Una messinscena, un rapimento finto per ottenere 7mila euro necessari a pagare un debito: è questa la versione dei fatti fornita al gip del Tribunale di Macerata da uno dei quattro giovani che avrebbero inscenato il sequestro di Patrick Sam Kourosh Demilecamps, 25enne di origini inglesi “liberato” il 13 ottobre a Monte San Giusto, nel Maceratese. L’obiettivo dei quattro (tre ragazzi e una ragazza) era quello di convincere i familiari di Demilecamps a spedire la somma necessaria a pagare un prestito. Sarebbe stato proprio quest’ultimo ad architettare la truffa, ha spiegato al giudice uno degli indagati, il 18enne Rubens Belinga Gnanga. Il gip ha convalidato gli arresti e disposto i domiciliari per tutti e quattro i giovani.
La candidata a Roma e il link con Castellino. Giorgia Meloni: “Ho già chiesto chiarimenti”
Giorgia Meloni ha chiesto chiarimenti alla Federazione provinciale di Fratelli d’Italia dopo quanto rivelato dal Fatto su Valentina Torresi, candidata al XIV Municipio di Roma. Ieri abbiamo raccontato il link tra una onlus del marito della Torresi e L’Italia mensile, la rivista edita da una società di cui è consigliere Giuliano Castellino. Si tratta del leader romano di Forza Nuova, ora in carcere per i fatti che ruotano intorno all’assalto alla Cgil dei giorni scorsi. Ma torniamo alla Torresi: 960 preferenze, seconda eletta nel XIV municipio (zona Monte Mario-Primavalle). La neoeletta è moglie di Paolo Arcivieri, ex leader del gruppo ultras della Lazio, gli “Irriducibili”, già presidente di “Nati per lottare”, una onlus fondata nel 2004 che si occupa dei temi della pedofilia e della violenza contro lo donne e porta avanti molte iniziative per i bambini. E qui nasce il link con Castellino. Tra i main partner della onlus infatti viene citata L’Italia mensile, “rivista, webradio e blog di liberazione nazionale”, edita della cooperativa editoriale Italia Futura. Consigliere del Cda di Italia Futura è Castellino, che tra le altre cose, sulla rivista pubblica parecchio, come il post per il raduno “no Green pass” a Roma sfociato nelle violenze. “La onlus ‘Nati per lottare’ non ha nulla a che vedere con la mia attività politica e con il mio lavoro”, ha spiegato la Torresi. Sulla vicenda abbiamo chiesto chiarimenti alla Meloni, che ci ha spiegato: “Non mi occupo personalmente di ogni singolo caso. Se ne sta occupando la Federazione provinciale alla quale ho chiesto chiarimenti”.
Abbiamo poi contattato anche Massimo Milani, coordinatore romano di FdI. “La Torresi – spiega Milani – nella vita fa la commercialista e per volontariato aiuta la onlus del marito che si occupa di un’attività meritoria per aiutare i minori. Dopodiché ci possono essere diverse associazioni che si linkano, che si danno supporto e tra queste c’è anche quella che avete indicato, ma non mi pare che vi sia un contatto diretto”. C’è poi la candidatura della Torresi, nel 2016, con l’allora aspirante sindaco Alfredo Iorio, appoggiato proprio da Forza Nuova. In questo caso Milani parla di “evoluzione nella sua vita”. “Le persone – spiega – si valutano in base alle attività che svolgono e alle posizioni politiche: non ci sono mai posizioni fuori luogo della Torresi”. Per il coordinatore romano, insomma, sulla candidata “non vi è alcun problema”.
Morì in autostrada. Il padre a Cartabia: ‘No all’assoluzione’
Roberto Cantini, padre di Carolina, morta a 25 anni il 19 ottobre del 2013 mentre viaggiava sull’auto guidata dal fidanzato che perse il controllo del mezzo e si andò a schiantare contro il guardrail lungo la Firenze-Pisa-Livorno, ha scritto una lettera al ministro della Giustizia, Marta Cartabia, contro la decisione della Procura generale di Firenze di chiedere l’assoluzione nel processo di appello per l’uomo, all’epoca 28enne, già assolto nel procedimento di primo grado.
