Fede e vecchiaia. I pontefici “stanchi” e il dilemma della Chiesa: verranno altri “emeriti” come B XVI?

La stanchezza dei papi. Tra problemi di salute e l’età che avanza. Ecco Benedetto XVI nell’ultimo giorno da pontefice regnante, in quello storico febbraio del 2013 che segnò la sua rinuncia al trono di Pietro: “La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi (dall’elezione nel 2005, ndr) ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. Sempre, chi assume il ministero petrino non ha più alcuna privacy. Appartiene sempre e totalmente a tutti, a tutta la Chiesa. Alla sua vita viene, per così dire, totalmente tolta la dimensione privata. (…). Il ‘sempre’ è anche un ‘per sempre’, non c’è più un ritornare nel privato”.

Papa Ratzinger aveva appena compiuto 78 anni quando venne eletto dal Conclave e ne aveva 85 quando rinunciò. Sulla sua decisione, meditata per mesi interi, pesò soprattutto la dimensione fisica, cioè il corpo di un papa anziano. Una dimensione, questa, che viene fuori con forza dal nuovo libro di Francesco Antonio Grana, vaticanista del fattoquotidiano.it: Cosa resta del papato. Il futuro della Chiesa dopo Bergoglio (Edizioni Terra Santa, 251 pagine, 16 euro).

Con il rigore tipico di chi scrive di Vaticano e Chiesa, Grana analizza con notizie inedite (per esempio: l’elenco di coloro informati anzitempo da Benedetto della sua scelta) l’istituzione bimillenaria del papato e la sua evoluzione con l’attuale coesistenza di due pontefici, il regnante Francesco e l’emerito Benedetto. Non solo. La scansione del saggio fa brillare un solidissimo filo di fede, una fede cristallina e senza ombre, che lega Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. È un aspetto, questo della fede, che di solito chi decifra “politicamente” un pontificato subordina alla linea dottrinale e quindi alle conseguenti divisioni tra conservatori e progressisti, che comunque ci sono e l’autore affronta nel capitolo finale con un’intuizione oggettivamente decisiva: Francesco ha “aperto” talmente tanti fronti al punto da scrivere anche l’agenda del suo successore.

Grana, dunque, restituisce a Ratzinger una visione intimamente cristiana lontana anni luce dall’icona clericale di destra che ne ha fatto il populismo sovranista di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Per tornare al corpo di un pontefice. I papi novecenteschi che meditarono sulle dimissioni furono Pio XII, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Scrisse papa Montini: “La tentazione della vecchiaia: riposare, godere finalmente la vita, almeno al suo tramonto, dopo d’aver imparato a conoscerla. Ma per un servitore, un servitore di Cristo, non c’è questo riposo. Tanto meno per me, ‘servo dei servi di Dio’. ‘Amò fino alla fine’. Ma dove le forze? Dove la chiarezza di giudizio? Dove il gusto d’agire?”.

E allora: la figura del papa emerito sarà la norma o l’eccezione nel futuro della Chiesa? E come codificarla? Grana ricorda che da papa appena eletto, Francesco si rivolse a Benedetto XVI come “vescovo emerito di Roma”. In seguito si corresse e lo appellò come “papa emerito” paragonato a “un nonno saggio”. Avremo altri nonni saggi nella Chiesa? Per papa Bergoglio probabilmente sì: “Penso che il papa emerito non sia un’eccezione”.

 

Non demolite il teatro storico, memoria dei caduti in guerra

Cosa significa, in pratica, che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura” (come afferma solennemente la prima parte del primo comma dell’articolo 9 della nostra Costituzione)? Una risposta viene da un brano dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci (morto prima della Liberazione, ma presente nella Carta come “costituente ombra” grazie alla forza delle sue idee): “Servizi pubblici intellettuali: oltre la scuola, nei suoi vari gradi, quali altri servizi non possono essere lasciati all’iniziativa privata, ma in una società moderna, devono essere assicurati dallo Stato e dagli enti locali (comuni e province)? Il teatro, le biblioteche, i musei di vario genere, le pinacoteche, i giardini zoologici, gli orti botanici, ecc. È da fare una lista di istituzioni che devono essere considerate di utilità per l’istruzione e la cultura pubblica e che tali sono infatti considerate in una serie di Stati, le quali non potrebbero essere accessibili al grande pubblico (e si ritiene, per ragioni nazionali, devono essere accessibili) senza un intervento statale. È da osservare che proprio questi servizi sono da noi trascurati quasi del tutto: tipico esempio le biblioteche e i teatri. I teatri esistono in quanto sono un affare commerciale: non sono considerati servizio pubblico”.

Questo nesso intimo tra i teatri e la costruzione di una identità nazionale basata sulla cultura è rappresentato in modo mirabile nella storia del Teatro di Gambassi Terme, in provincia di Firenze.

Progettato nel 1920 e inaugurato nel 1927, quel teatro fu pensato come un monumento per i caduti della Grande Guerra. Non la solita stele, targa, o statua (in genere assai brutta): ma un teatro! Il geniale presidente della “Filarmonica e Pro Cultura Gioacchino Rossini” convinse il Comune a partecipare alle spese (era il 1926) sottolineando “l’utilità della casa di cultura, la quale ha lo scopo magnifico di emancipare i figli del popolo, che sono poi quelli dei caduti alla cui memoria si dedica la ‘Casa’: a differenza della erezione dei soliti monumenti, i quali non portano alcun contributo materiale ai figli di coloro che si immolarono per la Patria, ma spesso non sono altro che un oltraggio all’arte italica che tanti storici e magnifici monumenti eresse nelle cento città italiane”.

