“Patata bollente” Feltri condannato a pagare 11.000 €

Il Tribunale di Catania ha condannato a una multa di 11 mila euro per diffamazione il giornalista Vittorio Feltri per il suo articolo sulla prima pagina di Libero del 10 febbraio 2017 dal titolo “Patata bollente” sulla sindaca di Roma, Virginia Raggi. Il giudice ha stabilito un risarcimento danni da stabilire in sede civile, fissando una provvisionale di 5 mila euro, il pagamento delle spese legali e la pubblicazione della sentenza sui maggiori quotidiani nazionali. Con Feltri era a processo, per omesso controllo, anche il direttore responsabile del quotidiano, Pietro Senaldi, condannato a una multa di 5 mila euro, pena sospesa. La Procura aveva chiesto la condanna a tre anni e quattro mesi di reclusione per Feltri e a otto mesi per Senaldi. La competenza del caso è radicata a Catania perché è la città in cui è stata stampata per prima la copia del quotidiano. Feltri era stato rinviato a giudizio in qualità di “direttore editoriale e di autore del pezzo”, per avere “offeso la reputazione di Virginia Raggi”.

Michetti non sa di Pippo Franco col Pass falso

“N on so niente. Abbiamo migliaia di candidati, non so di cosa stiamo parlando”. Enrico Michetti derubrica così Pippo Franco e i suoi 45 voti (lo spoglio è parziale) raccolti da candidato nella lista civica. L’aspirante sindaco di Roma per il centrodestra è realmente all’oscuro della presunta irregolarità che, secondo i Nas e la Procura di Roma, avrebbe interessato il certificato vaccinale dell’attore. Gli inquirenti sono al lavoro su un centinaio di nomi. Indagato un medico di 56 anni del quartiere Appio-Tuscolano (Pippo Franco vive all’Olgiata) ma la politica si è già scatenata.Ieri, l’assessore regionale alla Sanità, Alessio D’Amato, ha chiesto “subito chiarezza” su tutta la vicenda. L’attore, invece, al momento non risulta indagato. Il 15 settembre scorso, Pippo Franco – che si è definito più volte “scettico” rispetto ai vaccini anti-Covid – intervistato da La7, alla domanda se si fosse vaccinato, ha risposto sorridendo: “Vi basti sapere che ho il Green pass, dunque il problema si è risolto”.

Il processo Becciu rischia l’annullamento per la mancanza dei file audio di Perlasca

Colpo di scena al processo in Vaticano sui fondi alla Segreteria di Stato, che vede imputato anche l’ex sostituto agli affari generali, il cardinale Angelo Becciu. Il procedimento rischia addirittura l’annullamento. Ieri il promotore giudiziario aggiunto, Alessandro Diddi – dunque il pm – ha chiesto l’azzeramento. Il motivo è da ricercarsi nell’istanza dei difensori che invece reputano il processo nullo per la mancanza agli atti della testimonianza completa di monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato fino al 2019, un tempo braccio destro di Becciu e oggi principale accusatore suo e degli altri 9 indagati. Secondo le difese, potrebbero esserci state delle forti irregolarità procedurali nell’interrogatorio. Questa mattina è prevista la decisione della Corte, presieduta dal presidente Giuseppe Pignatone che scioglierà la riserva sulla “maxi richiesta delle parti”, come l’ha definita lui stesso. Il processo ruota intorno alla compravendita-truffa di un immobile di prestigio nel quartiere Chelsea nel centro di Londra, costato alla Santa Sede una cifra stimata tra i 77 e i 175 milioni di euro, cui sono seguiti presunti episodi di peculato e abuso d’ufficio da parte di Becciu. Perlasca è stato interrogato cinque volte, due come indagato e altre tre come persona informata sui fatti: l’alto prelato è stato prosciolto quando ha iniziato a collaborare con i magistrati vaticani. Una delle deposizioni, quella chiave di circa cinque ore, sarebbe stata video-registrata, ma non è finita agli atti e dunque in possesso degli avvocati difensori. Agli atti non ci sono i file delle deposizioni, ma solo i verbali, in alcuni casi parziali. Il pg aggiunto Diddi ha motivato l’assenza del materiale per tutelare la privacy dello stesso Perlasca e delle persone da lui citate. Se la richiesta di Diddi venisse accolta, ossia “azzerare il processo fatto finora per procedere a un corretto interrogatorio davanti al promotore di giustizia”, il processo ricomincerebbe daccapo. Se invece vincesse la “mozione” degli avvocati difensori, verrebbe annullato il rinvio a giudizio e si tornerebbe alla fase d’indagine. “È giusto che le difese abbiano a disposizione tutti gli atti, doveva essere fatta una selezione prima della citazione in giudizio”, ha detto Pignatone. Si parla di oltre 300 dvd per un costo di quasi 371mila euro.