Nel 2018 si è aperto il processo dinanzi alla Corte d’appello, a seguito del ricorso presentato dai genitori della vittima, che si erano costituiti parte civile nel procedimento di primo grado. Il processo riguarda solo la parte civilistica della vicenda, relativa a un eventuale risarcimento verso i familiari, assistiti dall’avvocato Fabio Anselmo. Nell’udienza di ieri, spiega il padre di Carolina nella lettera inviata alla guardasigilli, è stato ascoltato il perito nominato dal giudice. Tuttavia, prosegue Roberto Contini, “il procuratore generale di Firenze ha già fatto pervenire le proprie conclusioni scritte. Vuole che la sentenza di assoluzione, anche sul piano civile, venga confermata”. “A lui – si legge ancora nella missiva – non interessa quello che ha da dire il perito del giudice, come se Carolina fosse morta per colpa propria. Ci interessa sapere come si possa arrivare a stabilire che in buona sostanza la colpa sarebbe solo della nostra povera figlia”.
Rider, c’è la prima condanna per caporalato. Fattorini e Cgil risarciti con 440 mila euro
Si chiude con una condanna per caporalato il processo a carico di Giuseppe Moltini, accusato di sfruttamento nei confronti del gruppo di 44 fattorini, composti soprattutto da migranti e richiedenti asilo, che facevano consegne per conto di Uber attraverso due società di intermediazione di cui l’uomo era responsabile. Si tratta della prima condanna penale per caporalato nei confronti dei rider. Nel processo, che si è svolto con rito abbreviato, la gup del Tribunale di Milano, Teresa De Pascale, ha punito Moltini con 3 anni e 8 mesi di carcere. Condannati anche Danilo Donnini a 2 anni, uno degli altri responsabili delle società, e Miriam Gilardi a 1 anno e 6 mesi per favoreggiamento. Uber è stata invece citata come responsabile civile. Il giudice ha inoltre disposto la conversione in 500mila euro del sequestro preventivo chiesto dal pm Paolo Storari all’inizio delle indagini; la somma verrà distribuita ai 44 rider che lavoravano tra Milano, Torino e Firenze (10mila euro a testa), e alla Cgil, parte civile (20mila euro).
Per Gloria Bresciani, quarta persona coinvolta nel procedimento e manager (ora sospesa) di Uber, la sentenza arriverà lunedì 18 ottobre. Secondo l’accusa i quattro avrebbero reclutato i fattorini assumendoli nelle società Flash Road City e Frc srl, “per poi destinarli al lavoro presso Uber in condizione di sfruttamento”. Il gruppo di rider era composto soprattutto da migranti provenienti da Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Pakistan e Bangladesh, che vivevano in centri di accoglienza “in condizioni di estrema vulnerabilità e isolamento”. Erano inoltre “pagati a cottimo 3 euro a consegna, indipendentemente dalla distanza da percorrere, dal tempo atmosferico, dalla fascia oraria”.
“Siamo molto contenti del provvedimento del Tribunale di Milano perché, indipendentemente dall’uso delle piattaforme digitali o meno, è stato riconosciuto il diritto di questi lavoratori a non essere trattati come schiavi” ha detto l’avvocato Giulia Druetta, che insieme a Maurizio Riverditi, Gianluca Vitale, Laura Matinelli e Sergio Bonato hanno assistito il gruppo di rider. “I fattorini venivano impiegati con orari assurdi e pagati pochissimo” ha aggiunto la legale, che adesso conta “sul fatto che venga accertata anche nel prosieguo la responsabilità di Uber”.
Palamara andrà a processo: “Rivelò notizie ai cronisti”
Luca Palamara, già radiato dalla magistratura per lo scandalo nomine e rinviato a giudizio a Perugia per corruzione, ieri è stato in parte prosciolto e in parte rinviato nuovamente a giudizio, il 19 gennaio, per uno dei filoni perugini che ha riguardato la rivelazione di segreto. Palamara è stato prosciolto dall’accusa di rivelazione in concorso con l’ex Pg della Cassazione, Riccardo Fuzio (già assolto con il rito abbreviato) in relazione alle notizie arrivate al Csm e che riguardavano l’indagine penale a suo carico. Invece, è stato rinviato a giudizio, sempre per rivelazione, in concorso con l’ex pm romano Stefano Fava, perché avrebbero rivelato ai giornalisti del Fatto e de La Verità “notizie d’ufficio che sarebbero dovute rimanere segrete”. Prosciolti, però, dall’addebito di avere rivelato che nel corso di perquisizioni “Fava aveva recuperato documentazione” che coinvolgeva la società Napag, l’Eni e l’ex legale esterno Piero Amara. Infine, Fava è stato rinviato a processo anche per abuso d’ufficio e accesso abusivo a sistema informatico.
