Il “Gramsci egiziano” beffa i suoi carcerieri e denuncia il regime

Lo chiamano l’Antonio Gramsci d’Egitto. E non a caso, il 26 novembre 2019, dalla cella di una prigione ha fatto sapere: “Certo, mi sforzo di applicare la teoria di Gramsci riguardo ‘il pessimismo della ragione e l’ottimismo della volontà’, ma qui c’è una tale negazione della volontà che devo fare esercizio di ottimismo della ragione prima di incasinare i miei compagni”.

Chi scrive è Alaa Abd el-Fattah, nato a Il Cairo nel 1981, blogger e attivista politico, uno dei protagonisti della rivoluzione di piazza Tahrir del 2011.

Ritenuto da Amnesty International un “prigioniero di coscienza”, è sicuramente il più famoso tra le migliaia di detenuti politici nelle carceri egiziane.

Finito in prigione per la prima volta nel 2006, Alaa Abd el-Fattah ha passato gli ultimi sei anni della sua vita praticamente sempre detenuto, costretto a fare a meno dei libri e della carta per scrivere. La voce dal carcere del dissidente egiziano giunge ora in Europa, in Italia e in Inghilterra, con la raccolta dei suoi scritti, Non sei ancora stato sconfitto, pubblicata dalla casa editrice torinese Hopefulmonster (pagg. 192, euro 23), tradotto dall’arabo da Monica Ruocco e con una ricca introduzione di Paola Caridi.

Il volume, come si spiega, esce grazie “a una rete internazionale di editor e giornalisti, alla famiglia dell’autore, ad Amnesty International che da anni segue il caso dello scrittore tuttora in carcere, ad Arci e alla collaborazione con l’editore londinese Fitzcarraldo, che pubblicherà contemporaneamente il testo nella traduzione inglese”.

Gli scritti di Alaa Abd el-Fattah, sottolineano i curatori, sono “in grado di restituire la drammatica situazione dell’Egitto nelle cui carceri si stima siano reclusi oltre 60.000 detenuti politici e di coscienza, sottoposti a torture, esecuzioni capitali, ingiusto processo e lunghi periodi di detenzione preventiva, in palese violazione dei diritti umani e civili”.

A questo combattente per la libertà, l’Egitto di al-Sisi nega la possibilità di leggere e scrivere. Rammenta Paola Caridi: “Assieme alla libertà, carta e penna sono negati ad Alaa Abd el-Fattah anche oggi, al momento della pubblicazione dei suoi scritti nella traduzione italiana. Nella prigione di Tora in cui è rinchiuso, al Cairo, nella prigione in cui ha trascorso sette degli ultimi otto anni, Alaa Abd el-Fattah non ha carta e penna su cui imprimere, nero su bianco, il suo pensiero. Sono gli stessi anni in cui, al potere in Egitto, siede un presidente ed ex generale, Abdel Fattah al-Sisi, il cui incarico poggia su un golpe militare attuato nell’estate del 2013”.

Nel paese in cui è stato assassinato Giulio Regeni e incarcerato Patrick Zaki, del resto, la libertà di pensiero e di espressione è considerata terrorismo.

Proprio Antonio Gramsci, nel 1928, annotava dalla cella: “Non mi è stato concesso di avere carta e penna a mia disposizione, neppure con tutta la sorveglianza domandata dal capo, dato che passo per essere un terribile individuo, capace di mettere il fuoco ai quattro angoli del Paese o giù di lì”. Come Wole Soyinka, il futuro premio Nobel per la Letteratura messo in isolamento nel 1967 per 28 mesi, per l’opposizione alla guerra nel Biafra, anche il prigioniero di al-Sisi è stato costretto a scrivere su quadretti di carta igienica e pacchetti di sigarette.

Dal carcere di Tora, nell’aprile 2017, Alaa Abd el-Fattah ha detto: “Difendete la complessità e la diversità: nessun cambiamento che riguardi la struttura o l’organizzazione di Internet può rendere la mia vita più sicura. Le mie affermazioni online vengono spesso usate contro di me nei tribunali e nelle campagne diffamatorie, ma non è questo il motivo per cui vengo perseguitato. Vengo perseguitato per la mia attività offline. Il mio defunto padre ha scontato una pena simile per il suo attivismo prima che esistesse una rete. Ciò che Internet ha veramente cambiato non è il dissenso politico, ma il dissenso sociale”.

Leggere Alaa, osserva Paola Caridi, “una delle menti politiche più lucide che è possibile trovare in tutta la regione araba, è ancor più necessario a noi – italiani ed europei. Per conoscere una dissidenza di cui così poco sappiamo, nonostante l’estrema solidità del suo pensiero”. In un messaggio del 2019, Alaa ha scritto che “chiunque ha governato e governerà il Paese, vuole governare per tutta la vita; e chiunque abbia governato e governerà il Paese vuole mettere in prigione tutti quelli che gli si oppongono”. Per questo motivo, dunque, “siamo tutti potenziali reclusi”.

