Damnatio memoriae: via dall’università la statua di Tienanmen

Verrà rimossa dal campus di Hong Kong la famosa scultura “Pilastro della vergogna” che commemora le vittime del massacro di piazza Tiananmen del 1989, secondo quanto dichiarato in una lettera dal suo team legale, Mayer Brown LLP – uno studio internazionale con sede a Londra. Nella missiva – indirizzata ai leader dell’Alleanza di Hong Kong a sostegno dei movimenti democratici patriottici della Cina, un’organizzazione pro-democrazia fondata durante le proteste di piazza Tiananmen, a cui è stata data la scultura in prestito permanente nel 1997 – si dichiara che la statua doveva essere rimossa “prima delle 17 del 13 ottobre 2021” o sarebbe stata considerata “abbandonata” e trattata nel “modo” in cui l’università avrebbe ritenuto opportuno. Dopo l’arresto dei suoi membri più anziani, secondo la nuova legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, l’Alleanza ha annunciato il mese scorso la decisione di sciogliersi. La scultura, che si erge su un podio nell’Haking Wong Building dell’Università, è parte di una serie di opere dell’artista danese Jens Galschiøt in omaggio alle vittime della repressione di piazza Tiananmen. La scultura “serve come monito e promemoria di un evento vergognoso che non deve mai ripetersi”, secondo la descrizione di Galschiøt che ha detto alla Cnn di stare prendendo in considerazione “un’azione legale” se la statua viene rimossa.

Taiwan, prove cinesi di riannessione forzata Biden sfida Xi Jinping

Botta e risposta Pechino-Taipei: Xi Jinping parla a nuora (la presidente di Taiwan Tsai Ing-wen) perché suocera (il presidente Usa Joe Biden) intenda. Taiwan – ammonisce il presidente cinese – è “una questione interna alla Cina e non ammette interferenze esterne”. L’occasione è l’anniversario dei 110 anni dalla Rivoluzione cinese del 1911, quella che segnò la fine dell’Impero. La Cina riattizza la ‘questione taiwanese’, mai risolta, come monito ogni qual volta c’è una situazione di tensione nel Mar cinese meridionale o nei rapporti con gli Usa. E le ultime settimane sono state zeppe di segnali in tal senso, dalla creazione dell’Aukus, l’alleanza nel Pacifico tra Usa, Australia e Gran Bretagna in funzione anti-cinese, all’inasprimento dei toni di Washington verso Pechino.

Per contro, secondo Taiwan, quasi 150 aerei militari cinesi hanno violato la sua zona di difesa aerea all’inizio di ottobre, fra cui bombardieri con capacità nucleare: attività finalizzate a logorare le forze armate taiwanesi e testarne la risposta.

L’escalation delle tensioni potrebbe stemperarsi dopo il vertice bilaterale virtuale entro fine anno concordato tra Biden e Xi, che dovrebbero pure partecipare entrambi al Vertice del G20 sotto presidenza italiana il 30 e 31 ottobre. L’accordo di massima sul bilaterale Biden-Xi è stato annunciato dopo un incontro di sei ore tra il consigliere alla sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan e il capo della diplomazia del Partito comunista Yang Jiechi. E un segnale di distensione – o almeno di dialogo – per stabilire dei ‘guardrail’ nelle crescenti tensioni tra le due superpotenze in una sfida tra democrazia e autocrazia che ha spinto la Cia a riorganizzarsi concentrandosi sul Dragone.

Taiwan è un’isola che a lungo chiamammo Formosa: 36 mila kmq, è grande come il TriVeneto e ha quasi 23 milioni di abitanti, a 180 km dalle coste della Cina continentale, che ha un miliardo e 350 milioni di abitanti e una superficie pari quasi a quella di tutta l’Europa, 9.573.000 kmq. L’isola fu l’ultimo rifugio del Kuomintang di Ciang Kai-shek, sconfitto dai comunisti di Mao Tse-tung nella guerra civile dal 1946 al 1950. Da allora, Pechino ne rivendica la sovranità –l’arcipelago era cinese dal 1895, dopo essere stato strappato ai giapponesi –, mentre Taipei pretende di costituire la Cina legittima, e fino al 1971 lo fu, almeno all’Onu. Ma ormai sarebbe già contenta di vedere riconosciuta la propria indipendenza.

