“Gli uccelli”, Hitchcock e la disavventura di Daphne du Maurier

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Rai Movie, 23.40: Gli uccelli, film-thriller di Alfred Hitchcock tratto da una disavventura di Daphne du Maurier al parco coi piccioni. San Francisco, 1963. Un manzo di avvocato, Rod Taylor, entra in un negozio di animali per comprare un pappagallo: al compleanno della sorella, la piccola Katy, vuole fare il pirata. Una volta dentro, Rod tratta una bella ragazza, Tippi Hedren, come fosse la commessa, benché l’abbia riconosciuta: è la figlia dell’editore di un grande giornale cittadino. ROD: “Ci siamo già incontrati in tribunale. Ubriaca, eri finita con l’auto contro una vetrina. Ti sto prendendo in giro solo per farti sentire una merda”. Com’è noto, questa è sempre la tattica migliore per incuriosire una sventola: infatti, appena lui se ne va, lei prende nota della targa. Quindi lo raggiunge a Bodega Bay in pelliccia di visone per recapitargli di persona, remando una barchetta, il pappagallo in gabbia. Poi torna sulla riva opposta della baia, dove viene beccata in testa da un gabbiano. Piccola Katy la invita alla sua festa di compleanno: Tippi ci va, e viene ospitata per la notte da Annie, la maestra della bimba, che ha la tipica faccia di quella che nei film horror muore di sicuro. A questo punto, una serie di stranezze inquietanti si accumulano sullo schermo: un gabbiano si suicida andando a sbattere contro le tette di Tippi; uno stormo di gabbiani smerda di guano i bambini durante la festa; le galline della mamma di Rod fanno le uova sparandole contro i passanti; piccioni attaccano un picnic (HITCHCOCK: “Stoooop! Chi è quel cretino che ha fatto entrare i piccioni invece dei gabbiani?”. SUA MOGLIE: “Alfred, sono piccioni veri”); migliaia di passeri entrano nel salotto di Rod passando dal camino, e meno male che la mamma di Rod non ha mai tolto il cellofan dal divano; i gabbiani attaccano Hitchcock (uno dei suoi classici camei); un contadino viene beccato a morte da delle quaglie; una mandria di corvi assale i bambini che escono da scuola, fra cui Charlie Brown; i volatili assassini tempestano di raid la cittadina, facendo parecchie vittime, maestra compresa (visto?). Alla fine, Tippi viene ferita seriamente, rischiando di imparare a recitare, e il giorno dopo Rod la porta in ospedale, mentre fuori, appollaiati dappertutto, milioni di pennuti osservano minacciosi il pubblico in sala. Il film venne stroncato dalla critica non solo perché la piccola Katy è di un’antipatia rara, ma soprattutto perché il film è un nido di assurdità. Per esempio: quando i corvi assassini si ammassano fuori della scuola in attesa della campanella, Tippi e la maestra non tengono i bambini dentro, al riparo, ma li fanno uscire, facendoli camminare verso casa in fila indiana, in modo che i corvi possano attaccarli in picchiata come Stukas uno dopo l’altro. E quando Tippi sente dei rumori nell’attico, e ci va, e apre la porta, e vede un grande buco pieno di uccelli nel tetto, che fa? Entra e chiude la porta, così gli uccelli possono infierire sulla sua zucca vuota. E a ogni incursione aerea gli abitanti non si difendono mai a fucilate, perché indaffarati a correre istericamente di qua e di là, sbattendo l’uno contro l’altro. Ciò nonostante, Gli uccelli fu uno dei maggiori successi commerciali del regista cinese: merito anche della pubblicità, che incuriosì il pubblico col suo errore voluto (“Gli uccelli arriva!”). Rod e Tippi non sapevano recitare? Ma gli uccelli sì, e la pellicola è uno spettacolo: sangue, suspense, orrore, sentimento, effetti speciali, suoni elettronici, Technicolor. In un film così, che bisogno c’è degli attori?

