Usa, la rottura di Biden con gli elettori liberali

Tutte le credenze e le religioni sono in grado di indicare un punto e una modalità in cui si scivola nell’inferno. Le predicazioni esortano a tenersi alla larga, perché in quel punto l’umanità deve credere con forza che il castigo sarà tremendo, continuo, e che non è pensabile alcun ritorno.

Gli esseri umani sperano di tenersi alla larga dalla tremenda scivolata, con precauzioni, espedienti e tentativi di coprire ciò che avvicina a quella fenditura, sempre in cerca di una via di fuga. Decine di migliaia di uomini, donne e bambini poveri hanno pensato di sfuggire alla loro vita già in bilico sull’orlo senza tregua della criminalità più spietata, spostandosi oltre il confine di un Paese normale, dove il bene e il male non sono che i fatti abituali della vita, si può sfuggire al pericolo immediato di morte, ci si può allontanare dalla violenza bestiale.

Nessuno poteva sapere che la violenza bestiale, sotto insegne, bandiera e divise americane, li aspettava alla mitica frontiera americana e che era cominciato un periodo della vita umana in cui la frontiera non aveva bisogno di dichiarare guerra per identificare e colpire un nemico. Adesso la mattanza era libera, scatenando fruste, cavalli e uomini armati sull’orlo di un fiume che non si deve valicare per nessuna ragione, e dove, comunque, ogni metro, ogni passo, vale più della vita di ognuno di quei disperati. Noi tutti, insieme alle vittime degli zoccoli dei cavalli e della frusta dei poliziotti, guardiamo la disgustosa serie di eventi e ci domandiamo come può accadere visto che la tragedia si compie in territorio americano. cioè nel Paese che fin dall’origine si è candidato per salvare il mondo. Dove, come è avvenuto il tremendo inganno di un luogo che si è presentato per secoli come luogo di salvezza, nonostante il suo carico di trasgressioni, e all’improvviso apre, proprio dove dovrebbe esserci e c’era stata in passato, salvezza, una botola infernale che fa precipitare chi cerca rifugio nel peggio, dove comandano indifferenza, crudeltà e ferocia?

È comune ormai la frase “l’America è cambiata” ma – nonostante la brutta e squallida sosta di Trump – nessun esperto aveva previsto la portata della caduta e una nuova, tremenda tendenza di precipitare addosso agli altri, di fare agli altri tutto il male possibile, pur di tenere al sicuro gli americani. Sappiamo tutti che, anche prima degli anni vergognosi di Trump, l’America si era spaccata.

La spaccatura più importante è, ovviamente, fra ricchi (immensamente ricchi) e poveri nel senso di un popolo fermo, sottomesso ed esposto alle peggiori superstizioni. Su questo popolo la chiesa cattolica americana, rigorosamente avversa al Papa, si è attribuita un ruolo di guida che conduce ai peggiori comportamenti, un mondo di disciplina che taglia due percorsi: verso la politica liberal (che un tempo era la politica dei cattolici) e verso l’audace riformismo di Bergoglio, a cui invece si dedicano calunnie e disprezzo. La spaccatura americana però è molto più complicata di ricchi contro poveri. Una parte dei ricchi è di sinistra, almeno sul versante della solidarietà e nel non abbandono dei poveri. Ma una parte molto vasta dei poveri è di estrema destra: sovranismo, populismo, suprematismo bianco, alimentata da una accanita propaganda di false credenze, false persuasioni, false informazioni.

Qui nascono il movimento “Black lives matter” (piccoli gruppi rivoluzionari di neri decisi a difendersi) e le aggregazioni, sempre più forti in periferia, di potere bianco. Qui nasce il tentato assalto al Campidoglio e le folle che improvvisamente compaiono per tenere fermo e debole il governo. Il governo è fermo e debole, con un presidente che prende strane decisioni come preda di un continuo disorientamento. C’è un rapporto fra le frustate del Texas e il ritiro improvviso, totale e immensamente dannoso (soprattutto per l’abbandono inatteso e mortale che ha creato) dall’Afghanistan.