Xi dice: “Il secessionismo di Taiwan è il più grande ostacolo alla riunificazione nazionale … che si farà”. E aggiunge: “La riunificazione nazionale con mezzi pacifici serve al meglio gli interessi della nazione cinese nel suo insieme, compresi i connazionali di Taiwan”. “I compatrioti di qua e di là dello Stretto di Taiwan dovrebbero stare dalla parte giusta della storia… Nessuno dovrebbe sottovalutare la determinazione, la volontà e la capacità del popolo cinese nel salvaguardare sovranità e integrità territoriale”. Washington, che non riconosce Taiwan, ma le fornisce armi per difendersi da un eventuale attacco, tace. La replica di Taipei è flebile: “Solo i 23 milioni di taiwanesi hanno diritto di decidere il futuro e lo sviluppo” dell’isola, dice il Consiglio per gli affari con la Cina. L’isola si “sforzerà di mantenere lo status quo di pace e stabilità attraverso lo Stretto di Taiwan”, si legge in una nota, che invita Pechino ad abbandonare le misure provocatorie e a pensare alla chiave dell’interazione tra “pace, reciprocità, democrazia e dialogo”. Al sussulto di tensioni degli ultimi giorni ha anche contribuito uno scoop del Wall Street Journal, che ha rivelato che unità delle forze speciali Usa e due dozzine di marines sono da almeno un anno a Taiwan per addestrare in segreto le truppe locali. La presenza dei militari non viola i patti in atto tra Washington e Pechino, ma la Cina ha subito fatto sapere che adotterà “tutte le misure necessarie per salvaguardare la sua sovranità e l’integrità territoriale”. Il portavoce del Ministero degli Esteri Zhao Lijian invita gli Usa “a riconoscere l’elevata sensibilità della questione di Taiwan, ad attenersi al principio della “Unica Cina”, a interrompere la vendita di armi all’isola e i contatti militari per non danneggiare seriamente relazioni bilaterali, pace e stabilità nello Stretto di Taiwan”.

La presenza dei militari appare una conferma dei timori di Washington per un possibile attacco all’isola ed è indice di un cambio di atteggiamento degli Usa, rispetto alle dichiarazioni congiunte Usa-Cina del 1972, del 1979 e del 1982, alle base dei rapporti bilaterali. Gli Stati Uniti non hanno mai promesso alla Cina di non mettere truppe a Taiwan, ma il comunicato congiunto di Shanghai del 1972, legato alla storica visita di Richard Nixon e all’incontro con Mao, “pone l’obiettivo finale del ritiro di tutte le forze e le installazioni militari statunitensi da Taiwan man mano che la tensione nell’area diminuisce”. Gli Stati Uniti restano però impegnati nella difesa di Taiwan e le forniscono, fra l’altro, missili e aerei da guerra.

Kurz si dimette: l’ex prodigio cade sui sondaggi falsi

L’enfant prodige della politica austriaca s’è dimesso. A inizio settimana Sebastian Kurz avrebbe dovuto affrontare un voto di sfiducia. Ha preferito non aspettare. Quattro giorni fa le perquisizioni nei suoi uffici, al ministero delle Finanze e nella sede del partito conservatore. “Anche io sono solo umano”, ha detto ieri sera alle 19:30 Kurz nella conferenza stampa in cui ha annunciato il passo indietro. È accusato di favoreggiamento alla corruzione. Indagate altre 9 persone tra cui tre stretti collaboratori. I possibili reati: peculato, concussione e corruzione. Secondo gli inquirenti, fondi del ministero della Finanze vennero versati nel 2016 (quando era ministro degli Esteri) al gruppo editoriale Oesterreich per pubblicare sondaggi falsi, che avrebbero favorito il partito Övp guidato dallo stesso Kurz. Divenuto cancelliere nel 2017 (a 31 anni) Kurz fu sfiduciato nel 2019 e rivinse le elezioni nel gennaio 2020. A sbrigare gli affari correnti sarà ora Alexander Schallenberg, ministro degli Esteri senza affiliazioni partitiche.

Mail box

 

Il Principe di Machiavelli e il sindaco calabrese

Condividendo il bellissimo articolo di Selvaggia Lucarelli del 7 ottobre, vi sottopongo una mia riflessione scaturita dalla risposta di Travaglio alla lettera di Carlo De Lisio, pubblicata venerdì 8 ottobre. Cito Il Principe di Machiavelli: “Nelle azioni di tutti li uomini, e massime de’ principi, dove non è iudizio a chi reclamare, si guarda al fine. Facci adunque un principe conto di vincere e mantenere lo stato: è mezzi sempre fieno iudicati onorevoli e da ciascuno saranno laudati”. Benché non sia letteralmente utilizzata l’espressione “il fine giustifica i mezzi”, ciò che Machiavelli esprime può apparire perfettamente sovrapponibile a livello concettuale. Ma leggendo con attenzione si capisce che Machiavelli non giustifica i mezzi in qualunque caso e a qualunque costo, ma questi “saranno indicati onorevoli e da ciascuno saranno laudati” solo al fine di “mantenere lo stato”. Infatti, il principe (ma anche il sindaco) deve agire per il bene dello Stato (o del comune governato) e per il suo mantenimento: solo in questa direzione l’agire del principe (qualunque mezzo egli utilizzi) è “giustificabile”.

