Colle: Draghi o Mattarella bis? Non si scherza con la Carta

Ha fatto bene Valerio Onida a richiamare alcuni capisaldi del nostro sistema costituzionale per lo più ignorati dalla discussione prematuramente avviata intorno al prossimo passaggio al Quirinale. Una discussione già viziata in radice da un eccesso di personalizzazione, come se tutto potesse essere ridotto al destino di due pur autorevoli protagonisti: Mattarella e Draghi. Per tacere del malcelato (e assai incerto) calcolo delle convenienze dei partiti con specifico riguardo alla data delle elezioni politiche.

Nell’ordine. Primo: le elezioni politiche sono previste per il 2023. Inopportuno strologare su altre date. Secondo: la Costituzione non contempla il divieto di un secondo mandato del presidente della Repubblica, ma di sicuro non lo incoraggia, come si evince dal cosiddetto semestre bianco e dai sette, lunghi anni del suo mandato. Sette anni, appunto, e non un mandato a termine, tantomeno negoziato o comunque preordinato. Come si conviene alla più alta istituzione di garanzia cui giova la stabilità, che i Costituenti hanno voluto anche a scavalco delle consultazioni politiche. Terzo: sì, vi è stato un precedente, quello del bis di Napolitano, ma esso semmai avvalora la tesi di chi lo sconsiglia. Sia per la congiuntura eccezionalmente critica che l’ha prodotto. Sia per il controverso bilancio di un secondo mandato contraddistinto da un suo esercizio spintosi al limite estremo delle prerogative del Quirinale. Quasi da dominus della vita politica. Quarto: nulla da eccepire su una eventuale, immediata ascesa di Draghi al Quirinale. L’uomo ne ha i titoli, sarà pure fungibile, l’importante è preservare la ferma consapevolezza della profonda differenza di natura e funzioni delle due alte cariche – capo dello Stato e premier – designate nella Carta.

Vi è invece chi propugna la continuità di una premiership di Draghi a valle delle prossime elezioni politiche. Un po’ troppo per un esecutivo figlio di uno stato di necessità. Anche chi apprezza l’esecutivo in carica dovrebbe considerare la sua configurazione eccezionale, quella di un governo – Mattarella dixit – privo di una sua “formula politica”. Non è inutile rammentarlo: la regola costituzionale contempla che, in una democrazia parlamentare, i governi siano espressione di maggioranze che si formano in parlamento – e il prossimo ancora non lo conosciamo – e che, comunque, di regola, esse (maggioranze) a loro volta attingano la loro legittimazione dal voto degli elettori. I quali devono pur contare qualcosa. Proprio il presidente della Repubblica, chiunque egli sarà, all’atto del conferimento dell’incarico al primo ministro, avrà il dovere di considerare la volontà espressa nel voto dai cittadini. In breve: chi fa troppi calcoli prenotando i posti fa i conti senza l’oste (gli elettori).

D’accordo, siamo dentro una congiuntura speciale, ma sarebbe bene che chi ha una sensibilità democratico-costituzionale, anziché sollevare polveroni su una inesistente dittatura sanitaria, vigilasse piuttosto su eventuali torsioni nel rapporto tra corpo elettorale e organi costituzionali: parlamento, governo, presidenza della Repubblica. I cultori del “gollismo de noantri” possono attendere. Un mutamento della forma di governo in senso semipresidenziale non può essere praticato a Costituzione vigente.

 

Sul “gender astratto” ha ragione (piena) il papa

In un incontro coi gesuiti slovacchi in occasione del suo ultimo viaggio pastorale, Papa Francesco ha pronunciato un discorso, riportato da Antonio Spadaro su La Civiltà Cattolica, che contiene una frase molto rilevante dal punto di vista etico e antropologico.

Questa: “La ideologia del ‘gender’… è pericolosa. Lo è perché è astratta rispetto alla vita concreta di una persona, come se una persona potesse decidere astrattamente a piacimento se e quando essere uomo o donna”.

Il Papa ha ribadito la sua nota contrarietà alla “colonizzazione ideologica” sul genere, ciò che in passato aveva chiamato “l’indottrinamento della teoria gender” (secondo un cortocircuito, per la destra ultracattolica Bergoglio farebbe invece parte di un nuovo ordine mondiale che propugna il gender come progetto anti-umano. Carlo Freccero, in una intervista al Foglio, fa sua questa convinzione).