Il Comune si convinse, e il pavimento della sala ha al centro una grande stella, simbolo antichissimo d’Italia: dunque, un teatro che è insieme un monumento ai caduti! Divenuto Casa del Fascio nel Ventennio della nostra vergogna, e poi Casa del Popolo dopo la Liberazione, con la fine della politica l’edificio storico è stato lasciato andare in rovina: e ora rischia ora di diventare una Casa dell’Oblio.

Il 22 luglio scorso, infatti, la giunta comunale ha approvato un progetto esecutivo (per l’importo di 1.162.000 euro) che prevede non il recupero del teatro-monumento dei caduti della Prima guerra mondiale, bensì la sua demolizione e la costruzione al suo posto di un nuovo edificio (brutto, se non orribile, ma ovviamente “polifunzionale”).

Come spesso succede in questo nostro strano Paese, a una politica senza cultura e senza memoria si oppone una parte attiva e consapevole della cittadinanza: così il primo settembre scorso si è costituito un comitato “Salviamo il Teatro di Gambassi” che sta cercando da una parte di ricondurre l’amministrazione comunale alla ragione, dall’altra di indurre la Soprintendenza a fare il suo dovere, vincolando un monumento storico che ha un secolo di vita e un nesso genetico innegabile con la memoria della Grande Guerra (e in quanto tale è esplicitamente difeso dal comma 2 dell’articolo 50 del Codice dei Beni Culturali).

Sarebbe un errore madornale pensare di tutelare quel monumento salvando solo i segni leggibili della sua funzione memoriale (per esempio staccando e conservando la stella sul pavimento): perché l’idea meravigliosa e carica di futuro, l’idea che oggi va tutelata, è che fosse il teatro – cioè la cultura, il “servizio pubblico intellettuale” – il vero monumento a quella generazione massacrata dall’inutile strage della guerra. Un monumento vivo e animato, capace di far crescere una generazione convinta di quel ripudio della guerra cui si arriverà, finalmente, con la Costituzione repubblicana.

I teatri, lo sappiamo, hanno un rapporto intimo con i parlamenti: per la loro funzione, per la loro stessa forma. Come dimostra l’allarmante dato dell’affluenza alle urne nelle ultime elezioni amministrative, oggi non sappiamo più cosa farcene dei parlamenti: tanto ci sono i Migliori calati dall’alto a decidere per tutti noi poveri minori. Noi che dobbiamo (non “possiamo”: dobbiamo) fidarci, in una drammatica regressione all’antico regime dei sovrani che pensavano per tutti – cioè per loro stessi. Salvare almeno i teatri – la loro funzione politica, la loro dimensione comunitaria – è un atto di speranza nella possibilità di tornare a credere anche nei parlamenti.

“Che angoscia il nuovo partito del Vaffa: senza Grillo, chi lo domerà?”

“Penso che stia nascendo un nuovo, incontenibile partito del vaffa”.

Il partito del vaffa?

E la novità drammatica è che abbiamo perso anche Grillo. A differenza di ieri, oggi non c’è nessuno che governi questa massa di senza partito, questo esercito di mutilati della democrazia, di gente che non vota, non ascolta, non parla.

Maurizio De Giovanni, tutte le democrazie occidentali soffrono di un astensionismo alto. E solo negli Stati autoritari vota il novanta per cento degli elettori.

Vero. Ma negli Usa le piazze, se non le urne, sono state occupate dal movimento imponente “Black lives matter”, una grande dimostrazione di impegno civile. E in Francia i gilet gialli, e altrove altre mille, magari disordinate, espressioni collettive di opposizione. Ma qui da noi cosa c’è? Il deserto.

Da noi c’è Forza Nuova che ha messo a ferro e fuoco Roma capeggiando la rivolta dei no green pass.

E mica sono movimenti questi? Sono mazzieri fascisti. È violenza applicata alla politica. Sono professionisti che utilizzano ogni possibile espediente per menare le mani. Ma il popolo degli astenuti dov’è? Questo grande esercito di scontenti e di sconnessi dove sono? E soprattutto cosa c’entra con i fascisti?

A proposito, pensa che la Meloni pagherà pegno?

Io credo di no. Zero spaccato. Anzi, se posso aggiungere non solo non pagheranno pegno né per i disordini e né per le rivelazioni sulle amicizie pericolose. Incolperanno, come hanno già fatto, i giornalisti di essere degli spioni. Ho sentito un deputato di Fratelli d’Italia che usa la parola vigliaccheria. “Siamo vittime della vigliaccheria altrui”. S’è infiltrato dentro di noi il cronista vigliacco per farci del male, capisce?

Ma ora Forza nuova, dichiaratamente fascista, assalta la sede della Cgil.

Giorgia Meloni non impiegherà tre secondi per dissociarsene. È evidente. E nessuno del resto può imputare al suo partito le violenze. Ma certo i mazzieri, questi fascisti, rappresentano l’area più contigua, diciamo fisicamente più vicina, alla destra parlamentare. La topografia politica è ineludibile. Ed è un altro fatto la considerazione che da decenni non si leggono di imprese simili di forze che si ispirano al comunismo. Dovrebbe dire qualcosa.

