“Sta per arrivare il PUA, Partito Unico Articolato, che ucciderà il Pd”

“Ènato il Partito unico, più articolato di quello che abbiamo conosciuto agli inizi del secolo scorso, perché la sua infrastruttura connette ambienti diversi, ma non dissimile nella concezione”.

Professor Canfora, lei pensa che l’ovazione di Confindustria a Mario Draghi sia l’esito scontato di un annuncio fatto al tempo del suo ingresso in campo.

Gli astanti non avranno udito bene, forse distratti dall’emozione. Ma nel discorso di investitura alle Camere, Draghi chiede ai partiti di rinunciare, lui dice per senso di responsabilità e ai fini del bene di tutti, a difendere le proprie bandiere. Che sarebbero le proprie idee.

Mai era accaduto che Confindustria proclamasse uno stato di necessità permanente e dunque un governo di necessità permanente.

Sotto il mantello draghiano, l’area centrista e quella leghista che fa capo a Giorgetti (ma non scommetterei che Salvini non accetti di essere tirato dentro) trovano il nuovo collettore industriale a tenerli uniti. Un nuovo magma, un iper-centro, la quintessenza del potere affluente.

Questa volta il governo lo fa la Confindustria direttamente.

Mi sembra naturale, dato che la sinistra ha alzato bandiera bianca. Mi arrendo al fatto che il ministro del Lavoro, per contrastare le morti in fabbrica, non riesca, ad esempio, a infittire la rete degli ispettori del lavoro. Facile no? Basterebbe fare solo questo.

Se lo facesse cosa accadrebbe?

Se lo facesse sarebbe la più grande legnata data sulle mani tra i tanti piccoli e medi imprenditori, parecchi dei quali l’altro giorno osannavano il premier, che godono del privilegio di non essere controllati. Se il ministro del Lavoro ci fosse stato per davvero, avrebbe visto scene di panico in sala…

Il Pd è un partito mediano, composito, problematico. Non è quel che vagheggia lei.

Io? Ha sentito Prodi? Invece delle battaglie nebulose e astratte si dedichi alle lotte che aspettano di essere combattute. Dia voce ai fermenti nella società, alle domande nuove che vengono dalla società. Sia concreto. L’ha detto Romano Prodi a Enrico Letta prima di stringerselo in un caloroso abbraccio.

Draghi sta tagliando le gambe al Pd?

Esattamente così. Vedasi il blocco della legge che faceva divieto alle delocalizzazioni selvagge degli imprenditori rapaci, noti più come prenditori. Che fine ha fatto quella legge?

E lei ritiene che nel prossimo Parlamento, Draghi possa addirittura guidare un suo schieramento.

Può fare quel che vuole. Nessuno, e me ne scandalizzo, ha avuto da ridire quando, credo in una conferenza stampa, ha detto: i partiti facciano i partiti, giochino pure con le loro correnti, il governo va avanti. Li ha ridotti a presenze quasi insignificanti.

Il Parlamento fa rima in effetti con ornamento.

Draghi, secondo me, vuole prendere il posto della Von der Leyen in Europa, ma se pure cambiasse idea conterebbe su una forza di fedeli enorme.

Stacca il centro dalla sinistra, liquida la destra estrema.

Arriva il PUA, partito unico articolato.

Sembrerebbe invece che il Pd goda di buona salute, e anche i Cinquestelle nella loro nuova dimensione numerica appaiono più solidi. Tanto che alle Amministrative il centrodestra rischia di prenderle.

Lei dice?

Così i sondaggi.

Aspettiamo quest’altra settimana e comunque vediamo la realtà per come essa è.

Draghi onnipotente.

I poteri affluenti, il corpaccione centrista e anche le minutaglie, le zeppe a fare la ola.

La Lega è spaccata, Salvini inaridito.

Giorgetti se lo porta con sé. Vedrà che se lo tira via. Forza Italia è quella che è.

Il movimento franoso potrebbe giungere anche nei pressi dell’accampamento del Pd.

La sinistra è sparita.

Canfora dice: più Draghi sta al governo, più il draghismo si consolida, più il Pd perde.

È così. La sinistra non ha voce e non ha voglia di fare battaglie. Amen.

