Una notte nel carcere Bancali di Sassari, cella singola perché c’è il Covid. “Non ho mangiato niente, ho lo stomaco vuoto, non me l’aspettavo”, ha detto Carles Puigdemont, ieri all’ora di pranzo, al Garante dei detenuti, lo psicologo Antonello Unida. Poi l’udienza davanti alla giudice della Corte d’appello, Plinea Azzena, seguita in videoconferenza: arresto regolare e quindi convalidato e liberazione immediata senza misure cautelari né obblighi, come richiesto anche dal procuratore generale, Gabriella Pintis. “Comprometterebbero in modo grave il diritto dell’arrestato di viaggiare liberamente per partecipare alle riunioni del Parlamento europeo”, ha scritto la giudice.
Puigdemont è stato accolto come un eroe dal presidente della Regione Sardegna, Christian Solinas, e da sostenitori indipendentisti e si è messo in macchina per Alghero, città ancora legata alla Catalogna dove era invitato alla festa internazionale della cultura popolare catalana, Adifolk. Era il motivo, ben noto, del viaggio in Italia. Ma giovedì, appena atterrato, la polizia l’ha arrestato. All’uscita dal carcere non ha parlato ai cronisti, ha però riproposto un tweet del 2009: “A casa, è il momento”, in risposta al Partito Popolare spagnolo che, ironizzando sul suo arresto, aveva tirato fuori quel vecchio messaggio. “È una nuova vittoria giudiziaria. La Spagna non perde mai l’occasione di rendersi ridicola”, ha twittato ancora il leader separatista, la cui scarcerazione è uno schiaffo al governo di Pedro Sanchez. “Rispettiamo la magistratura italiana”, aveva dichiarato il premier, per ribadire però che Puigdemont deve lasciarsi giudicare dalla magistratura spagnola perché “nessuno è al di sopra della legge”.
Tranne il leader catalano, si direbbe. Viene quasi da pensare che possa aver “cercato” l’arresto, a pochi giorni dall’anniversario del contestato referendum sull’indipendenza della Catalogna (1° ottobre 2017), nel pieno dei negoziati con Madrid e in vista dell’approvazione del Bilancio. Ora infatti potrebbe ottenere una protezione più consistente dalla Corte di giustizia dell’Ue. La pilatesca ordinanza emessa il 30 luglio scorso dai giudici del Lussemburgo, come si è visto, non rimuove il mandato d’arresto europeo, inserito nel sistema informatico di Schengen. Il Belgio, dove Puigdemont si è rifugiato da quattro anni, non l’ha mai eseguito. La Germania non l’aveva consegnato a Madrid neanche nel 2018, prima che fosse eletto all’Europarlamento, perché il reato di rebelion allora contestatogli non ha equivalenti nel diritto tedesco. Non lo imbarcherà su un volo per Madrid neppure l’Italia: a Puigdemont basterà non presentarsi all’udienza del 4 ottobre, la sua dipartita dall’Italia estinguerebbe il procedimento.
Non c’è conferma del coinvolgimento politico del governo italiano. “C’è un mandato di arresto europeo. Lo dobbiamo eseguire”, ha dichiarato il sottosegretario con delega ai Servizi, Franco Gabrielli, ex capo della polizia. Gli uffici della ministra della Giustizia, Marta Cartabia, sono stati informati a cose fatte. Sapevano tutto invece al Viminale, la polizia di Sassari aveva informato preventivamente il capo della polizia, Lamberto Giannini. Davanti agli agenti all’aeroporto di Alghero, giovedì sera, il leader catalano si è mostrato sorpreso, anche perché da mesi viaggia per l’Europa così come la sua ex consigliera Clara Ponsatì, ricercata da Madrid come il suo leader: giorni fa era passata da Roma e la polizia non se n’è accorta.
In Spagna “la sua detenzione avrà conseguenze sui negoziati con il governo centrale”, fa sapere il presidente della Generalitat, Pere Aragonés, volato ad Alghero. Al contrario, per Sánchez e il presidente dei socialisti catalani Salvador Illa “l’accaduto non sposta di una virgola il tavolo negoziale”. Anzi, “il dialogo è più che mai necessario”, spiega il premier.
Il 1° ottobre i separatisti sono celebreranno l’anniversario del referendum illegale di indipendenza del 2017 da cui scaturirono gli arresti dei leader (e la fuga di Puigdemont), accusati prima di ribellione e poi, in alcuni casi, condannati a pene tra i 9 e i 13 anni per sedizione e malversazione di fondi pubblici. Ora liberi grazie all’indulto di Sánchez, che però non risparmierebbe il processo a Puigdemont. Sarà l’occasione per rivendicare “la persecuzione di Puigdemont da parte della Spagna” e una ‘scusa’ per tornare alla via della “proclamazione unilaterale di indipendenza della Catalogna”, come ha ribadito da Aragonés. C’è tensione nel governo centrale ma anche negli ambienti catalani: il segretario generale del partito di Puigdemont, Junts per Catalunya, Jordi Sánchez, nonostante la prova di forza ricorda che “l’assenza di persone ancora detenute era la condizione sine qua non per il dialogo”. L’accusa non è al premier, ma alla “giustizia spagnola che si impegna nell’interferire nel processo di dialogo con le sue costanti risoluzioni contro l’indipendentismo”, dicono gli alleati di Esquerra Repubblicana. In quest’ottica di continui scontri, quella di Sassari pare solo l’ennesima puntata della saga tra governo e separatisti, in salsa sarda.