Lei dunque non teme le scorribande della destra ma l’avanzata del partito del vaffa.

Io sono impressionato dalla assoluta inconsistenza dell’attenzione che si è rivolta a un fenomeno così macroscopico. Ma capiamo quale sarà il prossimo passo? Che la democrazia traslocherà in un campetto di periferia. Minoranze sempre più minoritarie che si fronteggiano. E questi che non votano più? Chi parla a costoro?

Prima era Grillo.

Ecco, Beppe Grillo ha avuto l’incontestabile merito di aver governato questa rabbia ora dissociata, ora taciuta e inespressa. E ha detto loro: sarò io la vostra voce. Oggi non può più dirlo e quel popolo di frustrati, di gente che non crede, non vuol più pensare, non ha tempo e voglia per scegliere, cosa farà?

Cosa farà?

Lei avrebbe mai immaginato che la Cina potesse divenire liberista e l’America protezionista? Avrebbe mai creduto possibile che quasi la metà dei Paesi europei chiede il muro? Uno sterminato muro contro il sud del mondo? Sa cosa significa?

Che in Italia le destre avranno ancora più fiato.

Esatto. Salvini e Meloni festeggiano. Meglio di così non può andargli. Il muro lo hanno chiesto gli altri, e dunque perché l’Italia, Paese frontaliero, dovrebbe dispiacercene?

Sembrava fino a due giorni fa che la sinistra avesse vinto le amministrative.

Amiamo la realtà istantanea, il click del momento. Ma poi si patisce l’effetto ottico. Quando a Napoli, la mia città, oltre la metà degli elettori rifiuta di scegliere persino il sindaco, la figura in assoluto più rappresentativa e collegata all’umore della società, allora qualcosa di grave, temo di irrimediabile, si manifesta. E il fatto che si finga di non accorgersene mi mette un po’ di angoscia.

La sai l’ultima?

 

Pisa A Buti, Buti batte Buti. Si sfidano due donne con lo stesso nome della città

Elezioni mozzafiato a Buti, in Toscana: vince di misura la candidata Arianna Buti di centrosinistra sulla candidata Monia Buti di centrodestra. Riassumendo: a Buti, Buti batte Buti. “Arianna Buti – scrive Repubblica – è la nuova sindaca di Buti, in provincia di Pisa. Un primo cittadino col nome del comune che amministra è già un fatto curioso, se poi si aggiunge che sulla scheda elettorale anche la sfidante si chiama Buti, sembra di essere nel famoso sketch di ‘Rieducational Channel’ di Corrado Guzzanti”. Invece è politica vera, altissima. Le due Buti di Buti peraltro non sono parenti, pare infatti che in quel di Buti il cognome Buti sia parecchio frequente. “È stato curioso avere due Buti alle urne – prosegue la Buti vincitrice, Arianna – ma fortunatamente non ci sono stati errori da parte di nessuno. Solo qualche battuta che ci sta. Poi siamo finiti sui social e in televisione per questo caso di omonimia ma i butesi non si sono confusi”. Ora l’obiettivo è dimostrare che i politici non sono tutti uguali.

 

Lecce Come una tartaruga in tangenziale: una testuggine scappata da un agriturismo va a spasso sulla provinciale

La trasposizione urbana della fiaba di Esopo della lepre e della tartaruga prende forma in Salento, tra Alessano e Tricase. In verità la lepre non c’azzecca niente: c’è solo la testuggine. Una tartaruga gigante africana che è stato avvistata, paciosa paciosa, a passeggio sull’asfalto della strada provinciale leccese. “È accaduto in Salento – scrive La Zampa.it – sotto lo sguardo incredulo di alcuni automobilisti, in transito nella zona in quei minuti. Un esemplare – tra le specie più grandi al mondo – che camminava tranquillamente sulla carreggiata. Alcuni presenti sono riusciti a registrare alcuni video, diventati in pochissimo tempo virali sui social. Si vede l’animale percorrere sia la strada asfaltata che camminare lungo il terreno che costeggia la carreggiata, vicino ai muretti a secco. La tartaruga di terra gigante, si è poi scoperto, risulterebbe legalmente detenuta in un agriturismo della zona. È stata quindi recuperata e restituita ai legittimi proprietari”.

 

Distopie La parola più cercata su Bing (il secondo motore di ricerca più famoso del mondo) è “Google”

Triste notizia per i cultori del pluralismo dell’informazione e i sostenitori delle virtù del libero mercato. La parola più cercata su Bing – il secondo motore di ricerca più famoso al mondo dopo Google – è “Google”. Per chi si stia chiedendo che roba sia Bing, eccolo spiegato bene dal Post: “È il motore di ricerca di proprietà di Microsoft: è stato introdotto nel 2009 ed è attualmente utilizzato soprattutto da chi ha un computer con Windows. Bing è infatti il motore di ricerca predefinito all’interno di Microsoft Edge, il browser installato di default su Microsoft”. Insomma, le poche volte che qualche essere umano si è imbattuto in questo altro alieno motore di ricerca, magari perché già impostato sul computer aziendale o su un pc nuovo, è andato subito a ricercare il fratello maggiore. Un po’ come trovare aperta la porta della propria gabbia e chiudersi dentro a chiave. Indovinate chi ha tirato fuori la statistica sulle ricerche di Bing (per usarla come argomento in tribunale)? Google, of course.

