Laicità. Bobbio e il suo “lumicino della ragione”: una lezione più che mai attuale contro il fanatismo

In questi tempi grami in cui si risentono i miasmi della destra fascista sotto la maschera del sovranismo, c’è una domanda secca che non lascia scampo: “Riuscireste voi a dialogare con un nazista? Con colui cioè che partecipa di un universo semantico opposto al vostro? Noi no, confessiamo la debolezza”. Una debolezza, si faccia attenzione, non dovuta alla volontà, ma perché manca un vocabolario comune.

A porre il quesito e a rispondere è Gaetano Pecora, brillante accademico dell’Università del Sannio e della Luiss nonché efficace studioso della laicità. E lo fa, Pecora, lungo il percorso agile e denso allo stesso tempo del suo ultimo saggio dedicato a Norberto Bobbio (1909-2004), gigante del pensiero diventato un classico: Il lumicino della ragione. La lezione laica di Norberto Bobbio (Donzelli, 191 pagine, 18 euro). Il filosofo, giurista e politologo fu uomo di “fatti” e del dialogo, senza avere mai téma di avventurarsi in ostiche terre di confine. Pecora esplora meticolosamente un’attività durata settant’anni, dal 1934 alla morte, informata sì al dubbio ma che ha sentieri molteplici e sovente frastagliati, che possono deviare dalla strada maestra.

Per tornare appunto al dialogo e alla domanda sul nazista. Bobbio affrontò la ragione argomentativa di Perelman e la dottrina dell’assunzione (di valori) del suo caro Kelsen. La prima che conduce a una concezione flessibile della ragione, la seconda a una rigida e forte. E la via dell’argomentazione può risultare impraticabile per l’assenza di una lingua comune: “Quando l’argomentazione sarebbe necessaria perché l’altro è veramente e propriamente… l’altro, non è possibile; e quando è possibile, non è più necessaria perché l’altro ha già cessato di essere altro e si è commutato in un nostro consanguineo”.

Sembra di assistere a uno dei tanti e vacui talk della televisione di oggi. Battute a parte e per rimanere seri, Pecora viviseziona i temi del pensiero bobbiano: la tolleranza, la morale, l’empirismo tipico del filosofo, la neutralità logica, l’emotivismo e il relativismo che si oppone al diritto naturale. In ogni caso, Bobbio rifiutò sempre di essere incasellato tra gli atei, anche perché “il laico/laicista (per Pecora, laicista non è una bestemmia, ndr) non difende necessariamente lo Stato dalla Chiesa: no, egli difende lo Stato dalla Chiesa quando la Chiesa è sopraffattrice; e salvaguarda la Chiesa dallo Stato quando lo Stato è usurpatore”. Altrimenti si rischierebbe una Statolatria senza tolleranza. L’esempio della scuola pubblica, per esempio, e la questione francese del divieto alle studentesse islamiche di portare il velo, decisione che fece epoca e venne accolta con tripudio dai liberali di destra. Le parole sono di Bobbio (1985): “Scuola libera, sia detto una volta per sempre, non vuole dire scuola indifferente. (…). Il principio etico su cui fonda la libertà nella scuola è la tolleranza”. La tolleranza e il dubbio non formano in Bobbio un lume assolutista della ragione, semmai un lumicino mai fideistico, immagine che il filosofo riprendeva da Locke. Una fiammella che ravvivava il suo laicismo, la sua sapienza laica. E senza alcuna arroganza intellettuale.

 

La sai l’ultima?

 

Turchia

Ubriaco si unisce alle ricerche per una persona scomparsa senza accorgersi che è lui

È la storia della settimana: tutto il mondo guarda con meraviglia alla Turchia, dove un uomo ubriaco, dato per disperso, si è unito alle ricerche per la sua scomparsa senza rendersi conto che la persona in questione era proprio lui. Succede a Inegöl, in provincia di Bursa. “Il 50enne, Beyhan Mutlu, lo ha capito solo quando uno dei soccorritori ha urlato il suo nome – scrive Tgcom24 -. Mutlu si trovava in un locale con gli amici quando all’improvviso è sparito dirigendosi verso i boschi. Vedendo che non tornava, le persone che erano con lui hanno allertato le autorità, le quali hanno organizzato una squadra di ricerca. Il 50enne si è imbattuto nel gruppo di ricerca mentre vagava nei boschi. Si è unito a soccorritori e volontari, cercando se stesso inconsapevolmente per ore. Finché uno dei presenti ha urlato il suo nome e lui ha risposto: ‘Sono qui’. Non è chiaro perché nessuno si sia accorto prima che la persona scomparsa era lì con loro”.

 

Torino

Due auto si scontrano con un cinghiale: un uomo si ferma, non presta soccorso e si porta via l’animale morto

Ci si abitua a tutto, anche ai cinghiali in città. E ci si adatta. A Torino due auto sono coinvolte in un incidente stradale con un ungulato. Una terza vettura si avvicina e naturalmente tutti pensano lo faccia per prestare soccorso. Ma dove le persone comuni vedono un problema, i fuoriclasse vedono un’opportunità: in questo caso l’opportunità è un ragù al sugo di cinghiale. Così il terzo automobilista, invece di aiutare gli altri due, si mette in macchina la carcassa del suino selvatico e scappa via. “In auto eravamo io, il mio compagno e mio figlio di 3 anni – ha spiegato una delle passeggere coinvolte a Repubblica -. L’auto è distrutta, sono scoppiati tutti gli airbag, ma nessuno si è fatto male”. Quando si è fermato il terzo incomodo, la donna pensava si volesse sincerare delle condizioni di tutti. “E invece abbiamo sentito il motore accendersi di nuovo e il cinghiale non c’era più. Chi era su quell’auto ha pensato bene di caricarsi il cinghiale in auto e portarselo a casa. Che vergogna”.