Machiavellie l’italia futura

“Ma sendo l’intento mio scrivere cosa utile a chi la intende, mi è parso più conveniente andare drieto alla verità effettuale della cosa, che alla imaginazione di essa”. Queste parole, tratte dal quindicesimo capitolo del Principe, sono state citate molte volte per sostenere che Machiavelli è stato uno dei grandi teorici del realismo politico, nemico dei visionari che immaginano società future.

La verità è che ricorreva all’immaginazione sia per interpretare le intenzioni dei principi, sia per disegnare visioni di emancipazione.

Su come Machiavelli usava l’immaginazione i migliori studiosi hanno scritto pagine molto belle, ormai ingiallite dal tempo, che merita rileggere. Federico Chabod osservava che “la ‘immaginazione’ del Machiavelli” consisteva nel “trasformare l’evento determinato, concreto, in un semplice spunto iniziale per salir su, in alto, con la fantasia creatrice, e scorgere in quell’evento un momento particolare, una espressione singola di qualcosa che non è particolare, bensì eterno – l’agire politico”. Mario Martelli ha invece sostenuto che “nel Machiavelli non sussiste una perennemente fresca attitudine a considerare le cose, la realtà, la vita, ricavandone regole sempre nuove e, fino al momento della loro formulazione, non prevedibili (il che avrebbe comportato, se non altro, la necessità di rivedere continuamente il sistema, conciliando il nuovo con il vecchio, o quello sostituendo a questo), ma un non modificabile organismo di formule che può aspettare, al massimo, una conferma della realtà, e che comunque, ove questa conferma manchi, non per questo può essere messo in discussione dagli avvenimenti”.

È vero che Machiavelli interpretava la realtà alla luce di modelli che traeva dalla storia, soprattutto dalla storia di Roma, e immaginava realtà future guidato dalle sue speranze. Lo aveva capito bene Francesco Guicciardini, l’indiscusso maestro di realismo politico, che considerava Niccolò uomo di raro ingegno e spirito, troppo sollecito tuttavia a generalizzare concetti e a interpretare la realtà politica sulla base di modelli tratti dalle storie antiche. (…)

Quando vuol capire perché un principe o un popolo hanno agito in un determinato modo, o come agiranno nell’immediato futuro, Machiavelli non si affida soltanto alle sue teorie sui principi o sui popoli, ma esamina con occhio attento la particolare natura, ovvero le passioni e le convinzioni, di questo o quel principe, di questo o quel popolo. Francesco Vettori gli scriveva, il 12 luglio 1513, che “noi habbiamo a pensare, che ciascuno di questi nostri principi habbia un fine, et perché a noi è impossibile sapere il segreto loro, bisogna lo stimiamo dalle parole, dalle dimostrazioni, et qualche parte ne immaginiamo”. Il 26 agosto spiega a sua volta a Vettori che per capire se la pace durerà o vi sarà nuova guerra bisogna considerare i fini particolari dei principi e soprattutto i loro particolari caratteri:

Et quanto allo stato delle cose del mondo io ne traggo questa conclusione: che noi siamo governati da così fatti principi, che hanno, o per natura o per accidente, queste qualità: noi habbiamo un papa savio, et per questo grave et rispettivo; uno imperadore instabile et vario; un re di Francia sdegnoso et pauroso; un re di Spagna taccagno et avaro; un re di Inghilterra ricco, feroce et cupido di gloria; e Svizzeri, bestiali, vittoriosi et insolenti; noi altri di Italia poveri, ambitiosi et vili; gli altri re, io non li conosco.

All’immaginazione Machiavelli si affida non solo per interpretare le intenzioni dei sovrani, ma anche per disegnare una futura redenzione dell’Italia. E lo fa proprio nel Principe, l’opera che studiosi e lettori hanno per secoli considerato il manifesto del moderno realismo politico. Nel capitolo VI esalta i grandi fondatori di Stati e i redentori di popoli:

Non si maravigli alcuno se, nel parlare che io farò de’ principati al tutto nuovi, e di principe e di stato, io addurrò grandissimi esempli; perché, camminando gli uomini quasi sempre per le vie battute da altri, e procedendo nelle azioni loro con le imitazioni, né si potendo le vie di altri al tutto tenere, né alla virtù di quelli che tu imiti aggiugnere, debbe uno uomo prudente intrare sempre per vie battute da uomini grandi, e quelli che sono stati eccellentissimi imitare, acciò che, se la sua virtù non vi arriva, almeno ne renda qualche odore e fare come gli arcieri prudenti a’ quali parendo el loco dove disegnano ferire troppo lontano, e conoscendo fino a quanto va la virtù del loro arco, pongono la mira assai più alta che il loco destinato, non per aggiugnere con la loro freccia a tanta altezza, ma per potere, con lo aiuto di sì alta mira, pervenire al disegno loro.