 

Visioni La mitologica Dazn trasmette per 15 minuti “Forum” al posto della partita amichevole della Juventus

La saga di Dazn raggiunge livelli di intrattenimento oggettivamente straordinari. L’ultima prodezza della pay-tv ha qualcosa di poetico: sabato mattina, invece di trasmettere come previsto la (non irresistibile) partita amichevole della Juventus contro l’Alessandria, sul canale di Dazn è andata in onda per 15 minuti una puntata di Forum di Barbara Palombelli, trasmesso alla stessa ora su Canale 5. “Non bastavano le rotelline, i black out, le preoccupazioni dei presidenti che hanno necessità di fornire numeri certi sugli ascolti agli sponsor, l’intervento dell’Agcom che ha imposto a Dazn lo stop ai malfunzionamenti e un report da consegnare entro trenta giorni”, ricorda il Corriere della Sera. Un danno serio, visto che il desiderio di assistere a una partita del genere è associabile a una dipendenza patologica dal calcio. La povera Dazn si è difesa “imputando a Ei Towers l’errore: la società che distribuisce il segnale ha sbagliato il feed da inviare”. Comunque ha vinto la Juventus.

 

Avellino “Mi hanno rubato la borsa!”, pronto intervento della polizia, ma la signora aveva solo sbagliato armadietto

Notizie di un certo livello da Avellino, grazie al prezioso contributo di Avellino Today: “Singolare intervento delle Volanti presso una nota struttura sportiva di Avellino, a seguito di richiesta di una 40enne che aveva denunciato la sottrazione della propria borsa, contenente documenti, carte di credito e la somma di 900 euro, dall’interno di uno degli armadietti, che aveva trovato aperto, pur essendo stato da lei regolarmente chiuso con catenaccio. La rapidissima indagine degli agenti, con l’apprezzabile collaborazione del titolare della struttura sportiva, portava al rinvenimento della borsa, con tutto il suo contenuto, e alla restituzione alla signora. Venivano infatti aperti e ispezionati tutti gli armadietti e in uno di essi veniva rinvenuta la borsa. La signora, evidentemente, aveva dimenticato in quale armadietto aveva custodito la sua borsa”. Quando si va in giro con 900 euro nel portafogli, sarebbe importante memorizzare bene.

 

Tik Tok Diventa virale il video del gatto murato vivo in bagno per sbaglio (e liberato dopo poche ore)

Non era un’esecuzione mafiosa ai danni di un felino, ma un’inquietante distrazione edile: durante la ristrutturazione di un appartamento, un gatto è stato tombato all’interno di una parete. Ma poteva andare peggio. Lo scrive La Zampa: “Giovanna, la proprietaria del gatto che ha raccontato l’incredibile vicissitudine su TikTok, non vedeva da qualche ora il suo micio nero. Poi ne ha riconosciuto il miagolio che proveniva da dietro il muro del bagno: il gatto era rimasto intrappolato dietro al muro quando, durante una disattenta ristrutturazione, è rimasto chiuso in un’intercapedine bloccata dalle piastrelle. ‘Da luglio – racconta Giovanna – la nostra casa è in ristrutturazione. Non c’era nulla che chiudesse il muro e il mio gatto ha iniziato a usarlo come nascondiglio. Quando la piastrella è stata fatta ieri, mio ​​padre e io ci siamo dimenticati che il gatto fosse lì dentro’”. La tortura felina è durata poche ore, le comprensibili lamentele della bestia hanno favorito una liberazione tempestiva. E i padroni hanno capitalizzato su Tik Tok.

 

Macerata “I drink costano troppo”, un 26enne chiama i carabinieri per protestare ma poi finisce in manette

Eroi contemporanei: va al night club, si ubriaca, si incazza perché ritiene che i drink costino troppo, chiama i carabinieri, di fronte ai quali inizia a mettere in mostra una lucidità non ineccepibile (proprio per via dei drink pagati troppo), li aggredisce e si fa arrestare. “Insoddisfatto del servizio al night – scrive il sito Cronache Maceratesi – un 26enne indiano dà in escandescenza, inveisce anche contro i carabinieri e ne spintona uno che riporta un trauma a una spalla: arrestato”. Questo genio della scena notturna marchigiana è purtroppo finito agli arresti domiciliari. C’è un dettaglio quasi commovente: “A chiamare i carabinieri era stato proprio lui dopo aver iniziato a piantar grane con il personale e ad inveire perché insoddisfatto del servizio. Lamentava di aver pagato troppo le consumazioni e pretendeva la restituzione della somma e l’acquisizione delle immagini di videosorveglianza”. Per riuscire a placarlo, si legge, “è dovuta intervenire una seconda pattuglia”. L’avrà pagata parecchio, ma che serata indimenticabile.

