Berlusconi: “No perizia psichiatrica, lede la mia storia”. E ora il Ruby ter fila dritto

Per difendere la sua “onorabilità” Silvio Berlusconi ieri ha scritto ai giudici del processo “Ruby ter” per dire che le udienze possono proseguire anche in sua assenza perché non può accettare di essere sottoposto a una perizia non solo cardiologica ma anche a “un’ampia e illimitata perizia psichiatrica” per verificare se davvero ci sia ancora un legittimo impedimento per motivi di salute, che finora ha bloccato il processo per corruzione di testimoni – 28 – che avevano deposto in suo favore negli anni scorsi al processo Ruby, descrivendo i “bunga bunga” di Arcore, con le “olgettine” come “cene eleganti”. Quella perizia disposta dai giudici – ha scritto Berlusconi – è “lesiva della mia storia e della mia onorabilità. È fuori da ogni logica”. Per dimostrare che è lucido e può fare ancora il leader politico anche se ultraottantenne, puntualizza che “nell’ambito delle consulenze depositate” dagli avvocati “vi è stato anche un contributo sotto tale profilo (psichiatrico, ndr), ma esclusivamente per dimostrare la correlazione che lega lo stress alla patologia cardiaca di cui sono portatore”. E quindi, prosegue, “non posso accettare” la decisione del tribunale milanese di allargare la perizia medico-cardiologica alla sfera psichiatrica. Dunque, “si proceda in mia assenza alla celebrazione di un processo che neppure sarebbe dovuto iniziare”. Secondo il leader di FI, “l’ipotesi di sottopormi a una ampia e illimitata perizia psichiatrica dimostra, per ciò che ho fatto nella vita, in molteplici settori, fra cui l’imprenditoria, lo sport e la politica, un evidente pregiudizio nei miei confronti e ben mi fa comprendere quale sarà anche l’esito finale di questo ingiusto processo”. Nella stessa lettera, Berlusconi parla pure di “toni e modi inaccettabili” della Procura di Milano, che ha chiesto di “disattendere” le relazioni mediche presentate dalla difesa, la quale voleva un rinvio a oltranza del processo per motivi di salute. La procuratrice aggiunta Tiziana Siciliano, in udienza aveva detto che Berlusconi poteva presenziare al processo: “Questa estate lo abbiamo visto scorrazzare in Sardegna in kart… le sue patologie sono compatibili con la vecchiaia” e aveva concluso: “Se dietro di lui non ci fosse un pool di avvocati e medici di alto livello, sarebbe a processo”. I giudici hanno respinto la richiesta della difesa e hanno disposto la perizia che dava tempo agli esperti di presentare una relazione a novembre, ma la lettera di Berlusconi ha azzerato tutto. Quindi adesso il collegio dovrà fissare una nuova udienza, ben prima di quella del 17 novembre, che era stata programmata per esaminare i risultati dei periti.

Milano insegna l’Antimafia all’Università

Quattro corsi gratuiti di formazione sul fenomeno mafioso in Lombardia a cura dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con PoliS-Lombardia, il centro di ricerca della Regione. È questa l’iniziativa che da Milano segna una discontinuità nell’impegno formativo delle istituzioni del Nord di fronte alla criminalità organizzata. I quattro corsi saranno dedicati ciascuno a una urgenza o priorità del contesto regionale. Il primo tratterà infatti la presenza, l’espansione e la distribuzione geografica delle mafie nel territorio lombardo, e sarà rivolto soprattutto alle polizie e agli amministratori locali. Il secondo affronterà l’infiltrazione mafiosa nel grande e diversificato settore della sanità, e sarà indirizzato soprattutto al personale del sistema sanitario. Il terzo esaminerà le caratteristiche della aggressione mafiosa all’ambiente, fattasi sempre più diffusa e minacciosa, e sarà rivolta in modo particolare ai differenti titolari di funzioni ecologiche. Il quarto invece (intitolato “Te la do io l’antimafia”) è stato pensato soprattutto per insegnanti di ogni ordine e grado, per operatori sociali ed esponenti di associazioni, in particolare giovanili, e si propone di suggerire creativamente modalità e strategie di risposta “dal basso” a sostegno della società civile e delle istituzioni.

