Il leader e il vangelo secondo Luca

Auguriamo, naturalmente, a Luca Morisi di rialzarsi quanto prima dalla “caduta come uomo” che egli ammette di avere avuto, e ciò al di là dell’indagine per cessione e detenzione di droga che lo riguarda. “Un amico che sbaglia e che può contare su di me”, ha detto Matteo Salvini, parole anche queste che esigono comprensione. Ma quando Morisi saprà riprendere il controllo della sua vita sarebbe importante conoscere una sua riflessione sullo spaventoso e inarrestabile potere di chi usa ossessivamente la Rete per colpire gli avversari, seminare l’odio e rovinare la vita al prossimo. Del resto, difficile saperne più di lui, creatore e gestore della Bestia social, il formidabile sistema di propaganda al servizio della Lega di Salvini, strumento di una strategia comunicativa che ha contribuito alla impetuosa crescita dei consensi a favore del cosiddetto Capitano (ora ex). Con una potenza di fuoco invidiata, temuta e quanto mai ustionante.

Come potrebbe testimoniare Laura Boldrini per anni simbolo dell’odiato “buonismo” di sinistra. Additata al pubblico ludibrio come sponsor dell’“invasione clandestina incontrollata” (anche se non ha mai detto nulla del genere) è stata quotidianamente messa alla gogna dal sito bestiale per aizzarle contro la micidiale armata invisibile degli odiatori. Se per storia personale e ruolo istituzionale Boldrini rappresenta l’esempio più eclatante di questo modo di fare contrasto politico, non si calcolano invece i danni della implacabile pioggia di fango (per non dire peggio) che si è abbattuta su chi individuato come nemico non sapeva difendersi. Lordandone così l’immagine pubblica, e sempre a maggior gloria del Capitano (ex).

Ecco, poiché la Bestia non può essere semplicemente liquidata come l’arma di distruzione reputazionale di una stagione (forse tramontata con la Lega di governo a guida Giorgetti), ascoltare le riflessioni di Morisi sulla violenza social, se e quando ne avesse voglia, ci aiuterebbe a difenderci meglio dai fetidi schizzi. Mentre, nelle presenti circostanze, a Luca (e al suo amico Matteo, spesso con il rosario tra le dita) non farebbe male meditare sul precetto evangelico del non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te (ma forse non farebbe abbastanza like).

Alitalia, oggi nuovo presidio a Roma. “Ita è sopra la legge”

Non si fermano le proteste dei lavoratori Alitalia. Dopo la giornata di sciopero di venerdì scorso con duemila manifestanti che hanno bloccato l’autostrada Roma-Fiumicino a seguito della rottura nei giorni scorsi della trattativa con Ita sul contratto e sulla cassa integrazione, per oggi è stata indetta una nuova manifestazione in piazza Santi Apostoli a Roma, nei pressi di piazza Venezia. Per Filt Cgil, Fit Cisl, Uilt e Ugl Trasporto aereo, la rabbia dei quasi 8 mila esuberi di Alitalia è sempre più incontenibile. Sul piatto ci sono la richiesta di revisione del piano Ita e il riassorbimento dei lavoratori attualmente impiegati in Alitalia senza decisioni unilaterali dell’azienda. “È necessario applicare il contratto nazionale, avere un piano industriale serio e non è accettabile che chi ha il mandato per il governo di gestire questa trattativa con soldi pubblici pensi di poter licenziare, non applicare l’accordo e abbassare diritti e salari”, spiegano i sindacati. Il 14 ottobre Alitalia, in amministrazione straordinaria dal 2018, smetterà di volare, mentre dal giorno successivo è previsto il decollo della nuova compagnia pubblica che partirà mini, con 2.800 dipendenti (contro gli 11 mila di Alitalia) e una flotta di 52 aerei. I sindacati intimano a Ita di tornare a negoziare il nuovo contratto di lavoro, estendendo la cassa integrazione, in scadenza a settembre 2022, fino al 2025.

Intanto ieri si è svolto anche l’incontro promosso da un gruppo di lavoratori Alitalia insieme all’Osservatorio Aviazione con la partecipazione del presidente emerito della Corte costituzionale, Paolo Maddalena e del professor Ugo Arrigo, che hanno ribadito “l’incoerenza delle decisioni prese da Ita che non ha rispettato le norme consolidate sul passaggio dei lavoratori”. La delusione dei lavoratori è verso il governo “che è succube del presidente di Ita, Alfredo Altavilla, nominato proprio dalla politica. In questo modo – hanno detto – Ita viene posta sopra la legge e può fare tutto quello che vuole”.