Gli esempi che addita sono uomini che “per propria virtù e non per fortuna sono diventati principi, dico che li più eccellenti sono Moisè, Ciro, Romulo, Teseo e simili”. E fra questi il gradino sommo spetta a Mosè, il profeta armato che trovò “il populo d’Isdrael, in Egitto, stiavo e oppresso dagli Egizii” e con l’aiuto di Dio lo condusse alla Terra promessa. Con immaginazione da profeta e da poeta paragona la condizione dell’Italia a quella degli antichi popoli divisi e oppressi e invoca un redentore (…). Come ha notato bene Antonio Gramsci, Machiavelli crea il mito del redentore in grado di guidare il suo popolo in un cammino di liberazione simile a quello dell’Esodo (…). Per chiudere il Principe prende a prestito da Petrarca le parole della profezia della redenzione dell’Italia: “Virtù contro a furore / prenderà l’arme, e fia el combatter corto; / ché l’antico valore / nell’italici cor non è ancor morto”.

Più che descrivere i dettagli della società futura, compito che lascia agli utopisti del suo tempo e dei tempi a venire, vuole insegnare agli italiani ad amare la virtù che regnava nella Roma repubblicana e a detestare “il vizio che ora regna”, come scrive nel Proemio al II libro dei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Dei suoi tempi biasima l’“estrema miseria, infamia e vituperio”, il disprezzo della religione, delle leggi, della disciplina militare; dei tempi antichi, romani, loda i modi seguiti “nello ordinare le republiche, nel mantenere li stati, nel governare e’ regni, nello ordinare la milizia ed amministrare la guerra, nel iudicare e’ sudditi, nello accrescere l’imperio”. (…) Nell’Arte della guerra, la sua ultima grande opera politica, ripropone ancora una volta i princìpi del tempo nuovo: “Onorare e premiare le virtù, non dispregiare la povertà, stimare i modi e gli ordini della disciplina militare, constringere i cittadini ad amare l’uno l’altro, a vivere sanza sètte, a stimare meno il privato che il publico, e altre simili cose che facilmente si potrebbono con questi tempi accompagnare”.

Riteneva che “in tutte le città ed in tutti i popoli sono quegli medesimi desiderii e quelli medesimi omori, e come vi furono sempre”. Se in passato gli italiani avevano dimostrato virtù civile, potevano dunque riscoprirla e con essa riconquistare la libertà e vincere la corruzione. Confortava questa sua visione del futuro, la convinzione che il tratto distintivo dello spirito degli italiani fosse la forza di rinascere. “Questa provincia”, scrive ancora nell’Arte della guerra, “pare nata per risuscitare le cose morte, come si è visto della poesia, della pittura e della scultura”.

 

Dalla gallina al “corona pass”

Si dice che la tv generalista conta sempre meno; ma prendete il caso di Mauro Corona, alpigiano antelucano che viveva nascosto al mondo, nell’ombra nel suo romitaggio; un bel giorno viene invitato in tv da Daria Bignardi, lei gli offre una birra e dalla pozione magica inizia la trasformazione del rustico scrittore in popstar di successo. Artista, attivista, bestsellerista, opinionista conteso affinché dica una sua parola su ogni tema dello scibile. Ospite fisso su Rai3 in collegamento dalle malghe, un bel giorno dice “Zitta, gallina!” a Bianca Berlinguer e viene licenziato in tronco (da anni Sgarbi dice “Capra!” a chiunque, ma nessuno ci fa caso; si vede che le capre sono considerate delle intellettuali).

Da quel momento, la sua cacciata diventa un caso nazionale; su metà dei talk si discute se sia giusto allontanarlo o riammetterlo, magari col tampone, e nel frattempo l’altra metà dei talk lo ospita. Martedì è tornato dall’esilio a #Cartabianca. Dopo il Green pass, finalmente abbiamo anche il Corona Pass; e, certo, sembrava un altro uomo. Gentile, flautato, in smoking e papillon, pronto per presentare il Festival di Sanremo. Ha una parola buona per tutti, pura narrazione positiva come prescritto dal dg di Viale Mazzini, Carlo Fuortes; pubblicizza il libro di Oscar Farinetti che nemmeno Fabio Fazio. Poi, le citazioni. Il solito Bukowski cede il passo a Leopardi – “Passata è la tempesta…” –, una vera estasi per Hugo von Hofmannsthal, là dove non aveva mai osato nemmeno Calasso, seppure ospite di Fazio. Invece Corona Pass lo cita e ricita per mostrarsi romantico come non mai con Bianca. Chi dei due sarà il primo a far visita all’altro? Andrà prima lei su per i bricchi, o sarà lui a calarsi nella metropoli tentacolare? C’è già un nuovo caso nazionale all’orizzonte. Nel frattempo, Corona cita il Cavaliere della Rosa, e bisognava vedere con quale attonita preoccupazione lo guardava lei. Altro che gallina. Hofmannsthal non glielo aveva mai detto nessuno.