“Draghi per sempre” spacca dem e Lega: Letta e Conte ulivisti

Mario Draghi forever premier. La tentazione, la speranza, il progetto, si sono materializzati ieri con le ovazioni che la platea di Confindustria ha tributato a Mario Draghi. D’altra parte i cosiddetti “poteri forti” – per quanto più frastagliati e meno compatti che in passato – vedono l’ex presidente della Bce come l’unica garanzia possibile. Ormai in pochi credono alla possibilità che il premier vada al Quirinale. Le riforme previste dal Pnnr sono la ragion d’essere dell’attuale governo. Che non verrà a mancare né nel 2022, né nel 2023: la data finale per l’erogazione dei fondi è il 2026. Se è per Bruxelles, si guarda a Draghi come un’autorità indiscutibile, una garanzia insostituibile. Certo, nessuno neanche in Europa è in grado di imbullonarlo a Palazzo Chigi, ma le pressioni vanno tutte in quella direzione. Tanto più in un momento in cui i dossier fondamentali sono più d’uno: le riforme, ma anche la discussione sulla revisione del Patto di Stabilità e il rendere perenne il Next generation Eu. Senza contare che ora parte Fit for 55, il bazooka europeo per favorire la transizione verde, che implica anche una profonda riconversione industriale.

Dentro questo quadro, i partiti italiani sono sempre più smarriti e ininfluenti. Draghi giovedì ha parlato di “un patto economico, produttivo, sociale del Paese”. Richiesta rispetto alla quale nessun leader della maggioranza si può sottrarre. Nemmeno Matteo Salvini, che ha dovuto assicurare che “come Lega vogliamo assolutamente partecipare alla costruzione del Paese e a qualsiasi tavolo”. Ma il tema è la natura di questo patto e soprattutto quanto ipotecherà il futuro. Tra i giallorossi sono fioccati i distinguo. Giuseppe Conte, dal palco della manifestazione Futura della Cgil, ha chiarito che “pensare di tenere fuori i partiti sarebbe un nonsenso”. Ed Enrico Letta, che pure ha rivendicato di aver proposto lui il modello Ciampi del ’93, ha puntualizzato: “Il tema è quello di come rendere tutti protagonisti: le parti sociali, i partiti, la politica, il Parlamento, il governo”. Da notare l’intervento di Andrea Orlando, che come esponente del Pd al ministero del Lavoro, è in una situazione particolarmente delicata, visto che è su posizioni ben diverse da Confindustria: “Credo che una volta finita la fase emergenziale si riaffacci lo spazio per la politica”.

Perché poi ormai dentro il Pd ci sono due tele parallele. Da una parte c’è Letta che lavora all’Ulivo 2.0 (con “superamento” del Pd annesso e connesso), insieme a Goffredo Bettini e Roberto Speranza, passando per l’asse con Conte e il recupero di “madri nobili” alla Rosy Bindi. Dall’altra c’è chi cerca di verificare le condizioni di un Draghi alla guida del centrosinistra. Andrea Marcucci lo ha detto subito in chiaro che il premier deve andare oltre il 2023. Ma dentro Base Riformista, a riflettere su questo scenario sono praticamente tutti. Ne parlava in questi giorni con i suoi parlamentari il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini: “Penso che Draghi in questo momento sia una grande opportunità per l’Italia e che il Pd, giustamente, ne stia sostenendo l’azione con grande impegno”. Dunque, “il Pnnr e la credibilità di cui l’Italia ha bisogno necessitano di portare avanti il lavoro per tutta questa legislatura”. Poi, tutto “dipenderà dai risultati elettorali”. Un modo per preparare il terreno. E, se dentro la Lega, Giancarlo Giorgetti è di fatto iscritto al partito del premier, il sottosegretario Bruno Tabacci da mesi va dicendo che dopo Draghi c’è Draghi. Tanto che giovedì, intervenendo alle Acli, ha declamato: “Nel ’93, dopo aver vinto le Amministrative, Occhetto mise in piedi la gioiosa macchina da guerra. E due mesi dopo arrivò Berlusconi”. Chi ha orecchie per intendere, intenda.

In tutto questo a restare imperscrutabile è proprio il protagonista: a Palazzo Chigi continuano a dire che però a scendere in politica alla Mario Monti non ci pensa proprio.