Smart working: rende il lavoro più flessibile e moderno, nonostante il Brunetta-pensiero

I l 15 ottobre, 3,2 milioni di statali torneranno a lavorare in presenza. Lo ha preteso il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, secondo il quale lo smart working nella Pubblica amministrazione è un “lavoro a domicilio all’italiana” che “non ha garantito i servizi pubblici essenziali”. Che il lavoro da casa, o comunque non in ufficio, dei dipendenti pubblici non piacesse a Brunetta lo si era già capito da un po’. Ma il ministro continua a omettere l’impatto che lo smart working ha avuto nel settore pubblico e privato: il lavoro agile è giudicato come un’opportunità per un’organizzazione del lavoro più flessibile e moderna da oltre 7 italiani su 10. E a esprimersi sono gli stessi italiani, sia lavoratori che utenti, rispondendo a un sondaggio realizzato dall’istituto Piepoli per la Fondazione Italia Digitale, un luogo che nasce anche per supportare la discussione e lo sviluppo delle policy digitali pubbliche-private, che sarà presentata oggi dalle ore 10 sui canali social della Fondazione. Secondo l’indagine, che è in rappresentanza di tutti gli italiani – uomini e donne suddivisi in tre fasce d’età (18-34, 35-54 e over 55) – ben il 73% degli intervistati reputa che l’utilizzo dello smart working sia un’opportunità. Percentuale che sale al 78% nella fascia d’età 18-34, quella nativa digitale. Tant’è che solo per gli over 55, più prossimi alla pensione, lo smart working rappresenta nel 26% dei casi un rischio perché potrebbe creare problemi di organizzazione. Ma in media, la percentuale di chi ritiene il lavoro agile un rischio scende al 21%; per i 18-34 la quota si ferma al 15%. C’è poi un 6% di intervistati che giudica lo smart working ininfluente. “Gli italiani promuovono a larga maggioranza lo smart working e ora chiedono un grande piano di cultura digitale che parta da due obiettivi: semplicità di utilizzo e sicurezza”, commenta Livio Gigliuto, cda Fondazione Italia Digitale. Che spiega: “Il ruolo salvifico del digitale durante la pandemia sembra aver sconfitto la diffidenza degli italiani. A considerare maggiori le opportunità rispetto ai rischi è ormai la quasi totalità della popolazione. Non solo acquisti online e video-chiamate, gli italiani affidano al digitale atti delicati come certificati e tributi. In trend con gli anni passati, il digitale è sempre più indifferente all’età”. Insomma, voler tornare indietro sembra impossibile e questo dovrebbe valere pure per il lavoro agile che non piace a Brunetta.

Covid, sanzionati tre ristoranti vicini a palazzi del potere

La mappa della politica a tavola sotto la lente dei Nas. Sono almeno tre i ristoranti romani all’interno del “triangolo del potere” fra Palazzo Montecitorio, Palazzo Madama e Palazzo Chigi sanzionati dai carabinieri del Nucleo Antisofisticazioni di Roma per il mancato rispetto delle normative anti Covid. Fra questi il più noto è “Maccheroni” in piazza delle Coppelle, da qualche tempo tra i più gettonati dai parlamentari (e non solo), sanzionato “per non aver fatto rispettare il distanziamento sociale tra gli avventori”. A pochi passi, pizzicato anche “Trattoria 29”, in via della Maddalena, dove quattro lavoratori non avevano la mascherina; stessa violazione al “Raviolo d’Oro”, in via della Guglia (proprio di fronte Montecitorio), in questo caso per i tre dipendenti di nazionalità bengalese. I controlli dei Nas di Roma sono andati avanti per tutto il fine settimana nel centro storico, per quanto riguarda i ristoranti, e anche alla stazione Tibus, dove due bus sono stati multati per aver fatto salire passeggeri non muniti di Green pass.