E la mazzetta va in infermeria

Giorni difficili a Criminopoli: ben 14 giorni senza un solo indagato per corruzione. Nell’intero 2021 non era mai capitato. A sbloccare la situazione, a farci comprendere che a Criminopoli c’è ancora vita, sono stati Mariagiuliana Fazio e Domenico Chiera. La prima è una dirigente dell’Azienda sanitaria di Messina. Il secondo è il direttore della clinica Cure ortopediche traumatologiche. Entrambi indagati per corruzione – notizia di ieri – vincono il premio “mazzetta della settimana” (che sarà revocato in caso di archiviazione o assoluzione) anche per assenza di concorrenti. Per l’accusa, Fazio ometteva di fare i dovuti controlli sulla congruenza delle cartelle cliniche e in cambio otteneva una utilità per una terza persona: l’assunzione a tempo determinato di un infermiere. Gli indagati per corruzione nel 2021 salgono a 402 mentre quelli per reati legati alla mafia sono 1.485. Ah, lo Stato non cattura Matteo Messina Denaro da 10.252 giorni.

Dpcm, crolla un’altra balla contro Conte: che ne dirà Cassese?

Mes, Reddito di cittadinanza, Dpcm: otto mesi dopo la nascita del governo Draghi, l’osservatore onesto dovrebbe ammettere che nel 2020, durante la prima fase della pandemia, i giornali, i commentatori e i politici si sono resi protagonisti solo di dibattiti privi di senso. O meglio di dibattiti che, come spesso accade in Italia, non scaturivano dalla logica o dall’ideologia (sempre legittima in democrazia), ma solo dalla necessità di dire l’esatto contrario rispetto all’avversario del momento. In quel caso, l’esecutivo Conte-2.

Ad archiviare le richieste di fare altro debito (il Mes) per finanziare una sanità il cui problema non era l’assenza di fondi, subito stanziati, ma semmai l’incapacità di spenderli, è stato Mario Draghi, un uomo a cui si può dire di tutto tranne che non capisca di finanza e di bilanci. E sempre Draghi si è poi ritrovato ad affermare un’altra ovvietà che ha placato i media e buona parte della politica: in un Paese civile, i soldi ai poveri vanno dati. Ora è il turno della Corte costituzionale. Ieri la Consulta ha posto fine a un’altra discussione utile solo per esacerbare gli animi degli italiani, già messi a dura prova dalla pandemia: quella sui famigerati Dpcm.

I decreti della Presidenza del Consiglio dei ministri, emanati d’urgenza da Palazzo Chigi per fronteggiare il repentino evolversi della situazione sanitaria, non erano uno “scandalo incostituzionale” come sosteneva Matteo Renzi e non erano nemmeno “un golpe giuridico” come affermava la Lega. Erano semplicemente quello che sono sempre stati i decreti ministeriali: degli atti amministrativi utili per attuare ciò che è stato stabilito tramite una legge o un decreto legge.

La decisione della Corte, nella sua ovvietà, servirà dunque a spegnere le residue polemiche (che tra l’altro, a dimostrazione di quanto fossero strumentali, si erano già ridotte non appena nella scorsa primavera l’esecutivo Draghi ne aveva adottato uno). Noi, però, da inguaribili ottimisti, speriamo che la sentenza faccia di più. Che spinga tv e giornali a smettere di trattare il giurista Sabino Cassese come una sorta di oracolo di Delfi. Perché ascoltare l’opinione di Cassese va bene, visto che si tratta di un giudice emerito della Consulta. Trasformarlo nell’unico depositario della verità no. Se non altro perché, all’epoca delle polemiche più dure, presidenti emeriti della Consulta come Gustavo Zagrebelsky la pensavano in maniera diametralmente opposta alla sua. Così, se Cassese affermava sicuro “Prima o poi anche la Consulta boccerà le misure anti-Covid del governo Conte (…) allora si riconoscerà che i Dpcm sono illegali”, si faceva la ola in mezzo Parlamento e su buona parte della stampa. Ma se Zagrebelsky ribatteva “il governo non ha usurpato poteri che non gli fossero stati concessi dal Parlamento”, poco mancava che venisse trattato da vecchio rincoglionito.

Certo, lo sappiamo. In democrazia si sceglie anche in base alla simpatia o all’antipatia, si vota pensando ai propri interessi o per semplice tifo. Oggi che al governo ci sono dentro tutti e che sopratutto a palazzo Chigi siede un premier invocato per mesi e mesi da editori, banche e industriali in pochi notano come si proceda a ritmi record di decreti legge e voti di fiducia. Ma sebbene ci venga un po’ da sorridere pensando alla maggioranza bulgara di cui dispone il nuovo premier, non ci sogneremmo mai di gridare alla “deriva autoritaria” come faceva fino allo scorso anno Forza Italia. Perché finché un esecutivo ha i voti e rispetta la costituzione quello che fa, anche se non piace, non si chiama golpe, ma governare.

 

La priorità dei reati: la legge così non è più uguale per tutti

La riforma del processo penale appena approvata, col prevedere che i criteri di priorità per la trattazione dei procedimenti siano individuati dalle Procure nell’ambito dei criteri generali indicati con legge del Parlamento, ha sterilizzato il principio di obbligatorietà dell’azione penale fissato nell’art. 112 Cost. a tutela dell’eguaglianza dei cittadini e della indipendenza della magistratura e dato formalmente vita a un diritto penale diseguale.