E il ministro Giorgetti va da Bin Salman

Le bombe sui civili in Yemen, un giornalista fatto a pezzi in un’ambasciata e i diritti umani sistematicamente violati non sembrano essere un problema per i politici italiani. E così, dopo la conferenza a pagamento di Matteo Renzi a gennaio con tanto di elogio al nuovo “rinascimento saudita”, ora anche il vicesegretario della Lega e ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti a inizio novembre volerà in Arabia Saudita per incontrare il principe Mohammad bin Salman. Una visita istituzionale ma anche d’affari. La notizia del faccia a faccia tra Giorgetti e bin Salman è stata rivelata ieri da Repubblica e, a quanto risulta al Fatto, servirà a rafforzare i rapporti commerciali tra Italia e Arabia Saudita: Riad già oggi è un importante partner commerciale del nostro Paese e secondo il rapporto dell’ufficio studi della Sace di settembre, l’export del Made in Italy verso l’Arabia Saudita nel 2021 crescerà del 9,6%. A questo si aggiunge un ricco piano di investimenti voluto da bin Salman nei settori delle infrastrutture, costruzioni e delle apparecchiature sanitarie in cui le imprese italiane giocheranno un ruolo importante. Progetti che rientrano nel piano “Vision 2030” con cui bin Salman sta tentando di modernizzare il Paese agli occhi dell’Occidente.

La visita con bin Salman rientra in un viaggio d’affari che Giorgetti inizierà il 6 novembre nei paesi del Golfo Persico. Prima volerà a Dubai dove incontrerà esponenti del governo locale e visiterà l’Expo 2020 dove sfilano oltre 50 aziende italiane, poi si sposterà ad Abu Dhabi e l’8 novembre volerà a Riad per incontrare bin Salman. Il viaggio di Giorgetti – che si concluderà in Qatar e Kuwait – serve a tessere una rete di relazioni con i paesi del Golfo e permettere l’ingresso delle imprese italiane in quei mercati. Difficile quindi che il numero due della Lega ricordi al principe l’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi – ucciso il 2 ottobre 2018 nel consolato arabo a Istanbul su mandato proprio di bin Salman – né i diritti umani violati in Arabia Saudita: secondo Amnesty ancora oggi a Riad non è garantita la libertà di espressione, la pena di morte è ancora molto frequente e i diritti delle donne sono inesistenti. Giorgetti e bin Salman invece potranno parlare di calcio e delle loro squadre del cuore: il vice di Salvini è tifoso del Southampton mentre il principe saudita ha appena acquistato il Newcastle per un valore di 360 milioni di euro tramite il Fondo per gli Investimenti Pubblici saudita. Un affare che non è piaciuto ad Amnesty e alla compagna di Khashoggi Hatice Cengiz che hanno protestato contro la Premier League. Ma quello in Medio Oriente non sarà l’unico viaggio internazionale di Giorgetti. Dal 18 al 24 ottobre volerà negli Stati Uniti per incontrare la segretaria al Commercio dell’amministrazione Biden Gina Raimondo e i dirigenti delle principali aziende italiane negli Usa tra cui Giuseppe Bono di Fincantieri. Un modo per accreditarsi anche all’estero.

Dopo gli arabi, pure i russi: Renzi fa affari con le auto

Un’altra società, stavolta in Russia. Gli affari privati del senatore Matteo Renzi non conoscono confini e guardano soprattutto verso Est. Dopo gli incarichi con l’Arabia Saudita del principe Mohammad bin Salman – considerato dalla comunità internazionale il mandante dell’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi – stavolta l’ex premier entra nel consiglio d’amministrazione della più importante società di car sharing in Russia, Delimobil, che si sta preparando alla quotazione alla borsa di Wall Street.

È di nuovo una scelta lecita: il mandato non è incompatibile con quello da senatore. Il trattamento economico non è noto, la risposta è quella a cui lo staff di Renzi si affida in queste circostanze: “Il compenso diventerà pubblico con la dichiarazione dei redditi”. Sempre che sia possibile distinguerlo tra i gettoni accumulati da Renzi negli altri advisory board in giro per il mondo.

La circostanza dell’incarico all’ex premier è emersa dai documenti resi pubblici da Delimobil in vista della quotazione (in Italia il primo ad accorgersene è stato il giornalista del Tg5 Luigi De Biase su Twitter). La società, che detiene circa il 30% del mercato del car sharing russo, ha sede in Lussemburgo ed è stata fondata da un imprenditore napoletano, Vincenzo Trani, ovviamente ben noto al Cremlino (ma apprezzato anche in Bielorussia: il presidente Lukashenko lo ha nominato console onorario a Napoli nel 2009) e influente nelle relazioni commerciali sull’asse Italia-Russia.

Trani ha iniziato la sua carriera nella galassia finanziaria della Federazione trasferendosi a Mosca nel 2000. “Il gruppo finanziario che fa capo a Vincenzo Trani – si legge in una documentata inchiesta del collettivo di giornalismo investigativo Irpi Media – è distribuito tra Lussemburgo, Russia, Italia e Svizzera. Tra le centinaia di società con cui ha relazioni commerciali, alcune sono state indagate in procedimenti molto recenti: le inchieste sui 49 milioni della Lega, l’affaire Metropol, gli investimenti spericolati del Vaticano e la cartolarizzazione di crediti delle aziende sanitarie. Né Vincenzo Trani, né il suo gruppo sono nominati né tantomeno indagati in queste vicende”.

