Va in pensione anticipata, di tre anni, Angelo Giorgianni, il magistrato no Green pass, giudice della Corte di Appello di Messina, tra gli oratori della manifestazione di sabato a Roma, finita con l’assalto fascista alla Cgil. Il prepensionamento, però, sarà formalizzato dal Csm a gennaio e quindi la ministra della Giustizia Marta Cartabia ha chiesto verifiche disciplinari agli ispettori mentre i 5 togati di Area (la corrente progressista) hanno depositato al Comitato di presidenza del Csm una richiesta di pratica urgente per verificare “l’impatto” delle condotte di Giorgianni “sulla percezione della sua indipendenza quale magistrato”. Il giudice sabato aveva auspicato per i politici e il governo, “una nuova Norimberga per i morti e le privazioni causate”. Anche il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, ha preso le distanze da Giorgianni: “Ci si può esprimere contro il Green pass, ma ci sono espressioni che creano molta inquietudine e sconcerto, soprattutto se provengono da un magistrato, come sta già avvenendo”.
Squid Game: l’incubo reale dei sudcoreani che affogano nei debiti
“Se perdi muori”. È il refrain di tanti giochi da bambini, lo spazio infinito dell’età sospesa in cui la morte è evocata come una possibilità sempre presente, mai reale. La nuova serie di Netflix, Squid Game, parte da qui, da un gioco infantile, tradizionale fra i bambini sudcoreani e lo spinge fino agli estremi di una metafora brutale. Ambientazione contemporanea che racconta di vite incastrate in un girone infernale di debito, da alcuni contratto per un tradimento del destino, da altri per una piccola scivolata che precipita in slavina. Il primo pagamento mancato diventa un appuntamento mensile, gli interessi lievitano, il lavoro manca, i creditori, in giacca e cravatta o con un coltello, impongono ultimatum. Arriva una telefonata misteriosa, l’offerta, impossibile da respingere, di saldare tutto vincendo in una competizione di giochi da bambini.
Solo che nella versione adulta, cinica, disperata di quei giochi, se perdi muori sul serio, in esecuzioni immediate e senza appello che eliminano via via i 456 concorrenti: la serie, in 9 puntate, è la cronaca brutalissima di quella competizione, il residuo dell’innocenza di quei giochi avvelenato per sempre dalla violenza e dalla disperazione. Fantasia distopica? Sì, dal punto di vista estetico, con le identità individuali annichilite da una tuta da ginnastica-uniforme; il tutti contro tutti; la spietatezza inossidabile delle regole e dei padroni del gioco, maschere senza volto; lo sconfinamento nel thriller e nell’horror. Il resto è la fotografia accurata della società sudcoreana contemporanea. Lo spiega Sarah A. Son, docente di Studi coreani all’Università di Sheffield, in un articolo per The Conversation: la serie si ispira, esacerbandone conseguenze e soluzione, alla reale crisi del debito che sta sconvolgendo la Corea del Sud. Per Statista, che ha elaborato gli ultimi dati ufficiali, il debito delle famiglie sudcoreane, nel 2019, era al 190,6% del reddito lordo, contro il 147.5% del 2010: 106,6 del Pil del 2020, il dato più alto in Asia. Per capirci: in Italia, a fine 2020, pur essendo aumentato di circa 5 punti percentuale in un anno, è arrivato all’84,36%.