 

Day after: il Ct star va alla “Gazzetta” che non dà la notizia e non fa domande

Ma che meraviglia il calcio: onesto, pulito, salutare. E che meraviglia parlarne con i protagonisti durante una grande festa, come quella organizzata dalla Gazzetta di Urbano Cairo che da un po’ di anni si fa il suo “Festival dello Sport” a Trento, dove ieri si è celebrato l’evento estivo per eccellenza: la vittoria dell’Italia agli Europei. Un abbraccio, un omaggio, un tributo, il giusto bagno di folla ai protagonisti che sono riusciti a farci sognare. Bravi, bravissimi il presidente Figc Gabriele Gravina, il campione Lorenzo Insigne e lui, “il comandante visionario Roberto Mancini”, così come è stato presentato alla platea il ct della Nazionale. Proprio uno dei vip che, secondo quanto emerge dai Pandora papers, viene indicato come l’azionista di Bastian Asset Holdings, con sede nel paradiso fiscale delle British Virgin Islands, mentre Gianluca Vialli, capo delegazione della nazionale azzurra agli Europei di Londra, nonché “gemello del gol” di Mancini ai tempi della Sampdoria – risulta proprietario di un’altra società registrata alle BVI, la Crewborne Holdings. Notizie che, tuttavia, i lettori della Gazzetta ieri non hanno potuto leggere: neanche una riga sull’inchiesta è stata pubblicata sul quotidiano, proprio nella stessa giornata in cui Mancini e il numero uno della Figc si sono ritrovati sullo stesso palco. Così come nessun accenno all’inchiesta e alle ricchezze offshore di Mancini è stato fatto durante i 40 minuti di intervento del Ct, in collegamento da Coverciano. Eppure il conduttore quasi aveva fatto gridare al miracolo (dell’informazione) quando rivolgendosi al Ct ha detto: “Mancini, non si annullano le feste per una macchia sulla camicia? Non ci si può nascondere, fare finta di niente…”. Peccato che stesse parlando della sconfitta di mercoledì dell’Italia contro la Spagna. Del resto altre domande premevano, necessarie, inevitabili: la tattica, i cambi, la pandemia sulla preparazione della Nazionale, le vittorie sofferte che plasmano i giocatori o il mancato ricambio con l’Under 21. E quando all’improvviso è stato nominato Vialli, che era stato annunciato tra gli ospiti, se ne è parlato per i gran consigli che ha dato al suo amico Mancini. Forse anche quelli fiscali.

Il “pippozzo” e il cafone: che figura di Calenda

E alla fine Calenda tacque. L’ultramediatico terzo classificato alle elezioni di Roma, giovedì sera è stato ospite di Piazzapulita, il talk di Corrado Formigli su La7. Ma non aveva fatto i conti con la Sardina. La calabrese Jasmine Cristallo – interpellata da Formigli su un possibile “nuovo Ulivo” che tenesse dentro sia Conte che Calenda – si è permessa un discorso un po’ più articolato rispetto agli standard televisivi: “Forse servirebbe un approccio meno tecnocratico e più connessione sentimentale, come diceva Gramsci. Calenda dice di combattere il populismo, ma la base del populismo è proprio la dinamica amico-nemico a cui fa tanto ricorso. Il suo è un populismo classista. Dalla sua torre eburnea guarda con disappunto l’incompetenza e l’incapacità, ma le vorrei ricordare l’importanza che ha avuto il movimento operaio nella storia d’Italia”. Calenda, stizzito, ha replicato da cafone: “Cosa devo rispondere? Questa non è una domanda, ma un ‘pippozzo’ senza capo né coda, una lezioncina da quarta elementare”. Cristallo gli ha ricordato, se non altro, “le buone maniere”, “le più elementari regole di buona educazione”. E Calenda, terreo, ha taciuto.