Ha poi aggiunto: “L’astrazione per me è sempre un problema. Questo non ha nulla a che fare con la questione omosessuale. Quando parlo dell’ideologia, parlo dell’idea, dell’astrazione per cui tutto è possibile, non della vita concreta delle persone”.

Da un punto di vista radicalmente laico e di sinistra, siamo d’accordo col Papa. Sgombriamo subito il campo da equivoci: speriamo che la legge Zan – che ha al suo centro il concetto di identità di genere – passi, perché se non passa sarà una vittoria della destra tradizionalista e del cinico ostracismo del partito di destra Italia viva. Allo stesso tempo, ci permettiamo qualche considerazione.

I Gender Studies anglosassoni hanno avuto il merito dagli anni 70 del Novecento in poi di costringere il discorso pubblico a uscire dagli steccati del dualismo biologico per fotografare tutta la realtà vitale degli orientamenti e delle identità, tanto che per alcune “scuole” oggi esistono 31 generi sessuali. Nei campus americani, liberali e paradossalmente inclini alla censura e alla sessuofobia, chi di generi ne riconosce meno di 15 può esser tacciato di razzismo. La teoria è diventata un dogma, a dispetto della sua ispirazione libertaria. In questo quadro rientra l’accento sull’“identità fluida”: se è vero che esistono persone che si sentono neutre, o che non vogliono definirsi in un nessun genere, o sono in transizione da un genere a un altro, quando dall’accademia si passa alla politica il passo non è mai fluido, né neutro. L’identità fluida può diventare, sotto la scure legalitaria, nessuna identità. Questo è anti-umano, omogeneizza le differenze e costringe a un relativismo mortifero e a tratti misogino (la scrittrice J.K. Rowling è stata marchiata come omofoba e transfoba per aver detto che le femmine esistono e hanno le mestruazioni). La domanda è: esiste un discrimine tra il tutelare le persone dalle discriminazioni lavorative ricevute a causa della loro identità di genere e il regolare per legge, sulla base di una “teoria”, cioè di un insieme di leggi incontestabili (come quelle fisiche), qualcosa che pertiene ai movimenti delicati e ineffabili della vita umana? Non sappiamo se va contro il progetto divino, come dice il Papa, ma certo l’astrazione cristallizza la vita. La legge Zan prevede – oltre al sesso, al genere e all’orientamento sessuale – l’identità di genere, cioè “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”. Ma, per esempio: se a un posto di lavoro riservato a operaie si candida una persona che si sente donna e che – pur senza aver fatto il passaggio da uomo a donna – vuole che la legge la riconosca come tale, è giusto che abbia il posto avendo dalla sua un curriculum più qualificato e una superiore forza fisica rispetto a una donna? O sarebbe discriminatorio non assumerla?

Come ha scritto Franco Berardi “Bifo”, studioso e agitatore mentale, mentre rapporti sociali si fanno sempre più feroci la politica pensa a punire una fobia.

Creando nuovi diritti civili, che sono a costo zero (basta una multa comminata a chi usa un linguaggio non rispettoso dell’identità di genere), la sinistra tralascia di curare quelli sociali (lavoro, istruzione, sanità, pensioni), a erodere i quali collabora proficuamente da anni con le destre neoliberali. I rapporti sociali sono violenti non perché ci sono in giro gli omo-transfobi, ma perché la politica miserabile ha distrutto la solidarietà sociale e promosso il “merito” e la competitività. Dovrebbe insospettirci che a sponsorizzare la fluidificazione di genere a beneficio della nostra libertà sia il capitalismo, che si è mostrato pronto a riposizionarsi, e con la sua industria anche culturale sforna prodotti fluidi e no-gender adatti a tutte le identità di genere (tutto è possibile, dice il feticismo della merce, tutto è a misura del tuo desiderio), mentre abbiamo bisogno di una legge che ci riconosca il diritto di essere come siamo.

