C’è una domandache ci tormenta da ieri: ma alla fine riuscirà a traslocare Mattarella? No no, c’è un equivoco, non s’intendeva Sergio, che pure – come ci ha raccontato il CorSera – s’è dato alle delizie immobiliari della capitale con tanto di selfie, ma del figlio Bernardo che ha programmato un trasloco alla fine dell’anno prossimo: dal Mediocredito Centrale di oggi all’Invitalia di domani quando scadrà il mandato di Domenico Arcuri. Se Mario Draghi resta a Palazzo Chigi il posto è suo, ma vai a sapere che succede se l’ex Bce finisce al Quirinale e arriva qualche puzzone non invitato: eh sì, a pensarci bene i traslochi dei due Mattarella rischiano di essere legati… Vabbè, in attesa dei facchini, il virgulto Bernardo – giurista di vaglia, allievo di Sabino Cassese – si muove sulla carrozza del generale apprezzamento per le sue molte qualità: su “la competenza, l’esperienza e il rigore professionale non comuni dell’ad del Mediocredito, Bernardo Mattarella”, scommetteva ad esempio MilanoFinanza del 2 settembre nell’ambito della partita Mps. E d’altra parte “in questi mesi la controllata pubblica guidata da Bernardo Mattarella è stata uno dei pilastri del sistema finanziario” (sempre MF, due giorni dopo): sì, è vero, “’abbiamo evitato il credit crunch delle crisi precedenti’, dice Mattarella confermando il clima di ottimismo che si respira” (Ansa, 24 settembre). Pure il futuro del trasporto pubblico è affidato alla sue cure: “Il rapporto che ho trasmesso alle commissioni parlamentari, frutto del lavoro della Commissione guidata dal professor Bernardo Mattarella, va nella direzione di aiutare chi non può permettersi un’auto, non solo di aumentare l’efficienza” (il ministro Giovannini a La Stampa, 22 settembre). Ieri, per dire, c’era da dare la notizia che la semestrale del Mediocredito centrale riporta una perdita di 48 milioni, dovuta ai 101 milioni di rosso della controllata Popolare di Bari, perdita – ci spiega Il Messaggero a evitare equivoci – “parzialmente compensata dall’utile semestrale di Mcc frutto della efficace gestione dell’ad Bernardo Mattarella”. Noi la buttiamo lì: ma sicuri che un diamante del genere lo vogliamo sprecare a Invitalia? E se il Mattarella bis fosse un passaggio di consegne generazionale?
Adesso il Mite dice pure cosa conviene alle imprese
La trasparenza non è di casa al Ministero della Transizione ecologica di Roberto Cingolani. Ieri, fonti del Mite hanno infatti recapitato all’Ansa la propria versione sull’affaire trivelle, ovvero la scadenza della moratoria per i permessi di ricerca di idrocarburi e per gli iter di richiesta e la mancata approvazione del piano che li bloccava. “Il Ministero – dicevano – non autorizza nessuna nuova attività prima dell’approvazione definitiva del piano nazionale in materia, il Pitesai”. Poi si aggiungeva che “anche le società che hanno già autorizzazioni valide aspetteranno di avere il piano, per non rischiare di cercare gas dove non potranno estrarlo”. Addirittura dicevano che “il Pitesai non doveva essere approvato definitivamente il 30 settembre ma solo trasmesso alla Conferenza Unificata Stato Regioni. Cosa che il Mite ha fatto”. Eppure, 1. La legge di riferimento della moratoria e i successivi emendamenti parlano di “adozione” del piano entro il 30 settembre; 2. La decisione di non autorizzare è di fatto una decisione del Mite, perché per la legge appunto anche gli iter di autorizzazione dovrebbero ripartire e 3. Da quando il ministero detta la strategia industriale alle imprese?
Droga e politica, incrocio pericoloso per l’informazione
“Alla base dell’assunzione delle droghe, di tutte le droghe, anche del tabacco e dell’alcol, c’è da considerare se la vita offre un margine di senso sufficiente per giustificare tutta la fatica che si fa per vivere”.