Per cosa si indebitano i sudcoreani? Mutui per la casa, rate dell’auto, carte di credito, spese per l’istruzione dei figli, visti come necessari per l’ascensione sociale: gli strumenti di un capitalismo al galoppo che ha fatto della Corea del Sud un modello di crescita economica a cui guardare, ma che ormai troppi non riescono a sostenere, come uno dei protagonisti di Squid Game che cerca di uscire dalla situazione rilanciando e perdendo con il gioco d’azzardo, fenomeno endemico nel Paese. Un miracolo economico che, scrive la Son, ha amplificato le diseguaglianze sociali: “Il 20% dei redditi più elevati è 166 volte più ricco del 20% in fondo alla catena alimentare, una discrepanza cresciuta del 50% dal 2017”. A far sprofondare la popolazione in questa spirale è stato un insieme di fattori: il recente aumento dei tassi di interesse, l’incremento della disoccupazione giovanile, quello dei prezzi delle case e l’impatto della pandemia hanno “vanificato la modesta riduzione degli indici di disuguaglianza ottenuta negli ultimi anni di governo progressista di Moon Jae”. Il governo ha tentato di intervenire sulla facilità con cui gli istituti di credito hanno per anni concesso denaro, una misura mirata soprattutto a sollevare gli under 30, la categoria demografica con il maggior rapporto debito/guadagni. Ma per molti l’alternativa è il ricorso a strozzini, con interessi capestro e metodi criminali. E il debito che diventa incubo senza uscita è la principale causa di suicidio dei sudcoreani. Squid Game, scrive la Son, è una critica al modello di successo dominante che non risparmia l’etica protestante del lavoro, la “pietra miliare del miracolo economico” che non ha impedito la corruzione endemica nemmeno della Chiesa evangelica coreana, tradizionalmente legata alle élite. A 28 giorni dal lancio, Squid Game è la serie originale di Netflix di maggior successo di sempre (secondo dati Netflix) al vertice delle classifiche dello streaming in 90 Paesi. Ad avvincere 111 milioni di spettatori di culture così diverse è il meccanismo narrativo o sono anche loro vittime del debito? In un articolo, il corrispondente del Guardian a Seul, Justin McCurry, affida la possibile risposta a una storia che sembra uscita da Parasite, altro successo sudcoreano che porta agli estremi la critica della disuguaglianza sociale nel Paese asiatico. Intervista Choi Young-soo, nome inventato per proteggerne l’identità di ex ingegnere informatico con abbastanza risparmi da coronare il sogno di aprire un pub con la moglie e la sfortuna di riuscirci poco prima del lockdown da Covid, e finito anche lui incastrato nei debiti. Una pedina perfetta per Squid Game, appunto. Lui, che dopo aver perso casa e lavoro si arrangia lavorando in un ristorante, costretto a lasciare i due figli ai genitori, dice di aver sentito parlare della serie. Ma non l’ha mai vista: non ha i soldi per l’abbonamento a Netflix.
Con la pandemia ospedali migliori
È cominciato il conto alla rovescia in attesa della fine dell’emergenza che, oltre a essere un necessario passaggio politico e burocratico, sarà anche un traguardo simbolico. Dobbiamo tornare alla normalità e questo significa anche tornare alla “sanità normale”. Quale? Cosa ci attenderà? Tutto non sarà come prima (speriamo!). È già cominciato un cambiamento nella richiesta di prestazioni sanitarie da parte della popolazione. Sarà opera dei medici di famiglia recuperare il rapporto, in gran parte interrotto, con i loro assistiti e spiegare loro che tipo di assistenza possano ricevere dal territorio e dall’ospedale. Si sta comprendendo quanto sia necessaria una Medicina Territoriale funzionante, perché l’ospedale deve svolgere la sua funzione solo in quell’area patologica che non può essere curata a domicilio, pur rimanendo un riferimento importante, malgrado il Covid ha trasformato gli ospedali in ambienti a rischio. Infatti la gente è ancora titubante a varcarne la soglia, per paura di essere contagiata. Il pericolo è che si vada dall’eccesso di ricorso al non ricorso. È un dato allarmante, per esempio, che durante le fasi peggiori della pandemia si sia assistito a un incremento del 30% di infarti, perché non si era richiesto in tempo l’intervento sanitario.
Preoccupa che alcuni funzionari regionali, seppur informalmente, facciano notare che a causa dell’emergenza Covid, sia stato assunto personale “straordinario”. A questi zelanti burocrati bisognerebbe spiegare che non era “straordinario” ma parzialmente “compensativo” del disastro nel quale ci ha colti il Covid. La pandemia è stato il fattore scatenante di una situazione che, inascoltati, denunciavamo da anni. La carenza c’era e, solo in parte, la nuova forza lavoro, reclutata affannosamente, ha recuperato la capacità lavorativa necessaria. Nessuno pensi che i medici (1.350 su 21.414) e gli infermieri (8.757 su 31.990) reclutati precariamente, possano essere mandati a casa. E non abbiamo preso in considerazione i molti pensionamenti in atto. Speriamo che la pandemia ci abbia insegnato qualcosa.
La libertà, ultima maschera a destra
“La massa ama gli uomini forti. La massa è donna”. Così Benito Mussolini, a colloquio con Emil Ludwig, autocelebrava nel 1932 il decennale della sua ascesa al potere.
Novant’anni dopo, a testimonianza di quanto sia cambiata la società italiana, è una donna forte a proporsi condottiera delle masse: Giorgia Meloni, nata – come lei stessa ama ricordare – lo stesso giorno di Giovanna d’Arco.
