Panico alla Camera e al Senato: convegno con Paesi senza Pass

Montecitorio e Palazzo Madama sono in assetto da guerra ché oltre alla ripresa dei lavori attesa per oggi, da giovedì spalancheranno le porte ai delegati attesi per la PreCop sul clima dei Parlamenti, il primo evento internazionale da che è scoppiata l’epidemia. Roba da fare uscire pazzi i cerimoniali e, di questi tempi, soprattutto il servizio sicurezza e prevenzione di Camera e Senato: perché ci saranno i ministri Luigi Di Maio e Roberto Cingolani, il vicepresidente esecutivo della Commissione Ue sul piano verde europeo Frans Timmermans, la speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti Nancy Pelosi, il capo dello Stato Sergio Mattarella, tutti accolti dagli ospiti di casa Roberto Fico e Maria Elisabetta Alberti Casellati.

Ma a parlare delle ambizioni per la lotta contro il cambiamento climatico ci saranno soprattutto delegazioni da tutto il mondo, provenienti anche da quei Paesi per i quali, per via del Covid, sono previste restrizioni all’ingresso in Italia, come Brasile, India e Bangladesh. O comunque in arrivo da aree geografiche dove il Green pass non sanno neppure cos’è. Per questo da giorni è scattato l’allarme rosso con la mappatura del piano voli, degli alberghi prescelti, dei luoghi in cui i rappresentanti dei singoli parlamenti si vedranno prima, durante e dopo le sessioni di lavoro del vertice ospitato a Montecitorio dove si entra solo col tampone, anzi coi tamponi. È infatti previsto che i delegati attestino l’esito negativo di un test molecolare eseguito 48 ore prima dell’ingresso nel territorio italiano. Quelli provenienti da Paesi non appartenenti all’Ue e chi non fosse in possesso del Green pass, rilasciato secondo la normativa in vigore, dovranno anche sottoporsi a un altro tampone antigenico a Fiumicino. Tutti, quale che sia la provenienza, dovranno comunque farne uno prima di mettere piede a Palazzo, per partecipare alla PreCop prevista da venerdì alla Camera o alla Conferenza dei presidenti dei Parlamenti dei Paesi del G20 ospitata il giorno prima al Senato. E se del caso dovranno pure ripetere il tampone ché di mezzo, per chi lo vorrà, è prevista anche la visita a San Pietro e l’udienza da papa Francesco, dove si entra solo con un test negativo.

Insomma nei due drive in allestiti a ridosso di Montecitorio si faranno gli straordinari. E pure dentro il Palazzo: dopo i tamponi, i delegati dovranno passare la prova dei termoscanner e poi andranno comunque marcati a vista per verificare se indossano la mascherina Ffp2 obbligatoria, ma non solo: il protocollo di sicurezza, rigidissimo, impone il distanziamento in tutte le aree con posti contingentati e sessioni di lavoro scandite dalle operazioni di sanificazione. L’incubo è, neppure a dirlo, il contagio da scongiurare a ogni costo. “Il soggetto che risultasse positivo al tampone antigenico sarà sottoposto immediatamente all’esecuzione di un tampone molecolare e condotto nella sede nella quale ne attenderà l’esito. Qualora dovesse essere confermata la positività al virus, sarà preso in consegna dalle competenti autorità sanitarie”, si legge nelle istruzioni per le delegazioni. Che si chiudono con una postilla da toccare ferro: tutti i delegati sono invitati comunque a stipulare una polizza assicurativa specifica contro i rischi di infezione da SarsCov2.

Lancet: “Due dosi Pfizer efficaci fino a sei mesi”

Due dosi del vaccino anti-Covid di Pfizer Biontech sono efficaci al 90% contro i ricoveri per Covid-19 per tutte le varianti, inclusa la Delta, per almeno sei mesi. Lo conferma un nuovo studio del Kaiser Permanente Southern California pubblicato su Lancet. Lo studio rileva che l’efficacia contro tutte le infezioni da SarsCov2 è diminuita durante il periodo di studio, passando dall’88% entro un mese dopo aver ricevuto due dosi di vaccino al 47% dopo sei mesi. Tuttavia, sottolineano i ricercatori, “l’efficacia contro i ricoveri è rimasta al 90% complessivamente e per tutte le varianti”.