 

Imperia

Lo sconforto del parroco di Ospedaletti: “Le nostre campane attirano bestemmie invece di avvicinarci a Dio”

Storie di blasfemia e di inquinamento acustico da Ospedaletti, in provincia di Imperia. Ogni volta che il parroco suona le campane, una donna scende in piazza da una casa vicina alla chiesa e comincia a urlare bestemmie in mezzo alla piazza. “Il prete ha sopportato un po’ – scrive il sito di Telenord – poi, sulla spinta delle lamentele dei fedeli, ha scritto un lungo articolo sul bollettino della parrocchia intitolato ‘Le campane che dovrebbero attirarci a Dio, attirano le bestemmie’”. Parole struggenti. “Il problema delle campane”, ammette il prete, “esiste da sempre, da quando la buon’anima di don Martelletti ha fatto costruire il campanile. Non capisco perché questa avversione: le campane suonano cinque volte al giorno per non più di tre minuti complessivi. Alle 12 e alle 20 salutano la Madonna, mentre negli altri momenti annunciano messa e rosario e c’è una pausa dalle 12 alle 17. Ogni volta suonano non più di 30 secondi”. Per la signora, sono 30 secondi di troppo.

 

Treviso

Entra in un bar e comincia a sbraitare: “Comunisti, vaccinatevi!” Poi schiaffeggia un anziano

Alla variegata fauna degli uomini con opinioni forti sui vaccini, dobbiamo aggiungere anche questo notevole esemplare, raccontato dalle cronache di Treviso Today. “Erano circa le 20.30 di domenica 26 settembre quando, all’Antica Osteria Pozzi di Falzè di Piave frazione di Sernaglia della Battaglia (sic!), un 45enne della zona in evidente stato di alterazione ha fatto irruzione nel locale poco prima dell’orario di chiusura. L’uomo ha iniziato ad urlare e inveire contro i presenti apostrofandoli con queste parole: ‘Comunisti, vaccinatevi’ seguite da insulti ed altri improperi”. I titolari dell’osteria sono rimasti pietrificati, due avventori hanno provato invano a fermarlo prima che esondasse definitivamente. “Una volta all’interno del locale, il 45enne si è avvicinato all’unico cliente rimasto (un anziano habitué) e lo ha preso a schiaffi in faccia. Prima di darsi alla fuga l’uomo ha danneggiato gli arredi del locale”.

 

Andria

Teglie di pasta al forno a scuola per fare merenda: 10 studenti ora rischiano la sospensione

I giovani di Andria sanno come si fa una degna merenda a scuola, ma l’autorità pubblica è dispotica e la storia finisce molto male. Lo racconta Fanpage: “Non una brioche o un qualsiasi altro snack acquistato al distributore automatico (sigillato e controllato) o meglio un frutto o magari un panino, ma la pasta al forno come merenda: è accaduto al Liceo Colasanto di Andria, in provincia di Bari, ed ora dieci studenti di una classe prima rischiano la sospensione. Si sarebbero presentati in aula con vaschette monoporzione di tagliatelle cotte al forno. Un piatto prelibato, non c’è che dire, ma una scelta ritenuta assolutamente eccessiva dal Dirigente dell’Istituto, in relazione chiaramente al contesto scolastico. Per questo è scattato il provvedimento disciplinare”. Non c’è la mensa, ma c’è ancora l’emergenza, ha detto il preside: “Siamo in emergenza sanitaria da covid19 ed è inimmaginabile manipolare cibi cotti”. Dunque, sentenza spropositata per i poveri studenti. Free lasagna.

 

Florida

Un ex veterano usa il cestino per la raccolta differenziata per catturare un coccodrillo nel suo giardino

In America, come cantava Bersani (Samuele), i coccodrilli vengon fuori dalla doccia. Può essere spiacevole. Stavolta però un veterano dell’esercito è riuscito a liberarsi di un grazioso alligatore di un metro e mezzo con coraggio e ingegno. Usando un bidone della spazzatura. Lo racconta il Guardian: “Un veterano dell’esercito americano che è diventato virale online per aver intrappolato un grosso alligatore della Florida nel bidone della spazzatura dice di aver ‘usato la parte superiore del cestino come una bocca di ippopotamo’, per spaventare il rettile”. Eugene Bozzi – il nome del veterano – dopo aver visto il coccodrillo nel giardino di casa “ha afferrato il cestino della raccolta differenziata, facendolo scivolare per terra, con il coperchio aperto, verso l’alligatore, che era lungo almeno quanto il bidone”. L’ex soldato ha fatto arretrare lentamente il coccodrillo, poi con un’accelerazione improvvisa è riuscito a farlo scivolare nel cestino dell’immondizia, intrappolandolo. Non in tuta mimetica, ma in ciabatte e calzini.