Antonio Pellegrini

 

Caro Antonio, Machiavelli scrive appunto del “principe”, cioè del signore-dittatore-monarca che sta al di sopra delle leggi. Nel Settecento si afferma invece lo Stato di diritto, fondato sulla soggezione (anche) del potere politico alla Costituzione e alle leggi.

M. Trav.

 

La coop che raccoglieva la spazzatura a Riace

Nella replica all’articolo di Furio Colombo sul Fatto Quotidiano del 3 ottobre, Marco Travaglio ha scritto che Mimmo Lucano aveva “affidato senza gara l’appalto dei rifiuti comunali a una coop legata a lui e ai suoi amici priva di qualunque autorizzazione ambientale e in barba all’imparzialità della pubblica amministrazione prescritta dalla Costituzione”. Peccato non aver precisato che la raccolta dei rifiuti nelle viuzze del borgo antico veniva effettuata con gli asini e che le cooperative interessate erano costituite dalle persone più povere di Riace. La Cassazione aveva già escluso nell’aprile 2019 comportamenti fraudolenti nell’assegnazione di tale servizio e del resto è previsto per legge l’affidamento diretto, senza gara, alle cooperative sociali finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate. Avesse letto il libro di Lucano Il fuorilegge, Travaglio avrebbe evitato questa caduta.

Mario Galli

Caro Galli, conosco benissimo il caso e ribadisco: quella coop non aveva le autorizzazioni ambientali e non era neppure iscritta all’elenco delle cooperative sociali. Non avrebbe dovuto (né potuto) aggiudicarsi l’appalto nemmeno se fosse stata bandita la gara, che comunque è obbligatoria per legge e per Costituzione.

M. Trav.

 

La battaglia dimenticata ma vinta contro i clan

Virginia Raggi avrebbe meritato di vincere per quel che ha fatto per Roma e per quello che avrebbe fatto in caso di una sua rielezione a sindaco della città. Purtroppo una serie di gravi errori, anche suoi, glielo ha impedito. Anzitutto non ha sfruttato per niente o pochissimo la sua carta vincente, e cioè la sua vittoria contro il clan locale dei Casamonica che ha imperversato nella città per oltre 40 anni e che nessuno aveva osato contrastare. Solo lei, una giovane donna coraggiosa e risoluta, l’aveva fatto, oltre a tutte le altre battaglie per la legalità. Già sarebbe bastato questo! Aggiungiamo a ciò tutto il tempo prezioso perso da Conte con Grillo e i 5Stelle. Sarebbe quantomeno opportuno che le venga offerto il ruolo di vicesindaca, e che lei lo accetti. Meglio feriti che morti

Vincenzo Ferola

 

Giorgio Parisi sarebbe un presidente perfetto

Nel bailamme creato dai partiti politici sui possibili candidati al Quirinale e sulla “comicità” di talune proposte, il caso ci offre su un piatto d’argento la soluzione che metterebbe d’accordo soprattutto gli Italiani: il premio Nobel Giorgio Parisi. Personaggio i cui meriti riconosciuti a livello internazionale, che darebbe veramente lustro all’Italia, non solo perché al di sopra delle parti (rappresentando così la vera figura del primo cittadino), ma anche perché si occupa di “sistemi complessi”. In una sua recente intervista ha dichiarato: “Non c’è nulla di più affascinante che mettere ordine nel caos”. Chi meglio di lui?

Michele Spirito

 

Quella vignetta di Paese Sera, ancora oggi attuale

Sarebbe uno scoop fantastico e puntuale, e solo Il Fatto Quotidiano e i suoi attenti lettori possono rintracciare quanto scrivo. Tanti anni fa, dopo la guerra e caduto il fascismo, un giornale (credo fosse Paese Sera) pubblicò una vignetta che disegnava un signore in piazza Venezia, a Roma, che guardandosi attorno, una volta accortosi di essere solo, fece il saluto fascista in direzione di quel famoso balcone. Al momento sarebbe la comprova di quanti nostalgici ci sono ancora, soprattutto nella Capitale.

Giuseppe Trippanera

Michetti “per interposta Meloni”

“Vota per quello che promette di meno, sarà quello che ti deluderà di meno”.