Il legame è in piena rottura con la campagna elettorale e con i Democratici liberali che hanno eletto Biden, e un rapido e poco onorevole orientarsi del nuovo presidente su un mondo di cui aveva promesso la fine, E così è accaduto l’incredibile: per decine di migliaia di haitiani i confini-salvezza degli Stati Uniti sono diventati le porte di un inferno e la loro speranza, abbandono e disperazione. Come accade spesso, chi chiude le frontiere lo fa a suo danno. L’economia americana dipende in misura grandissima dal lavoro messicano e sudamericano. Ma il voltafaccia di Joe Biden, considerato il leader dei liberal americani, ha ritenuto utile e conveniente adottare il pacchetto Trump. Nella storia e in politica, “utile” e “conveniente” sono due parole che annunciano il peggio.

 

Galvano nipote di Re Artù, la bella giovane vergine e la lotta con la famiglia

Dai racconti apocrifi di Ignazio Isler. In cerca di avventura, il nipote di Re Artù, Sir Galvano, il più valoroso tra i cavalieri della Tavola Rotonda, entrò nella foresta fatata di Wirral e cavalcò per tre giorni e tre notti. All’alba del quarto giorno, si ritrovò in una radura, al centro della quale s’ergeva un padiglione di abbacinante seta bianca, con bandiere verdi che sventolavano sui pennoni. Galvano smontò da cavallo ed entrò nel padiglione con la spada sguainata. C’erano quattro letti, tre dei quali vuoti. Nel quarto dormiva una giovane avvenente dai lunghi capelli neri. L’ombra di Galvano, come una lieve carezza fredda, la svegliò. Quando lo vide, la giovane manifestò il suo stupore: “Stavo sognando che un cavaliere veniva a trovarmi, ed eri tu! Vieni, e guadagnati il mio amore.” “Eccomi, mia Signora”, disse Galvano. Era fra le sue braccia, ardimentoso da par suo, quando ricevette sulla testa un colpo di piatto da una spada. “Canaglia!” urlò una voce rabbiosa. “Vieni fuori. Dovrai dimostrarmi di meritare le grazie di una vergine!” “È Askaig, mio padre” disse la ragazza. “Fallo ragionare o fallo rinsavire, ma fallo presto, mio amore!” Galvano afferrò la spada e lo seguì fuori. Gli acciai sprizzavano scintille, e le carni sangue, mentre l’avversario s’accaniva sull’avversario. Finalmente il vecchio guerriero, in ginocchio, s’arrese: “Dono mia figlia a un uomo più valoroso di me! Sii altrettanto nobile con lei.” Galvano rientrò nell’alcova. Era con la testa fra le gambe della giovane, intrepido da par suo, quando ricevette sulla schiena un colpo di piatto da una spada. “Furfante!” urlò una voce furiosa. “Vieni fuori. Dovrai dimostrarmi di meritare le grazie di una vergine!” “È Oban, il mio fratello maggiore” disse la ragazza. “Fallo ragionare o fallo rinsavire, ma fallo presto, mio amore!” Galvano afferrò la spada e lo seguì fuori. Altre scintille e altri spruzzi di sangue, e finalmente anche il giovane sgarbato, in ginocchio, s’arrese: “Basta. Prendi mia sorella, e sii gentile con lei come sei risoluto con la spada!” Galvano rientrò nell’alcova. Disteso su un fianco, aveva la testa della ragazza fra le proprie gambe, e la sua fra le sue, quando ricevette sul sedere un colpo di piatto da una spada. “Mascalzone!” urlò una voce ringhiosa. “Vieni fuori. Dovrai dimostrarmi di meritare le grazie di una vergine!” “È Scallywag, il mio fratello minore” disse la ragazza. “Nessun cavaliere lo ha mai battuto. Se ci riuscirai, sarò tua per sempre!” Galvano afferrò la spada e lo seguì fuori. Un cervo, poco distante, corse via, spaventato dal cozzo degli acciai. All’alba stavano ancora combattendo: Scallywag era troppo tenace, Gawain troppo abile. “Scallywag” disse alfine Galvano “non ho mai incontrato un guerriero più resistente di te.” “Galvano” disse l’altro “non ho mai incontrato un guerriero più astuto di te. Ti propongo una sfida. Sei disposto a tagliarmi la testa? Ma fra un anno e un giorno dovrai tornare qui, e lasciare che ti decapiti io”. “D’accordo” disse Galvano, sorpreso da tanta stupidaggine. Quindi gli mozzò di netto la testa con un fendente del suo acciaio di Damasco. Scallywag raccolse la testa rotolante, e si allontanò rammentandogli la promessa. Galvano tornò nel padiglione, ma la ragazza non c’era più. Un anno e un giorno dopo, Galvano raggiunse di nuovo la radura per farsi mozzare il capo da Scallywag: un cavaliere mantiene la parola data. Nel padiglione ritrovò la ragazza. Allattava un piccino paffuto, esponendo il casto petto procace. “Prode cavaliere, ti presento tuo figlio.” Galvano spalancò la bocca dalla meraviglia, e in quell’istante Scallywag gli mozzò di netto la testa. Galvano si chinò a raccoglierla ed esclamò: “Questo bambino è il più bel giorno della mia vita!”.