È inoltre noto per aver fondato la finanziaria di microcredito Mikro Capital, cui fa capo Delimobil, è presidente della Camera di commercio Italia-Russia ed è il primo italiano ad essersi vaccinato con il siero russo Sputnik-V, di cui è stato il principale sponsor per la diffusione e produzione in Italia (poi bocciata dall’Ema).

L’incarico del Renzi privato nella società di un imprenditore che non si può certo definire distante dagli interessi della diplomazia putiniana, potrebbe creare qualche imbarazzo al Renzi pubblico, enfaticamente europeista e filo atlantico. Ma la bilancia degli interessi renziani ormai pende sempre più chiaramente verso la dimensione imprenditoriale. Nel comunicato diffuso dell’ex premier si sottolineano la nazionalità italiana di Trani, la sede lussemburghese della società e la quotazione negli Stati Uniti: “Il senatore Matteo Renzi è molto felice di collaborare all’attività della società Delimobil il cui socio di riferimento, Vincenzo Trani, è un imprenditore napoletano che Renzi stima. La prossima quotazione a Wall Street rappresenta una fase di internazionalizzazione importante a livello globale. Il senatore Renzi, da sempre convinto dell’importanza di valorizzare le competenze degli imprenditori italiani in tutto il mondo, sarà al fianco del dottor Trani in questa sfida”. Nel prospetto pubblicato da Delimobil sono citate “le investigazioni in corso su Renzi da parte degli uffici dei pubblici ministeri di Roma e Firenze”. Si tratta dell’indagine per finanziamento illecito e false fatturazioni per il documentario prodotto da Lucio Presta “Firenze Secondo me”. In caso di condanna, Renzi dovrà lasciare il board.

Per la Meloni la matrice nera dei violenti “non è chiara”

Non le sono bastate le immagini degli esponenti di Forza Nuova che assaltavano la sede della Cgil per parlare di “fascismo”. Dopo giorni in cui Giorgia Meloni era riuscita con difficoltà a prendere le distanze dai nostalgici dentro il suo partito, ieri la leader di FdI da un lato ha espresso solidarietà alla Cgil ma dall’altro non è riuscita a parlare di “fascisti” descrivendo gli aggressori come “quattro imbecilli”: “La matrice non la conosco” ha detto da Madrid dove ha partecipato al congresso del partito di ultradestra spagnola e neofranchista Vox. E ancora: “Non so quale fosse la matrice, sarà fascista, non sarà fascista non è questo il punto. È violenza e squadrismo e vanno combattuti sempre”. Poi Meloni ha spostato l’attenzione sugli scontri, accusando la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese (“è inadeguata”): “La gestione della sicurezza pubblica è stata ridicola. Qualcuno deve assumersi la responsabilità di conoscere nomi e cognomi delle stesse persone che fanno sempre le stesse cose e sono sempre libere di farle”. FdI chiede un’informativa di Lamorgese in Parlamento, la Lega le dimissioni. A Meloni rispondono fonti del Pd che le chiedono di firmare la mozione dem per lo scioglimento di Forza Nuova: “Se non sa chi siano gli esponenti di FN arrestati, glielo spieghiamo noi: sono i capi di una organizzazione fascista”. Poi il segretario Enrico Letta attacca: “Meloni ha detto una frase infelice. La matrice è fascista”. “Invito Meloni e Salvini a non alimentare ambiguità” gli fa eco il leader M5S Giuseppe Conte. Il capogruppo di FdI Francesco Lollobrigida ha partecipato alla manifestazione della Cgil ma ha parlato di “pochi violenti”. Salvini invece si dice “anti-fascista e anti-comunista” e annuncia che la Lega non sarà in piazza sabato con la Cgil.

E Concita smascherò le radici della violenza: “Il populismo grillino”

Terrore e raccapriccio: squadracce parafasciste mettono a ferro e fuoco il centro di Roma. Ma da dove arriverà tutta questa violenza, dove sono le radici del male? Vuoi mica vedere che nasce tutto dal germe grillino? La soluzione è nelle raffinate analisi antropologiche di Concita De Gregorio e nelle timide espressioni di sconcerto di David Parenzo, conduttori di In Onda, il talk serale di La7.

Ad aprire la trasmissione di sabato è proprio un funereo incipit parenziano, in versione decisamente più pallida rispetto ai baccanali radiofonici della Zanzara: “I fatti gravissimi di Roma ci costringono purtroppo a cambiare la scaletta: avremmo voluto parlare di populismo, invece dobbiamo raccontare quel che succede a Milano e Roma”. Scorrono le immagini dell’assalto alla Cgil, Parenzo e De Gregorio cercano un’improbabile alchimia completando l’uno le frasi dell’altra. Concita inorridisce per un dettaglio insopportabilmente volgare: “Questo signore con le ali tatuate sulla schiena diventa un po’, come dire…”. Il turbamento è troppo, la soccorre Parenzo: “Uno dei simboli della protesta… ci riporta a Capitol Hill, a Washington”. De Gregorio: “Infatti, l’uomo con le ali tatuate ricorda altri personaggi, altri assalti”.