Questi risultati, si legge nello studio, sono coerenti con i rapporti preliminari dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie e del Ministero della salute israeliano, che hanno riscontrato riduzioni di efficacia del vaccino contro l’infezione dopo circa sei mesi. I ricercatori affermano che questo studio “sottolinea l’importanza di migliorare i tassi di vaccinazione in tutto il mondo e monitorare l’efficacia del vaccino per determinare quali gruppi di popolazione dovrebbero avere la priorità per ricevere i richiami”. Inoltre, in un’analisi specifica, i ricercatori hanno scoperto che le riduzioni dell’efficacia del vaccino contro le infezioni Covid-19 nel tempo sono dovute al declino, e non alla variante delta che sfugge alla protezione.

L’efficacia del vaccino contro le infezioni della variante Delta a un mese dopo le due dosi di Pfizer era del 93% ed è scesa al 53% dopo quattro mesi. L’efficacia contro altre varianti (non Delta) un mese dopo aver ricevuto due dosi è stata del 97% ed è scesa al 67% dopo quattro mesi. L’efficacia contro i ricoveri correlati alla Delta è rimasta elevata (93%) per tutta la durata del periodo di studio. “La nostra analisi specifica mostra chiaramente che il vaccino è efficace contro tutte le attuali varianti preoccupanti, inclusa la Delta. Le infezioni da Covid-19 nelle persone che hanno ricevuto due dosi di vaccino sono pertanto molto probabilmente dovute alla diminuzione di efficacia e non causate dalla Delta o altre varianti che sfuggono alla protezione del vaccino”, ha affermato Luis Jodar, vicepresidente senior e direttore medico di Pfizer Vaccines.

Intanto l’Ema, l’agenzia europea del farmaco, ha concluso che una terza dose dei vaccini Pfizer e Moderna può essere somministrata a persone con un sistema immunitario gravemente indebolito, almeno 28 giorni dopo la seconda dose. La raccomandazione arriva dopo che gli studi hanno dimostrato che una dose extra di questi vaccini ha aumentato la capacità di produrre anticorpi contro il virus nei pazienti sottoposti a trapianto di organi con sistema immunitario indebolito. L’Ema ha iniziato a valutare l’autorizzazione all’immissione in commercio per l’anticorpo monoclonale Regkirona per il trattamento di adulti affetti da Covid-19 che non richiedono ossigenoterapia supplementare e che sono a maggior rischio di progressione verso una forma grave.

“Carla Nespolo narrò ai giovani l’Italia nata dalla Resistenza”

Nonostante la fibrillazione della politica per la giornata dedicata allo spoglio elettorale, ieri il Senato non ha dimenticato di celebrare l’anniversario della morte di Carla Nespolo, prima donna e primo non-partigiano a essere eletta alla carica di presidente nazionale dell’Anpi, ruolo che ha ricoperto fino alla sua morte, il 4 ottobre del 2020. L’evento è stato aperto da un messaggio della presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, che a Palazzo Giustiniani ha accolto con una lettera i tanti partecipanti, composti soprattutto dalle segreterie nazionali di Cgil, Cisl e Uil, accorsi per ricordare Nespolo, da sempre promotrice dell’unità fra tutte le associazioni democratiche. Molte le personalità che sono intervenute nel corso della commemorazione. Aldo Tortorella, partigiano ed ex presidente del Pci, si è soffermato sulla tenacia di Nespolo, sottolineando come “fino alla fine dei suoi giorni ha denunciato i ritorni del fascismo, l’esaltazione del crimine”. Anche negli ultimi anni della sua vita, Nespoli è stata infatti molto attiva nella lotta alle discriminazioni. L’ex presidente dell’Anpi fu infatti fra le principali promotrici della manifestazione che, il 23 febbraio del 2018, portò fra le strade di Macerata quasi 100mila persone, a seguito dell’attentato dove Luca Traini sparò a sei immigrati di origine sub-sahariana. “Il caposaldo della memoria di Carla è difendere la Costituzione e pretenderne l’applicazione”, ha detto Susanna Camusso, ex segretario della Cgil. Ersilia Salvato, che con l’ex presidente dell’Anpi è stata parlamentare con il Pci, ha raccontato l’impegno che ha messo in tutta la sua vita contro lo sfruttamento nel mondo del lavoro. “Carla era un fiume in piena – ha ricordato l’ex deputata comunista –. Era poi molto attenta alle giovani generazioni, a dialogare con loro non solo per trasmettere il testimone, ma per narrare un altro Paese: quello della Costituzione nata dalla Resistenza”.