Tolti i gradi all’ex generale Pappalardo

Non più generale dell’Arma, solo Antonio Pappalardo. Ieri, al fondatore palermitano dei Gilet arancioni, è stato notificato un provvedimento amministrativo di perdita del grado per rimozione dal ministero della Difesa. Pappalardo, 75 anni, sarebbe stato “degradato” per aver violato i doveri attinenti al giuramento prestato e creato disonore alle forze armate. La risposta non si è fatta attendere: “È un abuso, chiederò 2 milioni di danni”, ha promesso l’ex carabiniere, in congedo dall’Arma dal 2006. Dal 1988 al 1991 è stato anche presidente del Cocer e tra il 1992 e il 1994 deputato: con una piccola parentesi da sottosegretario di Stato alle Finanze del governo Ciampi. Ma durante la pandemia il suo impegno in politica ha virato sull’attivismo “negazionista”, con alcune manifestazioni dei Gilet arancioni. Tra cui una davanti al Duomo di Milano, il 31 maggio 2020, per la quale Pappalardo è stato denunciato dall’autorità giudiziaria per non aver rispettato il divieto di assembramento e l’obbligo di indossare protezioni individuali.

Generali, schiaffo a Caltagirone-Del Vecchio. Il cda si spacca, ma vota la lista pro-Donnet

Lo scontro sul futuro delle Generali a questo punto, salvo sorprese, è destinato a trovare il suo epilogo all’assemblea degli azionisti che in primavera dovrà eleggere il nuovo Consiglio di amministrazione. Ieri il cda si è spaccato e soltanto a maggioranza ha dato il via libera alla presentazione di una propria lista per il rinnovo del board. È una procedura usata spesso per avere il sostegno del mercato e una sorta di attestato di fiducia sui risultati fin qui ottenuti. A favore hanno votato nove consiglieri, quattro i contrari.

Come noto, lo scontro vede contrapposti i grandi soci italiani, Francesco Gaetano Caltagirone e la Delfin di Leonardo Del Vecchio che, insieme alla Fondazione Crt, hanno appena dato vita a un patto di consultazione che racchiude il 12,56% del capitale del Leone di Trieste. L’obiettivo è evitare il rinnovo dell’ad Philippe Donnet, appoggiato dal primo azionista delle Generali, Mediobanca, che con il suo 13% è da tempo arbitro dei destini del colosso assicurativo. I due ottuagenari imprenditori accusano il manager francese di una gestione deludente che ha fatto perdere terreno al gruppo rispetto ai suoi competitor. Per costringere l’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, a cedere, Del Vecchio è salito al 19% di Piazzetta Cuccia, mentre Caltagirone ha rastrellato un altro 5%. Nagel però non si è fatto intimorire: nei giorni scorsi con un prestito titoli si è portato al 17% dei diritti di voto all’assemblea delle Generali.

La partita, insomma, potrebbe risolversi in assemblea, con la presentazione di più liste e una conta tra i soci (il 50% del capitale è in mano a investitori istituzionali). In appoggio ai due anziani imprenditori italiani potrebbero arrivare anche i Benetton, che delle Generali hanno il 3,9%. La procedura per la presentazione della lista del cda approvata ieri a maggioranza dal consiglio è “ovviamente suscettibile di eventuali adeguamenti che fossero richiesti dalle Autorità di Vigilanza”, ha spiegato Generali in una nota.

È certo che le schermaglie proseguiranno nei prossimi mesi e potrebbero coinvolgere anche Mediobanca. Nei giorni scorsi, il cda di Piazzetta Cuccia ha approvato un aumento di stipendio per Nagel, mossa che certamente non farà piacere a Del Vecchio, che già aveva votato contro la politica di remunerazione del 2020.