Il progetto didattico, costituito di lezioni a distanza e che ha vinto un bando regionale, è opera di Nando dalla Chiesa e Mariele Merlati, e partirà il 4 ottobre mattina per continuare fino a dicembre con una successione dei corsi attraverso sei incontri di due ore ciascuno. Tra i docenti, molti dei maggiori esperti nazionali, da Alessandra Dolci e Rosy Bindi. Per informazioni: www.cross.unimi.it. Per iscriversi all’attività di formazione dovrà essere inviata una email all’indirizzo cross@unimi.it entro il 20 settembre, con allegati il modulo di iscrizione e l’informativa privacy.

“Dal management di Mps condotta antisindacale”

Mentre UniCredit, Mcc e Amco insieme al governo stanno decidendo come dividersi le spoglie della banca, ieri, con una nota congiunta, le segreterie sindacali del Monte dei Paschi hanno minacciato di denunciare per comportamento anti-sindacale il management per le ultime decisioni sulla riorganizzazione della banca. In attesa dello sciopero dei 21.300 lavoratori del gruppo indetto per venerdì 24 settembre proprio per reclamare voce in capitolo nel dibattito sul futuro dell’istituto (le ipotesi sul numero di esuberi variano da 5mila e 7mila), Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin criticano il fatto che sebbene “Mps, in posizione di evidente debolezza, non sia chiamata a decidere sulle sue proprie sorti” “il Cda sta ponendo in essere alcune iniziative che reputiamo pregiudizievoli”. I sindacati contestano “il contratto di rete, una sorta di alleanza con Fruendo e Accenture che distaccherà per 10 anni 270 lavoratrici e lavoratori della banca in mansioni di back office da svolgere anche per altri committenti”, “la chiusura di 50 sportelli su tutto il territorio nazionale, con creazione di mobilità territoriale e professionale” (“È forse un’iniziativa su commissione?”, la domanda retorica) e le modifiche al mercato Corporate (la revisione ridurrà i team di gestione dagli attuali 375 a 335, “con consequenziale liberazione di 40 team e 80 risorse”). Motivi per i quali i sindacati hanno “formalmente diffidato la banca dall’attuare le iniziative”, riservandosi di attivare le procedure dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori. È ormai lontano anni luce il “groviglio armonioso” che si toccava con mano il 9 aprile 2009, quando in vista di 600 prepensionamenti volontari il Cda di Rocca Salimbeni dedicava 100 nuove assunzioni alle “graduatorie di figli di dipendenti di Siena e Grosseto”.

Aemilia, chiesto l’ergastolo per il boss Grande Aracri e i tre suoi fiancheggiatori

Quattro ergastoli. La Procura di Bologna ha chiesto di ribaltare la sentenza di primo grado della Corte d’Assise nel processo “Aemilia 1992”, uno dei filoni del maxi-processo alla ’ndrangheta emiliana. Secondo il sostituto procuratore Lucia Musti, il boss di Cutro, Nicolino Grande Aracri detto “mano di gomma” va condannato al carcere a vita non solo per l’omicidio di Giuseppe Ruggiero, ucciso a Brescello il 22 ottobre 1992 da quattro uomini travestiti dai carabinieri. Per il pg e per il pm Beatrice Ronchi, il boss è colpevole anche dell’agguato a Reggio Emilia il 21 settembre 1992 quando morì Nicola Vasapollo. Per questo omicidio, in primo grado, Grande Aracri era stato assolto “per non aver commesso il fatto” e sono stati giudicati colpevoli gli altri tre imputati: Angelo Greco, Antonio Lerose e Antonio Ciampà. Anche per loro è stato chiesto l’ergastolo. Gli attentati sono stati inquadrati nella faida tra le cosche rivali Vasapollo-Ruggiero e Dragone-Grande Aracri-Ciampà-Arena, per il traffico di droga tra Emilia-Romagna, Calabria e Lombardia.

E poco dopo si risolve il contenzioso tra Regione e l’acquirente di Christian

Roberto Zedda – l’acquirente della porzione di abazia a Capoterra del presidente della Sardegna, Christian Solinas, per 550.000 euro (sempre che il rogito finale sia stato fatto) – è un gran player delle forniture alle amministrazioni sarde. Ma, soprattutto, vanta conoscenze importanti nell’entourage del governatore, primo fra tutti il braccio destro, quel Nanni Lancioni da molti mesi uomo-ombra di Solinas. È Lancioni che pare suggerire tutte le nomine che il presidente poi esegue.