Green pass falsi: “Sospetti sul certificato di Pippo Franco”. Candidato con Michetti

C’è anche il Green pass di Pippo Franco al vaglio dei carabinieri del Nas di Roma che indagano su presunte certificazioni vaccinali false nella Capitale. L’attore, 81 anni, è fra i pazienti del medico di base del quartiere Appio-Tuscolano indagato dalla Procura di Roma per aver inserito nel sistema informatico regionale un centinaio di attestazioni non regolari, basate – questa è l’ipotesi – su esenzioni non dovute o addirittura su vaccini anti-Covid non somministrati ma ugualmente registrati. L’artista, all’anagrafe Francesco Pippo, si è candidato alle elezioni comunali di Roma nella Lista civica che porta il nome del candidato sindaco del centrodestra, Enrico Michetti. Gli inquirenti stanno indagando su una vasta rete di Green pass irregolari che vedrebbe lo studio del medico indagato come una sorta di centrale di produzione di certificati falsi. Questi sarebbero stati rilasciati a vip, sportivi, imprenditori e, in generale, persone legate alla cosiddetta Roma bene, attraverso alcuni mediatori. Pippo Franco (non indagato) abita nel quadrante nord della città, ben distante alla semiperiferia sud-est della zona tuscolana. Un fattore che ha insospettito non poco gli investigatori del Nas. Va però specificato che, all’interno della stessa regione, non è in alcun modo vietato iscriversi nelle liste di un medico di famiglia legato a un’Asl diversa da quella di residenza.

Ma c’è dell’altro. L’attore, nelle sue vesti di candidato, è stato intervistato il 13 settembre scorso dal quotidiano La Verità e, due giorni dopo, da Myrta Merlino a L’Aria che Tira. In entrambi i casi, alla domanda se si fosse vaccinato, ha fornito delle risposte piuttosto sibilline. “Preferisco non rispondere, vi basti sapere che ho il green pass”, ha detto a La7. Due giorni dopo, l’artista su instagram ha pubblicato una foto ritratto nello studio del medico indagato e la frase “scettico ma vaccinato”. Gli inquirenti stanno comunque effettuando ulteriori approfondimenti. Il Fatto ha provato a mettersi in contatto più volte con Pippo Franco, ma il suo cellulare risulta sempre spento e, dall’indirizzo email fornito dalla sua agenzia di management, non è arrivata alcuna risposta alle domande che gli abbiamo sottoposto. Dall’entourage di Enrico Michetti, invece, preferiscono non commentare, ma sottolineano come “i candidati della Lista Michetti, prima di essere messi in lista, hanno depositato il casellario giudiziario”.

Arcuri: “Sui banchi anti-Covid scritte molte inesattezze”

L’ultimo attacco è di Matteo Renzi: “Centodiecimila banchi a rotelle comprati e poi non utilizzati perché non in regola con le normative antincendio. Che vergogna!”, ha scritto il leader di Italia Viva su Fb. Sul tema “sono state scritte diverse inesattezze”, ha replicato la Struttura dell’ex commissario per il Covid-19, Domenico Arcuri, che fornisce una serie di precisazioni a partire dalle richieste arrivate dai dirigenti scolastici, che hanno riguardato 2.008.689 banchi di tipo tradizionali e 435.118 sedute innovative. “Il contratto con l’azienda portoghese Nautilus prevedeva la consegna di 110.100 banchi (5% del totale). L’offerta è stata esaminata da una commissione composta per i 4/5 da membri esterni alla struttura”. “Il 19 ottobre 2020 si è “proceduto alla risoluzione del contratto per inadempienze e ritardi. A quella data, l’azienda aveva consegnato 37.000 banchi su 110.000 (…), di cui 31.000 accettati dai dirigenti scolastici”. Dunque “le contestazioni riguardavano solo 6.000 banchi, tutti sostituiti con prodotti poi regolarmente accettati”.

