Guai a chi dubita (siamo messi male)

Il mio giudizio da vaccinista convinta, resta negativo nei confronti del Green pass. Premesso che non pongo dubbi sulla vericidità delle dichiarazioni fatte riguardo al successo vaccinale, premesso anche che se conoscessimo la storia avremmo presente che per qualsiasi vaccinazione rimane sempre un 5% di irriducibili che si rifiutano di sottoporvisi e che c’è anche una contenuta percentuale di soggetti che, pur non essendo no-vax, sono scettici sul vaccino Covid, mi chiedo se valga la pena avvalersi di sistemi coercitivi e, peraltro, con il rischio di creare pericolose confusioni. L’aria che si respira è diventata inaccettabile. Chiunque avanzi un dubbio o ricordi che, unitamente all’indiscutibile valore dei vaccini, ci siano anche cure efficaci, viene subito messo a tacere. La politica ci ha abituati all’arroganza, si resta però sorpresi quando queste modalità penetrano anche nel mondo della scienza. Torniamo al Green pass. Mentre altri Paesi, all’interno del proprio territorio, lo stanno abolendo, l’Italia, non esclusivamente, procede con la politica del graduale allargamento dell’utilizzo. Se questa viene giudicata una corretta manovra politica, non sta a me dirlo, ma è doveroso far notare (non c’è il Cts composto da esperti che dovrebbe farlo notare?) che il Green pass proposto come “libertà” di scelta tra vaccinazione e tampone è ascientifico e pericoloso. Il concetto che passa, anche se lo scopo non è questo, è che i due strumenti siano alternativi. O mi vaccino o faccio il tampone. Errato! Il vaccino mi salva la vita e anche dalle forme severe del Covid e mi mette nelle condizioni, se dovessi infettarmi, di spargere una quantità di virus minore rispetto ai non vaccinati. È quindi una misura preventiva per se stessi e per la comunità. Il tampone mi dice se, al momento in cui è stato effettuato, ero positivo o no. È quindi una misura diagnostica che diventa una forma di prevenzione temporanea e fugace dall’infezione per le persone che sto incontrando in questo momento. Potrei comunque infettarmi (anche se vaccinato) e contrarre, perché non vaccinato, una forma severa della malattia. Due strumenti e due finalità. Guai a confonderli, come purtroppo sta accadendo.

Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Il paternalismo/2: la Banca mondiale

Giovedìci si era occupati di una frase rivelatoria nel discorso con cui Mario Draghi aveva ricordato Nino Andreatta: “Da ministro (…) non ha esitato a prendere decisioni necessarie anche quando impopolari. ‘Le cose vanno fatte perché si devono fare, non per avere un risultato immediato’, come sintetizzò con efficacia”. Un manifesto del paternalismo conservatore di rara efficacia: la cognizione del bene di tutti, che deriva dalla “competenza”, è in mano ai pochi che decidono e ai molti che applaudono le decisioni sempre necessarie anche se impopolari. Ecco, dopo il ddl Concorrenza in alacre scrittura dentro e fuori i ministeri, un altro esempio soccorre sulla fallacia retorica delle “decisioni necessarie” (non quelle “irrevocabili” del tizio al balcone, per carità) o della “medicina amara”. Giovedì, nella sera italiana, un comunicato della Banca Mondiale ci ha informato che il Doing Business Report – classifica su quanto business-friendly siano i vari Paesi – è sospeso: quest’anno niente titoli tipo “l’Italia è 58esima”, “meglio il Kenya dell’Italia per fare affari”, peccato…
Si chiederà il lettore: ma perché è sospeso? Perché la World Bank ha dovuto ammettere che c’erano “numerose irregolarità” nel report, che spesso è stato manipolato per favorire alcuni Paesi politicamente di peso (tra gli sbianchettatori, per dire, c’è anche Kristalina Georgieva, oggi a capo del Fondo monetario internazionale, che nel 2018 fece guadagnare 7 posizioni alla Cina). Si dirà: e che c’entrano Draghi, Andreatta e il paternalismo? Be’, quel report e le sottostanti ipotesi economiche sono state usate per “consigliare” gli Stati, specie i più deboli, e imporre normative favorevoli alle imprese (dal fisco al lavoro, dal alle liberalizzazioni): per andare bene nel Doing Business Report bisognava fare le riforme, quelle dolorose ma inevitabili, “necessarie anche quando impopolari”, “le cose che vanno fatte perché si devono fare”. E poi alla fine si scopre che truccano i dati, non li capiscono o non sanno usare Excel (Reinhart e Rogoff e il debito oltre il 90% del Pil che abbassa la crescita, verità ufficiale in Ue) e nonostante tutto sono sempre irragionevolmente convinti di sapere cos’è meglio per gli altri: proprio come veri papà…