 

Mail Box

 

 

Lo Stato continua a non farsi processare

Sono perfettamente d’accordo con le vostre interpretazioni sulla trattativa Stato-mafia. Mi permetto di segnalarvi il seguente spunto di riflessione (che probabilmente sarà venuto in mente anche a voi): non vi pare che esista una stretta analogia logica (purtroppo in negativo) tra la sentenza di Appello del processo sulla trattativa Stato-mafia e la sentenza della Cassazione sul processo sul disastro di Ustica? In entrambi i casi, le sentenze confermano i fatti (nel primo caso i contatti tra uomini dello Stato e uomini della mafia e nell’altro i depistaggi dei generali dell’Aeronautica), ma alla fine tutti gli uomini delle istituzioni vengono assolti. Insomma lo Stato non si fa processare da se stesso, ma purtroppo è impossibile che altri giudici non-statali processino lo Stato.

Giuseppe Scalabrino

 

A Livorno il Pd vota con Lega e Fdi: vergogna

Rimango allibito leggendo sul Fatto la notizia che il Pd, pur di evitare la sicura vittoria del rappresentante dei 5 Stelle, vota a braccetto con Lega e Fratelli d’Italia per far eleggere un rappresentante leghista a presiedere la commissione anticorruzione del Comune di Livorno… non ci sono parole.

Roberto Davidei

 

Trattativa: una sentenza assurda e pericolosa

Buonasera direttore, vederla “incazzato” sere fa a Otto e mezzo mi ha fatto tanto piacere perché con questa sentenza non si può essere altrimenti. Dire che uomini dello Stato, in maniera autonoma, possono trattare con la mafia non solo è assurdo, ma disincentiva anche i persecutori della legge, esattamente come chi vorrebbe abolire il 41-bis disincentivando i mafiosi a parlare.

Francesco Facciola

 

Confindustria omaggia il “Re Sole” Draghi

Speriamo che le anime belle che si autodefiniscono di sinistra abbiano almeno il pudore di non ripetere che il governo Draghi è “casa nostra” dopo l’ovazione riservata al Re Sole dall’assemblea di Confindustria, espressione di un ceto imprenditoriale gretto, incapace e reazionario, che da decenni è un “sussidistan” (basti citare i 7,6 miliardi di euro presi da Fiat nel periodo 1977-2012). Questa classe imprenditoriale riesce nel migliore dei casi a delocalizzare nei Paesi dove c’è manodopera schiavizzata, quella che si vuole avere anche in Italia: è l’unica cosa che ancora non hanno raggiunto (anche se purtroppo ci sono vicini) in questi 30 anni di feroce restaurazione, in cui nessuno ha difeso il lavoro e i lavoratori.

Carlo Zaccari

 

Dipendenti pubblici, giusto il rientro in sede

Mi sono chiesto come mai, nonostante l’Italia sia uno dei Paesi più virtuosi sul fronte vaccinazione, il nostro governo abbia introdotto l’obbligo di Green pass negli ambienti di lavoro.

Forse la risposta giusta è molto semplice: la difficoltà che sta avendo la Pubblica amministrazione a far rientrare in presenza in ufficio i propri dipendenti. Addirittura è necessario un decreto per congedare lo smart working. Il ministro della Pa Brunetta dichiara che dal 15 ottobre almeno gli sportelli aperti al pubblico saranno attivi. Viene da domandarsi se sia stato giusto chiuderli tutti, dalla sera al mattino, senza garantire un minimo di servizio. Pensate se Poste, banche e ferrovie avessero seguito questo esempio. Come avrebbero fatto, per esempio, i pensionati a ricevere la pensione? Il lavoro agile non va certo demonizzato, specie per taluni lavori. I dipendenti di aziende private sono abituati da anni a lavorare viaggiando sopra un treno o seduti a un tavolino di un bar. In ogni caso, almeno sino a quando non sarà davvero tutto digitalizzato, il servizio pubblico deve essere garantito e svolto in presenza.