Bernard Baruch, politico americano

La sera di lunedì scorso, Roberto Gualtieri era raggiante per avere centrato il ballottaggio a Roma, e lo era di più per il fatto che due settimane dopo avrebbe affrontato Enrico Michetti (chi?), considerato il suo miglior nemico. Per la verve non straordinaria fin qui dimostrata dal candidato della destra. Ma soprattutto perché sembrava probabile che una buona fetta dei voti raccolti dal secondo e dal terzo classificato (Carlo Calenda e Virginia Raggi, entrambi collocabili nel centrosinistra) sarebbero finiti, in una logica di schieramento, al candidato del Pd. Un calcolo aritmetico più che politico a giudicare dall’esito, non sempre acquisito alla vigilia, dei ballottaggi nelle grandi città. E che, storicamente, hanno riservato sorprese anche clamorose, a cominciare proprio dalla Capitale. Dove, nel 2008, il sindaco Gianni Alemanno (Pdl) fu eletto sconfiggendo il favorito Francesco Rutelli (53,66 per cento contro 46,34). Pur avendo incassato al primo turno un distacco di ben sei punti dal candidato del Pd (40,45 per cento contro 46,06). Un ribaltamento che venne attribuito principalmente al problema della sicurezza (anzi, della crescente insicurezza in città), culminato nel brutale assassinio di Giovanna Reggiani, violentata e massacrata mesi prima da un muratore rumeno nei pressi della stazione di Tor di Quinto. Attenzione però al profilo politico con cui Alemanno si era presentato: esponente di una destra securitaria molto presente e attiva nella sconfinata periferia. Ieri come oggi. Sono in gran parte quei consensi che cinque anni fa premiarono la Raggi: per la novità che rappresentava e per l’assenza di un’alternativa credibile a destra. Al di là della stazza, Michetti non mostra certo la grinta di un centurione avendo, per sua stessa ammissione, frequentato più le sagrestie democristiane delle sezioni missine. Se non fosse che ogni giorno di più la figura del “Chi?” tende a scomparire dietro quella vincente di Giorgia Meloni, la cui popolarità in posti come Tor Bella Monaca, Pietralata o Primavalle potrebbe costituire un problema serio per Gualtieri. Quanto all’elettorato di Calenda, al di là del suo endorsement a favore del ministro del governo Conte, come pensate si comporterà quella quota non piccola di elettori di destra, in libera uscita, adesso che il leader di Azione è fuori gioco? Senza contare che, a differenza di Alemanno, Michetti ha tre punti di vantaggio sul rivale, che in un testa a testa non sono pochi. Basta fare due conti per capire che tra due lunedì non è affatto improbabile che Roma elegga un sindaco per interposta Meloni.

Antonio Padellaro

La depressione “Christian” agita l’ottobrata italiana

In Italia – La depressione “Christian” ha indugiato tutta la settimana rendendo agitato l’inizio di ottobre. Rinforzati dall’evaporazione da un Mar Ligure 3 °C più caldo del solito, eccezionali nubifragi auto-rigeneranti hanno infierito lunedì 4 dall’entroterra di Savona al Turchino, scaricando quantità d’acqua mai misurate prima nel nostro Paese in periodi di 6 ore, 496 mm presso Cairo Montenotte, e di 12 ore, 741 mm a Rossiglione, stazione che in 24 ore ha poi ricevuto ben 884 mm, valore secondo nella storia italiana solo ai 948 mm del 7-8 ottobre 1970 a Bolzaneto. All’epoca si contarono 35 morti nel Genovesato, mentre stavolta non se ne sono avuti grazie alle allerte meteo (che allora non c’erano) e alla minore densità abitativa delle zone colpite. Lo stesso episodio su Genova avrebbe avuto un esito ben più triste. Comunque gravi gli effetti di straripamenti e frane nei bacini del Letimbro (Savona) e soprattutto del Bormida, che ad Alessandria è salito a 9,41 metri superando di pochi centimetri la già straordinaria piena del 24 novembre 2019. Temporali in rotta verso il Sud martedì con molti danni a Catania per violente raffiche di vento erroneamente attribuite dai mezzi di informazione a una tromba d’aria, invece sono stati proprio alcuni tornado a devastare diversi edifici mercoledì nel Rodigino, mentre un nubifragio inondava il Padovano. Giovedì piogge fino a 100-130 mm hanno spento la siccità tra Romagna e Marche, ma pure lì a prezzo di allagamenti, intanto la bora agitava l’Adriatico e sulle Alpi orientali, da Livigno al Tarvisiano, cadeva la prima neve a 1.700 metri. La burrasca autunnale è giunta dopo un settembre che il Cnr-Isac ha classificato come settimo più caldo dal 1800 con 1,7 °C sopra media a livello nazionale, perfino il più caldo da almeno un ventennio in Sicilia secondo il locale servizio agrometeorologico (Sias).