Breve memorandum per disciplinare i monopattini elettrici

“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”

(Articolo 16 della Costituzione)

 

Non è certamente colpa dei monopattini elettrici, né di chi li produce, li vende o li noleggia. È colpa di chi li usa male e ancor più di chi non fissa le regole per impedire che vengano usati male. Ma ormai, nella giungla di asfalto e cemento delle città in cui viviamo, il monopattino della “mobilità sostenibile” sta diventando in-sostenibile; l’icona di una deregulation selvaggia che favorisce la diseducazione o maleducazione stradale. E non si tratta soltanto dei morti – cinque dall’inizio dell’anno – che hanno perso la vita per scorrazzare su questi trabiccoli nel traffico urbano, magari in controsenso o contromano; sui marciapiedi o nelle piazze in mezzo ai pedoni; sulle piste ciclabili o nei parchi pubblici. Chissà quanti sono ogni giorno i cittadini messi in pericolo, investiti o sfiorati da queste schegge impazzite a due ruote; tutti quelli che rischiano l’incolumità o addirittura la pelle a causa dell’imprudenza e dell’impunità di chi le guida, arrivando senza fare rumore, come squadre d’assalto silenziose e invisibili.

Poco più di un anno fa pubblicammo, proprio qui, un articolo intitolato “Nel nuovo Far West, dove sfrecciano i monopattini elettrici” (29 agosto 2020), per segnalare il pericolo che si profilava e sollecitare misure e provvedimenti opportuni. Non è il caso ora di demonizzare o criminalizzare questo moderno veicolo della mobilità urbana, utile in particolare per chi deve compiere brevi spostamenti in città, per i forestieri e per i turisti. Ma bisogna smettere di considerarlo un “giocattolo” tecnologico e disciplinarne l’uso con maggiore rigore.

Gli strumenti non mancano. Proviamo a elencare un breve memorandum.

1) La prima regola da stabilire è quella che i monopattini elettrici devono circolare soltanto sulle strade, non sui marciapiedi che sono fatti apposta per camminare. E naturalmente, bisogna prevedere sanzioni adeguate per i trasgressori.

2) I monopattini, come dice la parola stessa, sono fatti per una persona sola, magari al di sopra dei 16 anni. Non si può andare in due, è pericoloso per sé e per gli altri. Idem come sopra per le multe.

3) La velocità di questi mezzi va ridotta al massimo a 20 chilometri all’ora, il motore non dev’essere “taroccato” e una App attraverso l’algoritmo può controllarne o limitarne automaticamente l’andatura negli spazi chiusi o ristretti (gallerie, isole pedonali, piazze o piazzette, vicoli dei centri storici).

4) Se non si può imporre il casco obbligatorio, specialmente per i turisti che non saprebbero dove riporlo, i gestori del noleggio devono raccomandarne l’uso, soprattutto ai ragazzi, magari sul tipo di quello più “leggero” dei ciclisti.

5) Al pari di quanto si decise a suo tempo per i motorini, anche il monopattino elettrico dev’essere dotato di una targhetta d’identificazione, per non diventare un mezzo d’impunità.

6) I monopattini elettrici, infine, non possono essere abbandonati per strada come rifiuti urbani, devono essere depositati in stalli o rastrelliere dedicate.

Queste e altre norme possono contribuire anche ad addestrare gli utenti più giovani a una circolazione più ordinata e responsabile nei confronti di se stessi e della collettività. Altrimenti, che razza di motociclisti e automobilisti diventeranno in futuro? Spetta al governo, e in specie al ministro dei Trasporti, adottare con urgenza le misure opportune e necessarie. Non è più solo una questione di salute pubblica e di sicurezza, come prevede l’articolo 16 della Costituzione. Ormai è una questione di convivenza civile.