Baroni e favoritismi, l’università non cambia

La vita sta cambiando vertiginosamente. Le nuove generazioni sono lontane da quelle che le precedono direttamente come forse lo eravamo noi con i nostri trisavoli. Mentre tutto cambia, il pachiderma universitario sta fermo. Sono state fatte numerose riforme, ma solo restyling estetici. L’interno, le stanze polverose e umide degli intrecci universitari non sono mai cambiati. In questo mondo, al quale molto faticosamente appartengo, si vive su due pilastri, causa di tutto il dissesto a valle: il concetto di meritocrazia e il posto fisso. L’Università dovrebbe assicurarci la ricerca più avanzata e competitiva, eppure il concetto di merito non è ancora fondato sulla produzione scientifica, ma sul legame di parentela o sudditanza con un “barone”. È lui che decide (ancora) se e quando si vincerà un concorso. L’arruolamento nel mondo del lavoro avviene cercando il curriculum adatto, in Università si crea il ruolo in base al candidato da “sistemare”. Il barone onesto è quello che tiene conto “anche” dei propri allievi con una buona attitudine alla ricerca, fermo rimanendo che, prima di tutto, siano sudditi fidati, che sappiano aspettare il loro turno. A un concorso bandito su misura del candidato che si è deciso di favorire, nessuno può osare presentarsi. Il permesso viene dal barone.

Uno dei motivi più importanti è che il sistema non assicura la verifica del merito. Si viene assunti in Università con posto fisso che nessuno mai metterà in discussione. Non esiste un indice di qualità minimo, non esistono obiettivi. Guardiamo cosa accade in altre Università all’estero. L’arruolamento avviene spesso senza concorsi con chiamata diretta, ma non si parla di posto fisso, solo di progetti a obiettivi (seri!) che, se non raggiunti, fanno perdere i finanziamenti al dipartimento che non ha alcun motivo di mantenere parassiti. Credo che sia ora di cambiare. Il sistema attuale fa solo vittime, di ignoranza, di prepotenza, ma anche di buona fede a difesa dei “propri allievi”, che altrimenti verrebbero eliminati.

 

direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Terremoto Rai: niente stanze ai collaboratori

Un terremoto scuote la Rai. L’amministratore delegato Carlo Fuortes ha emanato martedì una circolare che fissa limiti rigidi per i collaboratori autonomi della Tv pubblica: spesso autori, a volte inviati e a volte redattori, inquadrati però a Partita Iva o in altri modi, comunque al di fuori del contratto di lavoro subordinato. Ma hanno uffici, fanno i turni, coordinano il lavoro, compreso a volte quello dei dipendenti.

A loro, scrive Fuortes, “non è consentita l’assegnazione di postazione o stanze a uso esclusivo”, ma solo “postazioni condivise e a rotazione”. Né potranno avere “l’assegnazione individuale di personal computer desktop e portatili” e di “dispositivi di fonia mobile”, men che meno si potrà chiedere loro “turnazioni”, “orari di presenza definiti” o di “pianificare periodi di ferie” e “giustificare assenze”, né potranno “impartire ordini o direttivi a dipendenti o società fornitrici”. Da Chi l’ha visto a Report, da Cartabianca a UnoMattina, La vita in diretta e Porta a Porta: i problemi non mancheranno. “Per dire a un collega che un pezzo va corretto dovrò chiamare il capo-progetto”, spiega un autore. Perfino Bruno Vespa e Lucia Annunziata, con queste regole, non potranno avere una stanza e un pc nelle redazioni di Porta a Porta e In mezz’ora. “Non so nulla, nessuno mi ha detto niente, ho una scrivania nella sala riunioni”, dice Vespa. Da lui gli autori sono tutti esterni, la sua vecchia squadra guida il programma. La circolare nasce dai casi di Marco Ventura e Paola Tavella, ex autori a Uno Mattina, sollevati dal Fatto.

Sono parecchie decine i “collaboratori” destinati a cambiar vita. Un certo abuso del lavoro autonomo è tradizione in Rai. La circolare mira a “limitare la possibilità di insorgenza di contenzioso per il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato”, che è purtroppo inevitabile se il lavoro, di fatto, è subordinato. Basterebbe riconoscerlo prima, tanto più che oggi sono scomparsi molti limiti ai contratti a termine. Fino a due anni fa era peggio: con il cosiddetto “giusto contratto” sono stati assunti in Rai circa 220 giornalisti prima precari o inquadrati in modo diverso (così sono saliti a 1.900, oltre il 10% del totale dei giornalisti dipendenti attivi), che lavoravano nelle trasmissioni delle reti dove a differenza dei tg non ci sono testate, né direttori, quindi il contratto giornalistico ha qualche difficoltà di applicazione. Ma sono stati assunti a condizioni rifiutate da molti autori, pagati a Partita Iva – quindi senza contribuzione piena – ma di più. Peraltro, non tutti sono giornalisti.