Nel mondo – Il ciclone tropicale “Shaheen”, rinvigoritosi sulle calde acque del Mare Arabico, è entrato con forza nel Golfo d’Oman, evento lì rarissimo e mai attestato prima in questo periodo dell’anno. Inusuali alluvioni hanno colpito città e deserti costieri intorno a Muscat, su cui domenica scorsa si sono abbattuti fino a 294 mm di pioggia, pari alla quantità normale di due anni! Il servizio di monitoraggio satellitare Eu-Copernicus comunica che, nonostante il freddo precoce dalla Scandinavia alla Russia, al Mar Nero, nonché in Groenlandia, settembre 2021 è stato tra i quattro più caldi nel mondo con 0,4 °C sopra la media dell’ultimo trentennio, pressoché pari merito con i casi del 2016, 2019 e 2020. A livello regionale è stato il settembre più caldo in Cina con esorbitanti anomalie locali fino a +6 °C nel Sud, secondo nel Regno Unito, quinto in Francia. Ottobre ha esordito con record mensili nazionali di 39 °C sempre in Cina e di 32,2 °C in Corea del Sud, e caldo tardivo straordinario anche al Nord delle Alpi (27 °C a Bregenz) e nelle province canadesi di Manitoba e Saskatchewan (32 °C), tuttavia due settimane fredde attendono ora l’Italia e l’Europa orientale. Ma più significativo e preoccupante per la climatologia (e per il nostro futuro) è che nell’ultimo decennio gli estremi di caldo sono aumentati di novanta volte rispetto al passato, e un record di precipitazione su quattro, come quelli di una settimana fa in Liguria, è attribuibile ai cambiamenti climatici. Lo riporta, su Nature, l’articolo Increasing heat and rainfall extremes now far outside the historical climate. Il Nobel per la fisica 2021 a Giorgio Parisi, Syukuro Manabe e Klaus Hasselmann rende giustizia a decenni di lavoro per la comprensione della complessità, inclusa quella del clima e la sua modellizzazione per prevederne lo stato futuro al servizio di un’umanità in pericolo.

 

Gesù predica l’umiltà: “Nessuno è davvero buono, se non Dio solo”

Gesù esce da una casa e va per strada. L’evangelista Marco coglie la sua immagine mentre si mette in cammino. È una scena girata al rallentatore. Che è subito spezzata da un movimento rapido: un tale gli corse incontro. Il lento movimento di Gesù è bloccato sulla soglia da un uomo che corre. Il Maestro è fermo. Il tale si getta in ginocchio davanti a lui. Fino a questo punto solamente silenzio e movimento. Ma se Gesù stava uscendo, perché correre? Quale urgenza lo muove?

Entra il sonoro in scena. Il tale si rivolge a Gesù: “Maestro buono”, lo chiama. C’è dunque una qualche dolcezza nelle sue parole, se ha tempo di usare un aggettivo. Ma che cosa vuole? Ecco la domanda: “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”. Questo tale ha voglia di fare. Forse da qui la fretta. Vuole avere una eredità: la vita eterna. Non si accontenta di poco. “Cosa devo fare per avere”, questa la sua preoccupazione: fare per avere. Gesù gli disse: “Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo”. È la risposta di un uomo che declina i complimenti oppure il Maestro è infastidito? Prosegue: Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”. Il tale si era posto sul piano del “dover fare”, e Gesù si pone sul suo stesso piano: gli cita i comandamenti. E il tale allora gli disse: “Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza”. Forse con una certa soddisfazione, può dichiarare a Gesù la sua osservanza fedele a ciò che va osservato. Tutto è al suo posto, tutto è in ordine nella vita di questo tale. Si sente a buon diritto un perfetto candidato alla vita eterna.

Gesù ha una reazione emotiva forte: fissò lo sguardo su di lui, lo amò, ci dice Marco. Perché lo ama? Perché è osservante? Perché fa il bravo? Forse la risposta ci arriva subito dopo, perché Gesù gli dice: “Una cosa sola ti manca”. Gli manca una cosa: l’essenziale. Gesù lo ama intensamente perché vede un buco nella sua vita. Gli manca quella cosa sola che renderebbe la sua vita davvero degna di essere vissuta. Ha tutto, anche l’energia di correre e di fare ogni cosa come si deve. Ma Gesù lo ama perché la sua vita rischia di girare a vuoto. Ecco che cosa gli propone, dunque: “Va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!”.