Stefano Masino

 

Fake news: è colpa anche di chi le legge

Egregio direttore, quando leggo sui “giornaloni” e i quotidiani cosiddetti “indipendenti” “Sconfitto Travaglio”, mi ricordo di quanto diceva Petrolini, che non se la prendeva con chi fischiava ma con i vicini che non lo buttavano di sotto.

Parafrasando: il problema non sono quelli che scrivono, ma quelli che seguitano a leggerli anche contro ciò che dice il Codice penale e persino la semplice logica.

Giuseppe Trippanera

 

Diritto di replica

Gentile Direttore, cogliamo l’occasione dell’intervista rilasciata ieri al vostro giornale dal Professor Luciano Canfora, dal titolo “Sta per arrivare il PUA, Partito Unico Articolato, che ucciderà il Pd”, per precisare e ricordare, diversamente da quanto sostiene Canfora, che prima dell’estate è stata accelerata la procedura di assunzione di 2.099 nuove unità, di cui 1.053 nuovi ispettori, all’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Di queste nuove assunzioni, che andranno a rafforzare l’organico dell’Ispettorato, 800 risorse circa entreranno in servizio già alla fine dell’anno in corso.

Ufficio stampa del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali

 

Ce ne servono dieci volte tanti. Venga ogni tanto in Puglia.

Luciano Canfora

Amministrative, la Lega rischia molto

 

 

“La Lega perde il capo della ‘Bestia’: Luca Morisi lascia la guida dei canali social di Salvini”.

Il Fatto Quotidiano

 

In questi giorni, il leghista da talk viene tormentato con la domanda: con Salvini o con Giorgetti? La risposta non può che essere che, uffa, la Lega è una sola. Quesito inutile, quindi, almeno fino al dopo ballottaggi di lunedì 18 ottobre quando alla luce dei risultati definiti delle Amministrative sapremo chi avrà vinto e chi avrà perso. Nel Carroccio e nell’intero centrodestra (mentre nel centrosinistra Pd e M5S sembrano, per ora, lo spot del Mulino Bianco). Perché il destino di Matteo Salvini, più che alla stucchevole divisione governisti-sovranisti, sembra strettamente legato al destino di Giorgia Meloni. Perché se si vince insieme (alle Regionali è accaduto in mezza Italia) assai più complicato è perdere insieme. E con candidati sindaci che a Roma, Milano e Napoli non sembrano fulmini di guerra lo scaricabarile sembra piuttosto nelle cose. Perché se alla fine dei giochi FdI avrà raccolto un voto in più della Lega, spontanea sorgerà la domanda se con il tramonto dell’ex capitano non tocchi alla Meloni giocarsi le sue carte come leader della coalizione (e presentarsi alle prossime Politiche, perché no, anche come prima donna candidata premier).

Mentre a fare voti affinché Salvini non perda troppi voti sarà, ovvio, Mario Draghi. Perché il premier, già piuttosto sfibrato dai continui compromessi tra chi la vuole cotta e chi la vuole cruda, ad accollarsi in sovrappiù i casini leghisti, be’, non ci tiene proprio. Dopodiché, per l’ex Bce il dilemma tra restare al governo alla guida di una maggioranza sempre più instabile o tentare la carta abbastanza sicura del Quirinale avrebbe la risposta incorporata.

È la politica bellezza, un gioco di carambole dove dalla sorte di un Michetti o di un Bernardo può dipendere anche un Settennato.