 

Lampedusa

Insieme ai migranti sbarca anche una pecora: è stata messa in quarantena, poi sarà data in affidamento

Sabato 2 ottobre, nell’anonimo sciabordio virtuale del rullo delle agenzie, finalmente sullo schermo compare una notizia davvero meritevole. Ansa, Palermo: “Sarà messa in quarantena la pecora sbarcata a Lampedusa: era nel barcone, con 13 tunisini, intercettato dalla Guardia costiera. L’ovino al momento si trova nel centro di accoglienza. I responsabili della struttura hanno avvertito il servizio veterinario dell’Asp di Palermo, un medico raggiungerà l’isola per visitare l’animale e rilasciare l’eventuale certificazione; quindi la pecora sarà data in affidamento”. Sulla carretta alla deriva nell’ennesimo sbarco di poveri cristi dall’Africa c’era dunque pure un ovino migrante. Per la stampa di destra, poco sorprendentemente, è un fatto deprecabile. Il Giornale lo racconta così: “Ad aggiungersi ai problemi relativi all’emergenza sbarchi, questa notte è stato l’arrivo dell’animale assieme ai suoi padroni”. Si attende un belato anche dalla Bestia di Salvini.

“La mucca non è più nel corridoio, stavolta lascio e torno a Bettola”

“La mucca nel corridoio” è al top della narrazione figurativa di Pierluigi Bersani.

La destra arrembante e che solo io avvertivo come pericolosa. Ce ne ho di migliori.

Anche quella domanda esistenziale: “Volete il maiale fatto tutto di prosciutto?”

Nella mia classifica il primo posto va senza alcun dubbio al detto di mia nonna: “Ce n’è da far l’orlo al Po!”. Lei era spigolatrice e sartina, rammendava gli orli, e quando la faccenda la vedeva grossa, si spiegava con questa immagine.

Bersani, settant’anni e qualche insuccesso. Intanto non è riuscito a smacchiare il giaguaro.

Intanto al giaguaro qualche macchia però l’ho tolta. Da quando formulai il proposito, era il 2013, non è stato più quello di prima. Tanti anche gli accadimenti fortunati. Oggi posso dire che aveva proprio ragione Picasso quando spiegava che ci vogliono molti anni per essere giovani.

Lei è piuttosto in forma, sempre tonico in tv.

Beh, per chi ha visto la morte in faccia, l’ha proprio accarezzata non una ma due volte (nell’84 un incidente stradale micidiale, nel 2014 un ictus ndr) già il fatto di godere di buona salute e confidare di rimanervi negli anni che arriveranno resta un traguardo prezioso.

Da 56 anni fa su e giù con Piacenza e con Bettola.

Non ho mai comprato casa a Roma perché sento forte le radici. I miei stanno da sempre a Piacenza, e io ero e resto di Bettola, il mio paesino. Sa che essere provinciale mi ha aiutato in politica? Perché vai al bar, incontri al parcheggio, trovi l’amico in farmacia… .

Prima che continua, devo chiederle dei farmacisti. Sua moglie lo è.

Era dipendente di una farmacia.

Come mai le farmacie restano dinastie ereditarie inespugnabili?

Sono una lobby fortissima.

Facciamo la top ten delle lobby.

Assicurazioni, banche e petrolieri. Nelle professioni liberali: farmacisti e avvocati. Io non sono contro i gruppi di pressione, è che a volte proprio non vogliono neanche sedersi a discutere.

Stava dicendo che grazie al fatto di essere un provinciale ha capito che andavano fatte le liberalizzazioni, le famose “lenzuolate”.

Mi accorsi per esempio della necessità della portabilità dei mutui. Le lenzuolate nascono da un contatto diretto, una frequentazione sistematica con la gente normale e i loro bisogni.

Prima si diceva: piazze piene e urne vuote. Oggi che siamo nella democrazia televisiva Bersani fa il botto nei talk show però cede nelle urne.

Mi invitano spesso forse perché il mio dire è liberato dalla necessità della ipocrisia, della reticenza.

È deputato.

Tra due anni non lo sarò più.

Non si ricandida?

Cinquantasei anni fuori casa bastano a sentirsi realizzato. Non lascerò la politica, quella non si lascia mai. Il seggio sì.

Nella sua carriera ha raccomandato molta gente?

Segnalavo solo casi estremi, poveri in canna o con gravi disabilità. Gente che aveva diritto a un occhio di riguardo.

E quelli che ha spinto in politica? Che gli sembravano bravi e poi si sono rivelati stronzi?

Ah, quelli parecchi. Perché tu puoi valutare la testa di uno, ma non la sua anima. Investi politicamente su un tizio o una tizia e poi capisci che è andata buca.

Uno che l’ha fatto felice.

Roberto Speranza.

La birra è stata nella sua vita certamente più fedele di tanti suoi compagni di ventura. Ricordo quell’istantanea: lei e il boccale al bar. Pareva che si confessasse coi fiocchi di avena.

Ma diamine! Stavo preparando un intervento. Mi piace farlo nei posti popolati. Mi metto solo soletto e faccio le mie cose. Mi dà serenità.

Nel Parlamento con chi ha legato di più?

Con Bossi. Cazzeggiavamo alla grande, era una frequentazione leggera, gustosa.

Lei conosce il peso specifico in politica dell’appeal. Sembra che Giuseppe Conte goda di curiosità femminili. Portano voti o è tutta fuffa?

Conte è visto come una persona sincera non un traffichino. Su questo le donne hanno più sensibilità. Conta essere come si appare (e se sei di bell’aspetto è ancora meglio).

La mucca nel corridoio c’è ancora?

Ora la mucca sta arretrando.