“Le nostre sono tutte battaglie di libertà”, è l’argomento su cui batte e ribatte Meloni per confutare chi la sollecita a recidere i vincoli di continuità storica del suo partito col fascismo “sociale” di Giorgio Almirante, sopravvissuto all’ingloriosa fine del Ventennio. Paradossalmente, mi sento di darle ragione. Perché il tratto distintivo unificante delle nuove destre – il denominatore comune che in Italia connette lei a Salvini e al primo Berlusconi, ma che può vantare potenti ramificazioni dagli Stati Uniti al Brasile all’Europa Centro-orientale – è per l’appunto un ossessivo, insistentemente conclamato richiamo alla nozione di libertà.
Chi si era abituato a inscrivere il fascismo nelle sole categorie della gerarchia, legge e ordine, divisa e manganello, oggi assiste a un vero e proprio capovolgimento semantico. Le nuove destre vi fanno ricorso con insistenza, rovesciando sulla sinistra e sulla cultura liberal le accuse di cui vengono fatte oggetto. Far proprio il linguaggio degli avversari è un artifizio cui è ricorsa ieri la stessa Giorgia Meloni, quando si è dichiarata vittima di una “strategia della tensione”. Come se non fosse acclarato quale parte politica l’abbia pianificata a suon di bombe dal 1969 in poi.
Questo capovolgimento delle colpe storiche imputate alla destra è un refrain cui rischiamo di abituarci, reso più suggestivo ora dalla sintonia con gli slogan del movimento No Green Pass: “Siete voi il regime che pratica un’odiosa discriminazione”. Abbinato alla diffidenza nei confronti della medicina e della scienza: “Quelli si arricchiscono imponendoci cure discutibili e mirano a sottometterci con la scusa della pandemia”. Prima ancora, in replica a chi ne denuncia le campagne xenofobe anti-immigrati: “Siete voi i razzisti contro i poveri italiani”. Di più: “Le politiche immigrazioniste hanno sostituito le deportazioni di massa dell’epoca sovietica”. Se poi viene contestato alla destra il linguaggio aggressivo e minaccioso, scatta immediata l’obiezione: “Ecco i finti democratici che invocano la censura per mettere la museruola al popolo”. Il tutto perviene a una brutale semplificazione manichea dello scenario politico italiano, nel quale opererebbero da una parte i Patrioti (camerati non si usa più), espressione degli interessi del Popolo e della Nazione; dall’altra “il Pd, partito ‘collaborazionista’ delle ingerenze straniere”. Tale, prevede Meloni, sarà “il bipolarismo dei prossimi anni in Italia”.
Questa sì è una rappresentazione grottesca degli avversari, che puzza lontano un miglio di fascismo novecentesco laddove la sinistra e “i liberal globalisti” tornano a venir additati come “braccio politico delle grandi delle grandi multinazionali”. In sostanza: traditori della Patria.
Se oggi come allora queste restano le alternative in campo, questa pretesa Giovanna d’Arco del popolo italiano, in lotta contro “le consorterie europee” e “l’élite apolide”, finirà per forza a dar la caccia ai fantasmi di sempre. Dopo aver definito lei stessa, nel 2019, “Soros usuraio”, come può credibilmente dissociarsi dallo sproloquio del suo Michetti sugli ebrei che godrebbero di maggior riguardo perché possiedono le banche? La triste verità è che a destra ci sono un sacco di filoisraeliani rimasti più o meno consapevolmente antisemiti, anche se sembra un ossimoro.
Ciò non toglie che ci troviamo spesso spiazzati, impreparati a confrontarci con le istanze di libertà di cui la destra contemporanea si erge a portatrice. E che permeano la cultura di sommovimenti diffusi, dall’apparenza libertaria, nei quali a prima vista non è facile riconoscere la natura reazionaria.
Proviamo a elencarle, queste libertà care alla destra.
Contro il Green Pass e/o l’obbligo vaccinale: la libertà di farsi gli affari propri infischiandosene dell’interesse collettivo alla salute pubblica.
Contro la “gabbia” del politically correct: la libertà di sdoganare le invettive razziste e di avvilire nel turpiloquio il dibattito pubblico.
E ancora: in nome della legittima difesa, la libertà di armarsi da privati cittadini. Fino alla libertà di riscrivere la storia a proprio piacimento, liquidando come “parentesi storica”, testuale, “l’ideologia nazifascista”, mettendo sullo stesso piano i partigiani e i repubblichini, la Shoah e le foibe. Dal che Meloni nel suo libro giunge a rivendicare la sua “ferma ribellione nei confronti dell’antifascismo politico”.