Gli anni dei guadagni da record grazie alle consulenze con Condotte

Luca Di Donna è una vecchia conoscenza dei lettori del Fatto. Il 12 marzo 2019 raccontavamo che il professore aveva ottenuto una consulenza da una società in Amministrazione Straordinaria che ricadeva e ricade sotto il controllo del Ministero dello Sviluppo Economico allora retto dall’ex leader del M5s Luigi Di Maio. I tre commissari di Condotte, nominati con un sorteggio dal Ministero nel 2018, avevano affidato un incarico importante all’avvocato Di Donna, quello dell’esame delle domande di insinuazione al passivo dei creditori. Nell’articolo raccontavamo che nello studio del professor Guido Alpa (che in passato aveva ospitato fisicamente anche Di Donna) si era svolta una riunione su una vertenza tra il Gruppo Condotte e la società pubblica RFI, in merito ai lavori del passante ferroviario di Firenze.

Però non risultava dal sito Condotte un incarico ad Alpa a quella data. C’era solo l’incarico, di diverso oggetto per lo stato passivo, allo Studio Di Donna, ospitato nello stesso palazzo di Largo Cairoli ma al quarto piano mentre studio Alpa stava due piani sotto. L’ufficio di Di Donna in passato ospitava lo studio di Giuseppe Conte. Però lo studio perquisito ieri dai pm di Roma non è mai stato condiviso: Conte ne è uscito nel 2018 e Di Donna lo ha affittato dopo. Questo ci spiegò allora il presidente del consiglio dell’epoca. Ci disse di non avere avuto mai un’attività professionale in comune né con Luca Di Donna, né con Alpa. Entrambi sono legati al professore più anziano che ha lo studio nello stesso stabile due piani sotto. Ovviamente Conte conosceva bene Di Donna ma ci disse che non lo aveva praticamente incontrato più dalla sua nomina a premier. Conte aveva disdetto il contratto e Di Donna aveva affittato i locali un tempo occupati dal suo studio. A sua insaputa.

Ripercorriamo la versione di Conte sul punto perché oggi Di Donna è accusato di traffico di influenze illecite ed è bene ribadire i limiti del suo rapporto con il leader M5S.

Inoltre, anche se non ha nulla a che fare con l’indagine penale su Di Donna, la questione delle consulenze di Condotte resta interessante.

Condotte ha concesso nel maggio 2020 un incarico al professor Gianluca Maria Esposito, indagato con Di Donna. L’incarico non ha a che fare con l’inchiesta ed è stato concesso come sempre dopo beauty contest. Ha per oggetto “instaurazione per conto del Cociv di un giudizio contro RFI finalizzato al pagamento delle riserve”. Il valore è “medi di tariffa scontati del 55%”.

Secondo un articolo pubblicato da La Verità, Luca Di Donna ha visto esplodere i suoi introiti anche grazie a Condotte. In generale, “le sue entrate tra il 2017 e il 2018 si sono quintuplicate toccando quota 750 mila euro”. Nel 2020 sempre per La Verità “hanno sfiorato gli 800 mila euro. L’unica flessione è stata registrata nel 2019 quando il reddito è ‘solo’ raddoppiato rispetto al 2017”.

Secondo il quotidiano Di Donna avrebbe percepito dal gruppo Condotte 637mila euro nel biennio 2019-2020. Sono compensi leciti ovviamente per incarichi affidati, dopo beauty contest dai commissari del gruppo. Di Donna, dopo quello svelato dal Fatto (che non dovrebbe valere più di 160 mila euro) ha avuto molti altri incarichi dal gruppo Condotte. Il più importante è una retribuzione fissa mensile di 18 mila euro al mese più “retribuzione variabile pari al 2 per cento” in caso di esito positivo del giudizio di primo grado.

Poi l’estensione dell’incarico di consulenza legale già affidato per la società Condotte per le altre società del gruppo pari a “medi tariffari decurtati del 55 per cento” oltre a un premio di ‘success fee’ tra 150 mila e 250 mila euro.

Dopo il nostro articolo anche il professor Alpa ha poi effettivamente avuto l’incarico sulla vertenza del gruppo con RFI, il 12 novembre 2019, dopo un beauty contest. Il compenso è “determinato secondo i parametri di cui al DM 28/7/2016, con parte fissa di 38mila oltre al 0,5 per cento delle somme ricavate dall’accordo. Il tutto comunque entro un massimo di € 138.000 e oltre accessori”.