La modulazione delle indicazioni del Parlamento da parte dei procuratori della Repubblica non attenua le ragioni di preoccupazione. Anche se da tempo la mole delle denunce e la farraginosità dei meccanismi processuali hanno portato di fatto vari uffici ad accantonare una parte dei procedimenti lasciandoli prescrivere, la predisposizione della “gerarchia” dei reati da parte del potere esecutivo comporta il concreto rischio di distorsioni ancora maggiori. È facile previsione che i reati che coinvolgono interessi forti verranno sistematicamente posposti a quelli che attentano al patrimonio individuale, di lesività ben minore ma più immediatamente percepibili dai cittadini, assicurando così l’impunità dei delitti commessi dalle élite politiche ed economiche. Basta infatti imporre di perseguire in via prioritaria alcuni delitti che già da soli esauriscono la capacità di risposta del sistema penale (si pensi a illeciti ad ampia diffusività, come i furti, le truffe o lo spaccio di stupefacenti) per evitare che finiscano nella aule dei tribunali i responsabili di corruzione, evasione fiscale, inquinamento ambientale.

In ogni caso, l’idea di individuare in astratto categorie di reati meritevoli di una repressione accelerata è fallace già in partenza. Tolti alcuni delitti sempre e obiettivamente gravi, come gli omicidi, per la maggior parte degli illeciti la gravità va rapportata alla entità del danno. Ciò è particolarmente evidente nei reati che attentano al patrimonio, privato o pubblico che sia: la truffa milionaria ai danni di ingenui investitori non ha nulla a che vedere con quella da poche centinaia di euro commessa via Internet, la bancarotta di un piccolo imprenditore che ha cercato fino all’ultimo di salvare la propria azienda è molto meno riprovevole di quella del grande industriale che ha arraffato tutto il possibile mettendo in conto fin dall’inizio il fallimento. Una indicazione della priorità dei reati fatta per tipologie impedirà di distinguere fra gli episodi, costringendo a istruire e mandare a giudizio reati di fatto bagatellari prima di altri ben più allarmanti.

Ancora, chi controllerà che sia rispettato nella trattazione dei procedimenti l’ordine fissato dai Procuratori? E quali saranno le sanzioni se un procedimento dovesse viaggiare a una velocità diversa da quella prevista (prima di altri che dovrebbero precederlo o dopo altri che avrebbero dovuto essere posticipati)? Difficile immaginare illeciti disciplinari a carico dei pubblici ministeri, che dovranno fare i conti con la complessità investigativa della vicenda e con il numero degli indagati e delle persone offese. Tanto più che, non senza ipocrisia, la riforma appena varata, confermando la previsione già esistente ma disapplicata, impone al pubblico ministero di definire entro tre mesi dalla conclusione delle indagini i procedimenti, in un modo o nell’altro.

Per fare fronte all’imbuto che si è creato, per la difficoltà dei tribunali di definire in tempi ragionevoli tutti procedimenti che arrivano a giudizio, si sarebbe dovuto procedere a una revisione radicale delle regole processuali. In ogni caso, la selezione dei reati andrebbe fatta non a monte, ma a valle: solo il tribunale infatti può svolgere correttamente una funzione di filtro, valutando comparativamente tutte le richieste di fissazione dei processi e privilegiando quelle che hanno per oggetto reati di maggiore spessore criminale. Altrimenti l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge resta solo come feticcio.

 

Bianchi crea le regole a rotelle per la scuola

Dopo i tanto vituperati banchi, col ministro Bianchi sono arrivate le regole a rotelle: mobili, duttili, spostabili, sfuggenti. Nel senso che se le regole essenziali per il contenimento del Covid si rivelano un ostacolo per la propaganda di un governo che annuncia una scuola in presenza senza se e senza ma, allora sono le regole a doversi fare da parte. Così, l’ultimo aggiornamento delle Domande frequenti del ministero dell’Istruzione in tema di Organizzazione dell’attività scolastica trasferisce su rotelle un pilastro della lotta alla pandemia, quello del distanziamento: “È necessario mantenere sempre la distanza interpersonale di almeno un metro? A scuola è sempre raccomandato il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, salvo ove le condizioni strutturali-logistiche degli edifici non lo consentano”. Un obbligo flessibile, insomma: che è come dire che bisogna lavarsi le mani salvo che il bagno sia occupato, che bisogna indossare la mascherina salvo che il naso sia troppo lungo, che si deve stare a casa salvo che si debba uscire…

Oltre al danno, la beffa: le “condizioni strutturali-logistiche degli edifici” sono esattamente ciò di cui Bianchi e il suo governo avrebbero dovuto occuparsi (insieme a quelle dei trasporti pubblici, della numerosità delle classi, dei tempi e dei modi di assegnazione delle cattedre…). Ma non avendo invece fatto – come avrebbe detto il Commissario Montalbano – “una beneamata minchia”, ora tocca cambiare le regole. Come quando si innalzano i livelli di tolleranza per i pesticidi nelle acque o delle polveri sottili nell’aria: o come quando non si riesce a cambiare politica, e allora si scioglie il popolo (Brecht). Si potrebbe amaramente sorriderne, ma è una svolta grave, sul piano educativo e su quello sanitario.