Naturalmente, la prima delle libertà rivendicata dalla leader di Fratelli d’Italia resta quella di sottrarre la sovranità nazionale al vincolo della giurisdizione sovranazionale. Lo ha ribadito nei giorni scorsi salutando con favore la sentenza della Corte costituzionale polacca che ha affermato la preminenza della legislazione nazionale sul diritto comunitario dell’Unione europea. Questa è l’anima del sovranismo. E più volte, per giustificarla, Meloni si è rifatta alle tesi del filosofo israeliano Yoram Hazony: “Non dovremmo cedere nemmeno il più infinitesimale frammento della nostra libertà a qualsivoglia organismo straniero, o a sistemi normativi estranei non determinati dalla nostra nazione di appartenenza”. Del resto la pensano così anche i Patrioti spagnoli e ungheresi a cui si è legata. Per non parlare di Trump, cui ha confermato il suo appoggio anche dopo l’assalto al Campidoglio.
Tutto ciò basta a definire la “libertaria” Giorgia Meloni una fascista del Terzo millennio? Davvero poco m’interessano le definizioni, e ovviamente mi fa piacere se lei rifiuta come offensivo l’epiteto che il suo caro Almirante invece rivendicava. Ma le lezioni della storia, quelle sì che restano preziose. E allora non basta dire che lei vuole imporre la volontà popolare attraverso il voto e non come dittatura. Tantomeno basta accusare gli altri di essersi trasformati in regime. L’altra sera a “Otto e mezzo” ho ricordato che anche Mussolini prima di ricevere l’incarico di primo ministro nel 1922 si presentava non certo come golpista, ma come capopopolo della Grande Proletaria oppressa e depredata, accusando gli avversari di essersi posti al servizio dello Straniero.
Non ho nulla di cui scusarmi, onorevole Meloni. È lei che deve cambiare registro.
Che successo che è stato ’sto G20…
Ma vi ricordatequando sui media era tutto Afghanistan? Lo so, sembra una vita e invece neanche un paio di mesi fa editorialisti, commentatori e più di qualche politico, sdegnati per il ritiro di quei rammolliti degli americani, fremevano dalla voglia di andare a Kabul, bel suol d’amore, e riprendersela dai talebani. Poi, però, Mario Draghi – onde evitare inutili stragi – indicò a tutti la via della luce: il G20 straordinario avrebbe reso l’Afghanistan la terra di latte e miele che era stata negli ultimi vent’anni. Le settimane che seguirono furono tutte un Draghi sente Macron e Merkel, chiacchiera con Xi Jinping, dialoga con Putin e addirittura “tenta l’impossibile per fissare una data per il G20 straordinario” (Sole 24 Ore, 23 settembre). Nel frattempo, ammoniva i talebani da par suo: neanche alzo il telefono senza rispetto delle libertà individuali, soprattutto delle donne. E poi l’altroieri, finalmente, è arrivato il giorno del benedetto G20 straordinario sull’Afghanistan e se non ve ne siete accorti, vabbè, non è colpa di nessuno. “È stato un successo”, ha comunque riassunto la faccenda il premier italiano. E ne ha ben donde: il G20, infatti, ha nientedimeno che dato “un mandato all’Onu, di tipo generale, per il coordinamento della risposta all’emergenza umanitaria” e raccolto promesse di donazioni da Ue e Usa per 1,3 miliardi. Ma mica danno i soldi ai talebani, per carità: “Il punto è aiutare il popolo senza il coinvolgimento del governo”, ha spiegato Draghi, che solo per non rovinarci la sorpresa non ha spiegato come farà l’Onu a non parlare coi talebani, né come evitare che questo abbia “un esito paradossale, perché di fatto contribuirà alla stabilizzazione del potere talebano” ( Repubblica, ieri). Vabbè, se non altro “il multilateralismo sta tornando”, ci ha assicurato il premier. Cioè, insomma, in realtà Xi Jinping e Vladimir Putin non si sono presentati – il primo ha mandato il ministro degli Esteri, il secondo il viceministro – ma “che io sappia la loro assenza non è dovuta a motivi particolari di politica estera”. Ma infatti Xi aveva una pizzata dopo il calcetto e Putin s’era prenotato la pedicure già a giugno: la politica estera non c’entra e c’entrava poco pure col G20 straordinario, che è stato più un vertice di politica interna.
Mail Box
Occhio, sta per arrivare un nuovo referendum!
Il 10 ottobre il segretario dei radicali Maurizio Turco ha annunciato (a Radio radicale, ore 17.04) il programma delle loro prossime campagne referendarie. In primis si occuperanno del ripristino dell’immunità per i parlamentari. Da ascoltare le motivazioni dell’iniziativa.
Federico Ferrara
Me le immagino!