La vertenza sul nodo di Firenze si è chiusa poi il 27 maggio 2020 con una transazione che prevede tra l’altro la definizione dei contenziosi e il riconoscimento di 18 milioni di euro a Condotte.

Indagato Di Donna, il legale che ha preso l’ufficio di Conte

Associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze. È il reato che la Procura di Roma contesta a Luca Di Donna, professore ordinario della Sapienza e avvocato che ha affittato lo studio legale che ospitò lo studio di Giuseppe Conte (di proprietà di una società terza e i due non lo hanno mai condiviso). Con Di Donna sono iscritti altri due professionisti: Valerio De Luca e Gianluca Maria Esposito. L’indagine è molto delicata sia perchè riguarda professori stimati e professionisti dell’anti-corruzione ma anche per i pubblici ufficiali i cui nomi sarebbero stati spesi a loro insaputa. Al centro dell’inchiesta ci sarebbe l’assegnazione di appalti e forniture presso la Struttura commissariale per l’emergenza Covid, Mise e Invitalia. Il sospetto degli investigatori è che tra i pubblici ufficiali “trafficati” (aspetto che emerge dall’inchiesta, ma non dal decreto di perquisizione) da alcuni degli indagati (e quindi estranei all’indagine) ci sia lo stesso Conte, ma anche Domenico Arcuri, ex commissario straordinario per l’emergenza e ora in Invitalia. Proprio sui rapporti con Di Donna l’ex premier aveva già spiegato: “Da quando sono diventato presidente del Consiglio non l’ho frequentato più. Non so nulla della sua successiva attività professionale”.

Fonti vicine ad Arcuri riferiscono la versione dell’ex commissario: “non conosco Di Donna”. Ieri dunque i carabinieri hanno perquisito sia l’abitazione che l’ufficio di Di Donna, che si trova al quarto piano nello stesso stabile dello studio del professor Guido Alpa. L’avvocato Alpa e Conte sono molto amici e i due studi condividevano fino all’uscita dell’ex premier dalla professione il centralino della segreteria e alcuni clienti. Perquisiti anche gli altri due professionisti indagati. Gianluca Maria Esposito è professore ordinario a Roma, presso il dipartimento di scienze sociali ed economiche alla Sapienza. È stato anche direttore del corso di alta formazione su “Anticorruzione e Appalti della Pubblica Amministrazione”. E basta fare una ricerca sul web per trovare importanti convegni organizzati da Esposito, come quello del 13 luglio 2017 dal titolo “Da Mani pulite all’Anac di Raffaele Cantone”, e al quale hanno partecipato – stando a quanto annunciato – l’allora sottosegretaria Maria Elena Boschi e l’ex presidente dell’Anac Raffaele Cantone. Ovviamente nessuno di questi ha a che fare con l’indagine romana. Secondo quanto spiegano fonti vicine a Esposito, il professore ha mostrato agli inquirenti tutte le carte per discolparsi. In particolare due pareri pro veritate “assolutamente regolari, su questioni giuridiche che gli sono stati commissionati quale esperto dal prof. Luca di Donna”. Le stesse fonti aggiungono che Esposito non conosce Valerio De Luca, l’altro professionista indagato. De Luca è a capo dell’accademia Aises ma è anche presidente esecutivo di Task force Italia, “una piattaforma di know-how, no profit” con il compito tra le altre cose di elaborare “proposte” anche nel dopo pandemia. Anche Di Donna fa parte del comitato scientifico di Task force Italia.

Bavaglio procure. Per la stampa solo comunicati

Post elezioni permettendo, oggi in commissione Giustizia della Camera si dovrebbe votare il parere sul bavaglio a magistrati e giornalisti, ovvero lo schema di decreto legislativo del governo sulla presunzione di innocenza. Un parere che, addirittura, nel testo proposto dal relatore Enrico Costa (Azione) chiede modifiche peggiorative per la libertà di informazione. Invece, il M5S vuole variazioni del testo, ma per evitare l’“ingessamento” dei pm e dei giornalisti, denunciato dai vertici dell’Anm la settimana scorsa. Secondo lo schema del governo, “la diffusione di informazioni sui procedimenti penali è consentita solo quando è strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini o ricorrono altre rilevanti ragioni di interesse pubblico”. Potranno parlare, si fa per dire, solo i procuratori “esclusivamente tramite comunicati ufficiali oppure, nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti, tramite conferenze stampa”.