 

BurocratiI ministri si scelgono lo staff e accordano gli aumenti

Buongiorno, ho letto sul Fatto qualche giorno fa che il capo di gabinetto del ministro Brunetta (Panucci) ha aumentato il suo stipendio, raggiungendo la considerevole somma di 200 mila euro. Gradirei sapere chi decide gli stipendi di questi signori e chi li avalla. Sono soldi del popolo che tira la carretta con stipendi da fame e con contratti a tempo determinato, che non consentono la nascita di un figlio e/o l’acquisto di un’auto o una casa? Nessuna banca concede un mutuo senza la garanzia di un posto sicuro e durevole.

Sergio Faranda

 

Gentile Faranda, chi ricopre questi ruoli lavora a stretto contatto con il ministro di riferimento e spesso – volendo volgarizzare la questione – detiene un potere persino superiore al politico di turno. Il caso dell’aumento a Marcella Panucci, raccontato su queste pagine da Ilaria Proietti, è senza dubbio appariscente: la dirigente è passata da un compenso di 145 mila euro a uno di 200 mila. Merito in questo caso di Renato Brunetta, che come gli altri ministri decide sugli incarichi di fiducia al suo ministero e accorda eventuali aumenti di compenso. In questo caso, sorprende come sia schizzata l’indennità per diretta collaborazione, salita di quasi 60 mila euro a fronte di una parte fissa rimasta invariata. Segno che lavorare fianco a fianco con Brunetta è considerato mestiere usurante persino al ministero.

Al di là dell’episodio specifico, è bene comunque ricordare che la pratica è diffusa: ciascun ministro si affida a burocrati ben pagati che spesso, pur essendo tecnici, finiscono per diventare “in quota” di un certo partito. La ministra di Iv, Elena Bonetti, per esempio, ha chiamato come consigliere giuridico Antonella Manzione, già nello staff dell’altra renziana Teresa Bellanova (allora in forma gratuita) e prima ancora a Palazzo Chigi con Matteo Renzi.

Lorenzo Giarelli

Mail Box

 

Conte piace per i toni diversi dalla propaganda

Dopo aver letto gli articoli, ho qualcosa da dire alla signora Selvaggia Lucarelli e ai signori Antonello Caporale e Peter Gomez. Pur rinnovando a tutti e tre la mia stima, non condivido le loro osservazioni riguardo allo “stile” politico del presidente Conte. Lucarelli dice: “…finisce di parlare e non sai che ha detto”; Gomez lo definisce “evasivo, quasi sgusciante” come il democristiano Forlani e ancora, rincarando la dose, “i contenuti non ci sono… o non si vedono”. Caporale sostiene che “il discorso pubblico di Conte è inodore e insapore. Non c’è una direzione di marcia, né un’idea forte di società”, ma allo stesso tempo si domanda perché sia l’unico a riempire le piazze. Be’, io una risposta ce l’avrei: la gente è stufa di propaganda, di polemiche urlate, di chiacchiere vuote e inconcludenti che non cambiano di una virgola una realtà che è sempre più pesante da sopportare. Ecco, Conte nei due anni del suo governo, in un momento terribile per l’Italia e il mondo intero, ha ridato fiducia a tanta gente, fa ancora sperare in un Paese migliore. E la fiducia se l’è conquistata sul campo, coi fatti, perché i contenuti ci sono, basta saper ascoltare e non vedo nessun “ecumenismo” nel suo fare politica. Forse anche voi giornalisti, checché ne diciate, vi siete abituati a toni troppo alti per apprezzare chi non fa parte di questa canea.

Bennelli Letizia

 

Onu, Biden e l’ipocrisia del suo discorso pacifista

Alla 76esima Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente Biden ha chiesto all’Onu di lavorare insieme per i diritti umani e ha dichiarato che gli Usa guideranno il mondo verso un futuro più pacifico. Visto come la polizia a cavallo texana stia usando la frusta contro gli immigrati al confine col Messico, come un missile lanciato da un drone Usa abbia ucciso tanti civili a Kabul (e chissà se pagheranno i risarcimenti), e come gli Usa, dalla fine della Seconda guerra mondiale, siano sempre stati coinvolti in qualche guerra (Corea, Vietnam, Iraq ecc.) mi viene il sospetto che ci sia qualche elemento di falsità e ipocrisia nelle parole del presidente…

Claudio Trevisan

 