È tutto un grande magma populista, dagli Stati Uniti a Giuliano Castellino, violenze su violenze. Ma bisogna andare ancora a ritroso, bisogna scavare nella genesi di questo fenomeno. Ed ecco il capolavoro: il secondo blocco della trasmissione si apre con Beppe Grillo. Proprio lui: l’ondata populista, come un unico grande filo nero che unisce i destini traballanti delle democrazie occidentali, inizia col Movimento Cinque Stelle. Il video mostra il Grillo dei tempi che furono, quello sbraitante e ipercinetico della grande manifestazione di San Giovanni del 2013: “Arrendeteviii! Siete circondatiii!”. Oggettivamente spaventoso. Poco conta che alla storia del M5S – qualsiasi cosa se ne voglia legittimamente pensare – tutto si possa attribuire tranne che la promozione o l’attuazione della violenza fisica (se si escludono le non edificanti aggressioni, sempre verbali, per lo più ai giornalisti). Si ricorderà anzi che Grillo, nel 2013, rinunciò a una manifestazione contro la rielezione di Napolitano al Colle proprio perché avvisato del rischio di scontri e tensioni.

Invece nella suggestiva ricostruzione di La7, i 5Stelle sono proprio all’origine dell’onda-orda populista – cavalcata poi dai Trump e dai Salvini – che si allunga fino alla battigia delle violenze no-vax. Contro ogni realtà fattuale. Unico controcanto è la presenza di Luciano Canfora: “Quando c’è stata la vampata dei 5Stelle, hanno intercettato uno scontento ormai incontenibile e senza princìpi che si rifugiava nel non voto. Usare la parola populismo in senso dispregiativo è sbagliato, non significa nulla”.

Ieri, al riparo dalle fantasie della rete di Cairo, Giuseppe Conte ha annunciato l’adesione del M5S alla manifestazione della Cgil di sabato e condannato le violenze fasciste. Ignaro di guidarne i precursori.

La Cgil tiene duro, ma i 4 milioni senza paga sono un guaio

La Cgil ha risposto immediatamente all’attacco squadrista di Forza nuova di sabato. Ieri è stata la giornata dell’orgoglio sindacale, democratico e antifascista con il presidio davanti alla sede nazionale di Corso Italia, a Roma, gremita di iscritti e simpatizzanti, e destinazione del supporto politico da parte del centrosinistra. Non sono stati però solo Enrico Letta e Giuseppe Conte a portare il proprio saluto, ma addirittura il candidato sindaco della destra romana, Enrico Michetti, gaffeur d’eccezione quando si tratta di dimostrare i propri rapporti con l’ebraismo (si vedano le dichiarazioni sui banchieri e la lobby ebraiche).

Giornata di orgoglio, con manifestazioni analoghe in tutta Italia e un discorso di Maurizio Landini che ha voluto inviare un messaggio chiaro, anzi due: il “lavoro non ha paura” e la politica sia “conseguente”. Dopo le condanne degli assalti fascisti devono seguire i fatti, leggi lo scioglimento di forze che si richiamano esplicitamente al fascismo, come da dodicesima disposizione transitoria della Costituzione. Da qui l’organizzazione di una manifestazione nazionale, insieme a Cisl e Uil, per sabato 16 ottobre, dichiaramente antifascista, ma che sarà utilizzata anche per ribadire la volontà del sindacato di dire la propria nella fase di ricostruzione post-pandemica contrassegnata dall’utilizzo dei fondi europei del Pnrr e dal varo di numerose riforme sociali.

Fin qui, quindi, la reazione alla manifestazione di sabato e allo shock rappresentato da un’occupazione fascista della Cgil che rinvia immediatamente agli albori del ventennio fascista, quello vero.

Ma questo quadro non fa venire meno il problema sollevato da chi, in piazza, fascista non era e che potrebbe ripresentarsi sotto altre forme venerdì 15 ottobre quando il Green pass sarà operativo sui luoghi di lavoro. Se la rabbia e la reazione manifestatesi sabato si ripeteranno anche sui posti di lavoro che succederà nelle fabbriche e nelle aziende? Secondo i calcoli della Cgil sono 4 milioni i lavoratori non vaccinati, mentre in Confindustria si parla di circa 3 milioni “probabilmente in maggioranza del Pubblico impiego”. Le cifre esatte non le conosce nessuno, ma il sindacato di Landini invita comunque a scindere la vicenda dell’assalto, con la sua carica simbolica e strumentale, studiata a tavolino da un’organizzazione fascista, e il disagio che si è manifestato in piazza. Il numero alto di manifestanti insieme a quello di lavoratori non vaccinati induce a non sottovalutare la situazione che invece “va affrontata”, si ragiona in Corso Italia. Landini è stato il primo a porre il problema ricevendo così anche l’accusa di essere filo-no vax. Ma non tutti quelli che non si sono vaccinati sono ascrivibili ai no vax, come ha anche dimostrato un’inchiesta pubblicata dal Fatto quotidiano. “Per questo la Cgil aveva posto il problema e chiesto una certa flessibilità, magari con tamponi gratuiti e non a carico dei lavoratori” è la riflessione che si fa in casa sindacale. Anche in Cisl dove il segretario Luigi Sbarra ricorda che “un accordo” con il sindacato sarebbe stato utile, invita a non sottovalutare quello che potrebbe accadere il 15, quando molti lavoratori potrebbero non avere la vaccinazione e quindi mettere a rischio la produzione.

