A Enrico Michetti e Luca Bernardo, candidati sindaci della destra a Roma e a Milano, non ne va dritta una. Ieri sono finiti vittime del fuoco incrociato tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che hanno fatto di tutto per tenerli nascosti durante i comizi conclusivi della propria campagna elettorale. E come se non bastasse, a Milano, Fratelli d’Italia ha dovuto sbaraccare da un momento all’altro la manifestazione in piazza Duomo per colpa delle agitazioni del corteo No Green pass, che ha provato a forzare il cordone della Polizia e avvicinarsi al palco di Meloni, scappata per un pelo passando con l’auto proprio in mezzo ai contestatori.
Un pomeriggio di festa politica per FdI – che a Milano fiuta il sorpasso sulla Lega – finito con la paura per i manifestanti, rimasti per ore intorno al Duomo e arrivati un paio di volte allo scontro frontale con la Polizia. Botte e lanci di bottiglie hanno rischiato di portare fuori controllo una situazione che poi invece, per fortuna, si è risolta senza feriti gravi.
Certo, Meloni e Bernardo speravano in un saluto più sereno. Soprattutto il candidato sindaco, accolto da diverse centinaia di persone, ma senza che il suo nome comparisse in nessuno dei cartelloni.
Il primo ad arrivare è un entusiasta Ignazio La Russa, poi ecco Bernardo e poco dopo il capolista Vittorio Feltri, giunto con l’aria scocciata di chi è stato appena tirato giù dal divano: “Non so che sentimenti provi Salvini a vedere che FdI cresce – sghignazza il direttore di Libero –, ma a me girerebbero i coglioni”. Poi arriva la Meloni e si prende la scena. Bernardo tiene la parola per cinque minuti, scende dal palco e sale Giorgia: in 40 minuti di comizio parla di tasse, reddito di cittadinanza (“Lo ribadisco: è un metadone”), Covid, ma quasi mai di Milano, tanto da non nominare mai il candidato. Quando le si chiede se ci sarà una manifestazione unitaria del centrodestra, Meloni abbozza un sì poco convinto: “Faremo un’iniziativa insieme, non so se sarà una piazza ma qualcosa faremo. Purtroppo le agende sono fittissime”. Poi però il corteo No Green pass – che se la prende pure con FdI – si avvicina e Meloni è costretta a tagliar corto: la manifestazione si chiude, Bernardo oggi sarà all’evento finale di FI e domani a quello della Lega. Cercando un’unità quasi impossibile.
Ma anche a Roma, al ritrovo leghista di Tor Bella Monaca, il candidato Enrico Michetti viene nascosto a lungo. La piazza è per metà vuota, ci saranno 1.500 persone e molti sono stati precettati da fuori Roma: vengono da Marino, da Orte, nessuno è del quartiere. Al massimo qualche residente si affaccia intimorito dalla finestra di largo Brambilla, considerata la piazza di spaccio della zona. L’organizzatore è lui, Claudio Durigon. Vestito di rosso, dopo le dimissioni da sottosegretario è il proconsole di Salvini in Lazio. Gestisce tutto: il palco, le bandiere, i cartelli, l’angolatura dei selfie. Lo scandalo sul parco Falcone e Borsellino, nel giorno in cui Salvini propone Mario Mori senatore a vita? “È stato un errore”. L’inchiesta di Fanpage sui 49 milioni della Lega appena oscurata? “Rispetto la libertà di stampa, ma anche quella dei giudici”.
Poi arriva il capo, qui è “il Capitano”. Prende la parola per presentare Michetti: “Tutti si chiedono: ‘È il candidato giusto?’”. Imbarazzo, nessuna risposta. Ecco Michetti. Parla cinque minuti, stavolta gli hanno detto di non fari riferimenti agli imperatori, a Cesare e Ottaviano Augusto. E lui va al punto: “A Roma ci vogliono 5 mesi per risolvere la pratica di un condono”. Promette due assessorati, uno alle periferie e uno alla disabilità. Pochi applausi. Conclude così: “Ve vojo bbenee”. Salvini invece viola il divieto di riferire sondaggi azzardando che Michetti è “10 punti avanti a Gualtieri” e attacca la Raggi perché “non basta l’onestà” (lei risponde: “Vai in periferia solo in campagna elettorale”). Parla solo di temi nazionali: non nomina mai FdI, manda una frecciata ai governatori (“La Lega non può essere solo quella del Nord, ma deve unire tutto il Paese”) e attacca Il Fatto e Repubblica che “dicono che i sondaggi vanno male”. Peccato che in mattinata, dagli stati generali della Lega Lombarda a Varese, è stato Giancarlo Giorgetti a mettere le mani avanti su un risultato negativo: “È noto che l’astensionismo penalizza più il centrodestra che il centrosinistra”. Ma non ditelo a Salvini.