Vaccini fondamentali, ma c’è anche altro

Chi distrae, anche un istante, l’attenzione dal vaccino rischia critiche, richiami dagli Ordini di appartenenza. I colleghi ti consigliano di non esporti, anche se, con atteggiamento da carbonaro, ti dicono che sono dalla tua parte, ma si guardano bene dal parlare. Inutile ripetere che credi nell’evidente efficacia dei vaccini, ma che sei anche un medico e un ricercatore, e che è tuo dovere approfondire le conoscenze, offrire sempre nuove e aggiuntive opportunità a favore della salute pubblica. La parola d’ordine è “solo vaccino”. Nel libro di Malattie Infettive nel quale ho studiato durante il mio corso di Medicina e Chirurgia, c’era un capitolo dedicato alla differenza tra prevenzione e terapia, che sottolineava quanto, per una malattia infettiva, entrambe fossero essenziali e non alternative. L’attualità smentisce l’autore. Parlare di terapia anti-Covid è un tabù. Ci sono voluti mesi e un richiamo dallo stesso presidente di Aifa, per autorizzare l’uso dei monoclonali, dei quali non si parla, mentre si ottengono silenziosi successi. Abbiamo farmaci promettenti e alcuni, come anakirna che funzionano, ma attendono. Per i vaccini (giustamente) si è ricorsi alla legge 648 del 1996 (che recepisce la legge dell’Europa ed Ema) che permette, in caso di mancanza di una valida alternativa terapeutica e del pronunciamento definitivo, di autorizzare per uso d’emergenza, un farmaco (anche vaccino o nuove indicazioni) che non ha ancora “autorizzazione alla immissione in commercio”. Si è fatto ricorso a questa legge anche per autorizzare la terza dose di vaccino, mentre il resto del mondo, anche gli organismi istituzionali internazionali mostravano perplessità in merito. Il cda, si legge in una nota di Aifa, “ha approvato l’inserimento nell’elenco dei farmaci previsto dalla legge 648/96 della dose addizionale dei vaccini Comirnaty (Pfizer) e Spikevax (Moderna), il che consente di somministrare la terza dose anche se l’autorizzazione originale per i due vaccini contemplava due dosi”. Si farà ricorso alla stessa legge per autorizzare la vaccinazione dei minori di 5 anni. Non è obiettivo di quest’articolo discutere sull’urgenza di questi provvedimenti, ma mi chiedo perché per tre volte, Aifa abbia bocciato la richiesta di applicare la legge 648 per l’uso di anakirna, malgrado sia stata dimostrata la sua efficacia con pubblicazioni anche su Nature.

*Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Illusione scuola senza dad: modello aereo o no?

Un positivo al Covid in aula? Non sarà più l’intera classe ad andare in quarantena, ma solo i compagni di banco nelle immediate vicinanze. L’idea arriva dalla Regione Lazio che sta mettendo a punto un modello simile a quello già adottato dalla Germania e utilizzato dalle compagnie aeree. Il nuovo piano è voluto dall’assessore alla Salute della giunta Zingaretti, Alessio D’Amato, ed è stato pensato per arginare l’esplosione della didattica a distanza che da Nord a Sud ha già registrato migliaia di casi dal recente inizio dell’anno scolastico: se ne contano almeno 15 mila in pochi giorni dal ritorno sui banchi. L’annuncio “Mai più Dad” del ministro Bianchi si è scontrato con la realtà dei fatti, che pochi giorni fa riportava questa contabilità: in Piemonte son già 74 le classi a casa; 57 in Alto Adige; 41 nel Fiorentino e nel Barese; 137 casi positivi nelle scuole delle province di Milano e Lodi per un totale di 90 classi isolate; 15 classi vuote anche a Genova; in Emilia Romagna a fine settimana si registravano 1.700 in Dad, mentre in Toscana 3800 studenti fanno già lezione da casa.

Ma, intanto, a due settimane dall’inizio dell’anno scolastico è ancora “presto per dire se la riapertura delle stia influendo sui contagi”, ragiona Nino Cartabellotta, che con la fondazione Gimbe ha seguito dall’inizio l’andamento dell’epidemia in Italia, e rinvia ogni valutazione a metà ottobre. “L’ultimo rapporto di venerdì dell’Istituto superiore di sanità ancora non mostra grandi movimenti di numeri, però – osserva – dobbiamo anche considerare che è ancora presto, ci vogliono almeno 2-3 settimane per vedere eventuali incrementi di contagi”.

Nel periodo tra il 6 e il 19 settembre, a cavallo dunque con l’inizio della scuola, sono stati diagnosticati e segnalati 14.967 nuovi casi nella popolazione 0-19 anni. Nelle due settimane precedenti (23 agosto-5 settembre) erano stati 21.036. Una riduzione sui cui incide il buon andamento della campagna vaccinale tra i giovanissimi: ad oggi il 56,6% è immunizzato, due su tre tra i 12 e i 19 anni hanno fatto almeno una dose. Il nodo da sciogliere nei prossimi giorni sarà quello della gestione degli eventuali positivi, appunto. “Aspettiamo cosa dirà il Comitato tecnico scientifico” ,afferma il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, sottolineando che ci sono due elementi da far pesare: “Il buonsenso della vaccinazione e lo screening nelle classi sotto i 12 anni anche con i test salivari. Nelle classi dei più piccoli è più facile che si verifichi un contatto e quindi è più difficile poter gestire delle quarantene ristrette, mentre nelle classi in cui ci sono soggetti un po’ più grandi è chiaro che è tutto più semplice perché i contatti sono più limitati”. A manifestare perplessità, alla proposta della Regione Lazio, sono i docenti e molti presidi che fanno rilevare che a differenza di un volo aereo, i ragazzi in classe e non solo si spostano.