Ecco, secondo Costa è troppo persino una sporadica conferenza stampa: “Introdurre tale facoltà… non risulta coerente con quanto stabilito dalla direttiva europea (sulla presunzione di innocenza, recepita su input di Costa e dei renziani, ndr). Ancora meno coerente è il riferimento alla ‘particolare rilevanza pubblica dei fatti’, formula equiparabile a ‘interesse mediatico’…”. Cioè non ci deve essere nessuna possibilità che i giornalisti possano avere notizie su politici e altri personaggi pubblici e che ai cittadini possa essere garantito il diritto a essere informati. Costa, inoltre, vuole che sia scritto nero su bianco che i magistrati siano invisibili come i fantasmi e che alla polizia giudiziaria sia vietato parlare con i cronisti, non gli basta che, anche secondo lo schema del governo, i giornalisti non possano interloquire con i pm: deve essere previsto “il divieto di comunicazione dei nomi e delle immagini dei magistrati relativamente ai procedimenti e processi penali loro affidati” e che “gli ufficiali di polizia giudiziaria o gli uffici stampa delle forze di polizia non siano autorizzati a fornire informazioni sugli atti di indagine”.

Di segno opposto le modifiche proposte dal M5S. I pentastellati non vogliono procuratori silenti o che possano comunicare con i giornalisti “esclusivamente” o con comunicati o, in certi casi, con conferenze stampa. Infatti, chiedono che venga tolta dal ddl la parla “esclusivamente” o in subordine venga sostituita da “preferibilmente”, in modo da lasciare spazio ai capi delle procure e ai giornalisti di rapportarsi anche in modi e spazi diversi e non solo per motivi “particolari”. Inoltre, il M5S pensa, come l’Anm, che vada modificato l’articolo 4 che riguarda i paletti ai giudici, i quali quando scrivono provvedimenti dovrebbero “limitare i riferimenti alla colpevolezza… alle sole indicazioni necessarie a soddisfare i presupposti” di legge. Secondo il M5S ci vogliono modifiche “volte a consentire la piena libertà di espressione e motivazione del convincimento del giudice”, anche nelle sentenze non definitive, “escludendo espressamente che l’utilizzo di espressioni che indichino quale colpevole l’indagato o l’imputato possano configurare vizi dei provvedimenti”.

Il dirigente dell’Ospedale Sacco: “Se Massimo continua finisce in galera”

È il 29 gennaio 2020 quando la Procura di Milano capisce “il livello di condizionamento dei concorsi pubblici” e il modo di agire del virologo Massimo Galli, tanto da far dire a un dirigente dell’ospedale Sacco: se va avanti così rischia di finire in galera. Finirà indagato per associazione, turbativa e falso.

Quel giorno, un’impiegata dell’ospedale, in un’intercettazione agli atti, discute con la ricercatrice Claudia Moscheni di un bando per professore associato, dove Galli è presidente della commissione giudicatrice. Dice che l’allora primario di Malattie infettive ha chiamato i due commissari con accanto Agostino Riva, il candidato da favorire, spiegando come fosse probabile che il secondo pretendente Massimo Puoti, primario al Niguarda, non si sarebbe presentato, svelando notizie riservate. Inizia così a prefigurarsi “l’accordo clandestino” tra i due. La ricercatrice si augura che il prof. abbia il telefono sotto controllo. Tanto più, si legge, che Puoti ha il doppio delle pubblicazione di Agostino Riva, il favorito di Galli che alla fine vincerà e finirà indagato. Nell’ottobre 2019, Galli al telefono con Claudio Mastroianni, primario all’Umberto I di Roma, commissario indagato per la vicenda, si augura di non avere rogne per l’assegnazione del posto. Dice che le domande sono due, ma che una salterà, perché sennò potrebbe venire fuori un casino. Aggiunge che il candidato Puoti sparirà per logica e non con delle pressioni. Secondo i pm il passaggio è decisivo, perché se il candidato non si fosse ritirato c’era il rischio di casini dati dal fatto di dover sminuire forzatamente il curriculum di Puoti rispetto a quello di Riva. Decisive le intercettazioni del 21 febbraio 2020 tra Galli e un collega dell’Università di Brescia che lo avverte della rinuncia di Puoti. Galli, soddisfatto, spiega che così potrà risolvere il problema in amicizia senza doversi trovare a fare cose che non si addicono a nessuno di loro professori. Il dialogo, per i pm, chiarisce come fin da subito “vi era solo un simulacro di competizione”. Visto che Puoti ha un indice di valutazione (H-index) doppio rispetto a Riva. Il 3 febbraio 2020 il condizionamento si fa più forte. Puoti è ancora in corsa. Al telefono Bianca Ghisi, segretaria di Galli, parla con Riva e gli passa il virologo, il quale in modo illecito, secondo i pm, concorda con lui ciò che dovrà scrivere rispetto alle pubblicazioni. Galli è in riunione con i due commissari. Dopo il confronto in diretta con il candidato, il virologo rilegge a Riva persino la frase che scriverà nel verbale sulle sue pubblicazioni. “L’accordo preventivo” è, secondo i pm, dimostrato.