M. Trav.
Lo zoo di Roma creato dalla “perfida” Virginia
Leggendo l’editoriale di Travaglio “5 giorni all’alba” di martedì sono stata colta da un improvviso senso di nostalgia per questi cinque anni passati con la Raggi. Era bello guardare Roma come un nuovo ecosistema in cui convivevano allegramente pantegane, cinghiali, maiali, topi, calabroni (killer), blatte, gabbiani (anche questi killer), vespe, zanzare, vipere (anche quelle in via di estinzione). Mancava solo qualche ritrovamento di fossili di dinosauri e il quadro era completo. Mi ero affezionata a questa nuova narrazione orwelliana di Roma, dove la perfida Virginia rilasciava ogni giorno una specie animale diversa per le strade. E quando pensavo fosse tutto finito, poteva mancare ieri la notizia di un bel toro che vagava per via Laurentina a dare una nota spagnoleggiante alla Capitale? Che dire: quando tornerà la civiltà nella Capitale, la ruota e la scoperta del fuoco, ci mancheranno questi racconti, e soprattutto quel senso di avventura ogni volta che osavo raggiungere le strade del centro. Non vedo l’ora che arrivi il nuovo sindaco, così impiegherò cinque minuti.
Valentina felici
I consolati italiani sono inefficienti in tutta l’Ue
Due righe per confermare che la lentezza e l’inefficienza denunciate dalla signora Orietta Monti a proposito del consolato italiano di Palma è problema comune ad altre sedi consolari. O ciò vale almeno, per esperienza personale o di persone a me vicinissime, per Parigi e Londra e, in passato, per Zagabria, con le cui autorità consolari ho collaborato nel settore cultura. Carenza di personale? Fannullaggine e assenza di controlli? È certo difficile generalizzare, ma la cosa infastidisce, in special modo se consideriamo gli stratosferici emolumenti (assegno di sede) degli impiegati del ministero degli Esteri in sedi straniere. Soluzioni? Chi conosco è rientrato in Italia con una carta di identità valida e si è fatto rilasciare il passaporto dalla Questura della città di nascita. E i consolati? Non credo ci sia né la volontà né la capacità di risolvere il problema.
Fulvio Senardi
Meloni e Salvini, perché continuate a strepitare?
Gentile Giorgia Meloni, perché continui a strillare, in tutte le lingue, che sei: Giorgia, una donna, una madre, eccetera? A parte che non interessa a nessuno, nessuno lo nega, perché invece non strilli una cosa molto più semplice e breve: sono un’antifascista? Che è quello che tutti, a esclusione dei fascisti e fascistoidi, vorrebbero sentirti dire (anche senza strillare)? A Salvini: chiedi lo scioglimento di tutte le associazioni “eversive”, e cioè quali? Forse ti confondi, di eversivo e illegale c’è solo il fascismo, non esiste altro, a meno che tu non intenda per eversivi tutti quelli che la pensano diversamente da te. Sabato scorso è successa una cosa gravissima, mai successa in Italia da quando c’è la Repubblica. Ti ricordo peraltro che non si chiede lo scioglimento delle varie associazioni, club, e via dicendo, cosa che ha fatto per l’appunto il fascismo ai tempi del ventennio, ma viene chiesto solo il rispetto di una legge importante e cioè lo scioglimento di tutto ciò che richiama il fascismo. Fatevene una ragione, prendete le distanze dal fascismo una buona volta, ne avrete solo vantaggi. Vorrei ricordarti anche che sono stati i fascisti a manifestare nel periodo del ballottaggio; la Cgil, la cui sede centrale è stata assaltata da squadristi fascisti con distruzione di strumenti e materiali, cosa dovrebbe fare? Tacere e ringraziare? Avete un’occasione d’oro per non far pesare ciò sul ballottaggio, chiedete voi lo scioglimento delle associazioni fasciste.
Albarosa Raimondi
Lettera a Draghi “Per lavoratori e donne che sta facendo il governo?”
