La soluzione alla carenza di vaccini nel mondo. Lo strumento più efficace per proteggere dal Covid gli abitanti delle nazioni più povere del pianeta. A questo doveva servire Covax, creato nell’aprile del 2020 dall’Oms per “dare a tutti un vaccino”. I numeri ufficiali, riassunti in una tabella aggiornata al 24 settembre e compilata da Our World in data, dicono che le nazioni più ricche del mondo hanno promesso di donare a quelle più povere 1,01 miliardi di dosi di vaccino, ma al momento ne hanno effettivamente regalate solo 143 milioni. Meno del 15% del totale. Una classifica in cui l’Italia non fa una bella figura. Su un totale di 45 milioni di dosi che abbiamo annunciato di voler donare, ne sono state effettivamente consegnate 1 milione: il 2,2%.
Eppure la produzione di vaccini viaggia ormai a pieno regime. Secondo gli ultimi dati dell’Ifpma – International Federation of Pharmaceutical Manufacturers and Associations, l’associazione internazionale dei produttori di farmaci – in questo momento nel mondo vengono prodotte 1,5 miliardi di dosi di vaccino al mese. La stima è di arrivare a 12 entro la fine dell’anno. Significa, in teoria, che l’intera popolazione mondiale potrebbe ricevere la doppia dose entro dicembre del 2021. I dati sui vaccinati nel mondo dicono che sicuramente non succederà.
Al momento sono 3,6 miliardi le persone che hanno ricevuto almeno una dose, il 47% della popolazione mondiale. La distribuzione dei vaccini è assolutamente iniqua. L’Italia è uno dei Paesi più vaccinati al mondo: il 72,4% della popolazione ha ricevuto la doppia dose. Nella Repubblica Democratica del Congo i vaccinati con doppia iniezione sono 36.255 persone, meno dello 0,1% della popolazione. In Nigeria lo 0,9, in Senegal 3,3, in Egitto 5,6, in Tunisia 3,6, Marocco 51,5. Cinque giorni fa, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha detto che in media in Africa il 4,4% della popolazione ha ricevuto la doppia dose.
Covax nasce due mesi dopo i primi casi italiani, su iniziativa proprio dell’Oms, della Commissione europea e della Melinda Gates Foundation. Ora è gestita dall’Unicef insieme a Gavi e Cepi. Fino all’agosto del 2020 non ha fatto nulla, poi tra agosto e settembre dell’anno scorso moltissime nazioni hanno aderito, i primi vaccini sono arrivati sul mercato, ma la macchina non si è messa in moto fino quando Usa e Cina non hanno aderito, tra gennaio e febbraio di quest’anno. All’inizio le donazioni non arrivavano, la produzione è andata quasi interamente ai grandi Paesi che hanno comprato. Adesso che il mondo industrializzato è pieno di vaccini, le dosi dovrebbero arrivare. Ma ancora non sta succedendo. Cinque mesi fa, l’Oms aveva detto di voler “consegnare 2 miliardi di dosi entro 2021”. Il 24 settembre eravamo a 143 milioni.
La terza dose, già approvata in diversi Stati tra cui l’Italia, ha fatto sicuramente calare le donazioni. Il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, ha detto più volte in questi mesi di essere contrario, se prima non si distribuiscono i vaccini a tutti. Ma non è questo l’unico fattore. Nel caso dell’Ue, di sicuro un freno è dato dai contratti firmati con le case farmaceutiche. È impossibile controllarli tutti, perché sono ancora segretati, ma quello siglato il 20 novembre 2020 dalla Commissaria Stella Kyriakides con Pfizer e BionTech – che Il Fatto ha letto – prevede due condizioni particolari. Se uno Stato europeo che ha acquistato la fornitura di vaccino dalle due case farmaceutiche decide di donare le sue dosi a un altro Paese, “sarà soggetto al consenso del venditore”, in questo caso Pfizer-Biontech. Inoltre – dice il contratto – il Paese a cui verranno donate le dosi erediterà la clausola sui risarcimenti in caso di danni, gli stessi firmati dalla Commissione europea, vale a dire che tutte le spese per eventuali indennizzi sono a carico del cliente. Motivi per cui anche i Paesi riceventi potrebbero non essere incentivati a chiedere. “Questa condizione è pazzesca. Abbiamo finanziato la ricerca sui vaccini, li abbiamo pagati per averli, e anche ora che ne siamo in possesso per donarli dobbiamo chiedere il permesso”, dice Vittorio Agnoletto, medico e docente all’Università di Milano del corso Globalizzazione e politiche sanitarie, convinto fin dall’inizio della pandemia che l’unica soluzione sia la sospensione dei brevetti.
I vaccini fin dall’inizio sono diventati un nuovo strumento geopolitico. Ogni grande potenza ha i suoi marchi, e ne usa una parta per consolidare alleanze e stringerne di nuove. Un mese fa l’Italia ha dichiarato i suoi obiettivi, partendo dal Vietnam. Una donazione da 800 mila dosi, scrive il ministro degli Esteri sul suo sito: “Un importante gesto di amicizia e di solidarietà nei confronti di un partner strategico per l’Italia nel Sud-Est asiatico e nell’Asean”. L’Italia donerà vaccini anche ad Albania, Indonesia, Iran, Iraq, Libano, Libia, Yemen. “Il sistema delle donazioni – secondo Agnoletto – dipende dalla volontà soggettiva, che siano Stati o aziende produttrici, e questo si trasforma in Stati che decidono se donare, a chi, quanto e quando. La differenza è che con la sospensione dei brevetti nessuna azienda dovrebbe chiedere il permesso a qualcuno per produrre. Si sostituirebbe la carità, che dipende sempre dalla soggettività del donatore, a un diritto, che è un atto oggettivo”.
La possibilità che i brevetti vengano sospesi è appesa a un’ultima decisione. Il vertice decisivo all’Organizzazione mondiale del commercio è previsto per fine anno, dal 3 novembre al 3 dicembre, alla riunione ministeriale, dove saranno presenti tutti i Paesi membri. Dopo il cambio di decisione da parte dell’Australia, i contrari alla sospensione dei brevetti restano Regno Unito, Svizzera e Unione europea.