Antonio Padellaro

Vaccini ai bambini, aspettiamo ancora

Vaccini monoclonali, Green pass, tamponi salivari sì, no, molecolari, rapidi, validità tampone 48 o 72 ore, vaccini per la fascia d’età 5-11 anni, terza dose, emergenza. Credevamo che fosse finito il tempo della infodemia, ma dobbiamo tristemente ammettere che continua senza interruzione. La scena ultimamente è peggiorata, si è passati da politici che attribuivano ogni decisione al Comitato Tecnico Scientifico a burocrati-virologi-tuttologi. Al grido “siamo tutti virologi!”, politici di ogni grado pronunciano inaudite sentenze scientifiche. La gente è sempre più attonita anziché essere rassicurata che l’emergenza è ormai alle spalle (guai a dirlo!), essere convinta a vaccinarsi per continuare a conquistare la libertà dal virus, viene terrorizzata. La scienza non fa proclami, né incute terrore, ma ha fiducia nel futuro e soprattutto ha bisogno di tempo. Abbiamo avuto la disponibilità di vaccini validi in un tempo record. Li abbiamo impiegati, accettando che in un primo periodo si corresse qualche rischio. Era accettabile perché vivevamo un’emergenza catastrofica con quasi 1.000 morti al giorno solo in Italia. Adesso non siamo più in emergenza. Possiamo prenderci il tempo necessario per autorizzare nuovi vaccini e nuove terapie. Mentre ancora non conosciamo il tempo di copertura dei vaccini impiegati e malgrado istituzioni internazionali abbiano espresso perplessità sull’utilizzo della terza dose, abbiamo seguito l’esempio di Israele e la stiamo somministrando. Teoricamente e solo se la fortuna ci assisterà, potrebbe essere utile e i risultati attuali in Israele sembrano confermarlo.

Non lasciamo però passare, con la stessa spregiudicatezza, l’ipotesi di vaccinare i bambini nella fascia d’età tra i 5 e gli 11 anni, senza aver solide basi sperimentali. Ricordiamo (e siamo in tanti i virologi che lo affermano) che servono prove almeno su 40 mila, 50 mila soggetti per dedurre efficacia e sicurezza. E non dimentichiamo il rapporto rischio-beneficio, che deve essere sempre alla base di qualsiasi somministrazione.

Dopo i Memores, adesso l’obiettivo è il capo di Cl

Comunione e liberazione trema dopo che Papa Francesco ha commissariato i consacrati del movimento fondato nel 1954 da don Luigi Giussani. La decisione papale, arrivata per colpe gravi nella gestione del governo, sembra, infatti, essere solo il primo passo verso il commissariamento di tutto il movimento guidato dal 2005, ovvero subito dopo la morte di don Giussani, da don Julián Carrón. “Il Santo Padre Francesco – si legge nel comunicato della Sala Stampa della Santa Sede – avendo a cuore l’esperienza dei Memores Domini e riconoscendone nel carisma una manifestazione della grazia di Dio, ha disposto un cambiamento nella conduzione dell’associazione, nominando suo delegato speciale monsignor Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto. Il delegato speciale, a far data dal 25 settembre 2021, assumerà temporaneamente, ad nutum della Sede Apostolica, con pieni poteri, il governo dell’associazione, al fine di custodirne il carisma e preservare l’unità dei membri. Simultaneamente, decade l’attuale governo generale dell’associazione. Il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita ha nominato padre Gianfranco Ghirlanda assistente pontificio per le questioni canoniche relative alla medesima associazione”.

Una decapitazione in piena regola per Antonella Frongillo, l’ormai ex presidente dei Memores Domini, di cui fanno parte anche Roberto Formigoni e le quattro consacrate che assistono il Papa emerito Benedetto XVI nel Monastero Mater Ecclesiae in Vaticano. Lo scontro tra il Vaticano e Cl è giunto ormai all’apice, ma si trascina da tempo. Anche Carrón, se la Santa Sede non interverrà prima commissariando l’intero movimento, dovrà lasciare la guida di Comunione e liberazione entro settembre 2023, nonostante il suo mandato naturale termini nel 2026. Il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, presieduto dal cardinale Kevin Joseph Farrell ha, infatti, recentemente emanato un decreto che ha stabilito che i presidenti dei movimenti ecclesiali non possono restare in carica oltre dieci anni. Chi, come nel caso di Carrón, è già fuori questo tempo massimo, deve dimettersi entro due anni per consentire l’elezione del suo successore. In un primo tempo, il successore di don Giussani si era detto pronto a obbedire al Vaticano. Ma poi ha fatto improvvisamente dietrofront sfidando apertamente il Papa e il cardinale Farrell. Il 16 settembre scorso, sia Carrón sia Frongillo hanno disertato l’incontro dei vertici dei movimenti ecclesiali con Bergoglio. Al suo posto, Carrón ha mandato il vicepresidente di Cl, Davide Prosperi. Da qui lo scontro ormai pubblico tra Comunione e liberazione e il Papa. Ma la base non ci sta e sui social non ha risparmiato commenti anche molto aspri verso Carrón. Con il commissariamento di tutto il movimento, infatti, il rischio è la perdita totale dell’autonomia di Cl con la conseguenza di compromettere il futuro della realtà fondata da don Giussani. Ciò che, secondo gli aderenti a Comunione e liberazione, sembra più che mai necessario ora è evitare che personalismi e risentimenti possano distruggere una realtà molto radicata. Del resto, il Papa non ha mai visto di buon occhio il movimento. E questa non è di certo una novità.

