Un business miliardario per pochi, un pesante salasso per molti. I pochi sono i produttori e gli intermediari che vendono al pubblico i test sul Covid, rapidi e molecolari. I molti sono milioni di lavoratori non ancora vaccinati che da dopodomani, 15 ottobre, per poter lavorare dovranno sottoporsi ogni 48 ore ai test per il Covid-19, pena il taglio dello stipendio. L’obbligo di Green pass per i lavoratori non vaccinati da venerdì diventerà un affare di proporzioni gigantesche: ai valori attuali, entro fine anno, si può generare un giro d’affari da 2 miliardi. I profitti sono giganteschi: solo nell’ultimo passaggio, dai grossisti alle farmacie, il prezzo dei test quintuplica.
Dal 15 ottobre chi non si vaccinerà dovrà sottoporsi a tampone rapido ogni 48 ore, che potrebbero salire a 72 se verranno recepite le proposte di modifica avanzate da alcune forze politiche. Ma l’ipotesi di allungamento della validità del responso dei test, per parificarlo a quello dei test molecolari, per ora resta un’ipotesi. Grazie al protocollo firmato il 5 agosto dal Commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo e il ministro della Salute Speranza con Federfarma, Assofarm e FarmacieUnite, fino a dicembre i test rapidi avranno un prezzo calmierato al pubblico di 15 euro che scendono a 8 per i minorenni – gli altri 7 sono rimborsati dal Servizio sanitario nazionale –. Ogni settimana per lavorare o studiare in presenza serviranno quindi tre tamponi: la spesa pro-capite sarà di 45 euro, cioè 180 al mese o 2.100 euro l’anno, al netto di ferie e festività. Un salasso.
Il business potenziale è enorme. Non ci sono dati ufficiali sui cittadini non vaccinati. La Fondazione Gimbe stima tra i 4 e i 5 milioni gli italiani in età lavorativa privi di Green pass ai quali, per lavorare, servirebbero dai 12 ai 15 milioni di tamponi a settimana. Altre stime, più conservative, ipotizzano i lavoratori senza Green pass in 2,5 milioni circa, 250mila calcolati dal ministero della Funzione pubblica e altri 2,2 milioni nel settore privato. Con 48 ore di validità dei tamponi rapidi, in questo caso servirebbero 7,5 milioni di test alla settimana. Si può dunque ipotizzare che nel giro di qualche giorno si possa arrivare a un giro d’affari da 112,5 sino a 225 milioni alla settimana, ovvero da un minimo di 5,85 sino a 11,7 miliardi l’anno. Una spesa teorica, ovviamente, perché molti lavoratori e studenti al momento lavorano e studiano ancora da remoto e molti altri si risolveranno a vaccinarsi, spinti dai costi insostenibili dell’assenza di Green pass. Ma le cifre in ballo restano gigantesche: da qui a fine anno il fatturato dei tamponi rapidi in due mesi e mezzo potrebbe arrivare a valere tra 1,2 e 2,4 miliardi.
Questi i numeri del mercato che si spalanca davanti a tutti gli attori di una filiera che va dai colossi globali a centinaia di importatori, dai piccoli distributori locali sino alle catene delle farmacie. Del resto il business è davvero florido. Secondo Confindustria Dispositivi Medici, l’associazione dei produttori italiani, non è possibile isolare i dati sui soli test rapidi, ma l’intero mercato degli strumenti per la diagnostica in vitro del Covid, che includono test e strumentazione per indagini molecolari, per i test antigenici, per la ricerca di anticorpi e di anticorpi neutralizzanti e test rapidi – solo nel 2020 valeva 354,3 milioni e 283,3 milioni solo nei primi otto mesi del 2021. Attenzione però: si tratta delle cifre che riguardano solo i produttori nazionali e che riportano i prezzi alla produzione. Lungo il canale della distribuzione questi valori aumentano in modo esponenziale.
Secondo informazioni di mercato raccolte tra le grandi società che si occupano di distribuzione alle farmacie, la domanda di test rapidi per il Covid sta già decollando, con un incremento tra il 15 e il 20% registrato solo nelle ultime due settimane. La fascia di prezzo delle vendite di tamponi rapidi alle farmacie è compresa tra i 2 e i 4 euro a pezzo, che comprende margini molto ridotti (con un ricarico medio del 5-10%) per i distributori. Ma se si calcola un valore medio teorico di 3 euro, si può osservare che il prezzo al pubblico è quintuplicato grazie ai 15 euro calmierati pagati al farmacista in base all’accordo stretto questa estate con il governo. Le farmacie spiegano che non si tratta di puro profitto, perché per somministrare i tamponi rapidi molte si sono dotate di personale ad hoc, ad esempio di infermieri, e hanno spese per materiale di consumo, come guanti, camici e cuffie di protezione per chi raccoglie il test. Di certo, comunque, anche al netto di questi costi (che si trasformano in altro fatturato a monte), i ricarichi sono giganteschi e vanno quasi integralmente nelle tasche di farmacisti e centri di diagnostica medica, perché i medici di famiglia si rifiutano di effettuare i tamponi per il Green pass sui non vaccinati perché ritengono che si tratti di un’operazione che contrasta con la finalità scientifica del loro lavoro mirato a tutelare la salute pubblica.
Per accorgersi di quanto sia grande e lucrativo il business dei test Covid basta sfogliare i bilanci dei principali produttori. Il gigante del settore a livello globale è la svizzera Roche Diagnostics: nei primi sei mesi del 2021, in base all’ultimo bilancio disponibile e al cambio attuale, le vendite sono salite di ben 2,8 miliardi di euro, +50% su giugno 2020, con margini di profitto oltre il 25% dei ricavi totali, in controtendenza con l’intera divisione farmaceutica che ha perso il 3% dei ricavi. Anche Abbott, altro colosso Usa della diagnostica medica, ha festeggiato i tamponi Covid: solo la diagnostica rapida per il virus ha visto le vendite globali passare in un anno da 866 milioni a 3,2 miliardi di euro. Trend confermato dai dati di Thermo Fisher, altro gigante Usa della diagnostica molecolare: balzo del 50% delle vendite legate al Covid passate da giugno 2020 a giugno 2021 da 2,82 a 4,08 miliardi di euro. Nel 2020 i test hanno fatturato 5,71 miliardi, oltre il 20% dell’intero giro d’affari globale del gruppo che valeva 27,7 miliardi.
Anche i produttori italiani fanno grandi affari. In 12 mesi Diasorin ha visto esplodere i ricavi da test Covid del 108% a 185 milioni su un fatturato totale di 515 milioni. Test e tamponi hanno contribuito grandemente alla redditività, con l’utile passato da 94 milioni del primo semestre 2020 a 150 a giugno 2021. Altro grande player nazionale è Menarini Diagnostics: il Covid ha spinto i ricavi da 137 milioni nel 2020 a 214 (+56%) e l’effetto test ha fatto triplicare le vendite (+181%) a 96 milioni, quasi la metà del giro d’affari complessivo, con l’utile pre-tasse quadruplicato nel 2020 da 5,5 a 22,4 milioni. La corsa a spartirsi la grande torta è già in corso: l’aumento dei volumi di test rapidi richiesti dal mercato nazionale non farà che stimolare ulteriormente gli appetiti.