Il “fatto” sussiste

I nove decimi dei giornali e dei tg raccontano la sentenza d’appello sulla Trattativa senz’avere la più pallida idea di cosa dica. Infatti le fanno dire che la trattativa Stato-mafia non è mai esistita. Magari: almeno si spiegherebbero le assoluzioni dei tre carabinieri del Ros e di Dell’Utri. Invece non è così: infatti sono stati condannati il boss Bagarella e il medico mafioso Cinà. Le motivazioni sono lunghe e per capirle bisogna almeno leggerle: troppa fatica per i mafiologi della mutua. Ma i dispositivi sono brevissimi: questo è di due pagine. E lo capisce anche uno scemo: se “il fatto non sussiste”, vuol dire che non è successo niente (ma questa formula, nella sentenza, non compare mai); se “il fatto non costituisce reato” (com’è per Mori, Subranni e De Donno), vuol dire che il fatto è vero, ma non è illecito; se si legge “non aver commesso il fatto” (com’è per Dell’Utri), vuol dire che il fatto è vero, ma l’ha commesso qualcun altro.

Qual era il “fatto” alla base dell’accusa di “minaccia a corpo politico dello Stato”, cioè ai governi Amato, Ciampi e B.? Questo: i boss, i tre carabinieri e Dell’Utri, con altri morti nel frattempo o rimasti ignoti, “usavano minaccia – consistita nel prospettare… stragi, omicidi e altri gravi delitti (alcuni dei quali commessi e realizzati) ai danni di esponenti politici e delle Istituzioni – a rappresentanti di detto corpo politico per impedirne o comunque turbarne l’attività”. Vediamo il ruolo dei quattro assolti. Il “fatto” addebitato ai tre ufficiali del Ros e confermato dalla sentenza è di aver “contattato, su incarico di esponenti politici e di governo, uomini collegati a Cosa Nostra (in particolare, Ciancimino… nella veste di tramite con uomini di vertice della predetta organizzazione mafiosa e ‘ambasciatore’ delle loro richieste)” per “sollecitare eventuali richieste di Cosa Nostra per far cessare la strategia omicidiaria e stragista”; poi di aver “favorito lo sviluppo di una ‘trattativa’ fra lo Stato e la mafia, attraverso reciproche parziali rinunce in relazione, da una parte, alla prosecuzione della strategia stragista e, dall’altra, all’esercizio dei poteri repressivi dello Stato”; infine di aver “assicurato il protrarsi dello stato di latitanza di Provenzano, principale referente mafioso della ‘trattativa’” ; così “agevolavano la ricezione presso i destinatari ultimi della minaccia di prosecuzione della strategia stragista” e “rafforzavano i mafiosi nel proposito criminoso di rinnovare la minaccia”. Il “fatto” contestato a Dell’Utri è di essersi “proposto e attivato”, subito dopo l’omicidio di Salvo Lima (12 marzo ’92) “e in luogo di quest’ultimo, come interlocutore” del “vertice di Cosa Nostra per le questioni connesse all’ottenimento dei benefici sopra indicati”.

Non solo: Dell’Utri avrebbe “successivamente rinnovato tale interlocuzione con i vertici di Cosa Nostra, in esito alle avvenute carcerazioni di Ciancimino e di Riina, così agevolando il progredire della ‘trattativa’ Stato-mafia… quindi rafforzando i responsabili mafiosi della trattativa nel loro proposito criminoso di rinnovare la minaccia di prosecuzione della strategia stragista; agevolando materialmente la ricezione di tale minaccia (portata da Mangano su mandato di Bagarella e Brusca, nda) presso alcuni destinatari e… favorendone la ricezione da Berlusconi” appena insediato a Palazzo Chigi. Quest’ultimo passaggio è l’unico “fatto” che la Corte ritiene non provato: è certo che i mafiosi gli fecero sapere quali favori pretendevano dal governo B. per mantenere la pax mafiosa, ma non che Dell’Utri ne avvertì B. Il quale quindi li favorì non perché fosse sotto ricatto, ma sua sponte.