Fisco, Draghi chiede consigli a B. condannato per frode

Non potevano incontrarsi di persona causa acciacchi di salute e quindi si sono sentiti al telefono. Dopo il faccia a faccia con Matteo Salvini, ieri mattina il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha chiamato Silvio Berlusconi. Un colloquio che a Palazzo Chigi definiscono “lungo e cordiale” in cui si è parlato di riforma fiscale, legge di Bilancio e delle prossime riforme in cantiere a partire da quella sulla concorrenza. Non sarà l’ultimo colloquio che il premier avrà sul cronoprogramma per rispettare i tempi del Pnrr: nei prossimi giorni sentirà anche gli altri leader del governo, Giuseppe Conte ed Enrico Letta. Draghi ha capito che il dialogo con i capi delegazione dei partiti non basta più e vuole curare anche i rapporti con i leader: qualcuno ipotizza che sia un modo per preparare la sua ascesa al Quirinale. Allo stesso tempo la telefonata di Draghi di ieri ha anche l’obiettivo di mandare un messaggio a Salvini che giovedì era uscito dall’incontro di Chigi soddisfatto per aver ottenuto la possibilità di incontrare il premier “una volta a settimana”.

E invece ieri il presidente del Consiglio, sentendo Berlusconi, ha fatto capire che il dialogo con i leader sarà la nuova routine e che non c’è nessun favoritismo riservato al leader della Lega. Non solo: nella nota di Palazzo Chigi si fa anche sapere che Draghi e Berlusconi hanno “condiviso il percorso avviato sulla delega per la riforma fiscale”. E così è stato: il leader di Forza Italia ha detto sì alla legge delega che contiene anche la riforma del catasto approvata martedì, confermando il voto favorevole dei ministri Brunetta, Carfagna e Gelmini. Un passaggio che aveva provocato lo strappo della Lega che non ha votato in Cdm e che continua a creare tensioni nel Carroccio con Salvini che ancora ieri chiedeva al premier di impegnarsi “per iscritto” a non aumentare le tasse. Su quel versante il leader della Lega non ha ottenuto niente da Draghi e così oggi il premier ha chiesto la legittimazione di Berlusconi anche per mettere all’angolo il leader del Carroccio. Secondo fonti forziste, l’ex Cavaliere al premier ha chiesto rassicurazioni anche sulla manovra di bilancio, che sia “il più possibile espansiva” per favorire la crescita, a partire dal Superbonus. Ma nella telefonata c’è stato un momento anche più politico, con Berlusconi che ha tenuto a far sapere a Draghi che il sostegno al suo governo “fa bene a Forza Italia”. E che la linea del suo partito è quella di “rivendicare i successi del suo esecutivo”. “Con Draghi FI è tornata centrale nel dettare l’agenda”, dicono i berluscones. Cosa ben diversa dalle truppe davanti a Palazzo Chigi schierate da Salvini, che però, come si è visto nelle urne, è in continua emorragia di consensi. E le critiche forziste di queste ore alla strategia di Meloni e Salvini su campagna elettorale e scelta dei candidati non aiuta certo a rasserenare il clima nel centrodestra. Anzi. Dopo una serie di complimenti e elogi reciproci (il premier ha invitato Berlusconi a Roma quando si sarà rimesso al cento per cento), poi, i due sono scesi nel dettaglio del provvedimento più spinoso. Sulla riforma del fisco, Berlusconi ha confermato le posizioni dei suoi ministri (“per noi va bene) ma ha chiesto la garanzia a Draghi che “non ci sarà un aumento di tasse”.

Il leader di FI avrebbe preso le distanze anche dal riottoso Salvini: “Noi siamo responsabili, in questo momento ci vuole stabilità – sono state le parole di Berlusconi – il governo deve andare avanti e noi lo sosterremo lealmente fino in fondo”. Un breve focus sui prossimi passaggi che impegneranno il governo – la riforma della concorrenza e la legge di Bilancio – e i saluti finali. Se da Palazzo Chigi hanno reso nota la conversazione, è scoppiato un piccolo caso in Forza Italia visto che da Arcore non è arrivata alcuna comunicazione ufficiale. Motivo: il partito è spaccato tra l’ala liberal rappresentata dai ministri e quella più filo leghista rappresentata da Antonio Tajani e Licia Ronzulli che hanno un po’ da ridire sulla riforma del catasto. Berlusconi ha deciso di non spaccare ancora il partito evitando di esporsi. Nel frattempo Giancarlo Giorgetti fa il pompiere: “Se Salvini e Draghi sono contenti, io sono felice. Ora è tornato il sereno”.