Zaia “sbarca” a Roma sulle spoglie di Salvini

Dicono che Luca Zaia “scenda” sempre malvolentieri a Roma. Ma adesso è obbligato a farlo. Un po’ è lui che da settimane riflette sul suo futuro da leader nazionale, un po’ sono i suoi parlamentari nella Lega che gli stanno chiedendo di fare qualcosa perché, sostengono, “ormai il partito è allo sbando”. E allora mercoledì il governatore del Veneto sarà a Roma per un paio di giorni. Una visita molto politica. Ufficialmente ha in agenda una serie di incontri istituzionali con il governo per riprendere in mano il dossier sull’autonomia. In realtà sarà anche un modo per iniziare a tastare gli umori di un partito dilaniato dalle faide interne e dallo scandalo di Luca Morisi e allo stesso tempo pensare a una strategia per commissariare Matteo Salvini. Tra gli incontri riservati Zaia dovrebbe vedersi anche con l’altro grande nemico del segretario, cioè il ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti. Inizieranno a delineare la strategia in chiave anti-Salvini. E la tempistica non è casuale: Zaia arriverà a Roma in una settimana complicata per il segretario, che dovrà fare i conti con un risultato elettorale che si annuncia pesante ed è ancora alle prese con il caso Morisi. Un modo per mettere ulteriore pressione al leader.

Il “doge” mercoledì vedrà a Palazzo Chigi la ministra degli Affari Regionali Mariastella Gelmini per parlare del dossier autonomia. Una questione molto politica visto che proprio i governatori del Nord da mesi criticano Salvini per aver abbandonato il tema durante il governo gialloverde – quando la ministra era la zaiana Erika Stefani – e per non averlo spinto quando la Lega è tornata al governo con Draghi. Nelle ultime settimane, però, le pressanti richieste dei Presidenti di Regione a Draghi hanno portato una novità: come raccontato dal Fatto, sul sito del Tesoro venerdì il primo provvedimento collegato alla Nadef era proprio il disegno di legge sull’autonomia differenziata. Una decisione presa all’ultimo minuto e interpretata come la pietra di scambio tra Draghi e i governatori del Nord – Zaia, Fontana e Fedriga – per aver sconfessato e indebolito Salvini nelle ultime settimane, a partire dal Green pass. “È un primo passo” dice un fedelissimo del governatore del Veneto. Se ne parlerà mercoledì alla presenza di Gelmini ma anche del sottosegretario Roberto Garofoli che a quel tavolo fa le veci di Draghi. I tempi non sono ancora certi ma Zaia spera che il progetto dell’autonomia differenziata venga messo in moto adesso per essere completato entro il 2023. Il “doge” e Giorgetti sperano che il governo vada avanti fino al 2023, nonostante Salvini.

Poi Zaia dovrebbe incontrare anche diversi parlamentari veneti del Carroccio. Una riunione per avere il polso dei venti deputati e senatori eletti in Veneto che da inizio agosto sono stati i più refrattari a seguire la linea di Salvini. Oltre alla richiesta di far partire la macchina dei congressi (saranno ad aprile), i leghisti veneti a Roma chiedono al segretario di ascoltare di più i governatori. Basta sentire la senatrice di Vicenza Silvia Covolo: “La linea di Salvini deve essere quella di Zaia”.

Buona parte delle strategie politiche di Zaia e di Giorgetti passeranno dal risultato elettorale di oggi. Se il Carroccio perderà nelle grandi città, i nordisti chiederanno una segreteria ristretta rispetto a quella a 35 di oggi per avere voci in capitolo nella linea del partito. Di fatto un commissariamento. Zaia e Giorgetti inoltre sperano in una vittoria soprattutto al Nord – da Torino a Varese fino a Trieste – per rivendicare il proprio peso nel partito. A questo proposito non è passata inosservata la dichiarazione di Zaia di due giorni fa: “Si vola sempre con due ali, con una sola si precipita”. Un avvertimento a Salvini: senza di noi non vai da nessuna parte.

Quella che inizia oggi sarà una settimana difficile per il leader della Lega: oltre al risultato elettorale e alle manovre degli avversari interni, Morisi dovrebbe essere interrogato dalla procura di Verona. Salvini più è in difficoltà e più alza i toni: “Ho chiesto da mesi un incontro con Draghi e Lamorgese per bloccare il traffico di esseri umani, bloccare sbarchi e salvare vite. Ma dopo 50.000 arrivi clandestini, tutto tace – ha detto ieri – cui prodest?”

La Capitale bruciata: il Tmb, gli autobus e 2500 cassonetti

È il fuoco l’elemento che più degli altri ha contraddistinto questi cinque anni di Virginia Raggi in Campidoglio. Prima delle fiamme al ponte di ferro con cui si è chiusa la sua consiliatura, l’episodio più grave era stato sicuramente quello dell’11 dicembre 2018, quando un terribile incendio scoppiato alle 3 del mattino ha distrutto il Tmb Salario, uno degli impianti di trattamento dei rifiuti della Capitale. Il tmb era fortemente contestato dai residenti dei quartieri limitrofi, le telecamere di sorveglianza erano state staccate poche ore prima e l’innesco è avvenuto nella breve finestra oraria in cui non c’era nessuno a lavoro. Da allora l’emergenza rifiuti a Roma non si è mai attenuata. La Procura di Roma ha indagato a lungo per incendio doloso ma poi ha dovuto archiviare senza riuscire a individuare un colpevole. Pochi mesi dopo, il 24 marzo 2019, con le stesse modalità qualcuno ha provato a incendiare anche il Tmb Rocca Cencia, ma in quel caso il rogo è stato subito domato e i danni limitati. Non solo. Il ciclo dei rifiuti è stato messo in difficoltà anche dai circa 500 fra cassonetti e contenitori dati alle fiamme ogni anno, statistica la cui portata non ha mai accennato ad attenuarsi e che ha portato ad avvicinare la quota record dei 2500 in cinque anni. A fuoco nella Capitale anche tanti, troppi, autobus. I “flambus” dal 2016 sono stati ben 202, di cui 182 di proprietà di Atac e 20 della società privata Roma Tpl che gestisce le linee periferiche. Roghi anche in diversi depositi autobus: l’ultimo c’è stato il 20 agosto 2021 a Grottarossa, quadrante nord di Roma; prima gli incendi erano scoppiati il 2 giugno 2020 alla rimessa di Magliana e il 16 dicembre 2018 in quella di Tor Pagnotta. Infine l’altro grande incendio dell’era Raggi: quello del 17 luglio 2017, quando un rogo gigantesco distrusse gran parte della storica pineta di Castel Fusano.