Prodi sulla perizia di B. questa volta mi ha deluso

Prodi è un analista di livello, perché non nasconde le complessità. Per questo mi ha sorpreso sentirgli dire che una perizia medico-psichiatrica a Berlusconi sarebbe “una follia”, senza tener conto di cosa abbia indotto i giudici a richiederla. Cioè l’assenteismo processuale reiterato di B. Un virus che gli provoca malori invalidanti non appena si avvicina la data della convocazione in tribunale. Come appena successo, anche se poco prima appariva in forma e abbronzato. Ecco, se Prodi avesse rappresentato il quadro completo della situazione, avrebbe fatto un buon servizio alla corretta informazione. Mentre difendendo l’assenteista processuale si è unito alla folta schiera di chi lo considera un perseguitato. Mentre B. da decenni perseguita l’Italia, volendoci convincere che un miliardario non è soggetto alla legge.

Massimo Marnetto

 

DIRITTO DI REPLICA

Sig. Scanzi, lei nella sua posizione di forza, dovuta a continue ospitate giornaliere sulle reti nazionali, quindi anche lei appartenente a quel mondo dei talk che tanto critica, ha osato dare giudizi incauti sulla mia persona di cui non conosce la storia. Non è voluto entrare nel merito del perché un precario insieme a tante altre persone abbia scelto di combattere una battaglia impari contro un provvedimento totalmente ingiusto che nulla ha a che vedere con misure sanitarie utili a bloccare la pandemia. Sbeffeggiando e scimmiottando le mie peculiarità, anche in modo alquanto maldestro, ha perso la battaglia più importante, quella con la sua professione, che deontologicamente la dovrebbe richiamare ad informare soprattutto, come anche lei scrive, su un problema così serio e non sui miei capelli e sulle mie lauree che non sono al suo giudizio. Molto facile usare chi non può difendersi fino in fondo in quanto senza adeguati strumenti di comunicazione, lei fa il forte con i deboli, senza entrare mai nel merito del provvedimento in discussione. Mi ritengo vittima di attacchi televisivi, e non il contrario, a cui spesso non ho volutamente risposto, in quanto la elevata posizione dei contenuti che sostengo, non può scendere nel pollaio delle urla come lei auspica diventi questa partita. Ad ogni modo, il suo interesse si gioca nell’avere un lettore in più, la mia battaglia vuole sostenere la dignità dei lavoratori, questa è la differenza. Come vede, prendendo le distanze dai suoi metodi, ha avuto solo una replica corretta, in quanto le idee hanno più forza delle offese, quando evidentemente le stesse mancano al confronto.

Prof. Valentino Di Carlo

 

I NOSTRI ERRORI

Nel pezzo di ieri “Più soldi che voti: la questua dei sindaci” abbiamo erroneamente scritto che la lista Torino Domani, a sostegno del candidato sindaco del centrosinistra Stefano Lo Russo, ha preventivato spese per 245mila euro. La cifra corretta è 31mila euro. Ciò non cambia il totale della spesa preventivata dalle liste che sostengono Lo Russo, pari – come abbiamo scritto – a 526.500 euro.

fq

 

Ieri abbiamo pubblicato una rubrica di Maria Rita Gismondo che era però già uscita nei giorni precedenti. Ci scusiamo con l’interessata e con i lettori.

fq

Le notizie dimenticate: dal furto alla Gnam alla morte di vichi

Presissimi dall’erigere monumenti equestri a Draghi (che comunque è il grande artefice del nuovo miracolo italiano perché è un politico serio: da giovane andava sempre a letto alle nove; e anche prima, se la ragazza era ubriaca), occupati dalle genuflessioni salivari, dicevo, i giornaloni nazionali tralasciano ogni giorno notizie che, seppur minori, non per questo sono meno interessanti di quelle in prima pagina. Evitando quelle stomachevoli (“Orrore dei bimbi sottaceto. Coppia stramba teneva figli morti in vasetti di vetro per chiacchierarci”) e quelle inverosimili (“Il segreto più gelosamente custodito della seconda guerra mondiale: Adolf Hitler era una donna”), e consapevoli che, una volta scelta una notizia, si tratta di confezionarla in uno stile che ne ottenga il massimo senza essere arrestati, occupiamoci dunque delle altre Notizie dimenticate. Roma. Scalpore per le condizioni igienico-sanitarie indecenti di un noto ospedale della capitale. Scale, corridoi e sotterranei sono invasi dalla sporcizia. Pulite invece le sale operatorie. I chirurghi nascondono l’immondizia dentro i pazienti. Un mio amico ci fu ricoverato d’urgenza qualche anno fa. I medici fecero tutto il possibile, ma il mio amico si salvò lo stesso.