Ponte di ferro, “il rogo è partito da un fornello”

C’è un video realizzato dalle videocamere della caserma dei Vigili del fuoco che si trova lì di fronte. Mostra le fiamme che si sviluppano dalla base del ponte. In quel punto i carabinieri di Trastevere e i pompieri che hanno effettuato il sopralluogo domenica mattina hanno rinvenuto una pentola a pressione e dei materassi bruciati. Ci sarebbero anche due foto. Sono allegate all’informativa inviata dalle forze dell’ordine alla Procura e confermerebbero che l’incendio che ha danneggiato il Ponte di Ferro, nel quartiere Ostiense di Roma, sia partito da un fornello da campeggio. Il dispositivo sarebbe stato utilizzato in un giaciglio presente sotto l’infrastruttura bruciata la notte tra sabato e domenica. Nell’area vivono clochard e sono molti gli insediamenti rom. Sembra, quindi, tramontare l’ipotesi che il rogo sia stato causato da un corto circuito. I pm hanno aperto un fascicolo, rubricato contro ignoti e coordinato dall’aggiunto Giovanni Conzo. I reati ipotizzati sono di incendio colposo e delitti contro la pubblica incolumità.

Ateneo Firenze, 9 a giudizio per il concorso di Medicina: c’è anche l’ex rettore Luigi Dei

Lo “scandalo Careggi” va a giudizio e il processo inizierà il 1º febbraio 2022. Tra gli imputati si contano nomi eccellenti. Tra i nove imputati c’è anche l’ex rettore dell’Ateneo di Firenze, Luigi Dei. Il processo riguarda una serie di presunte irregolarità che, secondo l’accusa, sarebbero state realizzate durante la procedura universitaria per selezionare, all’interno del dipartimento di medicina sperimentale dell’Università di Firenze, un professore associato di Cardiochirurgia. Tra gli imputati anche Monica Calamai che all’epoca dei fatti era la direttrice generale dell’Azienda ospedaliero universitaria di Careggi. E poi ben sette professori universitari, tra i quali Pierluigi Stefano, ovvero il candidato che si vide assegnare la cattedra con la procedura contestata dalla Procura.

L’accusa per Dei e Calamai è quella di abuso d’ufficio. Un abuso che, sempre secondo le accuse, si sarebbe realizzato attraverso le loro pressioni affinché la commissione affidasse a Stefano il posto di professore associato. Stefano era già direttore della Sod complessa di cardiochirurgia dell’Aou di Careggi (parliamo di equipe mediche specialistiche – come spiega sul suo sito proprio l’azienda universitaria ospedaliera fiorentina – che prendono in carico il cittadino e lo seguono nel percorso assistenziale). In questo modo Stefano avrebbe seguito sia la cardiochirurgia universitaria sia quella ospedaliera.

L’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Luca Tescaroli, nel 2019 ha avuto un impulso anche grazie all’arrivo in Procura di una lettera anonima: “So che l’anonimato non rappresenta il massimo – scriveva il denunciante –, ma non tutti hanno la forza e la possibilità di seguire strade giudiziarie”. L’anonimo “accademico di Medicina di Careggi” allegò alla sua lettera un elenco di 11 nominativi per altrettanti concorsi e aggiunse: “Per dimostrarle che non mi sbaglio Le indicherò i vincitori dei concorsi accademici in atto prima ancora che molte commissioni presiedute dai baroni di Careggi si siano ancora insediate”. Un anno e mezzo fa si scopre che l’anonimo ci aveva visto giusto in 7 casi su 11. E il Gip ieri ha disposto il rinvio a giudizio, in alcuni casi anche con l’accusa di corruzione (slegata a una utilità in denaro: in sostanza uno scambio di favori), con il processo che partirà tra 4 mesi. Prima udienza del processo l’1 febbraio 2022.

“Hoekstra s’autoescluda. La black-list dei paradisi va ampliata con gli Usa”

“Wopke Hoekstra non dovrebbe prendere parte alla decisione dei ministri delle Finanze Ue sulla black-list dei paradisi fiscali. Farebbe meglio ad autoescludersi fino a quando non chiarirà la vicenda della società offshore in cui ha investito”. Paul Tang è un europarlamentare olandese dei socialdemocratici. Economista, presidente della sottocommissione Fisc (istituita per occuparsi delle questioni fiscali), è uno dei pochissimi politici ad aver definito da tempo il suo Paese un paradiso fiscale.