Vigilia in fiamme: a Roma si incendia il “ponte di ferro”

Un simbolo di Roma prende fuoco la sera prima delle elezioni. Sembra la sceneggiatura di una serie tv, invece è quanto accaduto sabato sera, nel quartiere Ostiense della Capitale, un tempo area industriale grigia e inquinata, oggi colorata zona di locali e movida. A 24 ore dal rogo, però, chi indaga ritiene sia da escludere “quasi del tutto” il carattere doloso dell’incendio che ha fatto crollare una piccola parte del Ponte dell’Industria, meglio noto fra i romani come “ponte di ferro”, struttura in metallo che dal lontano 1863 collega le due sponde del Tevere all’altezza del Gazometro reso celebre dai film di Ferzan Ozpetek.

Al lavoro, in queste ore, ci sono i carabinieri della compagnia di Trastevere, coadiuvati dai vigili del fuoco di Roma. I militari questa mattina invieranno in Procura un’informativa dove si sostanzieranno due ipotesi. La prima è quella che il fuoco possa essere partito dal giaciglio dove avevano trovato riparo alcuni senzatetto. La seconda riguarda un possibile cortocircuito che potrebbe aver interessato la sottostazione Acea presente sulla riva sinistra del ponte, impianto che riceve la corrente elettrica trasferita attraverso i cavi adagiati lungo i lati del viadotto. Decisive saranno le perizie sul punto di partenza del rogo: più valida la prima ipotesi se l’incendio fosse partito dalle sterpaglie; prenderebbe corpo la seconda se invece l’innesco fosse avvenuto sul ponte.

La pista dei clochard incendiari, in realtà, presenta più di una criticità. Innanzitutto, le baracche abusive di cui si è parlato per tutta la giornata di ieri si trovano sulla riva destra, dal lato Ostiense, e non dal lato Marconi, dove invece è scoppiato il rogo; gli investigatori, tuttavia, hanno trovato dei giacigli di senzatetto, ma non è ancora provato che gli occupanti sabato sera vi fossero presenti, anche perché le due bombole del gas rinvenute fra le sterpaglie andate a fuoco in realtà erano vecchie, vuote e ferme lì da molto tempo. Molto più credibile la tesi del cortocircuito, anche se per saperne di più bisognerà attendere la relazione dei tecnici di Acea – la società che a Roma si occupa delle forniture elettriche – oltre alle nuove perizie dei vigili del fuoco. Come detto, al momento si esclude qualsiasi azione dolosa: non sono stati rinvenuti inneschi né ci sono state testimonianze che hanno instillato dubbi in chi indaga.

L’incendio del Ponte di Ferro in realtà è stato molto più spettacolare che dannoso. Il rogo nella notte romana pre-elezioni ha tenuto centinaia di persone ad assistere al fuoco e qualche altro migliaio in black-out, senza contare i disagi per la viabilità. Ma il ponte, va ribadito, non è crollato: a finire nel Tevere è stata una passerella lunga circa 7 metri che corre sotto la struttura e che serviva per la manutenzione e il passaggio di cavi elettrici, spiegano i vigili del fuoco. La struttura invece ha retto bene nonostante le alte temperature cui è stata lungamente sottoposta. E, fortunatamente – nonostante il sabato sera e l’orario da piena movida – non era in quel momento attraversata da auto e dunque non ci sono stati feriti.

Le ripercussioni sulla viabilità saranno comunque pesanti: basti pensare che gli uffici capitolini stimano in 8-9 mesi il tempo necessario per tornare alla normalità.

L’episodio ha scatenato la polemica politica nel giorno delle urne, facendo saltare qualsiasi tentativo di rispettare il silenzio elettorale. “Aspettiamo l’esito delle indagini. Io non mollo. Amo Roma”, ha detto Virginia Raggi. La sindaca uscente non ha espresso direttamente dubbi sulla possibile natura dolosa dell’incendio, ma a farlo sono stati alcuni suoi “colonnelli”. Pietro Calabrese, vicesindaco, in particolare ha rilevato che “accade oggi, quando a Roma si vota per la riconferma di Raggi, dopo un quinquennio con incendi di tutti i tipi, mentre veniva ripristinata la legalità e risanate le casse coi soldi di ogni romana e romano, senza fare sconti a nessuno”. Più o meno la stessa linea della deputata M5S Vittoria Baldino che ieri ha difeso la sindaca parlando di “attacchi indegni a Raggi” e rilevando, anche lei, “inquietanti coincidenze con i roghi del passato”.