Furto alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Rubati due Van Gogh e un Cezanne. “Speriamo di ritrovarli presto” ha detto il maresciallo che si occupa dell’indagine “prima che i ladri li fondano per ricavarne altri quadri.”

Torino. Proseguono a Torino gli esami sulla Sacra Sindone. Dubbi sull’autenticità del lenzuolo: gli esami col C14 dimostrerebbero non solo che la Sindone non è il sudario di Cristo, ma venne adoperata negli anni 70 a Wimbledon da Ilie Nastase.

Allarme Covid-19. Gli psicologi mettono in guardia da un possibile stress da messa in guardia.

Milano. Secondo gli astronomi, il sole si spegnerà fra 5 miliardi di anni. Il processo a Berlusconi dovrà continuare a lume di candela.

Abbiategrasso. È morto a 98 anni Carlo Vichi, fondatore della Mivar, storico marchio di televisori. Nostalgico del fascismo, per i suoi funerali ha voluto come ultima frase “A noi!” e la musica di Faccetta nera. La schiera dei miei fan si assottiglia ogni giorno di più.

Orbetello. Creato un bosco in braille per bambini ciechi. Atteso per la prossima estate un incendio in braille.

Belgio. Trovati nella spazzatura tre cadaveri femminili. Senza testa, per rendere difficile l’identificazione. Secondo la polizia di Anversa, i tre corpi apparterrebbero alla stessa donna.

Sidney. Stupore al largo delle acque territoriali australiane quando una balena ha cercato di accoppiarsi con una chiatta che trasportava carbone. Secondo la Guardia costiera, però, la balena non ha colpe: la chiatta si stava comportando come una troia.

San Diego. Secondo gli astronomi del Monte Palomar, in California, il colore di fondo dell’universo è beige, solo che spesso si veste di nero per nascondere il fatto che si sta espandendo.

Londra. Una clinica della fertilità ha usato per sbaglio sperma di un uomo di colore per mettere incinta una donna bianca. O almeno questo è quello che lei ha detto al marito.

Artide. Parte questo weekend la prima marationa al Polo Nord. Vincerà chi, dopo aver corso per 40 km, riuscirà ancora a trovare i suoi testicoli.

E per finire, una buona e una brutta notizia. La brutta notizia è che scoppierà la terza guerra mondiale. La bella notizia è che il ricavato verrà devoluto in beneficenza.

 

Forlani o no, Conte basta che funzioni

Quando, qualche domenica fa, alla festa del Fatto, paragonai una risposta un tantino arzigogolata di Giuseppe Conte all’eloquio di Arnaldo Forlani, il mio voleva essere un apprezzamento, sia pure in tono scherzoso. Visto e considerato che il vecchio leone democristiano, noto per la sua abilità nel menare il can per l’aia, fu uno dei protagonisti assoluti della Prima Repubblica: segretario dello Scudocrociato (quando la Dc era la Dc), presidente del Consiglio, ministro degli Esteri e molte cose ancora. Tanto che non è azzardato sostenere che forse, anche grazie a quello stile così cauto, misurato e non di rado circonvoluto, non soltanto Forlani ma l’intera classe dirigente di Piazza del Gesù (pensate ai discorsi di Aldo Moro) seppe radicarsi ed esercitare il potere per oltre mezzo secolo nei palazzi della Repubblica. Infatti, giudicare un leader politico da come si esprime è inevitabile, a patto che ogni valutazione sia collocata nel giusto contesto. Per farla breve, è del tutto evidente che il linguaggio di un avvocato affermato, nonché cattedratico di lungo corso, sarà e resterà quello degli studi legali e delle aule universitarie. Quando poi questo signore, già forbito di suo, viene catapultato a Palazzo Chigi e da qui nelle cancellerie di mezzo mondo, è abbastanza difficile che esterni la stessa ribalda brillantezza di un Beppe Grillo. Oppure lo stile del parlo come mangio (e del mangio come parlo) di un Matteo Salvini. Ma, soprattutto, non v’è chi non veda che il momento storico nel quale Giuseppe Conte si è ritrovato alla guida del M5S non sembra dei più propizi. Alla vigilia di elezioni nelle grandi città che, stando ai sondaggi, sembrano già perse in partenza. Con un M5S che si sfarina a Roma mentre in periferia è fuori dai radar. Con un governo Draghi da sostenere obtorto collo, poiché farlo cadere avrebbe come unica alternativa il voto anticipato e dunque per i malconci grillini un disastro annunciato. Insomma, come dicevano le nostre mamme quando non era aria, una parola è poca e due sono troppe. Infine, noi giornalisti siamo esigenti per contratto, ma per chi fa politica vale sempre e comunque il titolo del film di Woody Allen: Basta che funzioni. Nel caso di Conte, ci vorrà un annetto buono per capire se avrà funzionato (a meno che non si stufi prima lui).