“Il modello Assisi farà vincere Pd e M5S nel 2023”

Qualcuno parla già di “modello Assisi” e lei, molto vicina a Giuseppe Conte, viene considerata la candidata in pectore per riprendersi la Regione Umbria nel 2024 conquistata due anni fa dalla Lega. Nel frattempo Stefania Proietti, sindaca civica della città di San Francesco, pensa solo a godersi la riconferma al primo turno sostenuta dall’alleanza Pd-M5S.

Sindaca, tutti la davano per spacciata e invece lei ha vinto al primo turno. Cos’è successo ad Assisi?

Tutti ci davano per perdenti perché Assisi è da sempre una roccaforte del centrodestra. Lega, Forza Italia e FdI si sono riuniti intorno a Marco Cosimetti: una corazzata. Però ha vinto il buongoverno degli ultimi cinque anni e a una coalizione composta da due liste civiche, Assisi Domani e Assisi Civica, e da Pd e M5S.

In molte città umbre è crollato il consenso della Lega che due anni fa ha vinto a valanga le Regionali. Come mai?

Ad Assisi nel 2019 la Lega era al 43% e le forze di centrodestra unite arrivavano al 70%. Oggi la situazione si è ribaltata perché alla prova dei fatti la Lega si sgonfia. Salvini e Giorgetti sono venuti a fare comizi, ma hanno perso lo stesso.

Qual è stato il segreto della sua vittoria?

La coalizione è stata fondamentale. Nel 2016 fui la prima a chiedere a Pd e M5S di sostenere il mio progetto civico ma era ancora presto: il M5S non faceva alleanze. Oggi il Movimento di Conte ci ha permesso di vincere al primo turno.

Conte è venuto anche a sostenerla in campagna elettorale. Vi siete sentiti dopo la vittoria?

Sì, mi ha chiamato per farmi i complimenti. Il suo sostegno è stato molto importante per vincere.

Il M5S in tutta Italia non è andato benissimo. Che consiglio darebbe a Conte?

I 5S ormai sono una forza di governo e devono rivendicare di più i loro successi. Ma soprattutto devono tornare tra la gente con programmi concreti.

Nel 2019 per qualche giorno fu la candidata di Pd e M5S alle Regionali. Ma il Pd non volle candidarla perché, disse lei, era una donna. Oggi i dem sono cambiati?

Il Pd nazionale deve ancora fare molto per la questione femminile, ma oggi il partito, soprattutto quello regionale che nel 2019 era stato travolto dagli scandali, è molto cambiato. E mi ha sostenuto dall’inizio. La coalizione con il M5S è il futuro.

Con quali valori?

Conte e Letta devono ispirarsi ai valori di San Francesco: l’attenzione per i più fragili, per la vita e l’ambiente. È la dottrina sociale della Chiesa che vale anche per chi non è cattolico.

Dica la verità: nel 2024 si candiderà alle Regionali?

No, voglio portare a termine il mio impegno fino al 2026 quando si celebrerà l’ottocentenario della morte di San Francesco. Ma per riconquistare l’Umbria ci vuole una coalizione che si ispiri a quella che mi ha fatto vincere. Assisi farà da modello.

