“Il nuovo decreto sulla sicurezza sul lavoro va nella giusta direzione, ma alcune cose vanno corrette e altre mancano del tutto. Speriamo le Camere intervengano nella conversione”. Alessandro Genovesi è il segretario Fillea Cgil, il sindacato degli edili. Il settore delle costruzioni conta il maggior numero di morti sul lavoro: 149 nel 2020 su 1.145 denunce arrivate all’Inail. Il provvedimento approvato ieri dal Consiglio dei ministri rende più facili le sanzioni per le aziende non in regola, ma lascia nodi irrisolti e su certi aspetti rischia persino di compiere passi indietro: “Per questo confermiamo la manifestazione a Roma del 13 novembre”.
Segretario, intanto ci spieghi che cosa cambierà in concreto?
Prima era possibile il blocco dell’attività con il 20% di lavoratori in nero, ora basta il 10%. E ancora: prima la sospensione per motivi di salute e sicurezza era possibile con “gravi e reiterate violazioni”, mentre ora basta una violazione e scatta il blocco. E poi non sarà più il singolo ispettore a stabilire cosa è “grave”, c’è un elenco allegato. Va citato anche il permesso all’Ispettorato di svolgere ruolo di coordinamento degli altri organi ispettivi e questo crea la banca dati unica e l’interoperabilità delle banche dati, così da evitare i controlli a doppione.
Se però l’impresa ha un solo lavoratore, e quello è irregolare, la sospensione non scatta…
Questo è un problema che avevamo segnalato, perché crea una contraddizione: se in un cantiere hai dieci aziende ognuna con un solo addetto, anche se questi sono tutti in nero non ci sarà mai il blocco.
E gli altri passaggi da correggere?
Uno per fortuna è stato già corretto. Nella prima bozza si diceva che all’azienda sospesa “può” essere fatto divieto di contrattare con la Pubblica amministrazione. È importante che, in coerenza con le posizioni del sindacato, il “può” sia diventato “deve”. Tuttavia, mentre la vecchia scrittura prevedeva, oltre al divieto di contrattare con la PA, anche quello di partecipare a gare pubbliche, ora quest’ultima voce è sparita. Bisogna ricordare che l’Anas, le ferrovie e gli aeroporti non sono pubbliche amministrazioni ma fanno gare pubbliche, quindi nel loro caso non si applicherebbero le nuove norme. Potrebbe essere un refuso, ma è giusto segnalarlo. C’è anche un altro passaggio da correggere.
Quale?
Riguarda l’amianto. Prima, al netto delle gravi e reiterate violazioni, tra i motivi per cui potevi bloccare l’attività c’era il mancato avvertimento di Asl e lavoratori sul rischio amianto, ora questa voce non c’è più. Non vorremmo che sul tema dell’amianto ci sia un passo indietro. Nell’edilizia migliaia di lavoratori impegnati nelle ristrutturazioni dei palazzi costruiti negli anni 60, 70 e 80 hanno a che fare con l’amianto. Stimiamo quasi 3 milioni di immobili con presenza di amianto non denunciata.
Che cosa invece manca del tutto?
Due punti. Il primo è la famosa patente a punti. Manca un sistema che a monte dica che l’impresa che ha investito in sicurezza e non ha avuto infortuni parta avvantaggiata nelle gare rispetto a chi ha avuto problemi. La banca dati unica può essere la precondizione, ma se serve solo per pianificare le ispezioni è mezzo passo avanti: deve servire anche per collegare la carriera di impresa alla sua storia di incidenti per selezionare l’impresa seria. Insisto su questo punto perché il 70% di tutte le risorse del Pnrr verranno date tramite appalto pubblico.
E il secondo?
Manca l’introduzione dell’aggravante di omicidio sul lavoro. Oggi anche quando c’è un morto sul lavoro acclarato, per esempio senza caschetto, è omicidio colposo, reato che ha meno di 5 anni. Noi chiediamo sul modello dell’omicidio stradale. Aumentando l’aggravante, non solo il datore si fa qualche mese di galera, ma si produce in automatico il sequestro preventivo dei beni, che oggi non c’è. È importante perché nei processi quasi sempre si costituiscono parti civili le famiglie, che non potranno riavere la persona cara ma “almeno”, messo tra mille virgolette, con il patrimonio sotto sequestro possono essere risarcite.