Comunali, poca gente alle urne. La destra straparla contro Raggi

Una domenica pigra eppure intossicata, senza file alle urne ma con le agenzie disseminate di veleni e accuse incrociate, con buona pace della regola molto presunta del silenzio elettorale. Nel primo giorno di votazioni per le Comunali l’affluenza è stata bassa, del 33,18 per cento secondo i dati delle 19, molto meno del 46 per cento di cinque anni fa. Ma questa volta si potrà votare anche oggi fino alle 15, ed è una bella differenza con le amministrative del 2016, quando le urne restarono aperte un solo giorno. Di certo però la domenica delle urne del 3 ottobre verrà ricordata anche per altro, soprattutto per le scorie dell’incendio del Ponte di ferro a Roma di sabato notte. Un rogo che ha scatenato sospetti e critiche, numerosi quanto idioti rimandi a Nerone e dichiarazioni al curaro, tutte da destra e tutte contro la sindaca Virginia Raggi.

Ma a ignorare il silenzio elettorale come suo costume ha provveduto anche Silvio Berlusconi: caustico sui candidati del centrodestra, a conferma che l’aria di una batosta in arrivo l’ha fiutata anche lui. La stessa che raccontavano sondaggi e umori degli scorsi giorni, compatti nel dare in bilico tra esiti opposti solo Torino tra le grandi città. Chissà se e quanto stime e narrazioni, tutte da verificare alla prova dei numeri, hanno inciso sull’affluenza. A mezzogiorno il dato nazionale era del 12,67 per cento, a fronte del 17,74 di cinque anni fa. Ancora più basso il dato a Roma, l’11,83 per cento, con l’astensione – rimarcava You Trend – particolarmente alta nelle periferie che nel 2016 erano state il forziere di voti della Raggi. E proprio sulla sindaca in giornata sono piovute le bordate del centrodestra per l’incendio del ponte, con Giorgia Meloni prima cannoniera, anche contro la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese: “Nella nazione regna l’illegalità grazie a Lamorgese, Roma è una città nel pieno degrado grazie alla giunta Raggi. Il risultato è la Capitale che crolla, in tutti i sensi”.

Ma per l’occasione si è fatto risentire anche il fu sottosegretario leghista Claudio Durigon, il maggiorente salviniano del Carroccio a Roma: “Nella Capitale mancano manutenzione e controlli”. Però di incendi non si parla solo in riva al Tevere. “Nella notte è stata incendiata l’auto di Giovanni Orlando, candidato M5S a Monteparano (Taranto)” ha fatto sapere Luigi Di Maio, ricordando “le altre gravissime aggressioni a esponenti del Movimento (a Nardò , sempre in Puglia, e ad Afragola in Campania, ndr), una situazione agghiacciante”.

Poi, certo, ci sono i leader alle urne: dal segretario dem Enrico Letta che si limita a un tweet con dita incrociate e un’assicurazione: “Votato, con un pochino di emozione”. Al presidente del M5S Giuseppe Conte che correda la sua foto al seggio con la celebrazione del voto, “il gesto più elementare e allo stesso tempo più decisivo di esercizio dei diritti democratici, da compiere con gioia”. Gioioso no ma almeno allegrotto è parso Berlusconi, che dopo mesi di assenza dalla scena pubblica è riapparso a un seggio di Milano accompagnato dalle fide deputate Cristina Rossello e Licia Ronzulli, per poi concedersi volentieri ai cronisti. Tiziana Siciliano, la pm di quel processo Ruby Ter dove il capo di Forza Italia manca da mesi lamentando problemi di salute, ha commentato citando l’Eneide: “Tu mi costringi, o regina, a rinnovare un indicibile dolore”. Ma il dolore della magistrata non deve essere una grande preoccupazione per Berlusconi, che ha risposto così a chi gli chiedeva se Bernardo sia un nome giusto per Milano: “I candidati sono scelti dai leader di partito invece che da scelte democratiche, forse la prossima volta per quanto riguarda i candidati dovremo cambiare sistema”. Sembrerebbe un’evocazione delle primarie, di sicuro è una bocciatura di Bernardo e a naso degli altri candidati nelle grandi città, quindi delle scelte di Meloni e Salvini.

D’altronde questa campagna elettorale Berlusconi l’ha disertata, proprio come le udienze in tribunale. “Ho lavorato da casa” prova a sostenere. Soprattutto, evoca di nuovo la federazione del centrodestra: “Tutte queste illazioni di certa parte della stampa su divisioni interne nel centrodestra non sono fondate, dobbiamo superare questa federazione per farne una più grande con dentro Fdi”. Magari un nuovo Pdl? “Sì, perché no?” risponde. Nell’attesa, i dati delle 19 sull’affluenza raccontano di una partecipazione crollata in Calabria, con solo il 22,66 per cento a fronte del 35,54 delle precedenti Regionali. A Roma si veleggia al 29 per cento, a Milano al 31. E anche per le suppletive per il collegio della Camera di Siena e Arezzo, quelle dove corre Letta, non si va oltre il 20,26. Tanto si vota anche oggi, il lunedì dei numeri veri: che saranno sentenze.

Ma mi faccia il piacere

Confessioni preventive/1. “Sindaco? Neanche morto, mi piace fare altre cose. Devo essere chiaro: se utilizzassi il lavoro fatto per il tavolo su Roma per candidarmi a sindaco di Roma sarei un cialtrone e non lo farò” (Carlo Calenda, 19.2.2018). Parole sante.

Confessioni preventive/2. “L’unica droga libera che mi piace (ed è una droga pesante!) ha un principio attivo potentissimo: il teoSALVINOLO…” (Luca Morisi, Twitter, 22.1.2014). Ecco cosa c’era nel flacone.