Il 14 febbraio è il giorno decisivo. Galli e la commissione devono fare i punteggi rispetto alle pubblicazioni. La riunione si apre alle 10 e si chiude quasi due ore dopo. Riva viene allertato dalla Ghisa. Deve andare subito da Galli. Non può, dice, sta visitando. Lo chiamerà. Galli così gli spiega che devono ragionare sui punteggi “voce per voce”. Perché in due è meglio che uno, altrimenti, dice Galli, lui rischia di scrivere cazzate. Sono le 14,33 del 14 febbraio e i punteggi ancora non sono stati scritti, come invece è attestato falsamente da Galli nel verbale dello stesso giorno chiuso alle 11,45, particolare che gli vale l’accusa di falso in atto pubblico. I punteggi non ci saranno nemmeno verso sera, quando alle 19 Galli al telefono con Mastroianni spiega che ancora li sta facendo, fino a che i due concordano di assegnare oltre tre punti in più a Riva rispetto a Puoti. Il primario del Niguarda capisce il gioco e si sfoga con la compagna. Dice che lo hanno fregato sui titoli e ripete: sono riusciti a fregarmi. Ma non è finita: anche sulla prova orale, Galli concorda i temi da trattare e li comunica prima ai commissari. Con Mastroianni ribadisce che il candidato è unico e i problemi sono spariti! Il 18 marzo (in pieno primo lockdown!) va in scena l’ultimo atto: la prova orale che Riva sostiene con a fianco Galli e collegato coi commissari. Durerà la metà del previsto. In sottofondo si ascolta Galli concordare un’intervista con un noto settimanale. In un’altra intercettazione Galli ammette di aver tirato fuori dal fondo della classifica Riva portandolo avanti. Conclude: si fa tutto quello che si può fare!

Concorsi pilotati in università: 33 indagati, anche il prof. Galli

“Le indagini hanno delineato un sistematico condizionamento delle procedure per l’assegnazione dei titoli di ricercatore e di professore all’interno della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Milano”. E ancora: “Gran parte dei concorsi banditi sono stati oggetto di condotte di addomesticamento, collusioni e altri metodi che hanno inquinato la regolarità delle procedure sostituendo logiche clientelari al metodo meritocratico”. Eccolo il sistema fotografato dalla Procura di Milano nella nuova Concorsopoli lombarda, che vede al momento 33 indagati e tra questi il noto virologo ed ex primario dell’ospedale Sacco, Massimo Galli, accusato di associazione a delinquere, falso e turbativa d’asta. A Galli, che ieri ha spiegato: “Non commento sono tranquillo”, sono contestati quattro episodi per falso e turbativa. In uno, per un bando all’Università di Torino, è indagato in concorso con il virologo dell’Università romana di Tor Vergata, Massimo Andreoni, e con l’ordinario di Torino, Giovanni Di Perri, entrambe figure direttive della Società italiana per le malattie infettive e tropicali (Simit). I passaggi fondamentali dell’indagine emergono dal decreto di perquisizione eseguito ieri dai carabinieri del Nas a Milano, Torino, Palermo, Pavia e Roma. Ben 16 i capi d’imputazione che riguardano il condizionamento di bandi all’università Statale e alla Bicocca di Milano oltre che al Sacco. Una situazione, scrivono i pm, “sconcertante”. Per l’assegnazione di 4 posti di biologi è indagato con Galli, il dg del Sacco, Alessandro Visconti, già assessore leghista in un comune di Varese. In questo caso “il progetto illecito” di Galli sarà contrastato da Maria Rita Gismondo, direttrice di Microbiologia al Sacco, che accortasi di come si volesse costruire una commissione ad hoc minaccerà di fare denuncia in Procura. A Galli è contestata anche l’accusa di aver falsificato il verbale di una commissione per favorire un suo candidato. I metodi per condizionare le assegnazioni vanno dalla composizione eterodiretta della commissione, fino allo scoraggiare i candidati più meritevoli a non partecipare con minacce implicite o ventilando future utilità. Come avvenuto nel caso (“turbato con promesse e collusioni”) dell’assegnazione di un ruolo di professore di prima fascia. Che andrà a Gianguglielmo Zehender (indagato) tra i più stretti collaboratori dello stesso Galli. E dove il professor Francesco Auxilia (indagato), ordinario di Scienze Biomediche, membro della commissione, secondo i pm, proverà a dissuadere i colleghi con gli stessi requisiti a non partecipare. Zehneder assieme a Galli concorderà il cosiddetto “medaglione” e cioè la tipologia di impegno scientifico richiesta dal bando. L’indagine nasce nell’aprile 2018 dopo un esposto sul “mercanteggiamento” per gli ingressi alla facoltà di Odontoiatria alla Statale. Da subito si concentra su un dentista e poi si sdoppia. Da un lato prende la via emersa ieri, dall’altro seguirà gli interessi di Cosa Nostra sulla movida di Milano.