Sul primo, perché getta al vento una campagna di un anno e mezzo e certifica che le regole si possono violare quando fa comodo: i ragazzi rischiano di imparare la peggiore delle lezioni, e cioè che nessuno sopra di loro crede davvero nella serietà, nel rigore, nella coerenza. Conosco personalmente istituti scolastici che hanno sede in antichi edifici con piccole aule, che hanno finora fatto salti mortali (nella più completa solitudine istituzionale) per garantire la sicurezza: adottando turni, rotazioni di piccole parti delle classi in aule dotate di circuito chiuso, o altri stratagemmi. Molta fatica, ma premiata dall’assenza di focolai: i contagi degli allievi sono tutti avvenuti fuori da queste scuole. Ma ora la retorica dolciastra del ministro Bianchi – che vende una “scuola affettuosa”: così affettuosa da potercisi stringere, tutti insieme appassionatamente – e il fanatismo di alcune associazioni di genitori che mettono alla berlina i dirigenti scolastici più attenti alla sicurezza, stanno portando a un negazionismo di fatto: e già è nell’aria l’abolizione delle mascherine in classe.

Una specie di bomba libera tutti, insomma: ma siamo ben lungi dall’uscita dal tunnel. La situazione drammatica della scuola inglese, dove il distanziamento non è stato adottato, è eloquente: la scorsa settimana 100.000 studenti britannici sono stati assenti perché contagiati. Da noi, quasi un milione e mezzo dei ragazzi tra 12 e 19 anni deve ancora fare la prima dose di vaccino, mentre i sei milioni di bambini fino a 12 anni rappresentano una prateria aperta al Covid. In questo contesto, l’abolizione del distanziamento è doppiamente un boomerang: per la salute, ma anche per la stessa scuola in presenza, giacché impedisce quarantene mirate al cerchio stretto, e rischia di far saltare ogni volta intere classi. I risultati di questa riapertura con le regole a rotelle sono già evidenti: 800 ragazzi già a casa a Torino, 41 classi in quarantena a Firenze, e così via.

Come ha ricordato proprio ieri Nino Cartabellotta: “A fronte delle evidenze scientifiche, il mondo reale della scuola si ritrova all’inizio del nuovo anno scolastico senza una strategia di screening sistematico di personale e studenti, con regole sul distanziamento derogabili in presenza di limiti logistici e senza interventi sistematici su aerazione e ventilazione delle aule, né sulla gestione dei trasporti. E la vaccinazione di personale e studenti, seppur indispensabile, non è sufficiente per arginare la diffusione del virus e scongiurare la Dad, in particolare nelle scuole primarie”.

All’inizio ci siamo illusi che il Covid potesse cambiarci in meglio, ma ci siamo ben presto resi conto che invece sta tirando fuori il peggio di una società già malata per conto suo. E così il Pnrr non ci servirà a rifare le scuole e il trasporto pubblico urbano, ma a sigillare ancora suolo, a cementificare, a finanziare una crescita che ci uccide. Tanto ci sarà sempre un ministro disposto a cambiare le regole giuste pur di non cambiare un Paese ingiusto.

 

Posta della settimana: il green pass negato e lo show di Cattelan

E ora, per la serie “Patta a patta”, la posta della settimana.

Caro Daniele, mi sono vaccinata in Italia durante le vacanze, ma essendo residente all’estero non mi danno il Green pass. Aiuto! (Monica Belletti, Ivrea)