Reato di aborto: a San Marino si vota per uscire dal Medioevo

La legge risale al 1865 e punisce con il carcere l’interruzione volontaria di gravidanza. Da tre a sei anni per la donna e per il medico che la aiuta, anche nel caso che sia conseguenza di uno stupro o in presenza di gravi malformazioni del feto. Oggi la Repubblica di San Marino potrebbe cancellarla, archiviarla definitivamente, chiamata alle urne per votare il referendum popolare voluto dall’Unione donne sammarinesi per legalizzare l’aborto. Ma il condizionale è davvero d’obbligo, perché la battaglia è all’ultimo voto e l’esito è tutt’altro scontato.

Nel piccolo Stato, ai confini tra Romagna e Marche, la Curia ha ancora una notevole influenza. E il Paese, dove è sopravvissuta la Democrazia Cristiana (tuttora al governo), è spaccato. Mentre la sinistra, che negli anni è stata lacerata da numerose frammentazioni, non è mai riuscita a incidere veramente su una questione che è sempre stata considerata un tabù: tutti sanno che le donne sammarinesi sono costrette all’emigrazione sanitaria in Italia, a loro spese; tanti hanno sempre preferito tacere e voltare la testa dall’altra parte. Ha capito l’antifona anche Matteo Salvini, che poco tempo fa, in agosto, invitato a San Marino ha strizzato l’occhio al Movimento per la Vita, ringraziando i suoi centri di accoglienza “per aver salvato la vita a 250 mila bambini”. Un vero e proprio endorsement per il locale comitato Pro-Vita e Famiglia e per gli antiabortisti italiani, giunti prontamente in soccorso dei cattolici sammarinesi. Tanto da far issare, a pochi metri dal confine con la piccola Repubblica, un grande cartellone mobile: stop all’aborto.

“In gioco, qui, c’è il modello di società che vogliamo, laico o confessionale – dice Karen Pruccoli, presidente del comitato promotore del referendum e dell’Unione donne sammarinesi (Uds) –. Dobbiamo decidere se evolvere o rimanere arroccati su una idea di Paese nel quale la gravidanza deve essere sempre una imposizione, a prescindere. E finora abbiamo avuto tutti contro: non solo il vescovo, e questo era ovviamente scontato, ma anche gran parte della stampa e organizzazioni religiose con grandi disponibilità economiche”.

Disponibilità che hanno permesso di tappezzare piazze e strade di manifesti con immagini di feti sanguinolenti o di bambini Down che rivendicano il diritto di venire al mondo. “Hanno strumentalizzato tutto, hanno anche scritto che vogliamo l’aborto al nono mese di gravidanza”, spiega Pruccoli. La campagna elettorale è stata tesissima, con tanto di esposti alla magistratura da parte dell’Uds, quattrocento donne riuscite in poco tempo a infrangere il tabù, con la raccolta di tremila firme (ne sarebbero bastate anche mille in base alla legge sammarinese) per avere il via libera al referendum.

In Europa, San Marino è in compagnia di Andorra e Malta nel punire l’aborto. Ma la sua legge è estremamente restrittiva. Attenuanti sono previste solo se la donna non è sposata, tanto per salvare le apparenze. La consultazione popolare arriva dopo 18 anni di battaglie, tutte al femminile.

Nel 2003 ci provò Vanessa Muratori, parlamentare di sinistra, a fare approvare un progetto di legge per la legalizzazione al Consiglio grande e generale, che equivale al nostro Parlamento. Nulla da fare, con la stessa sinistra ancora una volta spaccata. Così come è spaccata adesso la maggioranza di governo, costituita oltre che dalla Democrazia Cristiana (politicamente molto forte: detiene un terzo dei seggi), da Movimento Civico Rete e da Noi per la Repubblica (in entrambi i partiti convivono molte anime, antiabortiste e non). All’opposizione ci sono Libera, che si è schierata per il sì all’aborto, e Repubblica Futura, partito conservatore.