 

Per il ministero della cultura Craxi fu un esule come Dante

Sul sito del ministero della Cultura, dove ogni tanto andiamo ad abbeverarci alla fonte del Sapere, si apprende che è in corso a Firenze (e già a Ravenna), fino al dicembre 2022, una “Rievocazione in forma drammaturgica/poetica della Compagnia Teatrale Attori & Convenuti focalizzata sulla vicenda processuale nella quale, a distanza di secoli, furono coinvolti Dante Alighieri e Bettino Craxi”. Rileggiamo. Si sarà rotto lo schermo. Il grafico avrà fatto confusione. Sarà lo scherzo di un buontempone. Al ministero avranno bevuto troppo. Forse volevano dire Brunetto Latini e hanno scritto Bettino Craxi. La lettura ulteriore non lascia dubbi: la rappresentazione avrà luogo “in varie sedi, anche scuole” di Firenze, e avrà al suo centro un “dialogo” tra i due famosi esuli. L’“ingiusta pece” da cui sono fuggiti Dante e Craxi è presumibilmente quella dei barattieri, cioè di coloro che hanno usato le loro cariche pubbliche per arricchirsi (corrotti, mazzettieri, concussori), e in effetti Dante nel 1302 venne processato per baratteria, lui che i barattieri li metterà all’inferno (Canti XXI e XXII), costretti a restare immersi nella pece mentre demoni alati li infilzano con dei forchettoni.

Dante, come Craxi, era un uomo immerso nella politica del suo tempo, e subì un processo per volontà dei Guelfi Neri ch’egli avversava. È da escludere che fosse corrotto, anche se è probabile che abbia sorvolato su alcune malversazioni della sua parte (la fonte è la più attendibile possibile: la biografia Dante di Alessandro Barbero). In esilio è mantenuto dal suo partito; poi, quando litiga anche coi Guelfi Bianchi, va a Verona e inizia il suo pellegrinaggio presso i grandi signori delle corti del nord (inizia la Commedia nel 1306-7 a Sarzana presso i Malaspina), fino alla morte, a Ravenna. Come non vedere che la storia di Dante è la copia sputata di quella di Craxi? Processato e condannato in via definitiva a 5 anni e 6 mesi per la corruzione dell’Eni-Sai e a 4 anni e 6 mesi per i finanziamenti illeciti della Metropolitana milanese (totale 10 anni), condannato in primo e in secondo grado per un’altra quindicina di anni per mazzette e tangenti, Craxi scappa ad Hammamet, Tunisia, dove morirà da ricco e da latitante (un sinonimo di esule: lo abbiamo imparato sul sito del ministero della Cultura).

Poteva forse il “Comitato nazionale per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri” non accomunare le figure di questi due grandi italiani? Certo, Craxi in latitanza (pardon: esilio), non avrà scritto la Divina Commedia, ma ha dato da mangiare a due generazioni di cronisti e “storici” che hanno stigmatizzato allo spasimo l’episodio delle monetine del Raphaël, evento cardine del giustizialismo, epitome dell’Italia che odia, come se essere aggrediti dal popolo infuriato implicasse de facto l’amnistia da ogni condanna, e come se il fatto che rubassero “tutti” (“E tuttavia, d’altra parte, ciò che bisogna dire, e che tutti sanno del resto, è che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale”, dal discorso di Craxi alla Camera del 1992) comportasse che quelli che venivano beccati non dovessero essere processati. Adesso nelle scuole la lampante vicinanza tra le due figure, il Sommo Poeta e il protagonista indiscusso di Tangentopoli, sarà chiarita anche ai pargoli, mentre gli adulti, ormai assuefatti a ogni affronto, assistono periodicamente al saltar fuori di qualcuno che vuole intitolare al Craxi statista una strada, una piazza, La Scala, e perché non una scuola, una mensa, un refettorio per i poveri, un’Opera Pia… Ma paragonarlo, anzi affratellarlo a Dante come perseguitato politico ed esule, è davvero sopra, anzi sotto, ogni umana intelligenza e senso della storia. Il ministero non poteva onorare meglio la memoria di Dante. Ah: naturalmente lo spettacolo e tutta la pregevole iniziativa, benedetta dal ministro Franceschini, sono fatti coi soldi nostri.

 

Ma è più folle B. o quelli che gli stanno intorno?