(Umberto Galimberti, filosofo e psicoanalista)
La droga è una piaga sociale. Lo è per chi ne fa uso, per le rispettive famiglie, per la collettività. Ma la questione, quando s’intreccia con la politica, diventa un incrocio pericoloso per l’informazione. Un tabù che a volte – come nel caso di Luca Morisi, l’artefice della “Bestia” mediatica di Matteo Salvini, il social manager indagato ora per “cessione” di stupefacenti – può trasformarsi in un boomerang, una nemesi storica, una pena del contrappasso.
Accadde già all’epoca del “caso Malindi”, quando L’Espresso raccontò che il vicesegretario socialista Claudio Martelli era stato sottoposto a un controllo di polizia in aeroporto per un sospetto possesso di spinelli: “MP caught with bhang” (Parlamentare fermato con cannabis), titolò il 6 marzo 1989 in prima pagina il Kenya Times, organo ufficiale del partito unico di Nairobi. A quell’epoca, il Psi di Bettino Craxi aveva condiviso la “crociata” della signora Reagan contro la droga, presentando una proposta di legge che prevedeva l’arresto e la reclusione fino a quattro mesi per chi fosse stato scoperto con la marijuana in tasca. E il cortocircuito potrà ripetersi anche in futuro, per un semplice motivo che sta all’origine di questi casi: “l’ipocrisia elevata a sistema”, come ha scritto qui Antonio Padellaro; la “doppia morale” fondata sui vizi privati e sulle pubbliche virtù.
Al pari del fumo o dell’alcol, la droga è senz’altro una dipendenza. E, come recita uno slogan degli antiproibizionisti, “non è vietata perché fa male, ma fa male perché è vietata”. Vale a dire perché, a differenza delle sigarette e dell’alcol, viene venduta e consumata in condizioni di clandestinità, favorendo i traffici della criminalità organizzata e nuocendo ancor più alla salute dei consumatori. Un mercato dell’offerta più che della domanda, sostengono da sempre liberali e liberisti come il settimanale inglese The Economist. Non a caso uno studio ripreso dal Sole 24 Ore, quotidiano della Confindustria, ha calcolato a suo tempo che il fatturato complessivo della Mafia SpA si aggira intorno ai 170-180 miliardi di euro all’anno, di cui lo spaccio di droga rappresenta la voce principale.
È chiaro, dunque, che la repressione da sola non basta. Quando una sostanza arriva a rendere oltre mille volte il suo valore iniziale, proprio in quanto proibita, non c’è divieto che tenga. Tant’è che la droga circola perfino nelle carceri, dove il cittadino detenuto è sotto controllo 24 ore su 24. Occorre un’opera continua d’informazione, educazione e persuasione. Una campagna sociale che spieghi i pericoli della droga per la salute individuale, per l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini. Sul modello di quelle “salutiste” contro il fumo o l’alcol. Non tanto per vietare, a rischio di alimentare l’attrazione del “frutto proibito”, quanto per dissuadere e magari prestare assistenza psicologica a chi accusa “fragilità esistenziali”. In Portogallo, per esempio, il consumo di droga è stato depenalizzato e così negli ultimi 15 anni s’è ridotto sensibilmente.
Quando un referendum online sulla legalizzazione della cannabis supera mezzo milione di firme, è inutile allora disquisire sulla legittimità e attendibilità della consultazione digitale. Bisogna prenderne atto realisticamente, accettando la teoria della “riduzione del danno”. Altrimenti, si rischia – come per Craxi o Salvini – di fare solo propaganda, senza riuscire a risolvere il problema e anzi subendone i contraccolpi.
“L’eretico” Giletti e il silenzio (inspiegabile) sul caso Morisi
“Sono un eretico e un masochista. Eretico perché sono sempre in cerca della verità, masochista perché alla mia non più tenera età accetto una nuova scommessa” ha dichiarato con una discreta enfasi Massimo Giletti alla vigilia del suo ritorno su La7 con Non è l’arena.