Egregio Presidente Draghi, è di pochi giorni fa la notizia che il ministro del Lavoro Orlando ha presentato il Gol, il piano Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori. Leggiamo che verrà finanziato con 4,9 miliardi di euro e che potrebbe avere un effetto straordinario sul futuro di tante persone. Si legge che il 75% del fondo sarà destinato soprattutto alle donne, oltre che agli over 55, disabili e giovani under 30; potranno essere poi rafforzati i centri per l’impiego, migliorate le politiche attive del lavoro, aiutate le persone a cercare e difendere il lavoro e le imprese a riqualificare la manodopera, con un grande miglioramento della competitività del Paese e della tenuta sociale. Questo piano dovrebbe raggiungere 3 milioni di persone entro il 2025. Il nostro piccolo gruppo di donne, nei mesi passati, ha atteso con impazienza gli sviluppi relativi alle politiche del lavoro e, proprio su questo tema, avevamo già preparato una piccola riflessione da condividere con lei: quindi, Presidente, immagini la nostra gioia nel leggere che il Gol sarà presto operativo. Ci siamo dette che il problema era risolto e che, grazie a quella montagna di denaro, finalmente, anche le persone con più di 50 anni, ma lontane anni luce dal traguardo pensionistico voluto dal governo Monti, avrebbero trovato soluzioni alle loro angosce. Così, abbiamo cercato di comprendere, al di là dei titoli, i contenuti. Tutta la riforma risponde a un obiettivo concordato con la Commissione europea nel Pnrr che condiziona l’erogazione dei fondi. Su altre testate leggiamo parole straniere – upskilling (aggiornamento), reskilling (riqualificazione) – e capiamo che il fulcro di tutta l’operazione Gol saranno i centri per l’impiego stessi, il loro rafforzamento, e la formazione che arriverà a 300 ore. Il Sole 24 Ore chiarisce che al piano verranno ammessi “i beneficiari di Naspi e Dis-coll, del Reddito di cittadinanza, i lavoratori fragili o vulnerabili (Neet, meno di 30 anni, disabili, donne in condizioni di svantaggio, over 55), i disoccupati senza sostegno al reddito e i cosiddetti working poor”. In sostanza il Gol dovrebbe abbracciare tutte le fasce dei senza lavoro. Tuttavia, nella genericità dei comunicati, noi non riusciamo a mettere a fuoco le modalità con le quali il governo intende agire, a parte assumere più di undicimila operatori nei centri per l’impiego e somministrare ore e ore di formazione ai disoccupati. Non vediamo una connessione tra domanda e offerta ma, in generale, l’azione politica sembra latitare proprio là dove ce ne sarebbe più bisogno: un salario equo e la presa d’atto che moltissimi sono i settori carenti di risorse. Pensiamo banalmente al sociale, al settore culturale, al settore amministrativo, al territorio… Ma nel Gol nulla è scritto. Si avverte, in generale, quello che manca alla politica da molti anni: un’idea di società. E senza un’idea precisa di società non si raggiunge nessun obiettivo. Nel frattempo, le chiediamo: quanto dovranno attendere le disoccupate e i disoccupati di questo Paese per una riforma seria che li metta in condizione di trovare un’occupazione con un salario reale in grado di far fronte alle spese della vita quotidiana? Che collocazione immagina per chi dovrà attendere diversi anni prima di accedere alla pensione, ma è considerato oggettivamente fuori dal mercato del lavoro? Ecco, Presidente Draghi, ci aspettiamo di sapere da lei, con parole semplici, quali sono i passi del suo governo per dare lavoro a chi non ne ha.
Elena Giustiniani, Raffaella Gambardella, Paola Mendola, Alisia Poggio, Giovanna Profumo, Cristina Ruffoni, Silvia Suriano
Profumo prima del sesso, l’addio il 12 settembre 2001 e cinque anni senza bere
Ogni custode moderno del fuoco sacro, della sensitività e della malinconia primigenia, si difende da questa nostra civiltà intesa al successo coltivando la pazienza cordiale e la volontà silenziosa, affinché la sua vita prosegua serrata, e si arricchisca: lentissimamente, ma senza sperperare nulla. E poiché la vita ideale si sviluppa per profondità e modo (essa è tema, è forma), niente di meglio che affidare il nodo delle inquietudini contemporanee alle proprie Pagine di diario.
I maschi che, come me, hanno dedicato la loro intera esistenza al servizio del sesso più soffice, oggi sono disorientati. Le donne non hanno più bisogno di noi per vitto e alloggio. Non hanno più bisogno di noi per restare incinte. Quando verrà inventata la macchina che uccide i ragni, saremo del tutto disoccupati.
Durante il lockdown pensavo spesso a C. La ricordo con grande simpatia, nonostante tutto (Mi capita lo stesso con la Lituania).
Aveva vissuto con me in quella casa vent’anni prima. Che tipo buffo che era! Al mattino mi teneva il broncio quando non ero stato carino con lei nei suoi sogni.
E la volta che cercò di sbrinare il forno? Quante risate!
Era un forno di ultima generazione. “È un forno magnifico, signora. Lei ci infila l’arrosto, programma la cottura, poi esce di casa tutto il giorno, e quando torna, la sera, l’arrosto è pronto”. LEI: “Non ne ha uno che non devo uscire?”.
Un’altra volta le presto la mia Mini. Dopo un po’ mi telefona. “Daniele, c’è dell’acqua del carburatore”. “La Mini dov’è?”. “Nel Tevere”.