Da quando è iniziato il ballo del Quirinale Silvio Berlusconi si è creduto invitato. È corso a rivestirsi da statista. Ha ordinato edificanti messaggi quotidiani ai suoi staff di scrivani. Ha spedito foto e dichiarazioni per i suoi telegiornali che lo trattano come il Politburo teneva in vita gli zar Andropov e Cernenko anche dopo morti, sempre con rassicuranti immagini di sorridente repertorio. Negli ultimi mesi ha detto la sua su qualunque sospiro del Covid o di Draghi. E poi: lettere ai giornali, telefonate ai convegni, memoriali, documenti politici, anche quelli d’ampiezza sovietica, l’ultimo della serie domenica scorsa sul suo Giornale: “Perché sono garantista”. Un migliaio di righe scolpite nel marmo della politologia che recano in fondo la sua firma d’impresario. Segnale psichiatrico buono o cattivo?

Proprio ora che stava risalendo la china della sua ultima commedia, ecco la tragica freccia che gli trafigge l’ego con la richiesta di una “illimitata perizia psichiatrica”. Freccia scoccata dall’arco del Tribunale più odiato, quello di Milano, che da una trentina d’anni non si lascia incantare dalle illimitate batterie di medici, onorevoli e avvocati che con ogni mezzo lavorano alla tutela dei suoi sacrosanti diritti di imputato. E per questo capaci di trascinare di mese in mese, di anno in anno, di decennio in decennio, di secolo in secolo, i molti processi che hanno riguardato la sua storia, dai tempi in cui costruiva palazzi e televisioni a suo vantaggio, a quelli in cui demoliva leggi e interi governi a svantaggio della nazione. Stavolta l’accusa è quella di avere corrotto i testimoni (per lo più ragazzine, all’epoca) delle sue cene eleganti. Una decina di milioni di euro spesi per ogni coperto, dicono le indagini, 7 milioni solo per quello minorenne di Ruby.

Dice Berlusconi che la richiesta dei giudici lede la sua onorabilità, la sua storia. Indica “pregiudizio” nei suoi confronti. Si fa beffe dei suoi meriti di imprenditore televisivo e sportivo. E il solo sospetto lo offende. Per questo rinuncerà a partecipare alle udienze, e chissà se mente per ingannarsi o per crederci, visto che partecipare al processo milanese Ruby Ter (28 imputati) è l’ultima delle sue intenzioni. Come lo è quella di “velocizzare i tempi della giustizia”, in sintonia con l’aria del tempo che annovera in una sola folata la riforma Cartabia , i referendum radicali, le intenzioni della Lega dei commercialisti di Salvini, l’Italia saudita di Renzi, che puntano proprio all’opposto, mandarli al macero, i processi. E finalmente regolare i conti con la magistratura, la sua indipendenza (anche nel farsi del male) che dai tempi di Tangentopoli, ha avuto l’insolenza di mettere sotto processo la nostra benemerita classe dirigente: banchieri, capitani d’industria, tesorieri e segretari di partito.

Nella sua bella estate trascorsa a Villa La Certosa, Silvio B si è mostrato come d’abitudine accogliente con tutti i suoi invitati, pranzi, cene, gite in barca, foto, conducendo personalmente le visite guidate al vulcano finto e alla collezione di cactus veri ogni ospite privato che il suo ufficio stampa rendeva pubblico, da Briatore a Gigio Donnarumma. “Miracolo! – dicevano i molti addetti alla sua cura –. Il presidente è ringiovanito di vent’anni in un solo mese!”.

Salvo che, sgocciolando il calendario verso la nuova udienza del processo – iniziato non proprio l’altroieri, ma il 29 aprile 2016 – ecco il malanno e l’età che purtroppo ritornano. Con tanto di medici, diagnosi e certificati al seguito. Conducendo l’imputato Silvio e il candidato al Quirinale Berlusconi a un cortocircuito semiotico (avrebbe detto Eco) delle due identità verso una sicura collisione: se non regge un’oretta di processo, come potrà sobbarcarsi sette anni di Quirinale?