Caso Regeni, altra rogatoria. Udienza Gup entro gennaio
Un’altra rogatoria in Egitto. Sperando che stavolta il Cairo collabori. L’Italia deve trovare il modo di notificare l’elezione di domicilio ai quattro 007 egiziani accusati di aver torturato e ucciso Giulio Regeni. Entro 20 giorni tutti gli atti del processo sospeso a Roma, circa 15 faldoni, torneranno al giudice Pierluigi Balestrieri che dovrà fissare una nuova udienza preliminare per affrontare il nodo della assenza e della mancata notifica per il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Durante l’udienza che ha portato la Corte d’Assise a decretare l’annullamento del rinvio a giudizio, il pm Sergio Colaiocco aveva ipotizzato che i quattro fossero “finti inconsapevoli”. “È uno stop”, il commento del presidente della Camera, Roberto Fico, “ma noi andremo avanti fino alla fine”. L’ex premier Giuseppe Conte, a verbale, l’11 ottobre aveva elencato le 4 occasioni, fra il 23 settembre 2019 e il 20 novembre 2020, in cui aveva parlato del caso con il leader egiziano Al-Sisi.
Galan non paga per il Mose: deve 5,2 milioni, ha dato 1.800
Anche dalla condanna a risarcire il danno all’immagine della Regione Veneto sono passati anni, ma finora la Corte dei Conti è riuscita a recuperare solo le briciole: circa 1.800 euro rispetto a un conto da 5,2 milioni di euro presentato all’ex governatore, Giancarlo Galan, per il suo coinvolgimento nell’inchiesta sulle tangenti legate alla realizzazione del Mose. Che gli è costata in sede penale una pena a due anni e dieci mesi patteggiata con l’impegno a farsi confiscare la dimora di Villa Rodella, valore stimato di 2,6 milioni di euro salvo poi la scoperta dell’esistenza di un mutuo sull’immobile pari a 1,8 milioni.
Poi però si era fatta avanti anche la magistratura contabile che ancora oggi continua una caccia al tesoro che prosegue da almeno un lustro. Come ricostruito dal Corriere del Veneto, la Procura della Corte dei Conti già nel 2016 aveva disposto il sequestro preventivo della quota di cui era comproprietario di un immobile a Padova (stimato 133 mila euro), vari terreni a Rovolon (valore 75 mila euro), la sua quota della società Margherita Srl (10 mila) e infine il quinto del vitalizio della Regione (3.351 euro) e dell’assegno di fine mandato della Camera dei deputati (5.200), su cui però ha avanzato pretese Equitalia, che vanta un credito nei confronti dell’ex doge di 500mila euro di tasse. Sequestri che a quanto pare hanno fruttato ben poco: da ultimo i magistrati contabili hanno chiesto un altro sequestro, quello delle azioni di Adria Infrastrutture costola del gruppo Mantovani che Galan avrebbe affidato in maniera occulta al suo commercialista e amico Paolo Venuti. Tutte iniziative che sembrano non aver scoraggiato l’ex presidente del Veneto già ministro e maggiorente di Forza Italia, convinto in cuor suo di aver subito una ingiustizia, anzi due: la condanna per via delle mazzette del Mose e ancor di più la destituzione dal seggio da deputato che, come ha sostenuto senza successo di fronte alla Corte europea dei Diritti dell’uomo, lo ha privato del diritto di rappresentare chi lo aveva eletto.
Papa condannato: 4 anni e mezzo
Dopo aver spacciato come assoluzione nel merito la prescrizione in Appello nel processo P4 – dopo una dura condanna in primo grado – l’ex magistrato ed ex parlamentare Pdl Alfonso Papa disse: “È finito un calvario, in Italia c’è una gestione tribale del sistema mediatico e giudiziario”.
Parole che non gli hanno portato fortuna, anzitutto quelle sulla conclusione di un calvario che invece prosegue, se a distanza di due anni da quella prescrizione siamo di nuovo qui, a riferirne una condanna, pesante come quella di allora: quattro anni e sei mesi in primo grado per induzione indebita a dare o promettere utilità con l’aggravante camorristica. Condannato pure il padre, Giovanni Papa, a due anni e otto mesi.