 

PRO Possibile soluzione

“Hanno riaperto tutto, ma l’ipocrisia si abbatte così su studenti e artisti”

È stato “riaperto” praticamente tutto, allo stadio i tifosi si abbracciano e urlano cori e insulti a squarcia gola sputacchiando in faccia al vicino, come se nel frattempo nulla fosse stato. Nelle fabbrichette del Nord si corre senza sosta inchinati al Dio della produzione e la zona rossa (mancata) di Alzano Lombardo è un pallido e tragico ricordo. Però continuano a imporci delle misure ipocrite, come ai concerti all’aperto, dove non è possibile alzarsi in piedi e ballare, perché il rischio contagio dispone per pop e rock un pubblico seduto come se ascoltasse una sonata di Corelli. È la stessa logica, ipocrita, per cui si guarda con sdegno alla proposta di Alessio D’Amato, assessore in questi mesi tra i migliori a gestire la pandemia (Gallera in Lombardia lo ricordate ancora?), che vorrebbe limitare la quarantena solo ai compagni prossimi, per disposizione in classe, all’eventuale alunno positivo al Covid-19, i vicini di banco insomma. Ma se le condizioni sono cambiate per gli stadi, per le aziende, per le vie dello shopping e per i centri commerciali, grazie ai vaccini, non si capisce perché alcuni mondi, quello dello spettacolo e la scuola su tutti, appunto, debbano continuare a pagare dazio alla pandemia, quasi a doverci ricordare, come sentinelle, che il SarsCov2 circola ancora e che l’autunno e la brutta stagione dietro l’angolo potrebbero buttare alle ortiche, speriamo proprio di no, alcune certezze sulla nuova normalità che abbiamo già interiorizzato tra mascherine e disinfettante per le mani.
E quindi? Per la scuola dobbiamo forse far finta di essere ancora con le lancette del tempo a un anno e mezzo fa? È vietato cercare alternative accettabili al “c’è un positivo tutti a casa”? Eppure restare senza alternative potrebbe essere il modo migliore per nascondere le mancanze e i ritardi di chi governa che nel frattempo, difficile negarlo, non ha fatto molto in tema di potenziamento e rinnovamento dei trasporti pubblici fatiscenti e inadeguati come non ha fatto molto per risolvere l’atavico problema delle cosiddette “classi-pollaio”. Quindi sarebbe meglio continuare a insistere su quei tasti, sui quali pare se non latitante almeno troppo timido anche il sindacato, piuttosto che demolire a priori proposte alternative di buon senso che mirino a evitare quarantene generalizzate e magari del tutto inutili.

Giampiero Calapà

 

Contro Idea bocciata

“In un volo i passeggeri stanno fermi, i ragazzi tra i banchi proprio no”

Cercare un definizione per l’idea di adottare il “modello aereo” per le classi di scuola non è facile, perché mai avrei immaginato che qualcuno potesse pensare a una boiata come quella di mandare in quarantena, in caso di positivo, solo i vicini di banco.
La proposta invece è arrivata ed è arrivata dall’assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato, geometra e sociologo che probabilmente non mette piede in un’aula da molto tempo.
Dalla testa dell’uomo più in vista della giunta Zingaretti è uscita una bizzarra teoria: se in aereo, quando spunta un positivo non si mettono in quarantena tutti i passeggeri ma solo quelli delle due file anteriori e posteriori più quelle di lato, allora anche nelle classi possiamo mettere in didattica a distanza solo quei ragazzi che si trovano accanto al contagiato.
Sembrava la sparata dell’ennesimo politico destinata a volatilizzarsi nel giro di meno di 24 ore e, invece, il governo dei “migliori” l’ha subito adottata e rimbalzata al Comitato tecnico scientifico che dovrà esprimersi in merito. Finalmente una panacea alla dilagante didattica a distanza, avrà pensato il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi.
Il modello D’Amato è per i ragazzi dai 12 anni in su, quelli che secondo l’assessore rispettano rigorosamente il distanziamento. Nessuno dei collaboratori dell’assessore deve aver fatto un giro in una secondaria. Spiace deludere D’Amato, ma non ci sono studenti legati con la cintura di sicurezza al banco come in aereo. Anche alle Medie i ragazzi (che portano tutti la mascherina) si alzano, si scambiano la penna, il compasso, si incontrano in bagno. Nessuno pensi che l’intervallo viene fatto a un metro di distanza.
E se qualcuno immagina entrate e uscite dalla scuola, in fila uno per uno, lontani, deve aver vissuto finora in un altro pianeta.
Se in una classe ci fosse almeno il ricambio d’aria che c’è su un aereo, forse potrebbe avere un senso, ma non è così.
Dulcis in fundo, una domanda semplice semplice: dove son finiti i compagni di banco? Da quando si è divisi, lontani di un metro, dovrebbero essere spariti o forse mi è sfuggito qualcosa?