Per non dire del pregresso: la vita vissuta accanto a Mangano, Dell’Utri, Previti quando fabbricava gli affari e il partito. Tempi non troppo remoti, nei quali sosteneva in pubblico “che per fare il giudice devi essere mentalmente disturbato, devi proprio avere delle turbe psichiche”, quando si dice il contrappasso. E poi se la rideva in compagnia di altri campioni della scala sociale, come Valter Lavitola, Lele Mora, Giampiero Tarantini, addetti al suo tempo libero. Non proprio dei corazzieri compatibili con la biografia dell’inquilino prossimo venturo del Colle, che incidentalmente sarebbe il punto identitario più alto dell’intera Nazione. E allora: è davvero solo lui il matto sospetto, o sono matti tutti quelli che gli girano intorno a pettinargli i sogni, a curargli gli incubi? Accompagnandolo nella sua finale metamorfosi, la più triste, che con la frase più teatrale della sua lettera (“Processatemi pure, ma in mia assenza!”) transita dalla favola del Re nudo alla tragedia di Re Lear.

 

Scienza e burocrazia. Il “Green pass” non rende affatto immuni al Covid

Gentile Redazione, vi sarei grato se potessi fare una domanda alla dottoressa Gismondo per un chiarimento sulla logica alla base dei Green pass. Da quanto ho capito, i vaccinati possono essere contagiosi e contagiabili, anche se in misura minore e con conseguenze attenuate. Quindi non riesco a capire perché un vaccinato contagioso possa andare liberamente in giro col Green pass senza misure di protezione. Infatti, in classe, se tutti i ragazzi sono vaccinati, nessuno indosserà la mascherina. Così i vaccinati contagiosi contageranno e i vaccinati non contagiosi saranno contagiati. Che senso ha? Non dovrebbe il Green pass essere concesso a chi invece è risultato negativo a un tampone? Cioè non a chi è vaccinato, ma a chi non è infetto? Mi rendo conto che in questo caso la durata del Green pass sarebbe breve, ma almeno un significato l’avrebbe.

Alfonso Di Domenico

 

Gentile Alfonso, la sua nota è, direi, perfetta. Il Green pass, nato da un accordo tra Parlamento europeo e Commissione europea, è stato istituito come un certificato vaccinale, utile per la circolazione all’interno dell’Europa. Alcuni Paesi (non solo l’Italia) lo hanno utilizzato come strumento per indurre la popolazione a vaccinarsi. Infatti, sebbene lasci liberi di scegliere tra vaccinazione e tampone, dovendo questo essere eseguito ogni 48 ore, rende la vita impossibile. Come avrà sentito da più parti, la gente è andata a vaccinarsi per conquistare un po’ di libertà e non, come sarebbe stato auspicabile, per consapevolezza dell’utilità del vaccino. Peraltro, il Green pass prevede vaccino e tampone, come se fossero due alternative. Ciò non è scientificamente vero. Il vaccino previene la forma grave della malattia e il decesso. Il tampone ci dice se, in quelle ore, siamo negativi o positivi, infetti o no. I vaccinati, anche se la discussione scientifica è ancora aperta, possono non solo positivizzarsi, ma anche, pare in forma meno significativa dei non vaccinati, contagiare. La soluzione scientificamente valida sarebbe proporre la vaccinazione con consapevolezza ed eventualmente mediante obbligo (di fatto il Green pass è un obbligo!) per la fascia dei fragili e usare il tampone per un controllo dell’infezione.

Spero di aver contribuito a far chiarezza.

Prof. Maria Rita Gismondo

Mail box

Come arginare questo “medioevo moderno”?

Il nostro Paese sta attraversando una fase nera delle libertà costituzionali e una delegittimazione della politica veramente inusuale con un decadimento della qualità sconcertante. Ebbene nessun “signore” delle istituzioni, e tantomeno nessun mezzo d’informazione (escluso il Fatto) mette in risalto tale situazione . Anzi assistiamo a discorsi ufficiali e istituzionali che fanno apparire il Paese come un’isola felice di libertà e democrazia. Quindi, dopo il periodo del terrorismo e quello di Mani Pulite non pare che siamo nella fase della riconquista della società da parte dei poteri forti (quelli che gestiscono i soldi) per normalizzare nuovamente il tessuto sociale e ripristinare l’ordine sociale, secondo la filosofia “accontentatevi e non rompete i coglioni!”. Cos’altro si può fare per arginare questo “medioevo moderno” che è ormai in corso? Possono bastare solo articoli di giornale e partecipazione ai talk show? Per esempio, per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica non sarebbe il caso di eleggere un “non politico”, come Zagrebelsky o la Carlassare?