Cosa l’ha colpita dei Pandora Papers?

Mi sorprende sempre vedere politici al fianco di criminali, come il ministro dell’Economia olandese, Hoekstra, affiancato a un boss della camorra. Poi c’è il ruolo sempre più importante degli Usa. Sapevo del Delaware, ma non che anche il South Dakota fosse un importante nascondiglio di ricchezze (lì sono depositati 360 miliardi di dollari di beni, ndr). Il punto è che non sono solo le Cayman o le Seychelles a favorire evasione e riciclaggio, ma anche gli Usa e alcuni Paesi Ue come Lussemburgo, Olanda e Cipro.

Dall’inchiesta è emerso che il vostro ministro delle Finanze ha investito in una società delle Isole Vergini Britanniche e non l’ha rivelato. Cosa dovrebbe fare adesso?

Innanzitutto dovrebbe scusarsi per non essere stato trasparente, aveva e ha ancora un ruolo pubblico. E poi dovrebbe chiarire davanti al Parlamento se da questo investimento ha avuto o meno dei vantaggi fiscali. Sarebbe il caso che pubblicasse la sua dichiarazione dei redditi.

Non crede che dovrebbe dimettersi (in Olanda sono in corso le trattative per formare un nuovo governo, ndr)?

Sicuramente deve dare delle spiegazioni. Al momento l’inchiesta non ha dimostrato che attraverso questa società ci sia stata evasione fiscale. Se fosse così, sarebbe grave.

Hoekstra ha spesso criticato l’Italia per gli alti livelli di deficit e debito pubblico. La scorsa settimana ha firmato una lettera diretta a tutti i Paesi Ue chiedendo di “ridurre i debiti eccessivi”. Giurisdizioni offshore tolgono però a Paesi come l’Italia soldi che servirebbero per ridurre il debito. Ora cambierà l’atteggiamento di Hoekstra nei confronti dell’Italia?

Spero di sì, e forse stavolta succederà davvero. Lo dico perché in Olanda c’è una consapevolezza crescente: siamo parte del problema e dobbiamo essere parte della soluzione. Purtroppo la politica fiscale olandese svantaggia Paesi come l’Italia o altre nazioni. Basti dire che i fondi d’investimento di Isabela Dos Santos, figlia dell’ex dittatore angolano e considerata la donna più ricca d’Africa, sono basati in Olanda.

Oggi i ministri delle Finanze Ue devono approvare la nuova lista nera dei paradisi fiscali. Cosa si augura?

Che la lista venga ampliata, perché così è totalmente inadeguata: ad esempio, le Isole Vergini Britanniche e le Cayman non ne fanno parte.

Ma la black-list è uno strumento utile per combattere elusione ed evasione?

Potenzialmente è molto utile per forzare certi Paesi a comportarsi in maniera diversa, a collaborare con gli altri Stati nello scambio di informazioni, a raggiungere un’aliquota minima globale. Il problema è che è stata rovinata dai ministri delle Finanze. Sono loro adesso che dovrebbero rimettere a posto le cose.

Più delle precedenti inchieste, i Pandora Papers dimostrano che le società sono spesso utilizzate per acquistare segretamente immobili. La soluzione può essere un registro immobiliare che mostri non solo la società proprietaria ma anche il beneficiario?

Sì, credo che sia un’idea molto buona. È necessario conoscere i beneficiari effettivi sia dei beni immobili che di azioni e obbligazioni. Sarebbe utile per evitare fenomeni di evasione fiscale e di riciclaggio, ma anche per proteggere l’integrità politica del sistema democratico.

È fattibile creare questo registro?

Sì, è decisamente fattibile.

E perché non si fa?

Bella domanda. In Europa si è cominciato con i registri nazionali dei beneficiari effettivi delle società, ma è ancora un lavoro in corso, abbiamo iniziato molto tardi.

