“Abbiamo solo quattro o cinque settimane al massimo per portare il cibo nelle aree montuose. L’inverno in Afghanistan arriva presto e isola molte comunità. Quando la neve inizia a scendere diventa impossibile raggiungere milioni di persone”. Ma per avere derrate da distribuire, bisogna che la comunità internazionale devolva molti più soldi al World food programme, l’agenzia dell’Onu che si occupa di assistenza alimentare. Per questa ragione, Mary-Ellen McGroarty, direttrice del Wfp in Afghanistan, ha avvertito con queste drammatiche parole, durante una conferenza da Kabul tenutasi online qualche ora prima dell’inizio del G20, che servono 200 milioni di dollari entro la fine dell’anno e altri 300 milioni per i primi tre mesi del 2022. Il Wfp si trova da mesi davanti a nuove sfide causate dalla pandemia, dal cambiamento climatico responsabile della peggiore siccità in 40 anni e dal collasso economico generale causato dal ritorno al potere dei talebani.
“La siccità dell’anno scorso, la seconda in quattro anni, ha ridotto del 40% la produzione di grano e costretto migliaia di persone a lasciare le proprie abitazioni. Ma anche il ritorno dei talebani , due mesi fa, ha spinto centinaia di migliaia di persone a lasciare tutto e cercare riparo in altre zone dell’Afghanistan”, spiega McGroarty. A oggi, secondo i dati raccolti da Wfp, sono 14 milioni, su 39 milioni di afghani, le persone che affrontano un’insicurezza alimentare acuta. Si stima che circa 3,2 milioni di bambini sotto i cinque anni soffriranno di malnutrizione molto severa entro la fine dell’anno. Senza cure e cibo immediati, almeno un milione di questi bambini rischia di morire. McGroarty, che ha appena visitato le maggiori città, ha incontrato, ad esempio, Jahan Bibi, la cui figlia di 18 mesi ha iniziato a ricevere terapie per malnutrizione acuta grave all’Ospedale regionale di Herat, dove ha portato la bambina perché non poteva più allattarla: “Stiamo vendendo tutto per acquistare cibo, ma io non mangio quasi niente. Sono debole e non ho latte per mia figlia”. Dall’inizio del 2021, il Wfp ha fornito alimenti salvavita e assistenza nutrizionale a 8,7 milioni di persone, che comprende cure e interventi di prevenzione della malnutrizione per circa 400.000 donne incinte e che allattano e per 790.000 bambini sotto i cinque anni.”Solo a settembre, sono state raggiunte circa 4 milioni di persone”, informa la direttrice. Dai sondaggi del Wfp emerge che il 95% delle famiglie non consuma abbastanza cibo, gli adulti mangiano meno e saltano i pasti così che i figli possano mangiare di più. Con il congelamento degli asset decisi per convincere i talebani a rispettare le richieste della comunità internazionale in materia di diritti umani; il contingentamento dei prelievi di denaro (200 dollari massimo a settimana); la chiusura delle banche, delle imprese e dei negozi perché sono sempre di meno coloro che possono permettersi di fare acquisti dato che il 30 per cento della popolazione ha perso il lavoro mentre i prezzi del cibo e del combustibile continuano a crescere per l’inflazione, la crisi umanitaria sta colpendo per la prima volta anche la classe media urbana e pertanto anche molti professionisti, specialmente le donne, che svolgevano lavori essenziali nell’ambito sanitario e dell’istruzione ma anche quelle arrivate nelle città per fare le collaboratrici domestiche. “Lavoro col Wfp da molti anni, ma la portata della crisi cui sto assistendo non l’ho mai vista prima”, denuncia la direttrice rivolgendosi ai leader del G20 per chiedere finanziamenti.