A queste parole egli si fece scuro in volto. Il cambiamento è repentino, inatteso. L’energia, la forza, la luce che abbiamo visto fino a esso in questo tale all’improvviso si spengono. Il suo sguardo è come il cielo quando le nuvole lo incupiscono. Se ne va rattristato. Il riflettore si spegne per un cortocircuito. L’amore, lo squilibrio dell’amore, non era contemplato nella vita di questo tale (che resta anonimo). Aveva tutto tranne l’amore che lascia tutto e si lancia. E Gesù lo ha visto nel suo sguardo, e per questo lo ha amato in un tentativo disperato di fare una trasfusione tramite lo sguardo, una respirazione occhio a occhio. Perché il tale se ne va? Perché possedeva molti beni. Aveva tutto, tranne una cosa sola, che poi in una vita è l’unica che conta davvero.

La simmetria degli sguardi si spezza con l’oscurarsi del volto del tale. Gesù allora volge lo sguardo attorno. Parla di quanto sia difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio. I discepoli erano sconcertati dalle sue parole. Gesù continua a parlare, e i discepoli erano ancora più stupiti. E se anche a loro, in fondo, mancasse quell’unica cosa? Saranno anche loro destinati allo sguardo scuro?

 

 

In quel brutto giorno, l’Europa scappò di casa

Sono accaduti, in grande disordine, tre fatti gravi in Europa. Il primo è che dodici Paesi dell’Unione europea vogliono costruirsi intorno un muro per impedire il passaggio di chiunque. Il secondo è che nessuno immaginava che la superstizione fascista delle frontiere fosse ancora così alta e anzi fuori controllo. Il terzo è che una Europa murata finisce subito, a meno di combattere. E che quindi le dodici richieste di dodici governi europei che chiedono di murarsi sono lettere di licenziamento di ciascuno di quei Paesi dall’Unione. Dunque la fine dell’Unione europea. In altre parole, un altro Afghanistan viene abbandonato. Ma, in una situazione mai accaduta e paradossale, abbandonato da se stesso.

Perché ho usato l’espressione “superstizione fascista” per i Paesi murati? Perché fascismo e nazismo sono stati le ultime due ideologie al mondo a credere fanaticamente che le frontiere servono, proteggono, salvano e tengono lontano il nemico (chiunque). Nelle tristi scuole fasciste della mia infanzia, la canzone obbligatoria di ogni giorno era: “Frontiera, frontiera, cosa importa se si muore, basta un grido di valore e il nemico arretrerà”. Un’idea della vita basata sulle armi, sulla guerra, sulla morte (vedi i riferimenti degli uomini di punta della “famiglia Meloni” e l’uso pronto e micidiale della Marina libica guidata e armata dall’allora ministro italiano Salvini, che sparava sui pescatori italiani).

Dunque nel circondarsi di muri nell’epoca in cui stiamo vivendo, si rintraccia più una vera nostalgia del fascismo che l’invenzione di un nuovo metodo di difesa. La difesa è contro disgraziati quasi a fine vita, che, se non sfuggono, vengono prima ignorati (clandestini) e poi arrestati (clandestini criminali, come le autorità spiegano). Quanti sono i migranti che, adesso, per salvare l’Europa, dovrebbero pigiarsi contro un muro? Sono anni che ce ne annunciano 500 mila a botta, spiegandoci che stanno per arrivare e anni che ne arrivano alcune migliaia. Finora sono stati meno – forse molto meno – di quelli che servirebbero agli inglesi per trasportare e distribuire benzina e agli italiani, francesi e spagnoli per raccogliere la frutta e i pomodori. E a tutta l’Europa per assistere un numero crescente di anziani.

Ma i dodici leader dei nostri associati nell’Unione europea hanno scelto un percorso migliore: murare tutto. Pensate alla fioritura dei commerci e delle innovazioni in Paesi murati. Chi mura fuori, mura anche dentro e chi ha vissuto l’ultima guerra mondiale ricorda i posti di blocco che stringevano alla gola le città e impedivano tutto, tanto che persino i guardiani speravano di acciuffare un nemico che portava qualcosa da consumare. Se qualcuno vuole un’Europa murata a spese di tutti per separare e isolare ciascuno ci dà brutte notizie sul livello politico e intellettuale dei firmatari (ai quali, ci dicono, vorrebbe unirsi l’Italia di Salvini) e il percorso porta senza dubbio al disastro.