Raggi, adesso tutti i 5Stelle cercano la sindaca anti-dem

La donna che tutti i 5Stelle cercano e più d’uno già considera il futuro, non darà indicazioni di voto, lo ha ripetuto anche ieri: “I cittadini non sono mandrie”. Però Virginia Raggi ha voglia di bersi un caffè e scambiare idee con i suoi possibili successori, e il primo lo ha sorseggiato ieri mattina con Enrico Michetti, il candidato del centrodestra, magari solo più veloce a proporsi del dem Roberto Gualtieri. Forse è solo per questo che ieri la sindaca uscente ha ricevuto in Campidoglio Michetti, mentre per Gualtieri se ne riparlerà lunedì. Però poi c’è molto altro, c’è un M5S che si sta sollevando contro il Pd dell’Enrico Letta che ha proposto una specie di nuovo Ulivo, con dentro anche Carlo Calenda e Matteo Renzi e i 5Stelle a fare i bravi bambini, e del Vincenzo De Luca che giovedì ha infierito su Giuseppe Conte (“È stato a Napoli in Campania per le attrattive turistiche”). Una sorta di “guai ai vinti” che ha provocato la rabbia di molti eletti e di gran parte della base. E pazienza se il governatore dem del Lazio Nicola Zingaretti a Oggi è un altro giorno fa notare che “in giunta io ho sia i 5Stelle che Azione”. Così ecco che la Raggi, lontana dai dem, sola su quel palchetto nel lunedì della sconfitta, diventa – o torna – un punto di riferimento.

Lei, la veterana che con i suoi caffè rimarca l’equidistanza dal Pd come dalla destra, così come la neutralità degli anni ruggenti. Dalla sindaca non arriveranno endorsement a Gualtieri, quelli dei contiani doc Stefano Patuanelli, Alessandra Todde e Fabio Massimo Castaldo, ieri sul Fatto. È per questo che Conte fa capire che lui lo voterebbe il suo ex ministro, “persona di valore”: ma più di così forse non può andare. Perché Raggi ora è fortissima nel Movimento, e perché la base è furibonda con i dem. “Qui finisce che i nostri a Roma voteranno per sfregio Michetti” si dicono in queste ore i parlamentari, e non sono solo scherzi. Che ci sia poco da ridere lo conferma il fatto che all’inizio della prossima settimana i candidati delle liste civiche della Raggi si vedranno per fare un punto in vista del ballottaggio. “Se usciremo con una indicazione di voto unitaria? Non è all’ordine del giorno, ma di certo se ne parlerà”, butta lì il coordinatore del Movimento civico Andrea Venuto. E nel M5S si chiedono cosa ne uscirà e quanto possa entrarci Raggi. “La sua presenza all’incontro al momento non è prevista”, dice Venuto. Di sicuro ieri ha visto Michetti, per un’ora di colloquio fitto con i rispettivi staff presenti, ma in cui la 5Stelle e il candidato del centrodestra si sono ricavati dieci minuti da soli. “Michetti le ha chiesto una mano” sussurrano negli ambienti politici romani. Ma l’avvocato nega: “Niente accordi di palazzo, era una visita istituzionale”. E anche i grillini smentiscono.

La certezza è che Raggi ha sottolineato l’importanza del suo piano per i trasporti, citando anche le due funivie, e ha chiesto di non toccare il progetto e l’Ufficio di Scopo su cui ha lavorato due anni per l’Expo 2030, per cui Roma verrà candidata come città ospitante da Mario Draghi. “Non smontate questo lavoro” ha chiesto a Michetti, con cui ha parlato molto anche di periferie e del dossier Alitalia. E l’avvocato ha annuito, più volte. Spera, eccome, di pescare nel campo grillino. Ma Raggi non vuole entrare nella partita. Men che meno pensa a scalare il M5S. “Sostiene e sosterrà Conte” giurano. Ha capito che in diversi già la vedono come un piano B, se l’avvocato dovesse impantanarsi. Ma non vuole essere tirata in mezzo. “Resterò in Consiglio comunale” ha confermato a Michetti. Però Raggi è anche uno dei tre membri del comitato dei Garanti con Luigi Di Maio e Roberto Fico, fortissimamente voluta da Beppe Grillo ed eletta a furor di voti – ha doppiato Di Maio e Fico – dagli iscritti. E proprio Grillo, stando all’Adnkronos, avrebbe manifestato preoccupazione per la tenuta dei gruppi parlamentari.