I fatti che raccontiamo da anni sono dunque veri. E bastano e avanzano per un giudizio, se non penale, almeno politico, istituzionale e professionale non tanto su Dell’Utri (pregiudicato per mafia), quanto sui tre “servitori dello Stato” che trattarono con Cosa Nostra anziché combatterla. Non era reato? È la tesi della Corte. Ma che trattarono non c’è dubbio: infatti nel ’97, appena Brusca svelò la trattativa, anche Mori e De Donno la chiamarono così. Ora si dice che finsero di trattare in un’astuta operazione di infiltrazione per raccogliere informazioni e catturare Riina. E allora perché non avvertirono i pm né il vertice dell’Arma, non verbalizzarono e non pedinarono Cinà (il postino che portò a Riina i loro messaggi affidati a Ciancimino sr. e tornò indietro col papello) né Ciancimino jr. (il postino del padre)? Perché non perquisirono il covo di Riina? Perché non arrestarono Santapaola, scovato da un collega a Terme di Vigliatore? Perché non catturarono Provenzano, consegnato da un pentito a Mezzojuso? Buon per loro che siano stati assolti. Ma quei “fatti” restano: qualcuno vuole scoprirne il perché? Erano dei fessi incapaci o degli agenti deviati? La trattativa incoraggiò Cosa Nostra a uccidere Borsellino, la sua scorta e tanti altri innocenti nel ’93. La loro brillante attività investigativa produsse una catastrofe senza pari. Data anche l’età, nessuno vuol mandarli in galera. Ma, se passa l’idea che trattare con la mafia è lecito, o financo doveroso, perché mai un giudice dovrebbe condannare un mafioso a rischio della vita, anziché mettersi d’accordo? Perché un ufficiale dovrebbe catturare i mafiosi giocandosi la pelle, anziché lasciarli andare? Perché un negoziante dovrebbe rifiutare il pizzo ai mafiosi rischiando rappresaglie, anziché farci amicizia?

In Cina hanno già scoperto l’inflazione dell’elettrico

Mentre in Europa ci affanniamo, tentando di colmare il gap con i padroni dell’elettrone all’ombra della Grande Muraglia, nella stessa Cina stanno scoprendo che in alcuni casi puntare troppo sulle batterie può non essere un buon affare. L’insidia è la sovracapacità costruttiva, riassunta in una frase lineare e insieme drammatica nella sua semplicità, pronunciata da Xiao Yaqing, ministro cinese dell’Industria e della Tecnologia dell’informazione: “Abbiamo troppe aziende di auto elettriche”. I massicci sovvenzionamenti statali distribuiti a pioggia negli ultimi anni, oltre a favorire l’ascesa di colossi in grado di competere ad esempio con Tesla, hanno anche creato “mostri”. Le fabbriche che producono, o ancora devono cominciare a farlo, auto cosiddette verdi sono nate come funghi: secondo Autonews China, degli 846 produttori di automobili registrati nel Paese più di 300 sfornano auto “a nuova energia”, vagamente definite come veicoli elettrici o ibridi plug-in. La gran parte di queste non ha nomi conosciuti, forse neanche in patria. Ma creano problemi: solo l’anno scorso, si è aggiunta una capacità produttiva di 5 milioni di auto elettriche, ovvero quattro volte quelle effettivamente assorbite dal mercato domestico. Di quella potenzialità, peraltro, non si è sfruttata neanche la metà. Risultato? Dal 2020, almeno una dozzina di produttori di veicoli elettrici sono falliti o hanno dovuto subire pesanti ristrutturazioni per evitare l’insolvenza. E sempre più grandi capannoni e complessi industriali sono tornati a essere deserti.

Stellantis punta alla vendita sull’online

Stellantis lancia in Italia una piattaforma digitale dedicata alla vendita delle auto dei vari brand (fra cui Alfa Romeo, Fiat, Peugeot, Citroën, Opel, etc) che appartengono al Gruppo. Attualmente, sono quasi 27 milioni gli e-Shoppers nel nostro Paese, consumatori digitali che hanno dimestichezza con gli acquisti fatti dal proprio computer o da qualsiasi altro device.

“In base a un’indagine Google per Stellantis Italia, una persona su quattro si dichiara già oggi pronta all’acquisto di un’auto nuova online, con una crescita di 4 punti percentuali rispetto al periodo pre-Covid”, sostiene il costruttore.