Auto-retate. “Stiamo preparando un’operazione a tappeto per andare a prendere gli spacciatori di droga città per città, paese per paese. Per chi vende morte e veleno ai nostri figli tolleranza zero” (Matteo Salvini, segretario Lega, aprile 2019). “Mi viene voglia di fare il test antidroga ai parlamentari”; ad un gruppo di contestatori: “La droga a scopo di divertimento è una boiata pazzesca” (Salvini, maggio ‘19). “Da Lapo Elkann dichiarazioni stupefacenti” (Salvini, ottobre ‘19). “(Il caso Cucchi) testimonia che la droga fa sempre e comunque male” (Salvini, novembre ‘19). “Contro la droga non sono garantista, è morte”, “Tolleranza zero per gli spacciatori di morte” (Salvini, gennaio ‘20). “Voglio gli spacciatori in galera con le palle incatenate ai piedi e ai lavori forzati, dal primo all’ultimo!” (Salvini, febbraio ‘20, beccato da @nonleggerlo). Massima solidarietà a Morisi e ai due romeni.

Colpa di Virginia. ”Tutti alle urne col cinghiale in corridoio” (Massimo Giannini, Stampa, 3.10). “Shakira attaccata e derubata dai cinghiali a Barcellona: il video postato su Instagram. I cinghiali uniscono l’Europa. Dopo ormai essere diventati presenza fissa nelle strade di Roma e Torino, eccoli a Barcellona, dove a farne le spese è stata Shakira” (Repubblica, 30.9). Questa Raggi ormai fa danni dappertutto.

Lo sbadato. “Che fine ha fatto l’assegno unico?” (Roberto Formigoni, Libero, 3.10). S’è scordato dove l’ha nascosto.

Il collega. “Lucano, è una condanna abnorme” (Gianni Alemanno, Riformista, 2.10). Sono soddisfazioni.

Barbe vere. “Fanpage. E mo’ pure i giornalisti con le barbe finte” (Tiziana Maiolo, Riformista, 2.10). No, quelli lavoravano per Pio Pompa. Una scrive per il tuo giornale.

L’esperto/1. “Conso favorì la mafia? Balle da manettari” (Luigi Manconi, Riformista, 29.9). Conso cacciò il capo del Dap Niccolò Amato inviso ai boss, poi revocò il 41bis a 334 mafiosi, ma poteva applicarsi di più.

L’esperto/2. “Cosa Nostra l’abbiamo battuta anche usando la ‘trattativa’. Buscetta chiarì a Falcone: dei miei traffici e delitti non parlo. Gli rispondemmo: va bene, parla di tutto il resto. Trattammo, e fu il maxi processo” (Giuseppe Di Lello, ex giudice, manifesto, 30.9). A parte il fatto che la mafia non l’hanno battuta, infatti dopo il maxiprocesso iniziarono le stragi, che c’entra l’interrogatorio di un pentito con la trattativa del Ros con i boss latitanti Riina e Provenzano durante le (loro) stragi?

Toga Party. “Il segretario di Md Stefano Musolino invita i colleghi a sintonizzarsi con il moto di ‘ribellione’ dell’opinione pubblica prodotto dalla sensazione ‘di una condanna inflitta non solo agli imputati, ma all’intero modello Riace’” (Stampa, 3.10). Ah: Musolino e i colleghi sarebbero dei magistrati.

Il record. “Io linciato per colpire la Lega. Ma sul Covid avevo capito solo io: sono avanti da sempre” (Attilio Fontana, Lega, presidente Lombardia, Libero, 27.9). Giusto: nessuno ha avuto più morti di lui.

Si loda e s’imbroda.“Oggi il Paese è di nuovo credibile” (Mario Draghi, 29.9). Oste, è buono il vino?

I fratelli Caponi. “Vorrei far vedere a Capone la prima pagina del Fatto quotidiano: ‘La giustizia funziona, panico fra i 2 Matteo’… per Morisi e il padre di Renzi, che sono indagati. Quindi quando ricevi un avviso di garanzia, indagini in corso… Però il Fatto dice che la giustizia funziona. Ma questo lo deciderà a fine indagini se ci sarà un processo, non il Fatto” (Gaia Tortora, Omnibus, La7, 28.9). Per il padre di Renzi non c’è un avviso di garanzia, ma il rinvio a giudizio, cioè la decisione a fine indagini che ci sarà un processo. Noi però siamo affranti perchè due giganti del pensiero come la Tortora e Capone non apprezzano i nostri titoli. E adesso come facciamo?

Forza Merlo. “In perenne attesa di una radicale riforma del sistema giudiziario, in particolare del reclutamento dei magistrati e della loro responsabilità civile e disciplinare, la giustizia penale è la prima emergenza italiana” (Francesco Merlo, Repubblica, 2.10). Meno male che Silvio c’è.

Vasto programma. “Italia Viva fa il tifo per il flop dei 5Stelle” (Messaggero, 3.10). L’importante è partecipare.

Il titolo della settimana/1. “Conte e Calenda, i due fenomeni in piazza. A loro va il primato dei raduni più affollati” (Filippo Ceccarelli, Repubblica, 3.10). Uno di piazze ne ha riempite cento in tre settimane, l’altro una: proprio identici.

Il titolo della settimana/2. “Covid, nelle scuole arrivano i tamponi salivari molecolari: ‘Così funzionano i lecca-lecca’” (Repubblica.it, 30.11). In redazione invece li hanno da ben prima del Covid.