Raffaele Fabbrocino

Magari!

m. trav.

 

Come cittadina, al Colle non voglio né B. né Mario

In quanto cittadina, non desidero: 1) che siano candidati a presidente della Repubblica né Silvio Berlusconi, né Mario Draghi; 2) che l’attuale presidente della Repubblica venga rieletto. Preferirei una donna, certo, ma come tutte le donne libere, non chiedo quote rosa. Come cittadina, poi, mi sentirei offesa se ancora si sostenesse che solo una persona possa sostenere la candidatura: ritengo di vivere ancora in una Repubblica basata su una Costituzione chiara e sana. Sarebbe offensivo pensare che non esista che un unico nome degno di rappresentarci, considerando i parlamentari, i politici, le personalità di alto livello della società civile.

Eleonora Amatucci

 

Bisogna investire di più nella Sanità

Caro direttore, tutti sembrano convinti, mi auguro coscienti, che la pandemia ha stravolto la nostra vita, oltretutto ponendoci delle riflessioni su cosa sia prioritario per il nostro benessere quotidiano. Una sanità pubblica che vada curata con più attenzione, togliendo gli sprechi ma incentivando chi in tutti i modi la può valorizzare al meglio per non farsi trovare impreparati sia per eventi ordinari che straordinari. Incentivare risorse sull’istruzione, che possa garantire un futuro ai giovani, investendo sulla digitalizzazione, ma non solo. Incentivare i servizi pubblici, dove anche qui si è preferito puntare su le alte velocità a discapito dei regionali. Tutti problemi già esistente ancor prima della pandemia. Oltre a tutte le pippe che ci rifilano sul rispetto ambientale cosa strettamente correlata alla nascita di nuove epidemie (inquinamento, disboscamento, cementificazione, ecc…) Oggi, ho come l’impressione che tutto questo possa essere risolto con un obbligo vaccinale, illudendoci che tutto possa rimanere come prima. Per lo Stato è molto più economico, oltre che sbrigativo, investire più sui vaccini che sulla sanità, come del resto sulle scuole, sui servizi pubblici. Come per gli stessi imprenditori l’obbligo è più conveniente: anch’essi illudendosi che le persone che se ne andranno in malattia saranno molte meno e certi protocolli verranno annacquati in nome della produttività, o semplicemente perché è un costo per le aziende. Bauman già sosteneva in Stato di Crisi, che l’umanità sta attraversando un cambiamento epocale che stravolgerà il nostro modo di vivere. Alcuni lavori inevitabilmente spariranno, come del resto è stato nel passato (vedi l’era industriale). Un processo che durerà decenni, e noi ne siamo nel mezzo. Se avessimo la lungimiranza di capire questa cosa, potremmo iniziare ad avvantaggiarci, non per noi stessi, ma per il bene delle future generazioni. Che lo si voglia o no, questo cambiamento avverrà o in modo drastico oppure in maniera moderata. Sta a noi deciderlo.

Flavio B.

 

Vax o no-vax? Ne voglio discutere senza problemi

Sono d’accordo con Travaglio sul Green pass. Sono vaccinato, ho il mio Qr-code su Immuni e non mi pare che i miei diritti siano stati in qualche modo violati, come non ci troverei nulla di strano se, motivato da ragioni condivisibili, si imponesse l’obbligo vaccinale. Ma ritengo molto importante discutere dell’argomento senza farci problemi, e non trovo assurde le ragioni di Cacciari o di Barbero. In disaccordo con loro e con lei, Scanzi ha sostenuto che questo è il momento di fare squadra contro i no-vax, di non “spaccare il capello in quattro”. Io credo invece il contrario: se di fronte avessimo una maggioranza, sarebbe più che giusto “unirci a coorte” per fronteggiarla ignorando le nostre differenze, ma i no-vax sono pochi, e polarizzare il discorso tra vax e no-vax gli fa un favore, poiché, se le opzioni sono solo due, i secondi sembreranno più grossi di quanto sono. Abbiamo il dovere di mostrare che non siamo “vax”, ma rappresentiamo una pluralità di posizioni libere contro un “monoteismo” oscurantista che impone un dogma scellerato: credere alle sciocchezze negazioniste senza alcuna prova.