Sono oltre 6 mila le iscrizioni alle piattaforme di e-Commerce di Stellantis, con oltre 2.500 clienti che hanno acquistato una nuova vettura del Gruppo: l’80% degli acquisti, peraltro, ha interessato un modello elettrificato (100% elettrico, plug in hybrid o mild hybrid).

“È evidente dunque l’affinità tra l’innovazione del canale di vendita e l’innovazione tecnologica dei modelli più gettonati”, ritengono dal sodalizio italo-francese.

Gli ordini effettuati online sono senza vincoli, con recesso gratuito e restituzione immediata della caparra, e possibilità di reso entro i 14 giorni dalla consegna. E per gli acquisti online sono previsti prezzi specifici e promozioni dedicate: ad esempio, chi compra una Jeep Compass, riceve in omaggio un buono voucher dal valore di 500 euro da poter utilizzare in prodotti e servizi.

“L’aspetto vincente di questa nuova forma di commercio elettronico – sottolinea in una nota ufficiale Santo Ficili, Country Manager di Stellantis in Italia – è l’integrazione tra gli aspetti virtuali, online, e quelli tradizionali: il dealer mantiene la propria centralità e resta attore protagonista del processo d’acquisto. Acquisisce però un ulteriore punto di contatto con i clienti in modo da intercettare e soddisfare le nuove esigenze di acquisto. La digitalizzazione rappresenta un passo fondamentale per soddisfare pienamente le necessità dei nostri clienti e migliorare l’esperienza con i nostri brand e i nostri dealer, che restano comunque il perno della strategia operativa”.

Con la 308 continua la scalata di Peugeot verso i “piani nobili”

La terza generazione della 308 proietta la compatta francese verso una dimensione nuova. Il lungo percorso intrapreso da Peugeot per riposizionare il brand verso l’alto sta dando i suoi frutti, come testimoniano le oltre 100.000 unità del modello attuale vendute in Italia. La nuova nata punta su look e tecnologia. Il design è graffiante e porta al debutto il nuovo logo della casa francese incastonato nella calandra, che nasconde il radar per l’assistenza alla guida. Più lunga di 11 cm rispetto alla precedente (arriva a 4,36 m), questa 308 ha un passo più lungo di 55 mm ed è più bassa di 2 cm. Il cofano è allungato e le linee scolpite.

All’interno i materiali hanno fatto un salto di qualità e l’organizzazione della plancia è funzionale. Quando ci si accomoda al posto di guida si trova il classico volante Peugeot, con un diametro più piccolo, che va regolato bene anche in altezza per trovare la giusta posizione di guida, altrimenti si rischia di vedere male il display da 10” dell’I-Cockpit. Lo spazio è ben distribuito, e anche se 5 adulti non viaggiano larghi, possono contare su diverse comodità: vani portaoggetti, prese Usb C, portabicchieri, funzione mirroring wireless per i cellulari.

Una Peugeot su 5 venduta in Europa, inoltre, è a batteria e il 70% della gamma offre varianti elettrificate che arriveranno a essere l’85% nel 2023 e il 100% nel 2024. Ecco quindi che la 308 ha anche due versioni ibride plug-in, da 180 o 225 Cv, con autonomie in elettrico intorno ai 60 km. Entrambe possono contare sulla stessa batteria, con capacità di 12,4 kWh e potenza di 102 kW. Con una Wallbox da 7,4 kW ci vogliono quasi due ore per la ricarica completa che diventano circa sette con una presa standard e il caricatore da 3,7 kW. Disponibile anche il 1.2 3 cilindri benzina PureTech da 110 Cv o 130 Cv e il diesel BlueHDi 1.5 quattro cilindri da 130 cv , tutte con cambio manuale o automatico.

Al volante della 308 plug-in hybrid 5 porte da 225 Vv le prime impressioni raccontano di una vettura silenziosa e confortevole in autostrada, ma anche reattiva, stabile e con uno sterzo preciso nelle curve strette e nei saliscendi. Tre le modalità di guida: Elettrico, Ibrido e Sport. C’è anche la possibilità di aumentare la potenza della frenata rigenerativa con il tasto “B”, che però non arriva mai a disturbare la risposta dei freni. Il cambio è veloce, al punto che è quasi inutile usare i paddle dietro al volante.