Di certo a Conte ora chiedono a gran voce la famosa segreteria, di darsi una struttura, insomma “di decidere”. E di marcare una distanza dal Pd. Anche per questo Raggi sta venendo subissata di telefonate e messaggi dai parlamentari. Come fosse una boa cui aggrapparsi per la ripartenza. Conte, invece, tenta di tenere la rotta. E ci prova anche ricordando che pure lui e il M5S parlano con Draghi: “I nostri ministri lo sentono tutti i giorni, l’ho sentito anche io, senz’altro farò il punto sulle prossime scadenze e impegni. Però il tema non è la corsa a chi sente di più Draghi, ma a chi fa proposte positive”. Conta, o dovrebbe contare, anche questo.

“Alla Lega servono i cuori neri. Salvini lo sapeva, ora è debole”

“Jonghi Lavarini non c’entra niente: la Terza Lega è un’idea mia”. Mario Borghezio è tra i protagonisti dell’inchiesta di Fanpage sulla destra eversiva milanese. Non ha nulla da rinnegare, semmai da rivendicare. “Non collaboro con Jonghi, gli ho solo esposto le mie tesi per vedere come reagiva. La Terza Lega è una mia iniziativa: attribuirla a lui è fantasia”.

Un’iniziativa fascista.

Ma no. Le spiego: sono settimane che c’è una Lega di Giorgetti e una Lega di Salvini. La Terza Lega invece è quella dei militanti: una nuova base attorno a valori condivisi.

Valori fascisti.

No. Semmai duri e puri. Per ripartire, nella Lega deve trovare spazio e motivazioni una militanza di destra vera, pura d’animo.

Fascista.

È la Lega ideale, quella delle origini: esiste ancora, anche se marginalizzata.

Nell’inchiesta si racconta il leghista Max Bastoni, dichiaratamente fascista. E poi l’area della Lega vicina a Lealtà Azione, un gruppo nazifascista. Perché non vuole dare alle parole il loro nome?

Non mi interessa. Mi interessano i giovani che hanno ideali, che scoprono la militanza politica attraverso la musica, lo stadio, la scuola, la protesta novax. Mi interessa che si ribellino contro la mondializzazione e la finanziarizzazione della politica, contro il mondo servo delle banche. Forse si esprimono in forme estreme e ingenue, ma il loro tessuto è buono. Certo, se uno va a picchiare il negro o prende a calci in culo lo zingaro fa delle cazzate gigantesche. Se esibisce una svastica, si autoemargina, come un ebreo che va nel ghetto da solo. Fa il gioco del potere. Ma cerco la parte buona di quella pulsione. Tra chi dice “viva il duce” o fa il saluto romano c’è gente in buona fede.

Lavora da sempre per coinvolgere queste piccole galassie nella Lega.

Serve uno sbocco politico, altrimenti si rinchiudono nel nostalgismo. Se fosse vivo Pasolini, direbbe quello che dico io: c’è una destra sublime che questi ragazzi esprimono.

Lasciamo stare Pasolini, persino Guido Crosetto ha detto che gli fanno schifo certe manifestazioni di fascismo.

Ha detto una cazzata. Non conosce quei ragazzi.

Per Lega e FdI quei voti non puzzano mica.

Li usano in modo paraculo, sfruttano i cuori neri come manovali della propaganda, invece vanno fatti partecipare alla costruzione di un progetto.

Salvini un progetto ce l’aveva, la candidò a Roma per prendere i voti di CasaPound. E poi?

Mica solo con CasaPound: li ho tastati tutti quegli ambienti lì. Avevo un mandato, ho presentato le mie idee e trovato terreno fertile dappertutto. Ora quel lavoro è stato abbandonato.

Nel video definisce Salvini “debole”.

È appannato, non è più lui. Finirà nelle braccia della Meloni. Meglio che in quelle di Draghi, per carità. A me però dispiace perché credo nella Lega.

Il caso Morisi non aiuta.

Di Morisi mi frega poco. È un tecnico, vale quanto un tipografo. Ma un partito con valori solidi avrebbe assorbito molto meglio questo colpo.

Parla anche di Savoini, che fine ha fatto?

È irreperibile. Gianluca è un soldato politico di primo ordine, l’ho portato io nella Lega. In Russia aveva un ruolo operativo importante.

Portare i soldi alla Lega?

Sui soldi non so nulla, ma in questi casi chi è al corrente consiglia di sparire. E lui è sparito.