La sentenza della quarta sezione penale del Tribunale di Napoli (presidente Anna Laura Alfano, giudici a latere Giuliana Taglialatela e Lodovica Mancini) è arrivata nella tarda serata di giovedì, al termine di un processo che non ha brillato per velocità. Ha riguardato fatti e accuse contestati nell’ordinanza eseguita il 22 luglio 2014 con la quale Papa fu messo in carcere e il padre agli arresti domiciliari. Ordinanza che racconta in particolare i presunti favori di Papa, in cambio di denaro e altre utilità, agli imprenditori Angelo e Roberto Grillo, operanti nei servizi di pulizia e ritenuti vicini al clan dei Casalesi, fazione Belforte di Marcianise (Caserta). Angelo Grillo era stato arrestato il giorno prima nell’ambito di una indagine su speculazioni edilizie a Marcianise, ma era già in carcere al regime previsto dal 41-bis a Parma con accuse di concorso esterno in associazione camorristica. Un nome che ricorreva spesso nelle inchieste della Dda partenopea e per questo negli anni precedenti le sue imprese erano state colpite da interdittiva antimafia e messe in condizione di non poter più contrattare appalti con la Pubblica amministrazione.
Proprio in questa crepa – secondo i pm di Napoli Celestina Carrano, Giuseppina Loreto ed Henry John Woodcock, titolari delle indagini e del dibattimento in aula – si sarebbe insinuato Papa, prospettando a Grillo di poter risolvere il problema dell’interdittiva grazie alle sue entrature. Il capo d’imputazione colloca questi reati in un periodo temporale tra il 2009 e il 2010.
Papa è stato condannato anche per un altro episodio, non aggravato, ai danni di un altro imprenditore, Guglielmo Boschetti. Mentre è stato assolto per altri due capi di imputazione ai danni di altri due imprenditori. I giudici hanno disposto l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. Assolta Valentina Pacchiano dall’accusa di aver reso false dichiarazioni. I giudici depositeranno le motivazioni entro novanta giorni. Papa, difeso dagli avvocati Carlo Di Casola e Giuseppe D’Alise, ricorrerà in Appello.
Cpl: a Napoli zero corrotti, a Bologna istigatori puniti
Gli innocentisti a prescindere, quelli convinti che le indagini di Woodcock&C. fossero un buco nell’acqua del mare di Ischia, buone solo a far clamore mediatico e a stroncare carriere politiche, dovranno farsene una ragione: furono compiuti reati intorno alla metanizzazione Cpl dell’isola verde campana. Reati che non sono stati cancellati dall’assoluzione a Napoli (diventata nel frattempo definitiva) dell’ex sindaco e poi europarlamentare Pd Giosi Ferrandino.
I lettori più attenti ricorderanno: gli stessi fatti, la stessa trama di favori e passaggi di denaro scoperchiata dalla Procura di Napoli e dall’allora capitano dei carabinieri del Noe, Gianpaolo Scafarto, sono stati spacchettati in due processi per la diversa competenza territoriale di alcuni episodi. Così a Napoli si è celebrato il processo ai due presunti corrotti, Ferrandino e il tecnico comunale Silvano Arcamone: assolti in tutti i gradi di giudizio. E a Modena invece quello ai presunti corruttori: condannati in primo grado nel febbraio 2019. A una pena severa, nel caso dell’ex presidente della coop rossa, Roberto Casari, 4 anni e due mesi per corruzione e reati fiscali. Il Tribunale aveva inflitto un anno e 4 mesi al fratello dell’ex sindaco d’Ischia, Massimo Ferrandino, e un anno e due mesi all’ex dirigente Cpl Nicola Verrini, entrambi accusati di corruzione, più altre condanne ad altri imputati per altre ipotesi di reato.
Come è chiaro persino a uno studente di Giurisprudenza al primo anno, le sentenze erano totalmente incompatibili. Un capo di imputazione di corruzione per Casari, Verrini e Massimo Ferrandino a Modena, era in concorso con quello di Giosi Ferrandino e Arcamone a Napoli. Riguarda la convenzione ‘vuoto per pieno’ che Cpl stipulò per 147mila euro annui in cambio di sette stanze dell’albergo “Le Querce”, di proprietà della famiglia Ferrandino, durante il periodo estivo e il periodo di capodanno tra il 2013 e il 2014, e l’assunzione in Cpl come consulente legale dell’avvocato Massimo Ferrandino. Il prezzo della corruzione da parte di Cpl per ingraziarsi l’organo politico amministrativo di Ischia e procedere con l’appalto della metanizzazione, secondo la prospettazione accusatoria dei pm di Napoli Giuseppina Loreto, Celestina Carrano ed Henry John Woodcock e ribadita dai pm di Modena Marco Nicolini e Pasquale Mazzei.
