che Cesareo dice a Camino di aver visto Ildefonso dire ad Anabel di aver visto Soledad dire a Marcelina di aver visto Felipe dire a Ramon di aver visto Genoveva dire ad Alfredo di aver visto José dire ad Arantxa di aver visto Susana dire a Felicia di aver visto Cesareo dire a Camino di aver visto Ildefonso dire ad Anabel… Cielo, 21.15: L’armata degli eroi, film drammatico. Mélo francese sulla Seconda guerra mondiale, con Brigitte Bardot nella parte di Hitler.
Il confronto in tv Michetti-Gualtieri raggiunge vette di nulla agonistico
Il format dei confronti Sky tra concorrenti a qualche carica rilevante per la nazione (ma anche alle primarie del Pd, per dire) è serratissimo, all’anglosassone: alla domanda del conduttore, i candidati hanno 30 secondi per rispondere, poi suona il gong. Il sottotesto, quasi una radiazione di fondo, è: quante panzane si potranno mai dire in 30 secondi? Voi non avete idea. I due aspiranti sindaci di Roma, Gualtieri e Michetti, sono andati oltre la panzana: hanno prodotto l’antimateria. Vette di nulla agonistico. Gualtieri ha un sorriso simil-Lexotan e una postura da busto ortopedico; Michetti pare indossare una maschera di quelle che usano i rapinatori di banca, con le facce dei politici, e tiene i palmi delle mani incollate sul tavolo (vecchio trucco di comunicazione assertiva, a dire al romano: “Ti voglio essere Duce; vedi come m’affaccio”).
Michetti: “Il Green passe (sic, ndr) è una misura che sta adottando il governo, il sindaco di Roma non può fare altro che ad ossequiare (sic, ndr) quella che è la procedura”. Gualtieri: “È uno strumento importante per contrastare la pandemia”. Gualtieri fatica ad arrivare alla fine dei 30 secondi; inanella anafore per perdere tempo (“È una misura che ci consente di far ripartire l’economia; una misura che…”); pronuncia non concetti, ma surrogati, tofu di concetti (“I vaccini sono importanti”). Mentre parla Gualtieri, Michetti si toglie i nervetti di manzo dai denti facendo schioccare la lingua. Ha un set di formule standard (“Il marchio Roma”, “Occhio vigile h24”); sforna un verso alessandrino burocratese che avrebbe fatto la gioia di Gadda: “Senza impianti il rifiuto né lo tratti né lo smaltisci”. Gualtieri sgancia una bomba: “La bassa affluenza è segno di sfiducia nella politica”; è il succo della sua campagna elettorale: sono innocuo, non vedete come mi esprimo? Sempre meglio che fascista.
Richiesto di commentare sui diritti civili, Michetti dice che sono venuti 19 suoi amici da Barcellona e hanno pensato che gli autobus fossero gratis perché non è passato il controllore.
A questa destraccia, oltre all’amorevole cura con cui tratta i fascisti, andrà imputata la colpa di averci costretto a votare uno del Pd.
Il tenerone Bonomi e i morti del Covid
C’è chi ne parla male, ma alla fine questo Carlo Bonomi è un tenerone. Come? Certo che intendiamo il presidente di Confindustria, sì l’imprenditore coi soldi altrui alla fine ha il cuore d’oro, sempre a un passo dalla commozione. Ieri, per dire, per sostanziare anche coi sentimenti la sua adesione al Green pass ha buttato lì un “chi soffia sul fuoco, chi tenta di ribaltare il tavolo, dimentica che in Italia sono morte 133mila persone. Per loro la vita conta così poco?”. Ah la vita è la prima preoccupazione di Bonomi e soci, chi non lo sa? Quegli slogan tipo “Bergamo is running” poco prima dell’ecatombe in città e provincia erano così, per ridere. Anche il fatto che un bel pezzo del sistema industriale sia rimasto aperto anche durante i lockdown più duri, in parte barando sui “Codici Ateco”, è una quisquilia, un dettaglio. “Per loro la vita conta così poco?” è una domanda giusta: 1.500 euro di stipendio per rompere sul Green pass sono una cifra ridicola, invece qualche milione di profitti ecco, già se ne può parlare…
Canarie, “straripa” il vulcano. Oltre 732 ettari coperti da lava
Un “vero tsunami”di lava incandescente che scorre a “velocità impressionante” dal cratere del vulcano in eruzione a La Palma (Canarie): è quanto mostra un video pubblicato sui social dall’Istituto di Vulcanologia dell’arcipelago spagnolo (Involcan). Le immagini raccolte giovedì mostrano le conseguenze di uno “straripamento” del cratere del vulcano, avvenuto alcune ore prime, secondo Involcan. Stando agli ultimi dati forniti dalle autorità spagnole, finora la lava ha coperto almeno 732 ettari di terreno e circa 6.800 persone sono state evacuate.
Fermò il Santo a casa Riina, frate condannato
Bocciatodalla Cassazione il ricorso di Leoluca Grizzaffi, il confrate che il 29 maggio 2016 fece fermare la processione di San Giovanni Evangelista davanti casa della famiglia Riina, a Corleone. La Terza sezione penale della Suprema Corte ha rigettato il ricorso di Grizzaffi che la corte di appello di Palermo aveva condannato perché nel corso della processione, dirigendo i portatori del fercolo del Santo, aveva per due volte ordinato la sosta davanti casa della famiglia Riina. Il confrate in primo grado era stato condannato a 6 mesi. Per la Cassazione la condotta tenuta da Grizzaffi rientra nel reato di turbamento di funzioni, cerimonie o pratiche religiose del culto di una confessione religiosa, articolo 405 del codice penale.
Tina Rispoli, star tv indagata per camorra
C’è anche tina rispoli, la vedova del boss Gaetano Marino ed oggi moglie del neomelodico Tony Colombo, tra gli indagati per associazione camorristica di un’operazione della Dda di Napoli che ha colpito esponenti del clan Marino di Scampia. Per la signora Rispoli, celebrità del mainstream televisivo, è stata rigettata la richiesta di arresto. Viene indicata come “partecipe nella gestione del clan e percettore di una quota sociale”. Ma i pentiti di lei dicono solo che “era consapevole di ciò che faceva il marito (Gaetano Marino, ndr) ed intestataria di appartamenti acquistati coi proventi della droga”. Secondo il Gip dopo la morte del marito non era stata coinvolta nelle dinamiche del clan.