Ps. A chi lo criticava, Forlani rispondeva: potrei parlare per ore e non dire nulla. Ecco magari questo no.

Il pass è un raggiro, è meglio l’obbligo

Il panorama europeo, durante la pandemia, non è mai stato omogeneo. Malgrado la situazione simile, ciascun Paese ha adottato misure differenti. E così è stato per il Green pass. Il regolamento Ue è entrato in vigore il 1º luglio 2021 per consentire la libera circolazione nell’area europea. In poche settimane, molti Paesi ne hanno ampliato l’utilizzo. Non poche difficoltà si sono presentate nel coordinare le misure di controllo. Alcuni Paesi comprendevano l’ultimazione del ciclo vaccinale, altri si accontentavano della prima dose, altri ancora richiedevano anche il test antigenico rapido (entro 72 o 48 ore dall’arrivo) o il solo il test molecolare. Il Green pass non è un documento obbligatorio dappertutto, molti Stati lo hanno bloccato. Tra loro, Spagna e Danimarca. Quest’ultima ha anche abolito tutte le misure di prevenzione poiché reputa sufficiente la vaccinazione l’80% della popolazione over 12 anni. In Italia il traguardo è stato spostato al 90%. In Svezia serve solo per gli ingressi dall’estero e non all’interno. Francia, Germania e Italia lo utilizzano anche per attività e mobilità interne. Il nostro è il Paese con le restrizioni maggiori. Le opinioni scientifiche e politiche sono ancora su posizioni differenti. Resta il fatto che il Green pass da documento vaccinale per la libera circolazione è diventato lo strumento di pressione sui non vaccinati. Non è in discussione la necessità di adottare misure, anche restrittive, ma sarebbe meglio avere il coraggio delle proprie azioni. Il Green pass sarà gradatamente esteso a ogni ambito sociale. Ormai siamo in molti a chiedere perché, anziché usare un raggiro, non si renda obbligatoria la vaccinazione? Fra qualche giorno, gli unici che non avranno la necessità di munirsi di pass, per stili di vita imposti dall’età, saranno i grandi anziani, quelli che dovrebbero essere i più tutelati e tutti vaccinati. Ne manca all’appello qualche milione! Agire con trasparenza sarebbe un’ottima possibilità per migliorare il debole rapporto di fiducia tra cittadino e istituzioni.

*Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Nella guerra del gas non è la Russia il “lupo cattivo”, ma lo Stato assente

Ai maggiori consumatori di petrolio e gas piace evocare il lupo cattivo. Negli anni 70 il lupo cattivo era l’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec) che facendo impennare il prezzo del greggio era considerata responsabile della crescita dell’inflazione, della disoccupazione e della fine del “boom economico”.

Oggi che i prezzi di mercato del gas naturale si sono triplicati nell’Unione europea rispetto all’inizio dell’anno, il grande lupo cattivo è la Russia di Putin che per cupidigia starebbe lesinando gas, facendo così impazzire le bollette e mettendo in crisi la “transizione energetica”.

Questa lettura dei rapporti tra fornitori e consumatori di materie prime cruciali come petrolio e gas naturale contengono elementi di verità, ma nascondono assai più di quanto non rivelino.

