Il premier Mario Draghi e il suo “governo dei migliori” non sembrano ascoltare i familiari delle 43 vittime nel crollo del ponte autostradale Morandi a Genova, che li hanno esortati a non ricomprare Autostrade per l’Italia (Aspi) arricchendo ancora di più la famiglia Benetton e gli altri proprietari della società coinvolta in quel disastro. Ma, oltre alle proteste di quanti affrontano lutti dolorosi, sono trapelati dubbi di valutazione eccessiva di Aspi, che dovrà spendere somme enormi per risistemare e mettere in maggiore sicurezza la rete autostradale. I venditori vorrebbero addirittura scaricare sullo Stato gran parte dei risarcimenti per il Morandi e ingenti ristori da pandemia (dimenticando il rischio d’impresa di una società monopolista con storia di alti profitti grazie ai pedaggi generosamente aumentati da tanti governi?).
Il premier si è assunto la responsabilità dell’eventuale acquisto di Autostrade nominando al vertice della Cassa Depositi e Prestiti – la holding pubblica pronta a comprare – il fido Dario Scannapieco, uno dei “Draghi boys” da quando – negli anni 90 – il suo mentore era direttore generale del ministero del Tesoro e gran “privatizzatore”. Partecipano all’affare due fondi di investimenti privati delle multinazionali, Macquarie e Blackstone, allettate da futuri aumenti dei pedaggi imposti ad automobilisti e camionisti. Draghi rischia così di essere di nuovo considerato un “Robin Hood al rovescio”, che favorisce i ricchi e non i poveri. Anche perché fu lui, da direttore del Tesoro, a far decollare dal 2000 l’arricchimento dei Benetton, consentendogli di rilevare la quota dell’allora pubblica Autostrade a debito e con condizioni vantaggiose: nonostante i magliai di Ponzano Veneto non sembrassero i migliori gestori possibili di una mega-infrastruttura fondamentale per l’Italia.
Draghi, ricomprando Aspi a caro prezzo, ammetterebbe che fu un errore aver venduto ai privati un così importante bene dello Stato (quindi di proprietà anche dei cittadini poveri). E potrebbe riattirarsi le critiche per altre sue “privatizzazioni”, che beneficiarono finanzieri e imprenditori vicini ai governi di quegli anni. Da presidente della Bce il premier ha manifestato la tendenza da “Robin Hood al rovescio” elargendo liquidità (gratis o quasi) anche alle banche con attività speculative, che pompavano i mercati finanziari a vantaggio loro e di ricchi clienti. O quando ha condiviso con la Germania e altri Paesi Ue il salvataggio con denaro pubblico delle banche (principalmente tedesche e francesi) con esposizioni ad alto rischio in Grecia: dove masse di poveri in difficoltà furono drammaticamente abbandonate.
Le politiche dette da “Robin Hood al rovescio” sono legittime. Erano un classico di presidenti Usa repubblicani, che sostenevano perfino la finanza di Wall Street promettendo successivi effetti positivi sull’economia e sul resto della collettività. La crisi del 2008 li ha smentiti con il conto fantascientifico a carico dei contribuenti per coprire i “buchi” di banchieri e speculatori. E quei presidenti Usa almeno erano eletti. Il problema è diverso, per esempio, alla Commissione europea di Bruxelles con membri nominati dai governi, quando propone direttive e regolamenti Ue influenzati da lobby ricche e potenti. Nella stessa situazione si trovava Draghi da nominato alla Bce. E si trova ora a Palazzo Chigi, dove è arrivato senza il consenso diretto degli elettori. Pertanto, in caso di decisioni da “Robin Hood al rovescio”, dovrebbe renderle note in anticipo fin nei dettagli – con la massima trasparenza – per verificare, oltre al consenso dei partiti, anche quello dei cittadini, che poi pagano il conto.
Non c’è solo Aspi. Sono in arrivo “riforme” ispirate dai non eletti della Commissione Ue. Il ministro dell’Economia, Daniele Franco, presentando la riforma fiscale, ha ricordato l’articolo 53 della Costituzione sulle tasse progressivamente più alte per i più ricchi, che sarebbe piaciuto a Robin Hood. Ma il governo sta agendo di conseguenza? Molti cittadini, colpiti dal forte aumento della povertà, non hanno gradito gli annunci di Draghi di aiutare con la riforma fiscale “il mercato dei capitali” (cioè principalmente banchieri e finanzieri) o di garantire “per cinque anni” – anche ai proprietari di immobili con alti redditi – tasse minime sulle rendite catastali in quanto bloccate ai livelli degli anni 80. Non sarebbe più giusto investire prima maggiori risorse per potenziare il Reddito di cittadinanza come misura di inclusione sociale degli “ultimi”, di contrasto al malcostume dei lavori sottopagati e di stimolo dei consumi di beni primari non di lusso?