Alex Corlazzoli

“Il magistrato messo lì dal governo Renzi a risolvere il problema”

Piero Amara, l’ex legale esterno dell’Eni che ha rivelato l’esistenza della presunta loggia massonica coperta “Ungheria” (già condannato per corruzione in atti giudiziari e tuttora in carcere), questa estate è stato sentito più volte dalla Procura di Potenza per le vicende giudiziarie legate all’Ilva di Taranto, che anche questa volta lo vedono indagato, insieme con l’ex procuratore di Taranto, Carlo Capristo, per corruzione in atti giudiziari. “Non c’è dubbio – dice Amara ai pm di Potenza – che Capristo viene mandato lì dal governo per risolvere il problema dell’Ilva e della struttura commissariale… Renzi in particolare… io mi ricordo … il nome non l’abbiamo trovato da nessuna parte, ora controllate voi, c’era un certo De Vincenti (Claudio, sottosegretario di Stato al ministero dello Sviluppo economico fino al 2014, ndr), che costituiva la cerniera di trasmissione tra il governo e la Procura di Taranto e Laghi in particolare, però là si potrebbe parlare di… omissis… Per risolvere i problemi dell’Ilva… Laghi ha respirato di quest’aria, ma non l’aveva ancora vissuta, cioè Laghi era informato costantemente dal governo e da De Vincenti che Capristo era il procuratore messo lì per risolvere i problemi dell’Ilva… omissis …”.

Le frasi di Amara sono come sempre tutte da verificare e, a giudicare dal numero degli omissis, appare chiaro che la Procura stia facendo approfondimenti. Prima che gli inquirenti ne stabiliscano la fondatezza non è ovviamente possibile considerarle veritiere. La versione fornita sul ruolo di Laghi, secondo il gip Antonello Amodeo, è invece già “utilizzabile e probante”. Le sue convergono e riscontrano quelle di un altro indagato, Nicola Nicoletti, membro della struttura commissariale. “Amara riscontra Nicoletti – scrive il gip – anche sul fatto che la prima cena fu organizzata dall’avvocato Larocca (Vincenzo, ex membro dell’ufficio legale Eni, ndr) per accreditare Nicoletti presso Enrico Laghi (in sostanza, per mostrare la sua capacità di avvicinare informalmente quello che all’epoca sarebbe stato il prossimo procuratore di Taranto, creando con lui un dialogo diretto e confidenziale, sfruttando le sue amicizie). Le plurime convergenze del narrato sul nucleo essenziale dei fatti, la linearità, la spontaneità e assenza di intenti calunniatori (…) consentono di ritenere che le dichiarazioni dell’Amara siano un valido riscontro alla chiamata in correità del Laghi effettuata da Nicoletti…”.