È vero che i Paesi dell’allora Comunità europea erano quasi totalmente dipendenti dalle importazioni di petrolio e che lo “shock” petrolifero del 1973 avrebbe significato un clamoroso trasferimento di ricchezza verso i Paesi produttori come l’Arabia Saudita e l’Iran. Ma ancor più significativo (e meno ricordato) è il fatto che solo quattro anni dopo quello “shock”, i Paesi Opec sarebbero tornati in deficit nelle bilance commerciali a causa di scriteriati acquisti di armi e di ogni genere di prodotto e tecnologia negli Stati Uniti, in Europa e in Giappone. Senza contare che all’inizio degli anni 70 i prezzi del petrolio erano ai livelli più bassi da un secolo e che un adeguamento del prezzo era arrivato semmai troppo tardi.

Un discorso simile si può fare per la Russia oggi. Il combinato disposto della crisi petrolifera del 1973 e della necessità di utilizzare fonti meno inquinanti (il gas naturale è fonte fossile, ma meno inquinante del petrolio) è stata la gigantesca espansione dei consumi di gas naturale in Europa per il riscaldamento e per la generazione elettrica. Oggi la Russia è il principale fornitore dell’Unione europea, vale circa il 48% delle sue importazioni (il doppio della Norvegia) e il gas naturale ha superato il carbone come seconda fonte energetica Ue. Il raddoppio del gasdotto North Stream 2 che è appena stato completato, e dovrebbe portare gas russo direttamente in Germania, è stato contestato dagli ambientalisti tedeschi e dagli Stati Uniti perché rafforzerebbe la dipendenza dalla Russia. Non è escluso che nel rallentamento delle forniture russo, oltre all’enorme pressione sui giacimenti, ci sia anche un braccio di ferro per velocizzare l’avvio del North Stream 2.

Resta il fatto che, così come negli anni 70, il coltello sia nelle mani dei grandi consumatori. La Russia dipende dalle esportazioni di gas e petrolio assai più di quanto gli europei dipendano dal loro acquisto. Il 40 per cento del bilancio russo dipende dalla rendita delle fossili: se Putin non vende gas, non tiene in piedi sanità, istruzione, esercito, anche perché l’economia russa è assai meno diversificata di quella europea.

I consumi europei di gas naturale sono in calo dal 2010 e devono continuare a calare perché il gas naturale è una fonte fossile. Anzi, prezzi più alti del gas naturale costituiscono uno sprone ad investire ancor più velocemente nelle rinnovabili a tutto danno della Russia.

E qui si torna al problema di fondo. I prezzi delle bollette del gas e dell’elettricità sono in crescita da tempo ed è inutile prendersela con il lupo cattivo Putin. A parte fattori contingenti, gli enormi investimenti necessari per le rinnovabili, nonché la crescita della tassazione del carbonio, spingono strutturalmente al rialzo le bollette.

La sfida del futuro non è rinfocolare la Guerra Fredda con Putin ma in una gestione “politica” dei prezzi dell’elettricità e del gas che cestini l’era del libero mercato dell’energia nell’Unione europea e avvii una fase di contratti a lungo termine per l’acquisto di gas e petrolio, di pianificazione europea degli investimenti nelle rinnovabili, di limitazione dei profitti delle società energetiche private, di intervento pubblico nella produzione di energia e nello sviluppo di tecnologie per le rinnovabili.

Rincari, il governo temporeggia. L’idea di tassare i big energetici

“Le risorse non mancano, vanno solo verificati gli ultimi dettagli come la quantificazione degli aumenti e alcune postille delle norma. Si corre, si corre…”. Lo hanno ripetuto per tutto il pomeriggio di ieri diverse fonti di governo commentando il decreto Bollette che dovrebbe arrivare oggi in Consiglio dei ministri, anche se mentre andiamo in stampa non è stato ancora convocato e che per tutta la giornata è stato dato come “difficile” visto che non si riusciva a trovare una quadra. Sul tavolo ci sono tra i 3 e i 4 miliardi di euro che dovrebbero limitare gli effetti di maxi-rincari, fino al 40%, per luce e gas. È da dieci giorni che i ministri dell’Economia e della Transizione ecologica, Daniele Franco e Roberto Cingolani, stanno lavorando al decreto che già la scorsa settimana era stato annunciato nel Cdm sul Green pass. Poi, però, non se n’è saputo più nulla. Il governo ha continuato a fare stime e simulazioni di impatto delle misure che pensa di adottare per evitare che sulle famiglie si abbatta una stangata da 500 euro l’anno. Ma per azzerare i rincari servirebbero fino a 9 miliardi. E l’unica certezza fino a questo momento è che il provvedimento d’urgenza sterilizzerà solo la metà degli aumenti.