Giovanni Contreras

Facce da formaggino, “Sorrisi” da mostri e cavalli che sparano

E per la serie “Chiudi gli occhi e apri la bocca”, eccovi i migliori programmi tv della settimana:

Rai 1, 21.25: Da grande, varietà. Il segreto del successo in tv (che è un mezzo di comunicazione tattile, non audiovisivo, e chi non lo sa lo mettono a fare il critico tv sui giornaloni) è la telegenia. È telegenico, funziona in tv, buca lo schermo, il personaggio che è a bassa definizione: uno che potrebbe essere un passante, la sua professione indeterminabile. Il mezzo televisivo rende antipatico il tipico (che invece funziona al cinema). Per questo, un tratto fondamentale della telegenia maschile è la faccia da formaggino. Ce l’hanno Gerry Scotti e Alessandro Cattelan. Pare che in Rai temano che questo nuovo programma di Cattelan faccia flop. La paura è ingiustificata: in tv Cattelan funzionerà sempre, grazie alla sua faccia da formaggino. Potrebbe non fare nulla di particolare, stare seduto a guardare la telecamera per un’ora, e funzionerebbe. Quando riuscirà a togliersi di dosso la frenesia radiofonica che lo agita (in tv è un difetto, poiché tipizza), diventerà imbattibile come Gerry.

Canale 5, 21.20: Grande Fratello Vip, reality. La foto di gruppo dei concorrenti, sulla copertina di Sorrisi, è un eccezionale campionario di mostri che sforzandosi di sorridere all’obiettivo peggiorano una situazione già compromessa.

Rai 1, 20.35: Soliti ignoti – Il ritorno, game show. Sapevate che io e Amadeus siamo parenti? Sì, siamo cugini. Ma non l’uno con l’altro.

Nove, 23.35: Cambio moglie, reality. Dopo sei anni, la Nove continua ad attestarsi su una media di ascolti inferiore al 2%. È come se il telespettatore italiano medio non capisse le complessità del telecomando.

Rai 3, 21.20. Presa diretta, attualità. In questa puntata, Riccardo Iacona parla del cambiamento climatico. Una soluzione del problema, puntare sull’elettrico, fa aumentare il fabbisogno delle terre rare, cioè dei minerali e dei metalli necessari per produrre le batterie delle auto. Cosa si sta facendo in Italia a questo proposito, a parte entusiasmarsi per i successi azzurri alle Olimpiadi?

Canale 5, 21.20: Tú sì que vales, talent show. Ricordo quando feci il provino per la prima edizione del programma. MARIA: “Sai ballare?”. IO: “So ballare per circa un secondo”. Fra gli episodi più divertenti della serie, la volta che si esibì una giovane violinista completamente negata, e Rudy Zerbi, che a un certo punto non ne poteva più, le disse: “Gira il violino e suona lo stesso pezzo”. LA GIOVANE VIOLINISTA: “Ma questo è il dorso del violino”. RUDY ZERBI: “E questo è quello che avevo in mente”.

Rai 1, 21.25: I Bastardi di Pizzofalcone, fiction. Un’esplosione trasforma il ristorante di Letizia in un ristorante raso al suolo. Giuseppe Loiacono finisce di mangiare i suoi friarielli e comincia a indagare.

Rete 4, 21.20, Quarta Repubblica, attualità. Non lo guardo mai, ho di meglio da fare: respirare la malinconia della sera, commuovendomi tacitamente ai sortilegi che il crepuscolo opera sul mare, mentre trapela nell’azzurro la luce delle prime stelle, e dei razzi cinesi in caduta libera.

Rai Movie, 21.20: Il mio nome è Nessuno, film western. La sceneggiatura di questa parodia dei film di cowboy prevedeva un cavallo che sparava muovendo la coda: agitandola, azionava un congegno che tirava il grilletto di un fucile che sparava contro gli indiani inseguitori. Un’idea demenziale, e lo sceneggiatore la tolse dalla stesura finale. Il produttore gli rimandò il copione con una nota: “Che fine ha fatto il cavallo che sparava col culo?”.