Con queste premesse pensavo stesse annunciando di aver spostato gli studi a Kabul davanti alla sede dell’Emirato islamico di Afghanistan o a Yangon, davanti al carcere dove è rinchiusa San Suu Kyi, o in Yemen per raccontare l’offensiva dei ribelli Huti a Marib. Oppure, ridimensionando le aspettative, davanti alla sede della Lega, davanti casa di Luca Morisi, voglio dire, era a andato a Mezzojuso per le sorelle Napoli, ti pare che un giornalista d’assalto come lui, “un eretico”, ignori la notizia della settimana.
E invece, l’eretico, apre la puntata negli studi romani insieme alla vice-questore anti-Green pass Nunzia Alessandra Schilirò detta Nandra la quale con un inquietante look da chiromante LunaNera era lì ad aiutarlo nella sua instancabile missione di ricercatore della verità. “La cura al plasma funziona!”; “Il Green pass viola la Costituzione”; “Ci sono le cure domiciliari precoci” sono solo alcune delle verità adamantine partorite in studio, senza che all’eretico sembrassero eresie. Prima che il vice-questore potesse ulteriormente contribuire alla ricerca della verità con disquisizioni scientifiche sulle Dee del pantheon germanico e i riti degli Elfi Scuri, Giletti la interrompe per farsi guidare nell’implacabile ricerca della verità da un’altra stella polare della conoscenza: il dentista che cura i malati Covid con un vermifugo per i cavalli. Roba che ci auguriamo tutti non estragga i molari col lazo, senza anestesia. A supportarlo un altro faro della scienza, Vittorio Sgarbi, il quale di recente ospite di Zona bianca ha così sintetizzato la sua posizione accademica sulla questione pandemia: “Avete rotto il cazzo col Covid”. La comunità scientifica si è riservata di tradurre in uno studio da pubblicare presto su Nature le sue stimolanti ricerche empiriche, studio su cui Giletti l’eretico non mancherà di informarci al più presto in un talk d’approfondimento con Can Yaman e Paolo Fox.
Resta solo da comprendere come mai il conduttore sempre così immerso nell’attualità, affamato di verità, ha la fortuna di debuttare nei giorni in cui è scoppiato il caso Morisi e gli preferisca il dentista che cura i malati Covid col vermifugo per i cavalli, per giunta l’unica sostanza non trovata nella casa di Morisi. Bizzarro che il giornalista schiena dritta abbia avuto una così improvvisa carenza di spina dorsale. Proprio lui che ha invitato Matteo Salvini nel suo programma così tante volte, giustificando così la scelta: “Contano le domande”. Ecco, nessuna domanda, mercoledì sera, sul caso Morisi. Ed è parecchio strano perché quelle cosette sobrie che piacciono tanto all’eretico c’erano tutte, in questa vicenda: lo scandalo sessuale, la droga, i festini, per esempio. Le cosette di cui ha parlato per mesi scavando senza pietà nella vita di Alberto Genovese o del figlio di Grillo per esempio, senza risparmiarci valzer di testimoni e dettagli scabrosi. Su Morisi, Massimo Giletti, colui che si autodefiniva “zio di Mirta” (la figlia di Salvini, ndr), in un’epica, audace puntata di Non è l’arena in cui le dava anche la buonanotte in diretta, ha fatto calare uno strano silenzio.
Un silenzio inspiegabile, tant’è che i due romeni protagonisti della notte brava di Morisi avrebbero contatto l’Autorità garante per le comunicazioni chiedendo spiegazioni per il trattamento iniquo riservato alla loro vicenda. “Che cos’aveva nostru festino che non andava?”, avrebbero domandato mortificati all’Agcom, che si è riservata di prendere immediati provvedimenti. Nel frattempo, si attende di sapere se l’affannosa ricerca della verità dell’eretico Giletti prevederà una svolta o mercoledì prossimo, all’argomento “Morisi e la crisi della Lega”, preferirà il più attuale, scomodo, ardimentoso tema “Curare l’Hiv con l’erba gatta”.