La legalizzazione per cui si battono le donne dell’Uds ricalca la legge italiana, la 194. Interruzione di gravidanza fino alla dodicesima settimana di gestazione, oppure – dopo – in caso di pericolo per la salute della donna o di malformazione del feto.

“Il referendum è anche una occasione per fare la conta – dice Pruccoli –. Per capire quanti cittadini sono ancora troppo influenzati dal credo cattolico. Ma anche se dovesse vincere il No, noi non ci fermeremo. Anche se ciò che mi preoccupa di più è la figuraccia a livello internazionale”.

Dean Viñales muore a 15 anni a Jerez È il terzo pilota minorenne in un anno

Dean Berta Viñales, pilota spagnolo di motociclismo nella categoria SuperSport 300, è morto ad appena 15 anni in un incidente sul circuito di Jerez, in Spagna. Cugino di Maverick, che corre per l’Aprilia in MotoGP, Dean Berta Viñales è caduto alla prima curva dell’undicesimo e terzultimo giro: Victor Steeman, il motociclista che precedeva Viñales, è uscito largo dalla curva 1, e così lo spagnolo ha provato a superarlo; i due sono entrati in contatto, ma mentre Steeman è riuscito a trovare l’equilibrio, Viñales è caduto, venendo investito da alcuni piloti che lo stavano inseguendo. Coinvolti nella caduta, ma rimasti illesi, anche Harry Khouri, Daniel Mogeda e Alejandro Carrion.

Viñales, si legge sul sito ufficiale della Superbike, “ha riportato delle serie lesioni alla testa e al torace. Le vetture mediche sono immediatamente arrivate sul luogo dell’incidente e il pilota è stato assistito in pista, all’interno dell’ambulanza e al Centro Medico del circuito. Nonostante tutti gli sforzi compiuti dallo staff medico del circuito, il Centro Medico ha comunicato che purtroppo Berta Viñales si è dovuto arrendere alle serie lesioni riportate”. A seguito dell’incidente, il resto delle gare in programma per sabato a Jerez sono state annullate. Tantissimi i messaggi di cordoglio da parte del mondo delle due ruote, a partire da Toprak Razgatlioglu, attuale leader del mondiale di Superbike, fino al sei volte campione della Moto GP, Marc Marquez.

Nato il 20 aprile 2006 a Palau-Saverdera, Dean Berta Viñales aveva esordito proprio quest’anno nel mondiale Supersport 300 con il team di Angel Viñales, suo zio e padre di Maverick. È il terzo pilota minorenne a perdere la vita negli ultimi quattro mesi, dopo lo svizzero Jason Duspasquier e lo spagnolo Hugo Millan, anche loro investiti da dei motociclisti che sopraggiungevano. Claudio Costa, fondatore della Clinica Mobile e noto nel mondo delle corse come “Dottor Costa”, ha espresso tutto il suo dispiacere in un’intervista alla Gazzetta dello Sport. “Adesso le piste sono sicure se non fosse che l’ultimo ostacolo ineliminabile per la sicurezza nelle corse di moto è proprio la moto. Un incidente con la moto che ti colpisce è devastante pure a bassa velocità: il corpo umano diventa impotente a ogni tipo di protezione”, ha detto Costa.

Mafioso suicida in cella. E il rione lo commemora

Il 17 settembre scorso si è tolto la vita nella cella del carcere dove stava scontando la pena residua di due anni per mafia e tentata estorsione ai danni di due imprenditori foggiani. Si tratta di Alessandro Lanza, ritenuto dagli inquirenti da sempre ai vertici del clan mafioso Sinesi-Francavilla, batteria criminale attiva a Foggia. Stava scontando la pena inflittagli nell’ambito del processo “Corona”, blitz del 2013 che portò all’arresto di 24 tra affiliati ed elementi di spicco della “Società”, come viene chiamata la mafia foggiana. Dopo la notizia del suicidio sono apparsi alcuni cartelli. “Sei indelebile per tutti noi”, si legge. “Brilla più che puoi”, c’è scritto su un altro manifesto. Le foto di via La Malfa hanno fatto il giro del web sollevando indignazione da parte dei foggiani. La polizia ha rimosso i manifesti, mentre gli investigatori della squadra mobile hanno avviato le indagini per cercare di risalire agli autori dei cartelli. Intanto sono stati vietati i funerali in forma pubblica del pregiudicato.