I salotti tv nella disperazione: Carlo affondato dagli exit-poll

La maratona delle Tv è dedicata agli exit-poll e alle proiezioni, ma soprattutto al tema del giorno: “Perché Calenda non è stato eletto sindaco al primo turno?”. Estenuante dibattito tra ospiti residenti in zone a traffico limitato; facce nerissime; analisi di ore, tipo teatro lituano; speranza nella fallibilità degli exit-poll. Su Twitter c’è chi propone di togliere il diritto di voto ai romani.

Renzi twitta subito: “I dati dai seggi mostrano risultati molto buoni per i candidati sostenuti da @ItaliaViva”. Schivo com’è, non ha voluto mettere il simbolo di Italia Viva sulle schede, altrimenti la vittoria sarebbe stata ancora più plateale. Sintesi mirabile di Elio Vito: “Italia Viva ha vinto in tutte le città dove non si è presentata”.

Nel corso delle ore appare chiaro che Calenda, che alle 19 è quarto su quattro candidati, ha praticamente vinto. In effetti è il primo partito per voti; ma la notizia è come mai uno pompatissimo dai media per mesi, caro a tutto il mondo confindustriale, che ha speso 313 mila euro per una campagna elettorale populistica e demagogica lautamente finanziata da imprenditori del Nord, capitani d’industria, Federcose varie, è arrivato quarto (si apprenderà poi l’indomani ch’è terzo).

“Vinco al primo turno”, titolava il Foglio la sua intervista il 26 settembre. “Calenda punta a superare il 30% alle elezioni europee”, erano i titoli dei giornali nel 2019, quando per tutti era “il leader del fronte repubblicano”. Allora prese 270mila voti dei 6 milioni e rotti del Pd, cioè il 4% del 22%, che equivale all’1% a livello nazionale.

Rosato (Iv): “A Terzorio altro splendido risultato per Valerio Ferrari riconfermato sindaco. Congratulazioni!”. Terzorio ha 189 elettori e Ferrari, sindaco uscente, correva da solo.

“Io come sapete tendo a non venire meno agli impegni presi con gli elettori”, dice in serata Calenda, che due giorni dopo essere stato eletto europarlamentare col Pd ha annunciato che si sarebbe fatto un partito suo.

“Non mi sono candidato contro il Pd”, dice quello che pretendeva di essere candidato dal Pd, poi voleva si indicessero le primarie, infine si è candidato con stizza contro Gualtieri. A riprova di ciò, non dà indicazioni di voto per il ballottaggio, lui che è stato ministro con governi del Pd, è stipendiato dal Parlamento europeo grazie ai voti del Pd, etc. (Non hanno avvertito Letta, che in collegamento dice che nel futuro vede una convergenza con Calenda. Nessuno si domanda chi o cosa spinga il Pd a essere succubo di questo personaggio).

Letta è in collegamento con Porta a Porta da piazza del Campo sotto una tormenta epocale, senza ombrello. Fa presente a Vespa che non sa quanto può resistere. Vespa se ne frega e gli chiede come ci si sente a vincere. Letta, il maglioncino in lana merinos zuppo, cade preda di una risata nervosa. L’inviata regge il microfono facendo leva sugli addominali per resistere alle folate di vento micidiale. Letta, gli occhiali appannati, supplica: “Non credo di poter andare avanti così”. Vespa: “Vada, vada. Grazie per essersi bagnato per noi”.

Rosato (Iv), Twitter: “Bene @EnricoLetta eletto a Siena. Un ottimo risultato frutto di un bel lavoro di squadra, a cui @ItaliaViva ha dato il suo rilevante contributo”. Povero Enrico, è finito dentro un gioco sadomaso. Vogliono farlo ridiventare premier per buttarlo giù ancora.