È la stessa operazione compiuta in extremis a fine giugno per evitare la mazzata già nel terzo trimestre. Allora il governo con 1,2 miliardi ha limato da oltre il 20% al 15,3% gli aumenti del gas e al 9,9% quelli della luce. Così, la soluzione che dovrebbe finire nel nuovo decreto prevede un mix: il solito taglio degli oneri di sistema (le voci della bolletta che servono a finanziare le rinnovabili, la messa in sicurezza del nucleare, ma anche altre spese) e un extra-bonus per le famiglie in difficoltà economica, che beneficiano del Reddito di cittadinanza o sono in gravi condizioni di salute, da affiancare a quello già attivo da luglio e che si basa sull’Isee. Misure che ricalcano la richiesta presentata nella mozione di maggioranza in discussione alla Camera a primo firmatario Davide Crippa (M5s). La corsa contro il tempo del governo è riuscire a scegliere cosa “coprire”. Soluzione non facile che ha dilatato enormemente i tempi. La maggior parte dei 4 miliardi sul tavolo verrà prelevata dalle risorse avanzate dai vari decreti Covid, da Quota 100 e dalle aste Ets (in pratica, le tasse che le aziende pagano per inquinare). Ma non basteranno. Quello del caro-bollette non è un problema temporaneo legato alla sola Italia. I governi di tutta Europa sono sotto pressione per ridurre le bollette energetiche, mentre Bruxelles cerca nuovi strumenti per arginare la crisi energetica. Al punto che il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, avrebbe finanche parlato con il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Roberto Garofoli della possibilità di sfruttare alcuni margini delle stesse società energetiche di Stato – come Enel, Eni, Snam – che godrebbero di vantaggi ingiustificati. Una ipotesi difficile da far accettare. Oggi si capirà chi l’avrà spuntata. Forse.

Green pass fasulli, indagato medico della Roma bene

Politici, personaggi dello spettacolo, sportivi e imprenditori senza vaccino, ma con Green pass (fasulli). A loro disposizione, un medico di base che dal suo studio nel cuore della Capitale, secondo gli inquirenti, avrebbe effettuato certificazioni vaccinali false, forse in cambio di soldi e favori. L’inchiesta top secret della Procura di Roma fa tremare la Roma bene. Lo studio e l’abitazione del “medico dei vip” ieri mattina sono stati perquisiti su disposizione dei magistrati romani. Nella lista dei pazienti del professionista, indagato per falso, ci sarebbero un centinaio di persone. Al momento vi è stretto riserbo da parte degli inquirenti, che stanno cercando di verificare le modalità con cui sono arrivate le attestazioni false, tanto che il dottore non è stato nemmeno ancora segnalato alla Asl Roma 1 né all’Ordine dei medici.

Secondo le ricostruzioni, il professionista avrebbe sfruttato alcune piccole falle nel cosiddetto “sistema t.s.”, che sta per “sistema tessera sanitaria”. I medici di base sono autorizzati a inserire in questo database attestazioni relative ai loro pazienti (o comunque a residenti nel territorio dell’Asl di competenza) circa la presenza di patologie ostative che impediscono la somministrazione del vaccino, l’avvenuta guarigione dall’infezione da Covid-19 o addirittura l’avvenuta vaccinazione in un Paese straniero (come Stati Uniti, Israele o Emirati Arabi). Ma la relativa certificazione non deve necessariamente essere allegata. In questo modo, il sistema informatico del ministero della Salute fornisce automaticamente il Green pass. Fonti dell’Asl Roma 1 spiegano che la “falla” era stata già fatta presente alle autorità competenti. L’inchiesta, a quanto si apprende, sarebbe nata da una segnalazione anonima.