Il centrodestra è diviso ma non ci sarà rottura
Ha preso corpo una narrazione che sembra più che altro la proiezione di un desiderio e che può risultare fuorviante: Salvini è cotto e non ne azzecca una; la Lega è spaccata; il centrodestra non esiste più.
Non nego l’evidenza di elementi oggettivi nei quali si innesta tale narrazione: l’autodafé del Papeete, l’impasse dei sovranisti dopo Trump, il volto di una Ue più solidale, la problematica doppiezza che segna la partecipazione leghista alla maggioranza che regge Draghi, la polarizzazione interna tra Salvini e i suoi “governisti”, il fiato sul collo della Meloni. E tuttavia sarei decisamente prudente nel diagnosticare rotture. Conosco Giorgetti, un commercialista di buon senso, ma non ce lo vedo a capeggiare una scissione. Egli ha sempre avuto un ruolo ancillare prima con Bossi, poi con Maroni, ora con Salvini. Leghe dal profilo molto diverso già con il senatùr – dunque, ben più di due – cui sempre Giorgetti si è acconciato. Non ha mai avuto ambizioni di leadership. Ancora: è semplicistica la rappresentazione duale della Lega: il “partito sovranista” opposto al “partito del nord”, la Lega di Salvini a quella originaria di Bossi. Vi sono materiali comuni che la tengono insieme: penso ai temi della sicurezza, dell’immigrazione, del fisco, di un più o meno marcato sentimento antistatuale (non solo antiromano). Di più: per quanto calato rispetto al top di un paio di anni fa, il consenso di cui è accreditata la Lega si nutre di più elementi. Un mix che regge e che fa la sua fortuna.
Uno studioso serio della destra populista come Marco Tarchi lo ha spiegato benissimo: può dispiacere all’establishment, ma quel partito non può rinunciare alle issues e soprattutto agli umori populisti catalizzati da Salvini. Si spiegano anche così le sue liaison con i no vax. Non vorrei essere frainteso: le tensioni interne alla Lega sono reali, ma non al punto da fare presagire spaccature. Che poi Berlusconi nutra riserve su un centrodestra non capeggiato da lui non è uno scoop. Ma il suo partito conta poco ed è diviso. E comunque la lunga parabola politica del Cavaliere attesta che, al dunque, nei passaggi cruciali, il suo “concretismo” (le aziende, la “roba”) lo ha puntualmente condotto a non privarsi dell’arma politica di un centrodestra unito negli appuntamenti elettorali. Non teorizzava sino a ieri il partito unico?
Per altro è difficile immaginare che si voglia e si riesca a cambiare una legge elettorale, il Rosatellum, che, con il suo 37% di collegi uninominali, spinge a contrarre alleanze preelettorali. Del resto, quando il celebrato Giorgetti – cui, come notavo, si attribuiscono improbabili disegni da statista – ha prospettato Draghi al Quirinale lo ha motivato con l’auspicio che seguano immediate elezioni. Davvero si può pensare che, nonostante le tensioni dentro e tra i partiti del centrodestra, essi ci facciano il regalo di andarci divisi? La sinistra (e, per parte loro, anche i teorici della “eternizzazione” del draghismo) farebbero bene a non coltivare una tale illusione e piuttosto ad accelerare nel mettere a punto una strategia alternativa a una destra favorita nonostante se stessa.
I Programmi in televisione: Da X-Factor e cartabianca fino a tempesta d’amore
E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:
Rai1, 21.25: Arena 60 70 80, musicale. Presentate da Amadeus, le canzoni simbolo di un’epoca irripetibile riecheggiano all’Arena di Verona. Tra gli ospiti, artisti come gli Alphaville, Tracy Spencer, Donatella Rettore e Shen Jiabao, una specie di Gino Paoli cinese che canta “Sapore di sale” mentre un attrezzista felice gli fa cadere due dozzine di uova sulla testa, una alla volta.
Rai1, 20.30: Italia-Spagna, calcio. Non mi piacciono gli sport, a meno che non vogliate considerare PornHub uno sport.