Zedda, big dell’imprenditoria sarda, con la sua società Arionline non avrebbe potuto non partecipare alla “madre di tutti gli appalti della sanità sarda”: il project financing di Nuoro. Un affidamento da 1,1 miliardi che nel 2008 ha incaricato l’Ati Polo sanitario della Sardegna centrale-Società di Progetto (Pssc) della progettazione e realizzazione dei lavori di ristrutturazione e completamento dell’ospedale San Francesco di Nuoro e San Camillo di Sorgono, nonché dei presidi di Macomer e Siniscola. In più, per 27 anni Pssc avrebbe gestito le strutture sanitarie: dall’assunzione del personale, fino alle forniture delle attrezzature medicali.

Ma non tutti erano d’accordo: nel 2016 l’Anac di Cantone chiede l’annullamento del project, nella delibera del 31 agosto 2016. Scriveva Anac nella relazione trasmessa alla Procura di Nuoro e alla Corte dei Conti sul project: “È strumento con il quale si trasgredisce l’applicazione delle norme e dei princìpi che disciplinano la concessione di lavori pubblici e il project financing, nonché gli appalti pubblici in generale, facendo conseguire alle parti un risultato precluso dall’ordinamento”. E aggiungeva: “Con una remunerazione degli investimenti dei privati concessionari posta interamente a carico dell’amministrazione aggiudicatrice, senza che si verifichi la necessaria traslazione in capo ai privati del rischio economico e gestionale, elemento essenziale del project”.

Così il contratto nel 2017 viene impugnato dalla Regione (giunta Pigliaru) e si apre un maxi-contenzioso legale che passa per Tar, Consiglio di Stato, arbitrato. Conseguenza immediata dello scontro, il blocco dei pagamenti da parte della Asl alle società di Pssc. Tra i creditori c’era anche la Arionline di Zedda, che in Pssc si occupa di forniture software, hardware e gestione delle reti degli ospedali e dei laboratori. Uno stallo durato anni.

La giunta Solinas, nel 2020, a contenzioso ancora aperto, aveva cercato di far passare un emendamento che stanziava 20 milioni a favore di Pssc. Un “risarcimento per legge”, lo definirono le opposizioni, nei confronti di Pssc. Ma fu costretta a ritirarlo.

Il contenzioso si è sbloccato il 7 luglio 2021, quando Pssc e il commissario straordinario all’Ats Sardegna, Massimo Temussi (uomo nominato da Solinas, ma vicinissimo al consigliere Lancioni) hanno firmato un accordo transattivo. Se da un lato si prevede un risparmio per Regione di circa venti milioni sulle prestazioni che Pssc avrebbe fornito in futuro, dall’altro si assicura a Pssc di rientrare dei crediti vantati per il passato. Soldi che andranno anche nelle casse di Arionline, la società il cui proprietario alcuni mesi prima aveva fatto un affare immobiliare con Solinas.

La strana compravendita di Solinas l’immobiliarista

Il governatore sardo Christian Solinas, oltre che un affermato politico, è anche un uomo fortunato in affari. Compra a poco e rivende a tanto. Il suo ultimo acquisto è una villa da 543 mq, 20 vani più giardino, in una zona “in” di Cagliari. L’immobile (da ristrutturare) Solinas l’ha acquistato il 10 marzo scorso: 1,1 milioni di euro, pagati in gran parte col mutuo da 880.000 euro ottenuto dal Banco di Sardegna lo stesso giorno, nonostante risulti un “lavoratore precario”.

Solinas ha sempre vissuto di politica e il suo reddito resta legato alle eventuali riconferme elettorali. Da presidente della Regione, nel 2019 ha dichiarato un reddito di 111.450 euro, mentre nel 2017, da consigliere regionale, aveva dichiarato 79.405 euro. Garanzie sufficienti per la banca che concede il mutuo.

Per assicurarsi la villa da 543 mq, il 2 dicembre 2020 Solinas versa ai proprietari, la famiglia Ciani, una caparra da 100 mila euro, sottoscrivendo il preliminare di acquisto.

Ma il vero affare Solinas lo fa il mese precedente. È il 4 novembre 2020, quando sigla un altro preliminare: questa volta per la vendita di alcuni edifici di sua proprietà a Santa Barbara, comune di Capoterra, provincia di Cagliari, per 550.000 mila euro. Una porzione di abazia – vincolata al ministero dei Beni culturali – che Solinas aveva acquistato 18 anni prima (era il 18 maggio 2002), per circa 40 mila euro. Un investimento ben riuscito, se si considera che dalla compravendita ricava mezzo milione di euro di ricavi.