Tra rigoristi e paesi poveri tutti i leader “offshore”

Il vaso ormai è scoperchiato. Ne straripa uno sconvolgente catalogo di pubbliche virtù e vizi privati che coinvolge almeno 23 capi di Stato, 12 di governo, 14 ministri, 300 politici, 130 miliardari, famiglie reali, leader religiosi, celebrità dello spettacolo e dello sport, truffatori, trafficanti. I loro nomi sono solo i primi a spuntare dai Pandora Papers, la nuova e gigantesca inchiesta del Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi (Icij). Il leak riguarda 11,9 milioni di file “persi” da 14 società di servizi finanziari che operano in oltre 38 Paesi. Passaporti, estratti conto, dichiarazioni fiscali, atti societari, contratti immobiliari, immagini, email, audio e video sono al vaglio di 600 giornalisti di 130 testate per identificare chi si cela dietro entità registrate alle Isole Vergini britanniche, Seychelles, Hong Kong, Belize, Panama, nel South Dakota e in altri paradisi fiscali. I file vanno dagli anni 70 al 2020: 29 mila conti offshore, un patrimonio nascosto di oltre 27.500 miliardi di euro. Non è il primo scoop di Icij: nel 2016 il consorzio rivelò i Panama Papers, 11,5 milioni di documenti sfuggiti allo studio Mossack Fonseca, l’anno dopo i Paradise Papers, 13,4 milioni di file di Appleby e Asiaciti Trust. La doppia morale dell’élite globale ora imbarazza soprattutto molti leader dei Paesi rigoristi e di quelli più poveri. Ecco il giro del mondo di chi predica bene e razzola male.

I Paesi Bassi ospitano circa 15 mila società paravento che sottraggono al resto del mondo imposte per 3,5 miliardi. Nei Pandora Papers ora emerge il nome dell’ex ministro delle Finanze Wopke Hoekstra, falco del rigore per i conti pubblici italiani dimessosi a gennaio per uno scandalo: nel 2009 investì 27 mila euro in una società offshore delle Isole Vergini britanniche, Candace Management, che li convogliò in un’impresa di turismo sostenibile in Africa. Nel 2017 il politico ha venduto le quote una settimana prima di diventare ministro, come prevede la legge olandese, ma non ha mai fornito questi dati al Parlamento quand’era vicepresidente della Commissione Finanze. Lui giura di aver dato in beneficenza i dividendi, 4.800 euro, ma l’opposizione chiede che ne risponda in Parlamento.

L’Argentina andò in default per l’ottava volta a fine 2001, bruciando i risparmi di un popolo e anche quelli di centinaia di migliaia di italiani. Il nono default è del 23 maggio 2020, il decimo è dietro l’angolo. Nel Paese che fu il più ricco dell’America Latina fa scalpore che nei Pandora Papers compaiano Zulemita Menem, figlia dell’ex presidente Carlos (in carica dall’89 al ‘99) ed ex first lady dopo il divorzio dei genitori, di Daniel Muñoz, segretario dell’ex presidente Néstor Kirchner che sedette alla Casa Rosada dal 2003 al 2007, e del calciatore Angel Di María, star della Nazionale e del Paris Saint-Germain.

Ma l’Argentina non è il solo paese latinoamericano protagonista dei Pandora Papers.

In Brasile lo scandalo riguarda le imprese in paradisi fiscali del ministro dell’Economia di Jair Bolsonaro, Paulo Guedes, e del direttore della Banca centrale, Roberto Campos Netos. Guedes, il Chicago Boy brasiliano, è azionista dell’azienda Dreadnoughts International Group registrata alle Isole Vergini a nome suo e di sua figlia dal 2014 per 9 milioni di dollari. Ma non è questo il punto: in Brasile è abituale che alte cariche istituzionali e bancarie riscuotano dividendi in paradisi fiscali. La polemica nasce dal conflitto di interessi del ministro. È sua infatti la bozza di riforma fiscale che favorisce chi ha denaro all’estero. Per non parlare del direttore Campos Netos che firma la risoluzione che esonera i possessori di meno di un milione di dollari su conti esteri dal dichiararli alla Banca centrale. Entrambi assicurano di aver informato il fisco delle azioni, peccato che Campos Netos fondò l’impresa offshore Cor Assets nel 2004, ma nel 2018, dopo lo scandalo dei Panama Papers, trasferì il patrimonio al gestore Overseas Management Company, per un capitale di un milione di dollari.