Secondo lei, non dovevo lamentarmi per tutti i pedoni che investiva, ma complimentarmi per tutti quelli che mancava.
Ma era così bella. Dopo aver fatto sesso con lei volevi sfregiarla in modo che nessuno potesse averla come l’avevi avuta tu.
Quando la incontrai, erano 5 anni che aveva smesso di bere, e il sesso le mancava. Ma era più serena, da quando Sgarbi aveva smesso di importunarla.
Prima di fare sesso, spruzzava sempre nella stanza un po’ del suo profumo. Alla fine la camera da letto odorava di patchouli e fessura di culo.
Non credo mi avrebbe permesso di pisciare su di lei se non fossi stato famoso.
Ogni tanto si legge del mistero dei cerchi nel grano. Lei ce li aveva nel pelo pubico. La sera prima niente, la mattina dopo c’erano. Mistero!
Un difetto? Sparava giudizi tranchant a destra e a manca. Poi: “Se c’è una cosa che non sopporto sono i permalosi”. IO: “Ne incontri molti?”
La lasciai il 12 settembre 2001, il giorno dopo le Twin Towers. Le dissi: “Sai cosa? La vita è troppo breve”.
L’Italia è lacerata, il governo si fermi finché è in tempo
Com’è successo che siamo finiti a urlarci insulti con la bava alla bocca, nemici giurati in una guerra assurda che finirà per fare danni a lungo termine alla tenuta del nostro tessuto sociale? Com’è possibile che chi ci governa non abbia capito che il Paese va tenuto insieme ora più che mai, che le ferite vanno suturate e non incise più a fondo soffiando sul fuoco delle paure, individuali e collettive? Tutti gli indicatori sociali – precarietà, disoccupazione, povertà – ci dicono che non è questo il momento per allentare le tutele al lavoro. Facciamo un passo indietro: quanto è accaduto sabato a Roma non può essere imputato solo ai fascisti. Anche se, cari no vax e no pass, non si partecipa alle manifestazioni in cui c’è anche Forza Nuova. È una regola di semplice buon senso: oltre a evitare spiacevoli confusioni, aiuta la causa per cui si vuole protestare. Leviamo di mezzo orbaci e fez e a Matteo Salvini (“fascista è mettere fuori legge i partiti”) ricordiamo che se avesse mai dato un’occhiatina alla Costituzione, si sarebbe accorto che oltre alla famosa XII disposizione transitoria e finale, tutto l’impianto della Carta è antifascista.
Chiarita la premessa, è evidente che ci stiamo incamminando gioiosamente e inconsapevolmente verso un baratro, di cui nei prossimi giorni vedremo la profondità. L’intransigenza – unica al mondo – con cui il governo ha scelto di regolare l’accesso al lavoro attraverso il Green pass non solo solleva molti (e fondati) interrogativi da un punto di vista di legittimità costituzionale, ma sta creando una frattura scomposta tra i cittadini. I dubbi riguardano il metodo con cui si è scelto di procedere. L’esecutivo – sostenuto praticamente dall’intero arco parlamentare – ha deciso di non rendere obbligatorio il vaccino per legge (cosa che l’articolo 32 della Costituzione consente), ma di introdurre l’obbligo di fatto. Una scelta inaccettabile perché solleva governo e Parlamento da una responsabilità politica che in questa situazione è – meglio: dovrebbe essere – ineludibile. Il lavoro è il diritto che fonda la Repubblica: non può essere limitato (e in termini tanto perentori) arbitrariamente. Basta leggere il passaggio sul lavoro da remoto: “Non è consentito in alcun modo individuare i lavoratori da adibire al lavoro agile sulla base del mancato possesso di tale certificazione”. A parte che ovviamente per alcuni mestieri lo smart working non è praticabile, la motivazione (razionalmente poco comprensibile) che sta alla base di questo draconiano divieto: “Il possesso della certificazione verde e la sua esibizione sono condizioni che devono essere soddisfatte al momento dell’accesso al luogo di lavoro. Non sono consentite deroghe a tale obbligo”. Ora tutto dipenderà dal modo in cui verranno applicate le nuove regole: siamo ancora in tempo per evitare che un rigore oggi non legittimato dalla situazione sanitaria, mandi il Paese nel caos, danneggiando milioni di famiglie.