Tutti i modelli sono già ordinabili e il listino prezzi del benzina parte da 23.750 euro che diventano 26.550 per i diesel e arrivano a 36.750 per le plug-in hybrid. La versione 5 porte verrà consegnata a partire da gennaio mentre la station wagon arriverà entro il primo trimestre 2022.

Dopo sei anni, Carmen Consoli ha un album con dieci inediti

“Prepariamoci all’impatto” è la parola d’ordine di Sta succedendo, prima traccia del nuovo album di Carmen Consoli Volevo fare la Rockstar in uscita oggi, presentato in un locale milanese, circondata dai libri e oggetti vintage a sottolineare il tema dell’album, la memoria.

Sei anni dopo L’abitudine di tornare la cantantessa propone dieci inediti frizzanti e magnetici, con citazioni dei primi R.e.m. di Talk About The Passion, un ritorno alle origini di Due parole. Un tuffo nei ricordi degli esordi, tema affrontato nel L’aquilone: “La verità è che un giorno o l’altro dovrai riprendere il filo di un vecchio discorso raccoglierlo e poi dipanarlo, non è semplice”.

Non manca l’impegno civile della Consoli nella sua personalissima Attenti al lupo intitolata Mago magone, una invettiva contro i populismi e i loro seduttori: “Conquista gli animi con gran fervore, offre rimedi a pene d’amore, mali impietosi, miseria, timore” e viene in mente chi masticando un claim prometteva di sconfiggere le malattie incurabili.

Ci sono due dediche: Le cose di sempre al figlio Carlo, per insegnare “a rispettare le idee, le debolezze altrui, le piante e le zanzare”. E Armonie numeriche, pensata per il papà comparso in sogno mentre raccomanda “impegno e coerenza”. Che puntualmente arriva in Qualcosa di me che non ti aspetti un brano che affronta temi d’attualità con una narrazione cinematografica (“nei cieli assolati sfrecciano i caccia americani”).

Lo stato di grazia si raggiunge in Imparare dagli alberi, una chiosa che è una dichiarazione di intenti di Carmen, una iniezione di volontà per convertire la paura in coraggio attraverso il prezioso aiuto della natura. Per chi è nata nella Seattle italiana – Catania – è quasi una conversione: “Sono nata in una famiglia di sognatori, il sogno non era un crimine”.

“Io, pecora nera di Cracco Ai fornelli il top è Favino”

Già solo il volto di Valerio Mastandrea, in bicicletta sulle strade del Cilento, vale la visione. Arranca, a volte sfiata, con tempi comici sopraffini, quasi da Petrolini, mentre bene-maledice il capocordata Carlo Cracco. Entrambi sono protagonisti di una puntata di Dinner Club, la nuova serie di Amazon Prime, in cui lo chef stellato coinvolge di volta in volta un vip e lo porta sulle strade d’Italia per scoprire sapori, luoghi e persone.

Lei e Cracco siete una coppia comica.

La prima domanda che tutti mi pongono è su di lui, come se Carlo fosse un ectoplasma cattivo che si aggira nei meandri della tv.

In realtà…

Nell’immaginario uno può collocarlo in tanti modi: quello dell’antipatia, del timore, della monotematicità, invece è una persona simpatica.

A volte lei sembra la spalla: “Tanto vogliono solo lui, non me” ripete.

(Ride) Vabbè, è successo anche il contrario; (ci pensa) Carlo sa ascoltare e non è scontato; poi con lui mi sono subito presentato per quello che sono rispetto al suo ambiente.

Cioè?

Mangio bene da un paio di anni, non so cucinare, sono distratto, non mi interessa un granché. Sono stato la pecora nera del programma; (pausa) Carlo con me è stato come un professore che insegna a un tipo cresciuto con le scimmie.

Tra i suoi colleghi va di moda il lato-chef…

Il massimo è Picchio (Favino, protagonista di una delle puntate): è bravo, ma proprio tanto, per questo credo di non averlo mai invitato a cena. E siamo amici da trent’anni.

Veronesi del set dei Moschettieri racconta: “Favino era sempre ai fornelli, Papaleo alla chitarra e Valerio intimidito”.