Sono nella tua stessa condizione, e purtroppo non siamo i soli: un migliaio di residenti all’estero, dunque iscritti all’Aire dei nostri Comuni, se si sono vaccinati in Italia adesso sono nel limbo dei vaccinati senza Green pass. Il bug del sistema è la tessera sanitaria: chi risiede all’estero non ce l’ha, ma la tessera sanitaria non è necessaria per vaccinarsi, basta un documento d’identità e il codice fiscale. Fra i dati raccolti al momento della vaccinazione, c’è inoltre il proprio numero di cellulare e il proprio indirizzo email. Dovrebbe essere sufficiente per ricevere l’authcode e il Green pass, ma non è così. Allora vai in farmacia per vedere se il sistema, che non sta comunicando con te, ti ha assegnato l’authcode, nel qual caso la farmacia potrebbe rilasciarti il Green pass. MA LA FARMACIA, SENZA IL TUO NUMERO DI TESSERA SANITARIA, NON PUÒ ENTRARE NEL SISTEMA. Faccio dunque un appello a Sua Eccellenza il ministro Speranza, il miglior Ministro della Salute dal Regno d’Italia a oggi (spero sia sensibile alla piaggeria iperbolica come lo sono tutti, una volta diventati ministri) affinché si occupi di questo problemino, che i tecnici informatici del ministero, noti per essere hacker talmente bravi che vi si ispirarono i fratelli Wachowski per il personaggio di Cypher in Matrix, sapranno risolvere in un battibaleno. Certo, prima il ministro Speranza dovrà spiegargli cos’è un battibaleno, ma so che è di ottime letture, dunque non avrà difficoltà a renderli edotti. In sintesi, una farmacia deve poter accedere al sistema anche tramite il codice fiscale della persona vaccinata. Il piano di vaccinazione nazionale coordinato da Sua Meraviglia Reverendissima il generale Figliuolo è, diciamolo una buona volta, un trionfo che il mondo ci invidia. Non roviniamolo con una stupidaggine simile. Siamo vaccinati: dateci il Green pass, teste di cazzo. I giornali scrivono che il nuovo programma di Cattelan, Da Grande, è un flop. Ma ha fatto il 12% di share. Non mi sembra poco. (Simone Ussia, Cagliari) Per l’ennesima volta: il successo di un programma tv è indicato da due resti che nessun critico tv considera mai, mentre sono gli unici che premono davvero alle emittenti. Il primo è la differenza fra lo share Ottenuto e lo share della Rete in quello stesso slot orario (chiamiamolo “indice OR”). L’altro è la differenza fra share Atteso (quello venduto ai pubblicitari) e share Ottenuto (“indice AO”). Gli spazi pubblicitari, infatti, vengono venduti PRIMA della prima puntata sulla base di share ipotizzati, salvo aggiustamenti in corso d’opera, dato che, se gli ascolti saranno inferiori al previsto, gli inserzionisti non sono affatto contenti (stanno pagando troppo la loro pubblicità). Critici tv e siti web si limitano invece a confrontare gli share dei programmi. In questo modo, i vincitori di una serata sono spesso fasulli. Per loro, uno show che fa il 7% vince su uno show dirimpettaio che fa il 5%. Ma se il primo aveva uno share atteso del 10%, e il secondo del 2%, è il secondo, col suo 3% in più rispetto al previsto, ad avere avuto successo. Pertanto, le tre domande che i giornalisti dovrebbero fare sempre a dirigenti e produttori tv, nelle interviste di rito, sono: “Qual era lo share atteso che avete venduto ai pubblicitari? Qual era lo share della rete nello stesso slot? Qual è lo share ottenuto dal programma?”. Solo a questo punto un critico tv può trarre conclusioni significative, sennò la sua è solo aria fritta. Che su Rai1, comunque, arriva a fare il 12% di share. Non è poco: è avvilente.

 

Mail box

 

 

Il voto dei cittadini ormai è fatto per essere tradito

Caro Travaglio, gli elettori in Italia contano come il due di coppe quando regna bastoni! Quando per miracolo mandano in Parlamento una nuova compagine qualificatasi come “antisistema”, dopo poco tempo la ritrovano anch’essa inquinata dalla comodità delle poltrone e dai privilegi dei favori riservati a questi “particolari cittadini” chiamati parlamentari e nella stessa condizione si ritrovano anche se non vanno a votare, lasciando campo libero, come dice lei, agli amici degli amici! Deduco quindi che non andare a votare, in mancanza di una successiva partecipazione dell’elettore al controllo, sia una scelta sensata e dia indicazione alla “politica” (che comunque se ne fotte altamente) del disgusto dei cittadini verso chi tradisce costantemente le promesse elettorali . E per favore lasci da parte il concetto (tanto caro alla pseudo-sinistra nostrana) che chi non vota fa il gioco della destra: il gioco della destra lo fa chi non fa le cose di sinistra, ma prende i voti in nome di cose di sinistra!

Raffaele Fabbrocino

 

Caro Fabbrocino, l’astensione degli elettori liberi è proprio il sogno di lorsignori.

M. Trav.

 

Tfm, Laricchia (M5S) da sola contro i privilegi

Il Consiglio regionale pugliese si appresta ad abolire, alla unanimità, l’introduzione del Tfm (Trattamento di fine mandato) approvato sempre all’unanimità da tutti i consiglieri regionali con l’unico voto contrario di Antonella Laricchia (M5S). Il centrodestra è stato il primo a presentare la mozione di abolizione a cui sono succeduti Pd e M5S su invito rispettivamente di Letta e di Conte (nota per la sig.ra Lucarelli) che ne sconsigliavano l’approvazione… Ora spero che il mio giornale di riferimento finalmente restituisca dignità alla sig.ra Laricchia per tutto ciò che ha subìto e una richiesta di vergognarsi ai consiglieri regionali del M5S che ne avevano giustificato il ripristino.

Michele Lenti

 

Caro Michele, ho criticato la Laricchia quando ritenevo che avesse torto. In questo caso la applaudo perché ritengo che abbia ragione.

M. Trav.

 

Vaccini, no indennizzo se hai degli effetti avversi

Nella stucchevole contrapposizione di opinioni dei No Pass o Sì Pass si evita sistematicamente la ciccia dei discorso. Il governo si è lavato le mani su eventuali effetti avversi al vaccino. Negli Usa per i vaccini obbligatori per l’età pediatrica è previsto un indennizzo in questi casi. Ma nel caso mai succedesse una disgrazia al genitore che porta a casa lo stipendio in una famiglia monoreddito si dovrebbe intraprendere il percorso a ostacoli per ottenere la 104 insufficiente per le spese, o zero euro in caso di morte. Se la comunità ottiene risparmi nella sanità e aumento nella produttività economica perché non vuole accollarsi anche le conseguenze di eventuali avversità dovute ai vaccini che possono capitare agli incapienti?