La feroce leggerezza con cui i partiti hanno rigettato la gratuità dei tamponi per i lavoratori che non si sono vaccinati è un altro segnale allarmante. Di gratuito c’è il vaccino, dicono. Questa posizione di fasulla tutela delle finanze pubbliche legittima la rabbia dei cittadini vaccinati (“perché devo pagare con le mie tasse i capricci di chi non si è voluto vaccinare?”) e anche di quelli che non si sono vaccinati (costretti a pagarsi i tamponi o a perdere lo stipendio). È il contrario di quello che lo Stato dovrebbe fare, cioè promuovere la solidarietà sociale, aiutare chi ancora non si è vaccinato a superare le proprie difficoltà. Pensavamo che la nostra democrazia avesse sviluppato sufficienti anticorpi per resistere alle sirene dello Stato etico: pagheremo un prezzo molto alto per non avere avuto il coraggio di sostenere il principio supremo dello Stato di diritto.
Ma io dico no a Sciogliere Fn: può rivelarsi un boomerang
In democrazia tutte le idee, anche quelle che appaiono aberranti ai più, hanno diritto di cittadinanza. Quindi anche quelle di Forza Nuova (Dio, Chiesa, Famiglia, Patria, Nazione). Ma c’è un limite assoluto e invalicabile: nessuna idea, buona o cattiva che sia, può essere fatta valere con la violenza. Perciò è del tutto legittimo che i responsabili degli attacchi alla sede della Cigl e al Pronto Soccorso dell’ospedale Umberto I siano finiti in galera tanto più che colti, senza possibilità di equivoco, in flagranza di reato (anche se oggi, Cartabia dixit, nemmeno la flagranza è a volte sufficiente per l’arresto, naturalmente per i reati di “lorsignori”, cioè corruzione e concussione, mentre per i reati da strada, in genere commessi da povera gente, vige il motto di Madama Santanchè: “In galera subito, e buttare via le chiavi”).
Sono invece assolutamente contrario allo scioglimento di Forza Nuova. Per due motivi. Il primo è di principio e si rifà, come ho detto, al diritto di espressione di qualunque idea. È vero che la legge Scelba del 1952, recependo l’articolo XII delle “disposizioni transitorie” della Costituzione, vieta la ricostituzione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista e ogni manifestazione di apologia del fascismo. Questa legge era storicamente comprensibile perché uscivamo da una sanguinosa guerra civile e una ricostituzione del partito fascista a soli sette anni dalla fine del conflitto non pareva accettabile. Anche se qualche dubbio vi fu. Palmiro Togliatti era avverso alla legge Scelba perché capiva benissimo che si comincia col mettere fuori legge i fascisti e si finisce per farlo anche con i comunisti. Si apre cioè una voragine che può non aver fine. Sia come sia è una legge giustificata da quel particolare momento storico, ma non può valere per l’eternità tanto che, appunto, si richiama alle “disposizioni transitorie” della Costituzione. Ora, se le parole hanno un senso ciò che è “transitorio” deve pur avere un termine. E a 75 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale questo termine appare abbondantemente scaduto. Il secondo motivo è pratico. Una organizzazione politica, strutturata, è controllabile dalle forze di polizia, se la sciogli i suoi adepti si disperdono nella società. È in fondo lo stesso discorso del rapporto fra “mondo di mezzo” romano e la mafia propriamente detta. La mafia è una organizzazione strutturata, con boss, sottoboss, esecutori, individuati e individuabili e quindi, sol che lo si volesse, contrastabile ed eliminabile (lo fece proprio il fascismo perché un potere forte non può tollerare al proprio interno un altro potere forte). Il “mondo di mezzo” è liquido, per dirla con Vattimo, e quindi è molto difficile sapere dove stia. Può albergare ovunque, anche nella persona con cui in treno stai intrattenendo una piacevole conversazione. Non ha modi di fare per cui lo si possa individuare come delinquente. Ma le manifestazioni, in buona parte pacifiche, anche se poi strumentalizzate da una minoranza di violenti, contro il Green pass o, poniamo, contro il Tav, non sono che l’epifenomeno di una questione molto più vasta: la disaffezione o piuttosto il disprezzo di buona parte degli italiani nei confronti del sistema partitocratico. Green pass o no Tav fanno provvisoriamente da collante a questa disaffezione. Mi rifiuto di credere che il 48% dei cittadini italiani che alle recenti Amministrative hanno disertato le urne sia fascista o neofascista o anche semplicemente no vax. Sono persone che rifiutano l’attuale sistema partitocratico, in favore di una vera democrazia, e lo fanno nel modo più pacifico possibile: con il non voto. È su questo che la classe politica attuale dovrebbe riflettere invece di lasciarsi andare a facilissimi, e strumentali, crucifige di Forza Nuova o di chi per lei. Insomma la classe politica dovrebbe innanzitutto, e soprattutto, guardar dentro se stessa.