Io timido? Perché quando hai davanti de talenti così palesi, come Picchio ai fornelli e Rocco con la musica, l’unico talento da mettere in campo è il silenzio.

È bravo in bicicletta…

(Abbassa il tono) Neanche mi sono allenato; (pausa) ho rimosso tutto, non ricordo nulla, se non alcuni personaggi incredibili che abbiamo incontrato per strada.

Come il signore unico abitante di un paese.

Ora mi tocca dire una banalità, ma questo paese è incredibile, dove ogni dieci km è possibile scoprire delle realtà diversissime; poi il Cilento è una terra di ritorno, tutta gente che è partita e poi è tornata.

Il suo comfort food.

Ma ha veramente intenzione di parlare di cucina? Non sono preparato.

Per carità.

Mi piace ciò che fa male.

Durante il programma si è detto “Che s’ha da fa’ pe’ magnà”?

Lo penso quasi sempre, anche in contesti più comodi.

Si è lanciato in deltaplano.

Ho trovato talmente assurda quella situazione da attraversarla senza emozioni e in questo mi ha aiutato Carlo, perché salutava gente immaginaria e ho pensato che stavo accanto a un pazzo; così lo guardavo come si guardano i matti.

Non si è tirato indietro.

È scattato un minimo di orgoglio e dignità; (ci ripensa) a volte la dignità va persa.

Lei non mangia cibo “bianco” come la mozzarella.

Da piccolo credo di essere stato ingozzato di formaggini, e oggi non riesco a inquadrare le cose bianche come commestibili.

È molto tifoso della Roma: a cena con Mourinho o Abraham?

Non cominci a parlare di pallone perché di fronte a questi personaggi non si mangia; e poi voglio essere lasciato solo sul calcio. Ha letto il libro di Bonvissuto La gioia fa parecchio rumore? È un capolavoro (è vero, bello).

Salvini o Meloni?

Noooo nun rispondo.

A tavola cosa teme?

Potrei dire il conto, ma poi passo da tirchio; in realtà ho mangiato fuori per 35 anni e per fortuna ho smesso.

Come ragionare con i Talib: Pakistan, istruzioni per l’uso

I talebani: che fanno? Cosa vogliono? Come si muovono? Chiedere al Pakistan, loro lo sanno: “Essere realisti, avere pazienza, allacciare il dialogo; e, prima di tutto, non isolarli”. Questi i quattro pilastri dell’atteggiamento suggerito all’Occidente dal ministro degli Esteri pachistano, Shah Mehmood Qureshi. Intervistato dall’Ap, Qureshi prospetta una roadmap che conduca al riconoscimento internazionale del regime talebano, con incentivi per spingerli a soddisfare le richieste su diritti, donne, inclusività, e, quindi, l’avvio di negoziati. I talebani avrebbero voluto essere presenti con il loro governo e intervenire all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, in corso a New York. Regolamento alla mano, l’Onu ha detto no: il loro regime non ha – ancora – le credenziali. Ma il Pakistan, la cui intelligence è spesso ritenuta il burattinaio dei talebani, sa come trattarli, anche se gli ‘studenti’ non sono affatto un monolite, come dimostrano le liti prima e dopo la formazione del nuovo governo. E non hanno neppure la situazione nel Paese sotto controllo al cento per cento: ci sono stati a Est attacchi a posti di blocco del regime; e si annuncia la creazione di unità anti-kamikaze – segno che ve n’è il rischio –; e si fa sapere che il tesoro di Bactrian, una collezione di ori fra le più grandi al mondo, è “al sicuro”, negando che sia stato rubato e contrabbandato all’estero. Circa 150 giornali afghani hanno interrotto le loro pubblicazioni cartacee da metà agosto: alcuni hanno chiuso, altri escono online. Al G20 presieduto dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ieri, a New York, a margine dell’Assemblea Generale dell’Onu, la linea è tracciata: prevenire una catastrofe umanitaria e il collasso economico dell’Afghanistan, fare pressione perché il Paese non diventi di nuovo un rifugio di terroristi e perché vengano rispettati i diritti umani, soprattutto delle donne. Conferma il Segretario generale, Antonio Guterres: “L’Afghanistan sia stabile e gli aiuti umanitari possano essere distribuiti senza problemi, i diritti delle donne siano rispettati”.