In serata, atroce dubbio: che fine farà il tatuaggio con la scritta littoria SPQR sul polso di Calenda? Lo sovrascriverà col suo numero di seggio al consiglio comunale? Farà il controllore nella giunta Gualtieri/Michetti della regolarità delle scritte sui tombini? O lo coprirà con l’acronimo della prossima velleitaria avventura?

Michetti, su tutti i canali, pensa ancora di stare alla radio romana e attacca un pippone antiburocratico inenarrabile: “”. Non lo ascolta né gli risponde nessuno.

Gualtieri appare confuso, ripete “Facciamo rinascere Roma”, ma ha l’aria di pensare: “Se vinco, sono finito”.

Se il Pd – che Renzi voleva distruggere creando Iv e ancor più prima, quando ne era segretario – avesse perso, Renzi avrebbe detto che il Pd paga l’alleanza con Conte, che si vince al centro, che Tony Blair è meglio di Corbyn, etc. Lo diciamo a quei tordi del Pd.

Quelli di Iv vanno in Tv con la consegna di dire che sono di centrosinistra. Ma a Torino si sono presentati, imboscati e senza simbolo, insieme a Calenda e madamine Sì Tav, nella lista Progresso Torino, che sosteneva il candidato di centrodestra Damilano (prendendo lo 0,74%).

Calenda si vanta di aver preso voti da destra, centro e sinistra. I giornalisti in studio dicono che i grillini sono proprio populisti.

Salvini a Porta a Porta legge la sconfitta: “Ci si è dedicati al guardonismo invece di parlare di Tor Bella Monaca”. Morisi, che era nella segreteria della Lega e pagato da noi, non è accusato di omosessualità, come fa intendere Salvini, ma di cessione di stupefacenti. In effetti, uno dei problemi di Tor Bella Monaca.

Alle 23 i notisti politici sono letteralmente sconvolti: non si capacitano che Calenda sia sotto la Raggi: lo vedevano già entrare nell’Urbe su un toro (rappresentazione della Borsa) addobbato di rose. Dal quartier generale di Michetti partono panegirici per l’ex manager Ferrari e uomo di Montezemolo. Lui, per un istante, prima di realizzare che servono i suoi voti per il ballottaggio, ci crede veramente, che lui era il migliore.

A mezzanotte arriva la notizia: Calenda è al 35% al II Municipio (Parioli). Aleggia in studio l’idea di una legge per rendere il II Municipio grande elettore.

Meloni, nera in volto, ignora Michetti, assume una posa ducesca e rivela a cosa serviva il tribuno: votiamo Draghi presidente della Repubblica, ma elezioni subito.

A mezzanotte su Rai1 ricompare Michetti. Dice che deve rifunzionare la macchina etc..

Renzi twitta: “E a chi ironizzava sui sondaggi faccio notare che quasi ovunque le nostre liste sono davanti ai 5Stelle e spesso decisive per la vittoria dei candidati. Avanti così”. Da Terzorio a passo di carica per governare il Paese. Avremmo voluto vederlo in Tv a intestarsi vittorie a caso, invece ci toccano le mezze tacche. Perché laddove gli altri sono apprendisti, aspiranti, amatori, lui è e resterà sempre il Maestro, il virtuoso, il Paganini della cazzata.

Boom preferenze: Feltri e la nipote del Duce (FdI)

Appena dietro la corsa dei big nelle grandi città, le elezioni amministrative concedono storie assai curiose: no vax, “figli di”, campioni di preferenze ed esclusi eccellenti.

A Milano il record di preferenze in FdI ce l’ha Vittorio Feltri (2.268), che entra in Consiglio insieme ai due candidati coinvolti nell’inchiesta “Lobby Nera” di Fanpage, Francesco Rocca (929) e Chiara Valcepina (903). Da segnalare il flop della capolista della Lega Annarosa Racca, dentro per un pelo e sesta nel suo partito. Vola, al contrario, l’ex assessore dem Pierfrancesco Maran, trascinatore del Pd con ben 9 mila preferenze. Nella stessa lista passano due giovani: Gaia Romani, classe ’96, e Federico Bottelli, di un anno più grande, entrambi in grado di sconfiggere diversi dem di lungo corso.