Rai3, 21.20: Cartabianca, talk show. Da anni Bianca Berlinguer affronta coi suoi ospiti temi d’attualità, ma gli ascolti sono risaliti solo dopo il ritorno di Mauro Corona. Se mai ci fossero stati dubbi sul livello del programma e del suo pubblico.
Tv8, 21.30: X Factor, talent condotto da Ludovico Tersigni. C’è chi si chiede come abbia fatto Ludovico Tersigni ad avere questo lavoro essendo quasi sconosciuto. Quasi sconosciuto? Signori, Ludovico Tersigni è uno sconosciuto completo!
DMax, 21.25. Ingegneria impossibile, documentario. La puntata di oggi è dedicata alle innovazioni dell’industria automobilistica torinese. Sulla Duna, per esempio, a un certo punto venne installato un sistema antifurto molto ingegnoso: ingrandirono la scritta “Duna”.
Nove, 18.10: Cash or trash, chi offre di più?, varietà. Paolo Conticini incontra persone comuni convinte di avere un tesoro in soffitta da vendere al miglior offerente. Ogni oggetto viene valutato e messo all’asta: tenteranno di aggiudicarselo cinque mercanti d’arte. Tesoro in vendita nella prima puntata: Christian De Sica.
La7, 21.15: Non è l’Arena, attualità. I telespettatori che seguono Massimo Giletti sanno che non perde mai l’occasione di evidenziare con toni polemici le incongruenze della politica. Anche stasera il clima si farà caldo: parlerà di vaccinazioni e Green pass, in una puntata dal titolo “Un sacco di gente è morta di Covid, e questo non li ha uccisi.”
Rai3, 13.15: Passato e presente, documentario. Ogni donna, fin dalla nascita, ha nelle ovaie 400 uova. È vero che quelle di Jackie Kennedy erano tutte Fabergé? Paolo Mieli ne parla con Alessandro Barbero.
Rete4, 21.20: Fuori dal coro, attualità. Vaccinazioni, voto amministrativo, aumento delle bollette: dallo Studio 5 di Cologno Monzese, Mario Giordano proporrà ogni settimana la sua lettura superflua dei fatti più significativi del momento, all’insegna della sobrietà dei toni che da sempre caratterizza il programma, ovvero esibendo la frenesia di un cane che è rimasto in casa non pisciato tutto il giorno.
Rete4, 19.50: Tempesta d’amore, soap. Vanessa bacia Max, ma non è ricambiata: Max tiene serrata la dentatura, impedendo alla lingua di Vanessa di entrargli nel cavo orale. Per superare il momento di imbarazzo, Vanessa passa a un pompino, a termine del quale Max decide di prendersi una pausa di riflessione. La 7, 20.35: Otto e mezzo, attualità. La novità di questa nuova edizione, già premiata dagli ascolti, sono senz’altro i video rubati di Lilli Gruber che scatarra sul pavimento durante i break pubblicitari.
Rai3, 20.00: Che tempo che fa, talk show. Quando Filippa Lagerback esce di scena, di colpo sembra che manchino dieci ragazze. Quando Fabiofazio entra in scena, di colpo sembra che ci sia un Fabiofazio di troppo.
Caso Lucano l’optional di leggere i dispositivi
Non è stato condannato per aver favorito l’immigrazione clandestina, né per i presunti matrimoni “combinati” tra cittadini italiani e stranieri. Mimmo Lucano avrà due gradi di giudizio per dimostrare la sua innocenza, ma è stato condannato (13 anni e 2 mesi) per associazione a delinquere finalizzata a “commettere un numero indeterminato di delitti” (falso in atto pubblico, abuso d’ufficio e peculato) distraendo fondi destinati all’accoglienza. È questo il punto, che però sembra passare in secondo piano. La stampa di sinistra si è concentrata a elogiare l’ex sindaco di Riace artefice del modello di integrazione e accoglienza dei migranti, definendo “spropositata” la condanna. “Accogliere i migranti è più grave di essere mafiosi” dice Domani, “Ingiustizia è fatta” è il titolo del Manifesto, mentre Repubblica parla di “giustizia rovesciata”. Sulla stampa opposta invece, il tema è solo l’immigrazione clandestina, reato per il quale Lucano è stato assolto. Per Libero l’ex sindaco e il suo “buonismo criminale” è stato “condannato dagli amici”, quella magistratura che sarebbe sempre e solo di sinistra. “Doppiopesismo” giudiziario scrive il Giornale, che fa riferimento al caso Morisi; mentre La Verità smonta “l’eroe civile”.