Soldi a Radio Padania, per Centemero nuova accusa: autoriciclaggio

Nuova accusa a Roma per Giulio Centemero. Nell’ambito dell’inchiesta sui flussi di denaro partiti dall’imprenditore Luca Parnasi e indirizzati alla politica, la Procura di Roma ha contestato al tesoriere della Lega un altro reato: quello di autoriciclaggio. L’accusa, resa nota ieri dal pm Giulia Guccione nel corso dell’udienza preliminare davanti al Gup Annalisa Marzano, si aggiunge a quella di finanziamento illecito già contestata a Centemero, come pure all’imprenditore romano Luca Parnasi (a processo in primo grado per corruzione per altre vicende) e ad Andrea Manzoni, l’ex revisore contabile del gruppo Lega al Senato che a giugno scorso è stato condannato a Milano in primo grado (con rito abbreviato) a 4 anni e 4 mesi per peculato e turbata libertà nella scelta del contraente nell’ambito dell’inchiesta Lombardia Film Commission.

Al centro dell’indagine romana per quanto riguarda il deputato leghista c’è un finanziamento da 250mila euro erogati dalla Immobiliare Pentapigna srl, società in passato riconducibile all’imprenditore romano, e finiti nelle casse della “Più voci”, onlus ritenuta dai pm di area leghista. I soldi sono arrivati in due tranche: un primo bonifico da 125mila è stato emesso il 1º dicembre 2015, un secondo con lo stesso importo è arrivato nel febbraio 2016. Si tratta di contributi “erogati – secondo il capo d’imputazione – in assenza di delibera da parte dell’organo sociale competente e senza l’annotazione dell’erogazione quale ‘finanziamento a partito’ nel bilancio di esercizio”. La Procura di Roma è convinta dunque che “Più Voci” sia un’associazione “riconducibile alla Lega Nord quale sua diretta emanazione e comunque costituente una sua articolazione”. È un’accusa che Centemero ha sempre respinto spiegando che quei versamenti erano regolari e che neanche un centesimo era andato al partito di Salvini.

A questa contestazione ora si aggiunge quella di autoriciclaggio, reato per il quale adesso risultano iscritti anche Parnasi e Manzoni. Secondo il capo di imputazione i tre, in concorso tra loro “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso anche in relazione agli ulteriori reati contestati, impiegavano nell’attività economica Radio Padania Società Cooperativa le somme così ottenute, ostacolando il riconoscimento della loro provenienza delittuosa”. “In particolare – continua la nuova accusa – dopo avere ricevuto in due soluzioni l’accredito della somma complessiva di 250mila euro dalla Pentapigna Srl, sul conto corrente dell’associazione Più Voci (…), la trasferivano integralmente sul conto corrente intestato alla società cooperativa (…) mediante l’effettuazione di sei bonifici bancari”. Quella provvista secondo i magistrati alla fine sarebbe stata utilizzata “per il pagamento delle società fornitrici e degli stipendi di lavoratori dipendenti”. Per finanziamento illecito Centemero ha una grana da risolvere anche a Milano, anche se per altri contributi. Ossia 40mila euro versati da Esselunga a “Più Voci” (la catena di supermercati ha regolarmente iscritto a bilancio l’erogazione).

Ma torniamo a Roma. L’udienza preliminare è stata rinviata al 16 novembre. Il Gup Marzano dovrà decidere anche sulla posizione dell’ex tesoriere del Pd, Francesco Bonifazi, indagato per il solo finanziamento illecito per altri contributi: 150mila euro pagati dalla solita Immobiliare Pentapigna Srl. Al centro della vicenda c’è uno studio dal titolo Case: il rapporto degli italiani con il concetto di proprietà commissionato alla Fondazione Eyu da parte della Immobiliare Pentapigna. Che paga con due bonifici: uno del 1° marzo 2018 dall’importo di 100mila euro, un secondo per altri 50mila euro effettuato quattro giorni dopo. Per i pm, però, la ricerca era solo un modo per “camuffare” il contributo economico “erogato – è scritto nel capo d’imputazione – in assenza della prescritta delibera da parte dell’organo sociale competente e senza l’annotazione dell’erogazione quale ‘finanziamento a partito’ nel bilancio d’esercizio”.