“Aborto, insultare le donne sarà reato. Parola di strega”

Femminista, psicologa, portavoce del gruppo socialista al Congresso dei deputati spagnolo per le Pari Opportunità, Laura Berja, 36 anni, di Jaen, Andalusia, per i deputati dell’ultradestra di Vox è “una strega”. Così l’hanno apostrofata durante il dibattito a Las Cortes sulla proposta di legge da lei presentata che prevede l’introduzione nel codice penale del reato di stalking per coloro che molestano e insultano le donne fuori dalle cliniche per l’aborto. “Se un deputato di Vox è capace di chiamare ‘strega’ una deputata nel Congresso, immaginate cosa saranno capaci di fare lontano dalle telecamere e contro il resto delle donne”, si chiede Berja. “Intervenire sul codice penale introducendo il reato di stalking per chi insulta o ingiuria le donne che si recano ad abortire è l’unico modo per proteggere l’esercizio di un diritto costituzionale qual è l’aborto e le donne che lo esercitano”.

Onorevole Berja, sono così tanti i casi di stalking contro le donne che si verificano davanti alle cliniche per l’aborto in Spagna?

Il dato che abbiamo è quello che ci fornisce l’Associazione di cliniche per l’interruzione della gravidanza, secondo cui sono 8 mila le donne che ne sono vittime. Ma non sono solo loro, anche le professioniste che lavorano nei centri accreditati subiscono insulti e aggressioni all’ingresso e all’uscita dal lavoro. Anche le cliniche stesse, le facciate sono prese di mira con scritte e insulti dai movimenti pro-vita.

Sono proprio i movimenti pro-vita a rivendicare il diritto alla libertà d’espressione anche nelle vicinanze dei centri.

Il diritto d’espressione non significa ostacolare l’ingresso di una donna a un centro di salute. Né cercare di esercitare su di loro la coercizione.

Donne e associazioni spagnole sono d’accordo con questa proposta di legge? Come l’hanno accolta?

Sia da parte delle associazioni femministe che di quelle delle cliniche per l’aborto l’accoglienza è stata buona, anche perché è da molto già che lavoriamo fianco a fianco con loro per raccogliere proposte ed esigenze. Abbiamo avuto un sostegno molto forte da parte di queste associazioni e siamo soddisfatti della proposta presentata che è stata approvata.

Dal Partito socialista avete precisato che l’iniziativa non avrebbe riaperto il dibattito sull’aborto sì, aborto no. Eppure non è stato così al Congresso.

In effetti, chiarito subito che l’interruzione di gravidanza è ormai un diritto consolidato in Spagna, fin dalla presidenza Zapatero del 2010, e che non si sarebbe riaperta la discussione. Ma la destra e l’estrema destra sono ossessionate dai diritti delle donne e vorrebbero privarci di quello della maternità come di quello riproduttivo e sessuale.

Lei crede che la posizione di Vox al riguardo sia davvero così medievale o è solo propaganda?

Credo entrambe le cose. Da una parte a loro piacerebbe farci tornare indietro a epoche buie per le donne, in cui ogni diritto era soffocato; dall’altra vogliono infangare tutto e creare lo scontro alla Camera per mettere su uno show il cui centro non è più il tema del dibattito, ma l’insulto, lo scontro e la mancanza di rispetto.

Provano a bloccare l’avanzata dei diritti civili in un Paese come la Spagna che in Europa è capofila?

No, di fatto la nostra proposta è stata accolta alla Camera, quindi ora inizierà l’iter per l’approvazione definitiva.

Dopo la legge per l’eutanasia e questa, avete altre iniziative legislative previste in tema di diritti?

Sì, il governo progressista di Pedro Sanchez e noi del gruppo socialista al Congresso abbiamo altre tre proposte in agenda: quella per l’equità di trattamento e non discriminazione; quella sulla libertà sessuale anche detta ‘sì è sì’, contro gli abusi; quella per migliorare la vita delle bambine e dei bambini orfani di femminicidio; infine quella contro la tratta e lo sfruttamento sessuale delle donne e delle bambine, che ci aspettiamo arrivi al dibattito in Parlamento a breve.