Michele Putignano

 

Sicilia: partiti politici tra riciclati e trasformisti

Volevo certificare il mio disappunto su quanto sta per accadere in Sicilia in merito alle alleanze politiche. Da una parte, la possibilità di riesumare personaggi appartenenti al passato che, come il noto “iscariota di Rignano”, avevano lasciato intendere di aver chiuso con la politica (vedi Cuffaro). Dall’altra, la memoria corta dei miei conterranei che sino a ieri venivano offesi e denigrati dai politicanti della Lega e che adesso, ivi inclusi gente che salta da un banco all’altro, quasi con toni speranzosi e trionfalistici, affermano di seguire Salvini. Mala tempora currunt.

Vincenzo Alaimo

 

Ponte Morandi, scandalo per il Consiglio regionale

Da ligure trovo scandaloso che il Consiglio regionale si rifiuti di costituirsi parte civile nel processo per il crollo del ponte Morandi. Decisione che offende le 43 vittime e i loro familiari, e conferma ulteriormente il legame indissolubile tra politica e finanza deviata.

Cesare Depaulis

 

Conte reagisca contro le “schiforme” del governo

Leggo sul vostro giornale che è passata la schiforma Cartabia e che Confindustria è molto contenta del governo Draghi, ma chiede altri soldi per fare, a modo suo, la transizione economica, più che ecologica… Libertà di licenziamento e no a Rdc e Quota 100! E i Cinquestelle muti e sordi! Se Conte pensa di aspettare un anno e mezzo per dire basta e per organizzare qualcosa di sinistra, nel frattempo saranno arrivati davvero i generali alla Pinochet!

Andrea Pellizzari

 

Diritto di replica

L’articolo dal titolo “Rincari, il governo temporeggia. L’idea di tassare i big energetici”, contiene ipotesi senza fondamento. Il ministero della Transizione ecologica e gli altri ministeri interessati sono al lavoro, in sintonia, per mitigare gli effetti dei rincari dei prezzi dell’energia su famiglie e imprese.

Ufficio Stampa Mite

 

Prendiamo atto della precisazione e della celerità con cui il ministro smentisce l’attribuzione di una delle ipotesi che, finalmente, avrebbe potuto dimostrare lungimiranza e attenzione all’ambiente anche da parte di un governo così tanto “in sintonia”…

Vds e Pdr

Covid. Macché Grande Fratello: le vere “invasioni” sono altrove

 

 

Si parla tanto di estensione del Green pass, ma mai di quando verrà tolto: secondo voi è destinato a rimanere? In fondo lo Stato in questo modo può, con una semplice app di verifica e senza assumere un solo poliziotto, registra la posizione in tempo reale di ogni cittadino che si reca in un bar, ristorante, all’università, che prende un treno, etc. Inoltre raccogliendo tutte queste informazioni, con del semplice data-mining, può profilare milioni di italiani, conoscere le loro abitudini, incrociare i dati per sapere con chi si incontrano e quando… una vera miniera di informazioni per un Grande Fratello. Per fortuna viviamo in una democrazia e il governo deve rendere conto di quello che fa agli elettori, vero?

Giorgio

 

Gentile Giorgio,le sue preoccupazioni sono quanto mai fondate se si considera che sì, siamo in una epoca di ultra-connessione digitale e tentativi di monitoraggio più o meno evidente da parte degli apparati statali e anche di privati a cui interessa arrivare pure a prevedere con largo anticipo ciò che penseremo. La buona notizia, però, nel caso del Green pass non è solo legata alla democrazia ma anche alla presenza di regole europee e vigilanti italiani (come il Garante della Privacy) che assicurano non vengano utilizzati e registrati più dati di quelli strettamente necessari alla finalità per cui si crea una nuova applicazione. Questo, nello specifico, significa che il Green pass di per sé non traccia i cittadini (è infatti possibile mostrarlo anche cartaceo) e neanche lo fa la app sviluppata per controllarli, che si chiama “VerificaC19” e che il garante stesso ha indicato come l’unica a prova di privacy. L’app consente di leggere il QR code e mostra al verificatore solo autenticità e validità della certificazione, nonché nome, cognome e data di nascita. Non registra nel dispositivo i dati né li spedisce da altre parti. Semplificando tantissimo, possiamo dire che la app scarica da una piattaforma nazionale le chiavi “di controllo” e verifica ci sia corrispondenza. L’unica criticità potrebbe nascere nel caso di app di verifica realizzate da terzi (ad esempio da altri Paesi). In quel caso, potrebbero permanere le informazioni che sono sul Green pass (quindi nome, cognome e nascita). Il tracciamento avrebbe bisogno di un incrocio di dati molto più complesso.

Virginia Della Sala