“È una buona notizia, utile per i più giovani e per il terzo richiamo”

Lo studio pubblicato su Science, che potrebbe cambiare in parte il corso della strategia vaccinale, è stato condotto da uno degli istituti di immunologia più autorevoli al mondo, “La Jolla Institute for Immunology” negli Stati Uniti, e firmato anche da Alessandro Sette, ricercatore italiano tra i più ascoltati a livello internazionale. Abbiamo chiesto ad Antonio Cassone, già direttore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Iss, di commentarlo.

Professor Cassone, lo studio cambia qualcosa?

Questo studio dimostra che si possono generare risposte immuni contro Sars-CoV-2 paragonabili a quelle presenti nei soggetti guariti dal Covid-19 usando una preparazione vaccinale contenente un quarto della dose di mRNA codificante la proteina Spike del virus, cioè 25 microgrammi rispetto ai 100 microgrammi presenti nel vaccino Moderna correntemente usato.

Una dose attenuata potrebbe ridurre gli effetti collaterali del vaccino?

È una prima importante conseguenza già dimostrata dai risultati della fase 1 della sperimentazione clinica di questo vaccino, quando si sono sperimentate varie dosi di mRNA per decidere quale usare. Fu scelta la dose di 100 microgrammi, perché induceva una risposta anticorpale più elevata, ma anche una reattogenicità, cioè effetti collaterali sia locali sia sistemici di un certo rilievo.

Riducendo la dose ne gioveranno anche i più giovani?

Penso che i dati dello studio dei colleghi dell’Istituto di La Jolla indichino la necessità di usare per le fasce giovanili e, se fosse necessario, per i bambini, un vaccino a basse dosi di mRNA. Queste fasce di popolazione hanno un rischio basso di Covid-19 e i casi di miocarditi/pericarditi nei maschi eccedono quando normalmente avviene nei non vaccinati, un eccesso correlato all’uso della seconda dose. Un vaccino a basso dosaggio è plausibile possa ridurre l’eccesso di detti casi.

(L’intervista è stata rilasciata prima che la Pfizer-Biontech annunciasse un vaccino per l’età pediatrica con 10 microgrammi piuttosto che i 30 microgrammi dell’attuale vaccino)

Un dosaggio solo del 25% apre un ventaglio di altre ipotesi, cosa si potrebbe fare con il 75% di dosi rimanenti?

Un primo importante aspetto è la possibilità di usare un basso dosaggio per la cosiddetta terza dose, come recentemente suggerito da me e Roberto Cauda (direttore Malattie infettive al Policlinico “A. Gemelli” di Roma, ndr), per questo, una breve sperimentazione è necessaria, ma l’uso di una dose più bassa anche di parecchio come richiamo è ragionevole e immunologicamente plausibile, in particolare dopo i sopracitati dati dei ricercatori dell’Istituto di La Jolla. Noto che c’è ancora un gran dibattito scientifico sulla reale necessità di una terza dose generalizzata, non limitata ai soli soggetti fragili. I dati provenienti da Israele, dove la terza dose, a pieno dosaggio, è stata somministrata a tutti gli adulti sembrano dimostrare che dopo i 6 mesi comincia a perdersi un po’ della protezione contro la malattia oltre quella contro l’infezione. A questo punto, penso che rifare una terza dose, con pieno dosaggio (come è stato fatto in Israele col vaccino della Pfizer-BionTech) possa essere un inutile spreco di vaccino e di converso mi piace notare che Moderna ha invece ridotto, seppure solo a metà, la dose del richiamo.

Potrebbero nascere varianti nei Paesi dove non è iniziata una vaccinazione su larga scala? Mutazioni che poi tornano da noi?

Quanto alle dosi risparmiate, si possono, anzi si devono, donare ai Paesi poveri dove il vaccino latita e l’epidemia corre, con la possibilità di generare ulteriori e più pericolose varianti oltre la Delta. Risparmieremmo grandi quantità di vaccino (e moneta) da donare ai Paesi poveri, dove neanche gli operatori sanitari in prima linea hanno disponibilità di vaccino.