La bestia manda tutto a puttani per 1.500 euro
Eh no, fermi tutti, non è giusto, non ci sto, se poi si scopre che il Carroccio è sul punto di scarrucolare, Matteo Salvini di cappottare, la destra intera di sgrugnarsi, Michetti e Bernardo di inabissarsi (ma ce la fanno benissimo da soli), e tutto perché la famosa, terribile, spietata, ghignante, grugnante Bestia ha il braccino corto, beh allora ditelo che in questo Paese non funziona più niente, neppure i complotti. Sì, c’avevamo fatto la bocca ai torbidi misteri del cascinale di Belfiore, alle tante tessere che non quadrano, alle troppe incongruenze delle indagini, alle versioni contrastanti dei modelli rumeni, al Maghetto Magò della Rete incastrato dai Poteri Fortissimi (oppure dai Servizi, o dai Pupari, o dalla Giustizia a Orologeria, o dalla Spectre, o vai a sapere). Angosciosi ci agitavano gli interrogativi su chi ha portato la bottiglietta con la droga (se poi era davvero droga), e sul quarto uomo che parlava russo (o forse non era russo, o forse non parlava, o forse neppure c’era). Ma soprattutto la bomba che, guarda caso, deflagra a cinque giorni dalle elezioni, cribbio, non ci faceva letteralmente chiudere occhio.
Poi, ieri mattina, leggiamo avidamente le cronache immaginando nuove rivelazioni sulla tentacolare cospirazione, e ci cascano le braccia. Apprendiamo sgomenti che rispetto al prezzo pattuito di quattromila euro (duemilacinquecento versati con regolare bonifico), ai prestatori d’opera non ne sono stati saldati millecinquecento. Che insomma il Guru ha fatto casino, tanto che ne nasce un litigio e quando la pattuglia arriva sul viale alberato del cascinale, i carabinieri “trovano i due romeni e Morisi che urlano” (Repubblica). Purtroppo avete letto bene: “urlano”. Come in una qualsiasi volgare rissa da marciapiede. Come se in quel fatale attimo della storia patria in ballo non ci fossero le sorti del partito di maggioranza relativa, l’immagine adamantina di un leader chino sui problemi del Paese, ma anche la stabilità del governo e la credibilità stessa delle istituzioni. Almeno, ai bei tempi di Villa Certosa l’“utilizzatore finale” Silvio non solo pagava senza fiatare ma accompagnava il dovuto con dei preziosi cadeau. Altro stile. Noi, che pure con Salvini non abbiamo mai legato, non ci sentiremmo di biasimarlo se fosse un tantino irritato con il suo geniale spin doctor. Uno che poteva rovinare la vita a chiunque, e ne ha rovinate parecchie. Uno che girava a bordo di una Maserati Levante. Uno che per millecinquecento euro più Iva ha mandato tutto a puttani.