Con le assoluzioni definitive di Napoli, i bookmaker non accettavano scommesse sulla conferma in Appello delle condanne per corruzione a Modena. La Procura generale le aveva comunque richieste. Gli avvocati hanno depositato le motivazioni delle assoluzioni napoletane durante il dibattimento di Appello. I giudici di secondo grado di Bologna le hanno acquisite. E a sorpresa, invece di assolvere, hanno sentenziato condanne per una diversa ipotesi di reato: istigazione alla corruzione. Riducendo la condanna di Casari a due anni e sei mesi, quella di Verrini a 8 mesi e quella di Massimo Ferrandino a 9 mesi e dieci giorni.
Dovremo attendere le motivazioni – previste tra un paio di mesi – per capire attraverso quale percorso logico la Corte d’Appello bolognese ha stravolto la posizione di Massimo Ferrandino. Secondo l’ipotesi accusatoria, il fratello del sindaco era uno dei corrotti, beneficiario di una corruzione consistita nella consulenza legale. Ora, a leggere il dispositivo, sembrerebbe passato dall’altra parte della barricata, tra coloro che volevano corrompere il fratello e l’amministrazione. C’è ancora un round, si disputerà in Cassazione.
Maggiori sanzioni e più ispettori: le nuove norme
Sanzioni più facili per chi non rispetta le norme di prevenzione, ma non arriva la patente a punti per favorire le imprese in regola negli appalti pubblici né viene introdotta l’aggravante di omicidio sul lavoro nei processi penali. Spinto dall’escalation di tragedie raccontate dalla cronaca quotidiana nelle ultime settimane – 772 i decessi nei primi otto mesi del 2021 – il governo è intervenuto sul tema della sicurezza sul lavoro come aveva annunciato lo stesso premier Draghi nelle settimane scorse. Le misure sono contenute nel decreto approvato ieri in Consiglio dei ministri e partono dall’estensione della competenza dell’Ispettorato (Inl). Finora l’ente si occupava solo di controlli nei cantieri edili, per i trasporti ferroviari e in altri settori marginali, mentre al resto pensavano le aziende sanitarie locali. Ora l’Inl vede allargato il suo raggio d’azione e diventa anche una cabina di regia centrale per le attività ispettive. Nasce una banca dati unica per permettere ai diversi organi ispettivi di condividere le informazioni ed evitare di ripetere i controlli nella stessa azienda. Sotto il profilo della repressione, diventa più facile sospendere l’attività lavorativa in caso di violazioni. Finora era necessario scoprire almeno il 20% di lavoratori in nero, mentre da adesso in poi sarà sufficiente il 10%. Una percentuale che il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, reputa inaccettabile: “Sia zero” ha detto ieri. Tuttavia, questa norma non si applica alle imprese che abbiano un solo dipendente, anche se irregolare. Sul blocco delle attività per chi non rispetta le regole di salute e sicurezza, la legge stabiliva che fosse necessaria la recidiva, “gravi e reiterate violazioni”. Gli ispettori erano costretti a fare verifiche sul quinquennio precedente, non sempre semplici vista l’assenza di banche dati uniche. Ora, invece, la sospensione potrà scattare anche se si tratta della prima infrazione. Durante la sospensione varrà il divieto di contrattare con la PA, ma non di partecipare a gare pubbliche presso enti come l’Anas. Le violazioni che fanno partire la sospensione non saranno a discrezione degli ispettori, ma sono raccolte tassativamente in un elenco allegato al decreto; tra queste, ad esempio, la mancata elaborazione del piano di emergenza ed evacuazione, ma non l’omessa comunicazione alla Asl dei rischi relativi all’esposizione dei lavoratori all’amianto.
Un capitolo è dedicato al rafforzamento dell’Ispettorato, da anni in calo di organico dovuto ai pensionamenti non sostituiti. Vengono autorizzate altre 1.024 assunzioni. Morti inaccettabili, impegnati con norme a fare tutto possibile