In Cile invece l’inchiesta del consorzio internazionale tocca il presidente Sebastián Piñera il quale, tra i suoi affari alle Isole Vergini ha anche l’acquisto del progetto della miniera Dominga. Piñera e la sua famiglia risultano azionisti del progetto con il 33% per un valore di 152 milioni di dollari. La doppia morale in questo caso, oltre che finanziaria, è politica. La riuscita del progetto Dominga, infatti, era nelle mani del governo Piñera, che non tenne conto del rischio ambientale. Pochi mesi dopo fu sua la decisione di cancellare la costruzione della centrale termoelettrica di Barrancones, della franco-belga Suez che aveva i permessi per operare nella zona della miniera Dominga. Il governo risponde che il presidente da 12 anni è fuori dal progetto e che ne ha abbastanza di questa vicenda.

Il Libano finì nel suo primo default il 9 marzo 2020. Il 4 agosto 2020 l’esplosione di un magazzino di fertilizzanti nel porto di Beirut uccise 214 persone, ne ferì 7mila e devastò la Capitale di un Paese già in ginocchio. I libanesi non possono accedere ai loro conti bancari, ma dai Pandora Papers scoprono i conti offshore da milioni di dollari – spesso aperti poco prima del crac – del primo ministro Najib Mikati, di suo figlio Maher, del suo predecessore Hassan Diab, del governatore della Banca centrale Riad Salameh, sotto inchiesta per riciclaggio in Francia, dell’ex vice governatore Mohammad Baasiri, dell’uomo d’affari ed ex deputato Neemat Frem, dei banchieri Ibrahim Debs e Marwan Kheireddine, ex ministro.

Nel Regno Unito l’opinione pubblica considera il proprio paese un faro della lotta alla corruzione: di fatto, invece, Londra è la destinazione preferita delle élite corrotte globali, grazie alla presenza di professionisti e istituzioni che facilitano la creazione di società offshore, l’elusione fiscale e la risoluzione favorevole di dispute legali. Il Labour di Tony Blair ha contribuito a creare un assetto legislativo favorevole: lo stesso ex Pm, che dopo le dimissioni ha accumulato una fortuna in consulenza private, è finito nei Pandora Papers per aver risparmiato oltre 310 mila sterline di tasse sull’acquisto di un ufficio di pregio da una società offshore. Già nel 2012, secondo il Mail, su 12 milioni di redditi aveva pagato solo 315 mila sterline in tasse grazie a una serie di artifici contabili perfettamente legali. Il pm conservatore David Cameron, a parole, si è fatto paladino della lotta all’evasione fiscale, salvo ammettere di aver guadagnato, pochi mesi prima di essere eletto, da un trust offshore del padre rivelato dai Panama Papers. Fra le riforme indispensabili per la lotta alla corruzione, quella del registro delle imprese. Promessa dai Tories al governo nel 2016 e mai portata a termine.

Mail Box

 

Sul caso Morisi la sinistra deve avere spina dorsale

Vorrei fare i miei complimenti a Selvaggia Lucarelli per il suo articolo di giovedì scorso sul caso Morisi. Condivido pienamente le sue argomentazioni e il fatto che “non si è costretti ad accettare le scuse”. Ormai siamo in una situazione da film americano dove uno può fare qualsiasi cosa, poi chiede scusa ed è finita lì, amici come prima e tarallucci e vino. Non è così semplice. Nel mondo cattolico è contemplato il perdono, ma vi si accede solo dopo un percorso di riparazione al danno commesso e sincero pentimento. Quindi, ben venga che Selvaggia Lucarelli insegni alla sbandata sinistra italiana come avere un po’ di spina dorsale. Perché le incoerenze fra quello che si predica e quello che si fa non ci sono solo a destra, ma anche a sinistra.

Alessandro Tiri

 

I politici ricominciano a gridare al complotto

In Italia succedono cose divertenti: ad esempio il fatto che quando si viene a sapere qualcosa di poco pulito riguardo a uno o più partiti prima di una consultazione elettorale i rappresentanti di quei partiti, immancabilmente, gridano al “complotto” o alla “giustizia a orologeria” se, viceversa, le stesse cose si venissero a sapere solo dopo le elezioni, allora sarebbero gli altri partiti a gridare allo scandalo di aver nascosto la verità agli elettori. Quindi, visto che nel Belpaese si vota, tra comunali, regionali, nazionali, referendum abrogativi o confermativi, molto spesso, certi fatti non si dovrebbero far sapere mai. Una cosa chiederei ai signori politici: ma se certe cose “poco pulite” non le faceste proprio, non sarebbe meglio? Così non ci sarebbero polemiche.