Segnale che a sinistra qualcosa si muove, come dimostrano anche altre città. A Torino tra le più votate c’è Ludovica Cioria, 32 anni, a Trieste il ventinovenne Riccardo Laterza raccoglie un ottimo 8 per cento alla guida di una lista di sinistra, a Caserta entra in Consiglio Raffaele Giovine, di anni 27. Per non dire di Bologna, dove campionessa di preferenze è la trentenne Emily Clancy (3.500 voti in una civica in sostegno a Matteo Lepore), capace di battere la Sardina Mattia Santori, comunque primo nel Pd con 2.500 elettori. E giovane è anche Giovanni Crosetto, trentunenne neo eletto a Torino. Ai più attenti suonerà familiare il cognome, che infatti è lo stesso dello zio Guido, tra i fondatori di Fratelli d’Italia e principale sponsor della candidatura del nipote nel medesimo partito.

Lo spoglio di lunedì sera ha però regalato anche rovinose cadute. A Roma Pippo Franco, candidato con Enrico Michetti, s’è dovuto accontentare della miseria di 37 voti. In Calabria sia Luigi de Magistris che Mimmo Lucano resteranno fuori dal Consiglio regionale: il primo, candidato presidente, è arrivato terzo (il posto è garantito solo al miglior perdente), mentre l’ex sindaco di Riace ha ottenuto ben 9 mila preferenze, ma solo il 2,49 per cento come risultato di lista, insufficiente per superare la soglia di sbarramento. Niente da fare neanche per Luca Palamara, che sognava di entrare alla Camera attraverso le suppletive di Roma Primavalle. L’ex magistrato è finito sotto al 6 per cento, lontanissimo dal neo parlamentare Pd Andrea Casu e dal suo rivale Pasquale Calzetta.

A proposito di Roma, i prossimi quindici giorni saranno probabilmente decisivi per il futuro di Rachele Mussolini. La nipote del Duce è stata la più votata nella Capitale, guadagnandosi la conferma il Consiglio con FdI grazie a 4.435 preferenze. Abbastanza, in caso di vittoria di Michetti al ballottaggio, per legittimare ambizioni da presidente dell’Assemblea. Ma il secondo turno sarà determinante pure a Benevento, dove l’eterno Clemente Mastella ha fallito per pochi voti la riconferma, fermandosi al 49,3 per cento. Tra due settimane sfiderà allora il rivale di centrosinistra Luigi Diego Perifano, che riparte dal 32,3 per cento di due giorni fa.

Nulla a che vedere col clima di esaltazione che trapela da Italia Viva, i cui social sono in festa da due giorni. Il partito di Matteo Renzi rivendica successi ovunque: “Congratulazioni a Nicola Trunfio che vince a Villamaina”; “Complimenti a Gerardo Stefanelli riconfermato sindaco a Minturno”; “Complimenti a Michele Concezzi, eletto sindaco di Torri in Sabina!”. In realtà Iv aveva liste autonome solo in quattro Comuni su oltre 1.100: Rho (Milano), Eboli (Salerno), Caserta e Sesto Fiorentino, dove il deputato Gabriele Toccafondi ha provato la corsa autonoma contro il resto del centrosinistra finendo schiacciato (70 per cento contro 6 per cento). Sui social Iv ha pure festeggiato la vittoria di Nui Tersurin a Terzorio, provincia di Imperia. Senza specificare che Tersurin era l’unico candidato, non a caso scelto da ben 124 elettori su 124.

Una partita molto meno incerta rispetto a quella di Lauria, in Basilicata, dove nella notte di lunedì lo spoglio ha sancito la vittoria di Giovanni Pittella: senatore del Pd e già eurodeputato, nel suo primo discorso ha ringraziato il fratello Marcello, ex governatore “sempre presente con la sua lungimiranza”, nonché imputato per la Sanitopoli in Regione.

Restando a Sud, a Napoli nel dominio giallorosa svettano soprattutto i nomi forti del Pd. I più votati sono Gennaro Acampora (4.380 preferenze) e Enza Amato (4.197), figlia del Tonino già assessore con Antonio Bassolino. Niente da fare, a destra, per Alessandra Caldoro (728), sorella dell’ex governatore Stefano.

Destini divergenti, infine, per le varie liste No-Vax eNo-Green Pass sparse per l’Italia. A Rimini e a Trieste il Movimento 3V manda in Consiglio Ugo Rossi e Matteo Angelini, forti di percentuali tra il 4 e il 5 per cento. Ai limiti del surreale invece quanto successo a Gianluigi Paragone a Milano: per entrare in Consiglio serviva il 3 per cento; si è fermato al 2,99. Non si fatica a capire perché l’abbia presa male: “Hanno fatto una porcata per tenerci fuori, vedremo se chiedere il riconteggio delle schede”.