In un altro passaggio, Amara sostiene che “… a un certo punto bisognava, per ragioni varie, a tutti i costi ritardare la prima udienza dibattimentale per fare in modo che si sforasse il termine per la presentazione dell’istanza e ricordo che questo problema fu risolto attraverso una modifica dell’imputazione e fu non dico inventata ma fatta appositamente… strumentale, ecco, strumentale è il termine più preciso. Ma questo lo dico, se il mio ricordo è corretto, per spiegarvi quanto era forte l’interesse che le due cose andassero… cioè un patteggiamento non avrebbe… o l’uno… l’uno e l’altro…”. Per Amara il patteggiamento era un punto fondamentale per chi come Laghi lavorava su due tavoli: a Taranto per il patteggiamento e a Milano per il rientro dei soldi sequestrati in Svizzera alla famiglia Riva. “Perché nella gestione finale Laghi, Capristo, un certo Morandi, che a voi forse non dice nulla, che lavora al (incomprensibile) e Renzi erano tutta una cosa nella gestione del patteggiamento”, aggiunge l’avvocato siciliano. L’accordo con la Procura di Taranto, insomma, era necessario perché minore era la somma che i Riva, tramite una loro società imputata, avrebbero concordato nel patteggiamento, maggiore sarebbe stata quella da versare per Ilva in As. Anche qui il gip ritiene Amara credibile. In un altro passaggio, Amara afferma che Laghi “aveva un rapporto diretto proprio con il governo, nel senso che i decreti… io mi ricordo che proprio Laghi ha materialmente scritto uno dei decreti, almeno mi disse che furono emanati dal governo Renzi”. Per la Procura è il decreto – dichiarato poi illegittimo dalla Consulta – che autorizzava l’Altoforno 2 a produrre dopo l’incidente che costò la vita all’operaio Alessandro Morricella.

Ex Ilva, arrestato Enrico Laghi “Orientò la Procura di Taranto”

Le cene per decidere le sorti dell’ex Ilva di Taranto. Le nomine per ingraziarsi la Procura. Enrico Laghi, 52enne ex commissario dell’Ilva in amministrazione straordinaria e da ieri agli arresti domiciliari, secondo la Procura di Potenza è stato “il regista occulto e spregiudicato” che ha lavorato per tenere al riparo la fabbrica tarantina dalle azioni che avrebbero potuto danneggiare la sua vendita ai privati, obiettivo principale dell’allora governo Renzi. E per farlo ha utilizzato magistrati, avvocati e consulenti. Corruzione in atti giudiziari è l’accusa mossa dai pm guidati dal procuratore Francesco Curcio: avrebbe concesso incarichi legali agli avvocati Piero Amara e Giacomo Ragno segnalati dall’allora procuratore di Taranto, Carlo Maria Capristo, per ottenere in cambio una linea più morbida e favorevole all’Ilva in As nei procedimenti che la vedevano sotto accusa. Azioni che gli avrebbero consentito di acquisire maggiore credito presso il governo che lo aveva nominato “quale abile e capace manager – scrive la procura – risolutore delle questioni giudiziarie ed economiche e patrimoniali di pertinenza delle aziende commissariate”.

Nelle carte dell’accusa si legge che “Laghi ha determinato la politica giudiziaria della Procura di Taranto nei procedimenti IIva. E per farlo ha coinvolto faccendieri, amici, amici di amici, chiunque fosse in grado di influenzare Capristo”. La Finanza e la Squadra mobile di Potenza hanno inoltre notificato a Laghi un decreto di sequestro di 363mila euro pari alla somma versata da Ilva in As ai due legali. Dalle carte, inoltre, emergono nuovi dettagli sui rapporti tra Laghi e l’ex procuratore Capristo. Come le due cene organizzate da Amara nel 2016: oltre al magistrato che si è appena insediato a capo della procura di Taranto, siedono anche Filippo Paradiso, poliziotto, amico intimo di Capristo e soprattutto uomo di relazioni ad alti livelli governativi, e Nicola Nicoletti, consulente Eni poi diventato l’uomo di fiducia di Laghi nella struttura commissariale dell’Ilva. Laghi non c’è. “La prima cena – ha spiegato Amara ai pm – viene organizzata in funzione della seconda” e infatti in quella seconda occasione Laghi e Capristo “discussero dell’Ilva”.

Nel giugno scorso, Paradiso, Amara e Nicoletti sono stati arrestati: le dichiarazioni di Amara e Nicoletti hanno consentito alle indagini di compiere un nuovo salto e delineare il presunto ruolo di Laghi. A quelle degli indagati si sono poi aggiunte numerose altre testimonianze. Come quella di Massimo Mantovani, ex responsabile dell’ufficio legale Eni e poi consulente di Ilva in As. Agli inquirenti ha raccontato di aver incontrato Laghi anche fuori dagli ambiti lavorativi: “In particolare, la prima volta il prof. Laghi a casa della professoressa Severino, ex ministro della Giustizia, nella sua casa romana, eravamo circa una decina di coppie (ricordo bene la giornata – aggiunge Mantovani – perché vidi per la prima volta da vicino il presidente Napolitano e l’on. Enrico Letta) e si fece una ‘pizzata’”.