“Gli spintoni sì, ma io stalker proprio no. E mi vergogno”
“C’è stata una colluttazione. E di questo mi pento e anche un po’ me ne vergogno. Ma mai avrei immaginato che venissi accusato di stalking. Tentavo, dopo che avevamo ambedue perso la calma, e certamente io sento la colpa, che il rapporto potesse almeno concludersi in modo civile. E invece…”. E invece Enrico Varriale, giornalista sportivo Rai e volto noto agli appassionati di calcio, accusato dalla ex compagna di un comportamento violento, al magistrato ha riferito la sua versione dei fatti. “Sono stato sposato per diciassette anni e la separazione, benché dolorosa, non conserva acrimonia né alcuno degli atteggiamenti che oggi mi sono contestati. Ho avuto negli anni varie compagne e nemmeno a pensare a queste cose brutte. Sono mite per carattere e le mie abitudini sono lontane da ogni idea violenta. Ma è vero che con la signora che mi ha denunciato (e ho scoperto in seguito che ha sporto due distinte denunce contro di me) ho alzato i toni e il confronto, anche però per sua responsabilità, da verbale si è trasformato in qualcosa di più e di peggio. Resta per me insopportabile la definizione che la signora vorrebbe mi fosse affibbiata. Io stalker? Questo è per me insopportabile. C’è stata una caduta di stile, sono volate parole, qualche spintone…”.
Varriale, già vicedirettore di Rai Sport, per lungo tempo destinato all’approfondimento del post-partita. Il magistrato romano gli ha intanto interdetto ogni tipo di rapporto con la compagna, oggi ex, che – denunciandolo – ha accluso un certificato del pronto soccorso a cui si è rivolta per le contusioni riportate, delle quali Varriale dovrà rispondere.
Crac Etruria, in primo grado una condanna e 22 assoluzioni al processo per bancarotta
A quasi sei anni dalla risoluzione del 22 novembre 2015 e a oltre 5 e mezzo dalla dichiarazione di insolvenza dell’11 febbraio 2016, ieri è arrivata la sentenza di primo grado per il crac di Banca Etruria. Con una decisione che solleva polemiche, il tribunale di Arezzo ha assolto perché il fatto non sussiste 22 dei 24 imputati (uno è deceduto), tra i quali l’ex presidente Lorenzo Rosi, il vice Giovanni Inghirami, ex revisori e dirigenti accusati a vario titolo di bancarotta fraudolenta e semplice per 200 milioni di prestiti erogati e mai rientrati. Unico condannato a 6 anni per bancarotta fraudolenta è Alberto Rigotti, ex consigliere della banca: avrebbe “distratto e dissipato” il patrimonio della Bpel deliberando prestiti alla lussemburghese Abm Merchant, di cui era consigliere, causando sofferenze per circa 15 milioni. Oltre 2 mila i risparmiatori costituiti parti civili: tra loro Lidia Di Marcantonio, vedova di Luigino D’Angelo, che il 28 novembre 2015 si tolse la vita quando scoprì l’azzeramento dei bond subordinati Bpel nei quali aveva investito 110 mila euro. A gennaio 2019 erano già stati condannati con rito abbreviato a 5 anni l’ex presidente Giuseppe Fornasari e l’ex direttore generale Luca Bronchi, a 2 anni e 6 mesi l’ex vicepresidente Alfredo Berni e un anno e 6 mesi l’ex consigliere Rossano Soldini. Parti civili, Rigotti e Procura valutano il ricorso in appello. “Con questa sentenza, che contraddice quella con il rito abbreviato, l’impianto accusatorio è completamente caduto. Aspettiamo le motivazioni”, ha detto il procuratore capo Roberto Rossi. A breve dovrebbe partire l’appello anche per i condannati con il rito abbreviato. Ad Arezzo resta aperto il filone sulle cosiddette “consulenze d’oro” che vede tra gli imputati per bancarotta semplice Pier Luigi Boschi, ex vice presidente e padre dell’ex ministro del governo Renzi Maria Elena, con una decina di altri ex dirigenti. Secondo l’avvocato Riziero Angeletti, legale di 200 parti civili, “non c’è rischio di prescrizione per la bancarotta fraudolenta, che decade in 12 anni e mezzo, ma si porrebbe se il giudice dovesse riqualificare le imputazioni in bancarotta semplice, che si prescrive in 7 anni e mezzo. Le assoluzioni perché il fatto non sussiste potrebbero giovare ai quattro condannati col rito abbreviato. Non è possibile che l’unico condannato abbia operato autonomamente e da solo abbia portato l’istituto alla bancarotta. La sua condanna riconosce il danno di tutte le parti offese e dunque la possibilità di risarcimenti”.