 

Cassese: “a Roma servono tre Figliuolo”

All’impoverimento delle idee quanto vi ha contribuito Beppe Grillo? “Molto. Ho avuto una polemica con lui, sull’uno vale uno. Gli chiesi: “Ma se lei ha un rubinetto che perde chiama un falegname?” “E se ha un tavolo traballante telefona a un idraulico?” Non seppe rispondermi. (…)

Il populismo è in declino? “Sì, la gente sta cominciando a capire”. (…)

Draghi finora l’ha convinta? “Si sta ripetendo il miracolo Ciampi. La fiducia di cui gode all’estero si riflette all’interno. Lo stile di governo, pragmatico, taglia la strada agli ideologismi e alle scaramucce. Mille esercizi di politica all’italiana non otterrebbero lo stesso risultato. (…)

Per chi voterà a Roma? Roma sta morendo. Le strade sono in totale abbandono. Nella via qui sotto crescono gli alberi sui marciapiedi. Un’altra è chiusa da due anni. E il secondo municipio è amministrato dal Pd, non da Raggi. Serve una scopa nuova. (…) Nello stato in cui versa la città servirebbero tre generali di corpo d’armata, delle tre forze, a cui affidare la città per i prossimi dieci anni. (…) Tre Figliuolo”. Vuole una giunta militare? “È il minimo”.

Record nelle assunzioni “stagionali”

Talmente“introvabili” sono diventati i lavoratori stagionali “per colpa del Reddito di cittadinanza” che nei primi sei mesi del 2021 abbiamo raggiunto il record di assunzioni, con quasi mezzo milione di contratti stagionali attivati.

Questo nello stesso anno in cui i beneficiari del sussidio contro la povertà, per almeno una mensilità, sono arrivati a quasi 3,8 milioni: un record mai visto nei precedenti due anni di operatività della carta acquisti. Mai prima d’ora avevamo sussidiato così tante persone e mai prima d’ora le aziende – che a parole si continuano a dichiarare disperate – erano riuscite ad arruolare così tanti lavoratori per le attività estive o comunque per quelle concentrate in determinati periodi dell’anno. Che si andasse verso un boom era già evidente a maggio, ma i dati Inps di giugno sono ancora più chiari. In quel mese – mentre ristoratori e albergatori alzavano la voce lamentando la carenza di manodopera – i rapporti stagionali avviati sono stati ben 246.715. Un anno prima, nel 2020, erano stati 166 mila, mentre nel 2019 – ultimo anno di “normalità – si erano fermati a 162 mila.

A influire è stata certamente la partenza ritardata del turismo, settore che in genere inizia a muoversi tra marzo e aprile mentre quest’anno è stato fermato dal coprifuoco che si è protratto fino a primavera insieme alle varie zone a colori. Ma, come detto, il record è ottenuto anche se estendiamo la conta all’intero primo semestre, che ha visto ben 497 mila ingressi totali. Mai successo almeno da quando l’Inps fornisce report mensili sulle assunzione, cioè dal 2014.

In quell’anno, sempre considerando i primi sei mesi, furono assunti 344 mila stagionali, saliti a 366 mila nel 2015 e poi scesi a 339 mila nel 2016. Nel 2017 le assunzioni stagionali furono poi 376 mila, nel 2018 hanno superato di poco i 400 mila. L’ultimo anno non pandemico, il 2019, ne registra 480 mila; nel 2020 sono inevitabilmente crollati a 259 mila per il lockdown generalizzato di marzo e aprile. Poi l’esplosione del 2021, che stride con quanto dichiarato dai datori di lavoro. Quella narrazione su cui pure si regge la propaganda contro il Reddito di cittadinanza montata in queste settimane dai due Matteo, Renzi e Salvini, da Giorgia Meloni e da gran parte dei media.

Ieri sono venuti fuori i dati di agosto sull’assegno anti-povertà: i percettori attuali si sono stabilizzati su circa tre milioni; quelli coinvolti per almeno una mensilità continuano a crescere e ad avvicinarsi ai quattro milioni. Questo perché nel 2020, come ha detto l’Istat a giugno, i poveri assoluti in Italia sono arrivati a 5,6 milioni.

La platea dei sussidiati – c’è anche il Reddito di emergenza, finora andato a oltre un milione di persone – si continua ad allargare, ma questo non ha impedito il record di assunzioni stagionali.