In Confindustria si dicono convinti che “non sarà la mancanza di Green pass che metterà in difficoltà il ciclo produttivo”, mentre in Cgil si sottolinea che tre o quattro milioni di lavoratori non vaccinati in una struttura produttiva fatta soprattutto di piccole e piccolissime aziende qualche problema potrebbe porlo.

La situazione, tra l’altro, mette in evidenza che la campagna vaccinale nei luoghi di lavoro, tanto enfatizzata sia da Confindustria che dal commissariato di Figliuolo, non sembra sia mai decollata. Numeri non ce ne sono e le varie strutture fanno fatica a fornirli, ma già questo fa capire che l’obiettivo non è stato centrato. E quella opportunità avrebbe potuto consentire di realizzare campagna mirate sui posti di lavoro e una sensibilizzazione più efficace di quanto possa aver prodotto l’istituzione del Green Pass.

I fascisti di Forza Nuova in galera. Processo al Viminale “spiazzato”

Questura di Roma e Viminale finiscono sotto accusa per l’assalto alla Cgil, guidato da fascisti pregiudicati sfuggiti ai radar, e l’assedio prolungato a Palazzo Chigi. Si preparano regole più rigide per l’ordine pubblico, tutti pensano che siamo solo all’inizio: piazze meno centrali e meno spazio ai cortei non preavvisati, che per diverse settimane erano stati contenuti e sabato no. Nella notte dopo gli scontri gli arresti sono saliti a dodici, poi a tredici. Decapitata Forza Nuova: ci sono anche il leader romano Giuliano Castellino, il sorvegliato speciale meno sorvegliato della storia, e quello nazionale, Roberto Fiore, una lunga storia da Terza Posizione alle fortune londinesi. Entrambi erano nel gruppo, un migliaio di persone, giunto alla sede del sindacato in Corso Italia. Arrestati anche Luigi Aronica detto Er Pantera, 65 anni, già militante dei Nuclei armati rivoluzionari e rapinatore; l’emergente Pamela Testa, 39 anni, che aveva firmato il preavviso per piazza del Popolo; Biagio Passaro, ristoratore modenese, brand manager del franchising Regina Margherita Group, il volto più noto di “IoApro” fin dal lockdown, uno che ha incontrato anche Matteo Salvini e Vittorio Sgarbi e sabato si è aggregato compiaciuto, con tanto di diretta Facebook, all’invasione dei locali Cgil. I superstiti di Forza Nuova rivendicano, la questura conta 38 feriti e fa sapere di aver controllato oltre 600 manifestanti venuti a Roma dal Nord su 5 pullman, 50 minivan e moto.

Sempre nella notte decine di estremisti hanno tentato l’assalto al pronto soccorso del Policlinico Umberto I dove era ricoverato un loro amico 55enne, che era andato a farsi medicare dopo gli scontri ma non voleva sottoporsi al triage. Feriti due infermieri tra cui una donna e due agenti.

Sabato la polizia è stata colta di sorpresa, piazza del Popolo si è riempita più del solito. Diecimila per la questura, forse il doppio, Non è bastato offrire il consueto sfogatoio verso il Flaminio e Prati, né respingere centinaia di persone che cercavano di andare verso Palazzo Chigi da via del Babbuino. Nel frattempo in migliaia sono saliti su per il Pincio e Villa Borghese e tra loro c’erano i leader di Fn. Poi il grosso è tornato giù per via Veneto – dove c’è l’ambasciata americana e da lì si scende verso Palazzo Chigi e Montecitorio – e una parte ha imboccato Corso Italia fino alla Cgil. “Non abbiamo pensato che potesse essere un obiettivo, i potenziali obiettivi erano tanti e le forze limitate”, confida un funzionario. Ancora ieri c’era solo una macchina della polizia lì davanti, insieme a militanti del sindacato. I Servizi non avevano avuto sentore di un piano: “È stata un’iniziativa decisa sul momento”, dicono nell’intelligence. Resta il problema Castellino: i sorvegliati speciali di altri ambienti difficilmente hanno tanta libertà, ma si deve più alla magistratura che alla polizia.

La destra di governo (Matteo Salvini) e d’opposizione (Giorgia Meloni), tra un occhiolino ai no vax e l’obbligata solidarietà alla Cgil, vuole la testa del ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Il Pd da Enrico Letta ad Andrea Orlando la difende, così anche Giuseppe Conte. Dal centrosinistra chiedono di sciogliere Forza Nuova in base alla legge Scelba che vieta la ricostituzione del partito fascista: il tema c’è ma l’operazione non è così banale. Sembra invece in bilico il questore Mario Della Cioppa, a Roma da pochi mesi, anche al di là dei suoi demeriti.

Al Viminale ci si prepara a un ottobre molto caldo, si riflette sulla tensione sociale crescente e su una piazza non riducibile a Forza Nuova, dove anche giovani e meno giovani estranei alla militanza politica sono pronti a beccarsi getti d’idrante e manganellate, nonché a organizzarsi su chat non facili da monitorare. Oggi saranno in piazza i sindacati di base (Usb, Cobas, ecc…) che scioperano contro il governo e lo sblocco dei licenziamenti. Venerdì 15 è il giorno del green pass obbligatorio per lavorare, sempre che Mario Draghi non ci ripensi. Sabato la manifestazione antifascista promossa dalla Cgil. A fine mese il G20.