Mauro Chiostri

 

Matteo & Giorgia: quelli che “si fa ma non si dice”

Le reazioni dei due leader della destra, Salvini & Meloni, riguardo agli scandali che in questi giorni hanno investito i rispettivi partiti, sono identiche. Entrambi vogliono capire come siano uscite le notizie, chi le ha divulgate, perché proprio a pochi giorni dalle elezioni amministrative e via dicendo, ed entrambi minimizzano tirando in ballo anche la consueta tattica della ben nota “notizia a orologeria”, minacciando querele a destra e a manca. Quello che in realtà preoccupa maggiormente i due leader, è che tutto questo marcio, di cui certamente erano a conoscenza, se non in tutto ma in buona parte, perché diversamente sarebbero da considerare inadeguati a rimanere ai vertici dei loro schieramenti politici, doveva rimanere assolutamente top secret ma è venuto fuori ugualmente. Insomma si fa ma non si dice.

Francesco Forino

 

Una metafora per capire la condanna al sindaco

La vicenda del sindaco Lucano può essere rappresentata dalla seguente metafora. Un funzionario di banca sottrae indebitamente denaro alla banca (soldi dei clienti!) per aiutare dei bisognosi. Di per sé l’azione è lodevole ma allo stesso tempo infrange la legge per cui tale operato è biasimevole. In sostanza le leggi vanno applicate e non adattate ai singoli casi.

Luigi Caldana

 

Italia e Stati Uniti, dove i diritti sono in vendita

Giulio Regeni (studente torturato e assassinato cinque anni fa) e Jamal Kashoggi (giornalista assassinato e fatto a pezzi tre anni fa) hanno alcune cose in comune. I presunti assassini di entrambi erano uomini dello Stato (egiziano e della Arabia Saudita), e i rispettivi Paesi (Italia e Stati Uniti) hanno continuato e continuano a fare affari con l’Egitto e l’Arabia Saudita, come se niente fosse successo. Secondo me nell’occidente in generale i diritti umani sono in vendita… prima vengono gli affari.

Claudio Trevisan

 

In cabina con il telefono dentro la borsa. Perché?

Oggi sono andata a votare e quando sono uscita ero felice, perché almeno io ci provo a cambiare una situazione che non mi piace, a differenza di chi non va a votare e poi si lamenta del governo che si ritrova, o come in questo caso del proprio sindaco. Una cosa però mi ha sconcertata e non poco, stessa cosa che, parlando con mia figlia, ha notato anche lei: sono entrata, come tutti, nella cabina con borsa e cellulare, e a me è sembrata una cosa di una certa gravità. Abbiamo letto tante volte di schede già votate, scambiate nella cabina, di foto per dimostrare chi si è votato, mi sembra una grave leggerezza. Le ultime volte che avevo votato in Italia, facevano lasciare anche il cellulare, prima di entrare in cabina.

Giulia Motta

 

Università: siete capaci anche se “in ritardo”

Sono una studentessa di medicina (futura fuori corso) e vorrei rispondere a Goffredo, il ragazzo che il 30 settembre ha giustamente sollevato sul Fatto il problema del test d’ingresso a questa facoltà. Concordo totalmente con Goffredo: il sistema universitario va totalmente riformato. Da capo a piedi. C’è però quella tua provocazione finale su una categoria di studenti di cui io farò (con dispiacere) parte, che non mi è piaciuta e anzi mi ha toccato nel profondo. Ci sono tanti, troppi pregiudizi su coloro che non riescono a completare il corso di studi in tempo. Purtroppo, e io sono una di quelli, possono esserci molteplici motivi personali per cui si può cadere e restare indietro. Succede a tanti, ma secondo me non se ne parla abbastanza proprio perché se resti indietro con gli studi sei in automatico etichettato come uno scansafatiche e un mantenuto dai genitori. C’è un mondo là fuori Goffredo, credimi. E lo capirai proprio negli anni avvenire come l’ho capito io. Ne approfitto per mandare un forte abbraccio a chi si è perso durante gli studi come me e viene costantemente giudicato per questo. Non sarete meno capaci solo perché “in ritardo”. Ricordatevi perché avete iniziato e tutti i sacrifici che avete fatto per portarvi nel posto in cui siete adesso. Non siete soli.

Francesca