Fanny Ardant torna sul set tra Simenon e Marescotti

Michele Placido sarà un anziano meridionale costretto dagli eventi a trasferirsi nel Belgio in cui vive suo figlio sul set di Orlando, una nuova coproduzione italo-belga diretta da Daniele Vicari e realizzata da Marica Stocchi per Rosamont e Tarantula.

Fanny Ardant sta recitando con Gerard Depardieu in Les volets vertes, un film di Jean Becker tratto da un racconto di Georges Simenon e sceneggiato da Jean-Loup Dabadie che descrive il crepuscolo di un attore/mostro sacro arrivato all’apice del suo successo. L’attrice francese è attesa in Italia a fine ottobre per intepretare un ruolo in Amusia, opera prima di Marescotti Ruspoli fotografata da Luca Bigazzi e prodotta da Umi Films con Rai Cinema e il sostegno della Regione Emilia-Romagna. Ambientato a Tresigallo, in provincia di Ferrara, il film racconterà l’inaspettata storia d’amore tra due giovani agli antipodi (Carlotta Gamba e Giampiero De Concilio) in un microcosmo surreale tra edifici metafisici, balli silenziosi e luci al neon. In un mondo impregnato di musica nasce una ragazza impossibilitata a sentirla perché ammalata di “amusia” (l’incapacità biologica di comprenderla, eseguirla e apprezzarla) che dopo un’infanzia solitaria si ritroverà nel mondo periferico, dimenticato e vagamente onirico di un ragazzo che combatte la solitudine con la musica mentre cerca di non far marcire i suoi sogni.

Sono iniziate in Gran Bretagna le riprese di Wonka, una megaproduzione Warner Bros. Pictures diretta da Paul King (Paddington) basata sui personaggi creati da Roald Dahl, in particolare l’amatissimo Willy Wonka, che si svolge prima degli eventi de La fabbrica di cioccolato. Il ruolo del protagonista è affidato a Timothée Chalamet, affiancato da grandi attori inglesi come Rowan Atkinson, Olivia Colman e Sally Hawkins.

La Costituzione spiegata ai bambini da Nilde Iotti (con viaggi nel tempo) in ‘Missione democrazia’

“Ci chiedono: quale sarà la vostra linea politica? Rispondiamo: la Costituzione della Repubblica”. Era il 23 settembre 2009, il Fatto Quotidiano irrompeva nelle edicole con l’editoriale del direttore Antonio Padellaro che cominciava così. Impossibile, quindi, per questo giornale non segnalare l’uscita nelle librerie di Missione democrazia di Maria Scoglio e Cristina Sivieri Tagliabue (Garzanti, 13 euro).

Missione democrazia guarda al futuro: è destinato ai bambini, ma istruttivo e divertente anche per gli adulti. I protagonisti sono Sofia e Leone, due grandi amici che frequentano la 5ª C della elementare “2 giugno”. I bimbi tornano anche indietro nel tempo per incontri di un certo livello, ad esempio si trovano al cospetto di colei che è stata presidente della Camera dal 1979 al 1992. L’incontro avviene il 27 dicembre 1947, a Palazzo Giustiniani, mentre il capo provvisorio dello Stato Enrico De Nicola è impegnato nella firma della Costituzione. Prima Leone, però, ha combinato un pasticcio inserendo sulla Carta un “non” tra Italia e Repubblica democratica. Dopo avere visto gli effetti catastrofici del fascismo ecco che Leone e Sofia possono rimediare:

“Io mi chiamo Leonilde Iotti, ma tutti mi chiamano Nilde”, dice la donna. “Signora Iotti, abbiamo bisogno del suo aiuto”, rompe il ghiaccio Sofia. Ha deciso di fidarsi di quella donna dallo sguardo curioso e confessare l’accaduto: “Vede, veniamo dal futuro”. (…) “L’Italia è in pericolo, è sotto una dittatura”, prosegue Leone. E racconta quello che ha visto con i suoi occhi: ragazzi costretti a vestire allo stesso modo e a giocare a picchiarsi. Cittadini che vengono messi in carcere perché hanno un’opinione diversa dal dittatore. Persone trattate come avanzi da buttar via solo perché disabili. Bambini cacciati da scuola. “E questa situazione”, prosegue ora Sofia, “è solo colpa nostra. Abbiamo fatto una enorme cavolata, la più grande della nostra vita”. Poi si corregge: “Cioè, per la verità l’ha fatta lui”. Sofia punta il dito contro l’amico, il cui viso avvampa come un caminetto acceso. (…) Intanto Sofia continua il racconto: “Ha presente la Costituzione?”. “Oh sì, molto bene. L’abbiamo scritta noi”, risponde la donna, e indica le altre persone che sono in quella sala. Sono i cosiddetti “settantacinque”, i membri della commissione parlamentare che ha scritto la Carta costituzionale. Leone prende coraggio e confessa: “Poco fa sono entrato nella stanza laggiù, la biblioteca. La Costituzione era pronta per la firma del presidente della Repubblica, ma lui non era ancora arrivato. E io ci ho scarabocchiato sopra”. “E cosa avresti mai disegnato?”. “Non era esattamente un disegno. Piuttosto… una parola. Ho aggiunto un ‘non’ tra Italia e Repubblica democratica”. “Cioè hai sancito che l’Italia non è una democrazia?…”.

Per sapere com’è finita tra Sofia, Leone e l’onorevole Nilde Iotti non resta che partire, verso una libreria, in Missione democrazia.