Il disastro si può raccontare così. Primo, nessun Paese dell’Unione europea possiede un leader all’altezza della funzione, dotato di idee e libero dalla paura, capace di non annunciare che vuole murarsi in casa. Secondo: tutti i secoli europei hanno dovuto fronteggiare valanghe di arrivi e tra le tante brutte notizie della storia europea non abbiamo quella del disastro razziale. Paesi come l’Italia, nei secoli, sono diventati il Paese di molte radici che ha reso, oltre che ignobile, ridicolo, il manifesto dei cosiddetti scienziati sulla purezza e difesa della “razza italiana”. Terzo, le Nazioni Unite (debitamente tenute a freno) non hanno mai avviato ricerche sul rapporto fra domanda e offerta di esseri umani, che è certamente grandissimo e bloccato, come dimostrano per primi gli Stati Uniti che ignorano e respingono le persone che potrebbero salvarli. Quarto, l’immensa varietà del talento umano resta ignota e va sprecata perché sepolta nel respingimento e nell’abbandono e perché, accanto ad avanzatissime ricerche sulle cose, non si è mai aggiunto, per la mancanza di governi adeguati, una ricerca sulle persone.

Dunque, il problema: “Sono troppi… Non li possiamo prendere tutti” è l’invenzione di classi politiche e culturali cieche che non si accorgono di respingere ciò che potrebbe cambiare il mondo, e si murano dentro il passato. Quando si scoprirà questo massacro, in tanti saremo costretti ad ammettere la gravissima colpa.

 

Tra moglie e marito non mettere il micio: rompe troppi vasi

Dai racconti apocrifi di Lorenzo Da Ponte. Bartolomeo era un oste veneto che dava vitto e alloggio ai mercanti in transito per la Valpolicella. La sua famiglia comprendeva un gatto, una moglie dalla bellezza entusiasmante, un neonato, e una figlia incantevole di nome Amalia. Un giovanotto di Verona, Fabrizio, vedeva spesso Amalia al mercato, e la guardava con desiderio. I suoi sguardi erano così pieni di ardore che alla ragazza pareva di sentirseli addosso: li ricambiava con sorrisi pudichi, ma eloquenti. Un giorno Fabrizio si decise, e dopo aver preso informazioni chiese aiuto al suo amico Gianni per un piano che aveva escogitato. Noleggiarono dunque due cavalli e partirono al tramonto verso la Valpolicella. Giunsero alla locanda di Bartolomeo che era già notte: bussarono e chiesero ospitalità. “Signori” disse Bartolomeo “la locanda è al completo. Ma poiché vi ha sorpreso la notte, cercherò di sistemarvi come meglio posso”. Li condusse quindi nello stanzone padronale, dove c’erano tre letti: quello matrimoniale, con ai piedi la culla del neonato; un letto vuoto; e quello di Amalia. Poiché era tardi, famiglia e ospiti non tardarono a coricarsi. Quando tutti parvero addormentati, Fabrizio si intrufolò nel letto della ragazza, la quale, dopo un primo spavento, mostrò di gradire parecchio la situazione, e faticò non poco a tenere silenziosi i suoi gemiti di piacere. In quella, però, il gatto rovesciò un vaso, svegliando la moglie di Bartolomeo, che si alzò per vedere di cosa si trattasse. Nel frattempo, Gianni era uscito a pisciare. Poiché la culla gli ostruiva il passo, l’aveva spostata dietro di sé, ai piedi del proprio letto; ma quando rientrò nella stanza non si curò di rimetterla a posto. La moglie, che intanto aveva raccolto i cocci del vaso e sculacciato il gatto, tornò a letto a tentoni, nel buio. Toccando la culla, pensò che quello fosse il letto matrimoniale, e si infilò sotto le lenzuola accanto a Gianni, credendo fosse suo marito. A Gianni non parve vero; e neanche a lei, che si sentiva da tempo trascurata. Che gioia, quando l’amore è fatto con voglia! Fabrizio, frattanto, lasciava il letto di Amalia, temendo di addormentarsi e di venire scoperto al mattino; ma anche lui fu tratto in inganno dalla culla fuori posto, e, invece di adagiarsi nel letto che condivideva con Gianni, si distese in quello dell’oste. “Tre volte!” sussurrò all’orecchio di Bartolomeo, vantandosi come avrebbe fatto con l’amico. “Non mi era mai capitata una ragazza così golosa”. “Miserabile!” gridò Bartolomeo, rizzandosi. “È così che ripaghi la mia ospitalità?”. Sua moglie, udendo l’alterco, disse a Gianni: “Ascolta, marito: i nostri due ospiti stanno litigando!”. E Gianni, come uno sciocco, rispose: “Hanno bevuto troppo”. La donna, dalla voce, capì al volo cos’era successo. Abbandonò quel letto, spostò la culla ai piedi del letto di Amalia, si coricò accanto alla figlia, e finse di essere stata svegliata dalle urla del marito: “Cosa succede?” domandò. “Cosa succede?” sbraitò Bartolomeo. “Succede che questo disgraziato ha deflorato nostra figlia! Ecco cosa succede!”. “Che sciocchezza!” disse allora la moglie. “Ho dormito con Amalia tutta la notte, e di certo mi sarei accorta se Fabrizio avesse fatto l’amore con lei”. Gianni restò strabiliato dall’astuzia con cui la donna stava salvando il proprio onore e quello della figlia. “Ancora sonnambulo, eh, Fabrizio?” disse dunque per contribuire alla messinscena. “E, come al solito, sogni di donne! Vieni qua”. Lo stratagemma convinse Bartolomeo, che scoppiò a ridere mentre Fabrizio tornava nel proprio letto. Il giorno dopo, i due viaggiatori gagliardi rientravano soddisfatti a Verona, con un arrivederci alla giovane felice, e a sua madre, più felice di lei.

