Lo chiamano l’Antonio Gramsci d’Egitto. E non a caso, il 26 novembre 2019, dalla cella di una prigione ha fatto sapere: “Certo, mi sforzo di applicare la teoria di Gramsci riguardo ‘il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà’, ma qui c’è una tale negazione della volontà che devo fare esercizio di ottimismo della ragione prima di incasinare i miei compagni”.
Chi scrive è Alaa Abd el-Fattah, nato a Il Cairo nel 1981, blogger e attivista politico, uno dei protagonisti della rivoluzione di piazza Tahrir del 2011.
Ritenuto da Amnesty International un “prigioniero di coscienza”, è sicuramente il più famoso tra le migliaia di detenuti politici nelle carceri egiziane.
Finito in prigione per la prima volta nel 2006, Alaa Abd el-Fattah ha passato gli ultimi sei anni della sua vita praticamente sempre detenuto, costretto a fare a meno dei libri e della carta per scrivere. La voce dal carcere del dissidente egiziano giunge ora in Europa, in Italia e in Inghilterra, con la raccolta dei suoi scritti, Non sei ancora stato sconfitto, pubblicata dalla casa editrice torinese Hopefulmonster (pagg. 192, euro 23), tradotto dall’arabo da Monica Ruocco e con una ricca introduzione di Paola Caridi.
Il volume, come si spiega, esce grazie “a una rete internazionale di editor e giornalisti, alla famiglia dell’autore, ad Amnesty International che da anni segue il caso dello scrittore tuttora in carcere, ad Arci e alla collaborazione con l’editore londinese Fitzcarraldo, che pubblicherà contemporaneamente il testo nella traduzione inglese”.
Gli scritti di Alaa Abd el-Fattah, sottolineano i curatori, sono “in grado di restituire la drammatica situazione dell’Egitto nelle cui carceri si stima siano reclusi oltre 60.000 detenuti politici e di coscienza, sottoposti a torture, esecuzioni capitali, ingiusto processo e lunghi periodi di detenzione preventiva, in palese violazione dei diritti umani e civili”.
A questo combattente per la libertà, l’Egitto di al-Sisi nega la possibilità di leggere e scrivere. Rammenta Paola Caridi: “Assieme alla libertà, carta e penna sono negati ad Alaa Abd el-Fattah anche oggi, al momento della pubblicazione dei suoi scritti nella traduzione italiana. Nella prigione di Tora in cui è rinchiuso, al Cairo, nella prigione in cui ha trascorso sette degli ultimi otto anni, Alaa Abd el-Fattah non ha carta e penna su cui imprimere, nero su bianco, il suo pensiero. Sono gli stessi anni in cui, al potere in Egitto, siede un presidente ed ex generale, Abdel Fattah al-Sisi, il cui incarico poggia su un golpe militare attuato nell’estate del 2013”.
Nel paese in cui è stato assassinato Giulio Regeni e incarcerato Patrick Zaki, del resto, la libertà di pensiero e di espressione è considerata terrorismo.
Proprio Antonio Gramsci, nel 1928, annotava dalla cella: “Non mi è stato concesso di avere carta e penna a mia disposizione, neppure con tutta la sorveglianza domandata dal capo, dato che passo per essere un terribile individuo, capace di mettere il fuoco ai quattro angoli del Paese o giù di lì”. Come Wole Soyinka, il futuro premio Nobel per la Letteratura messo in isolamento nel 1967 per 28 mesi, per l’opposizione alla guerra nel Biafra, anche il prigioniero di al-Sisi è stato costretto a scrivere su quadretti di carta igienica e pacchetti di sigarette.
Dal carcere di Tora, nell’aprile 2017, Alaa Abd el-Fattah ha detto: “Difendete la complessità e la diversità: nessun cambiamento che riguardi la struttura o l’organizzazione di Internet può rendere la mia vita più sicura. Le mie affermazioni online vengono spesso usate contro di me nei tribunali e nelle campagne diffamatorie, ma non è questo il motivo per cui vengo perseguitato. Vengo perseguitato per la mia attività offline. Il mio defunto padre ha scontato una pena simile per il suo attivismo prima che esistesse una rete. Ciò che Internet ha veramente cambiato non è il dissenso politico, ma il dissenso sociale”.
Leggere Alaa, osserva Paola Caridi, “una delle menti politiche più lucide che è possibile trovare in tutta la regione araba, è ancor più necessario a noi – italiani ed europei. Per conoscere una dissidenza di cui così poco sappiamo, nonostante l’estrema solidità del suo pensiero”. In un messaggio del 2019, Alaa ha scritto che “chiunque ha governato e governerà il Paese, vuole governare per tutta la vita; e chiunque abbia governato e governerà il Paese vuole mettere in prigione tutti quelli che gli si oppongono”. Per questo motivo, dunque, “siamo tutti potenziali reclusi”.