 

Altro che storie d’amore: io Falcone lo ricordo così

La stampa ha dato notizia del libro autobiografico della pm Ilda Boccassini, oggi in pensione, dal titolo La stanza numero 30, cronache di una vita. L’attenzione si è subito concentrata là dove l’autrice rivela la sua “storia d’amore” con Giovanni Falcone ed esprime giudizi negativi o ironici su alcuni magistrati. Gratteri: “Creava tensione con il suo vantarsi di una conoscenza della ’ndrangheta talmente approfondita e, a suo dire, unica, da ricavarne bizzarramente (poiché era il solo a esserne convinto) un senso di superiorità nei nostri confronti”. Ingroia: “Piccola figura di magistrato”. Di Matteo? “L’enfant prodige

” della Procura di Palermo. Scarpinato: “Non ho mai apprezzato il suo stile da narciso siciliano perfettamente rappresentato dalla sua acconciatura alla D’Artagnan”. Giudizi ingenerosi su magistrati impegnati, con competenza e determinazione, nel contrastare, anche a rischio della vita, il crimine organizzato. Il racconto della “storia d’amore” con Falcone è ricco di dettagli: “Me ne innamorai”, “Era un figo”, “mi definiva la mia selvaggia”, “sai perché si chiama l’Isola delle femmine? Perché lì venivano confinate le donne ribelli… Tu sei una ribelle ma verrei ogni giorno a nuoto per vederti”, “a lui piacevano molto i miei riccioli”, “quante volte mi ha detto che avevo gli occhi meravigliosi”; infine il viaggio aereo in Argentina “ascoltando per ore canzoni di Gianna Nannini che mi facevano pensare alla nostra storia, stringendomi a lui”, “rimanevamo abbracciati per ore”, “tutta la notte… che notte”.

Divulgare una “storia d’amore” – che si traduce per Falcone, sposato, in una relazione extraconiugale – senza il consenso del “partner” (che non lo può dare perché deceduto e che non l’avrebbe mai dato) è disdicevole e scorretto, giacché si mette in piazza quanto di più intimo attiene alla vita privata di una persona. Gettare in pasto all’opinione pubblica la “storia” con Falcone – già alcuni giornali parlano del “tradimento” di Falcone e, ironicamente, della “vedova” Boccassini – rischia di infangarne la memoria e offende la dignità della moglie Francesca Morvillo, anch’essa assassinata a Capaci.

A noi piace ricordare Falcone come lo descrive la Suprema Corte nella sentenza del maggio 2004 sull’attentato dell’Addaura: “Era, quindi, necessaria l’eliminazione di un magistrato che non solo, con la sua preparazione e con le sue metodologie di lavoro, aveva ottenuto rilevanti risultati investigativi infliggendo duri colpi all’organizzazione mafiosa, ma che e soprattutto perché egli – manifestando in ogni tempo atteggiamenti di intransigenza e forte autonomia – aveva reso inefficace qualsiasi tentativo di condizionamento o intimidazione… Giovanni Falcone era ritenuto da Salvatore Riina e dai suoi accoliti ‘il nemico numero uno’ di Cosa Nostra da lui solo temendo azioni giudiziarie tali da disarticolare l’organizzazione criminale… Caratteristiche ineguagliabili del magistrato erano celerità nella trasmissione delle informazioni e degli atti; velocità ed efficienza nelle commissioni rogatorie; collegamenti diretti tra gli inquirenti dei diversi Paesi; efficace lavoro di équipe; carisma personale; perseveranza; efficienza; incorruttibilità”. Questo era Giovanni Falcone e in tal modo, e non in altri, va ricordato per onorarne la memoria.