A impegnarsi a comprare, quel mercoledì 4 novembre, è Roberto Zedda, noto imprenditore dell’isola. Editore di YouTg.net, una “nuova web tv locale/globale” nata a Cagliari, con la sua società, la Arionline, Zedda è il principale fornitore di software gestionali ai Comuni sardi. Inoltre, la Arionline tra il 2020 e il 2021 ha rifornito di termoscanner e termometri anti-Covid la Regione, le sue controllate, le Ats, le ASSL e molti Comuni. Tra i tanti affidamenti sotto emergenza, e quindi senza gara, si possono ricordare i 65.000 euro avuti dall’Agenzia Aspal; gli 82.030 dall’Assessorato degli enti locali; i 37.800 dall’Ats Sardegna.

Zedda, pur di assicurarsi gli immobili, versa una cospicua caparra: 200 mila euro. Il pagamento avviene con due assegni datati 4 novembre 2020 da 100 mila euro l’uno. E si impegna a versarne altri 50 mila entro 10 giorni. Lo stesso contratto prevede poi che il rogito avvenga entro il 30 giugno 2021.

Tuttavia, nelle carte dell’Agenzia delle Entrate (aggiornate al 15 settembre 2021) che il Fatto ha consultato, di quel rogito non v’è traccia. Risulta il preliminare, ma non l’atto di compravendita. E ciò nonostante la legge imponga al notaio la registrazione dell’atto entro 20 giorni dalla firma.

Un’omissione che fa sorgere più di un dubbio: in base al preliminare, infatti, “in caso di inadempimento della parte acquirente (cioè Zedda, ndr), l’altra parte (cioè Solinas, ndr) potrà recedere dal contratto, trattenendo la caparra”. Se invece, recita il documento, il contratto non si è perfezionato per colpa del venditore (Solinas, in questo caso), l’acquirente avrebbe potuto richiedere indietro il doppio della caparra versata.

Quei ruderi di Capoterra per Solinas sono già stati fonte di guai: nel 2013, da ex assessore regionale, aveva presentato domanda per i contributi della legge 29 del 1998 per la ristrutturazione di fabbricati storici. Ma l’impresa fallì: finì indagato per abuso edilizio, violazioni delle norme a tutela dell’ambiente e abuso d’ufficio. Per i pm aveva usato i soldi per abbattere alcuni edifici vincolati e ricostruire. Un’inchiesta per la quale sarà archiviato, non prima però di aver restituito i 183 mila euro ricevuti dalla Regione.

Contattati dal Fatto, Solinas e Zedda si sono rifiutati di spiegare se si tratti di un errore dell’Agenzia delle Entrate – e quindi in quel caso il rogito è stato fatto ma non registrato – oppure se non sia proprio mai stato sottoscritto. E non hanno voluto neanche dire che fine abbiano fatto quei 200 mila euro di caparra iniziale.

Solinas ha però aggiunto: “Premesso che le circostanze che evocate nelle domande inviate – peraltro assai imprecise – attengono evidentemente alla mia sfera privata e non hanno alcuna connessione con il mio ruolo pubblico, in alcuni punti nemmeno temporale, tengo comunque a precisare che tutte le mie azioni sono sempre state caratterizzate da legittimità e trasparenza. Auspico perciò che qualunque ricostruzione il Fatto Quotidiano vorrà proporre all’opinione pubblica riporti fatti corrispondenti al vero, senza illazioni o allusioni destituite di fondamento. Segnalo, infine, che la mia attuale posizione – avendomi esposto a minacce di morte – ha determinato anche di recente l’adozione di disposizioni di sicurezza particolari per la mia incolumità fisica (nonché dei miei familiari), ragione per la quale l’esposizione pubblica di immagini o indirizzi di immobili a me riconducibili porrebbe evidenti problemi di altra natura in ordine alla liceità o, quanto meno, opportunità di una simile condotta”.

Così l’avvocato ha disintegrato l’intera Procura

Nel lungo corridoio della Procura di Milano c’è chi, per cercare di capire che cosa sta succedendo, comincia dalle arti marziali. Nella lotta greco-romana, ci si confronta a mani nude e vince il più forte. Nella lotta giapponese, invece, vince chi riesce ad approfittare della forza del suo avversario e a farlo cadere, vittima della sua stessa forza. La politica ha provato per anni a piegare con la forza i magistrati. L’ufficio che è stato diretto da Francesco Saverio Borrelli, Gerardo D’Ambrosio, Manlio Minale ha sempre subìto attacchi, ispezioni governative, interventi legislativi, provvedimenti ad personam, dossieraggi. I magistrati hanno risposto indossando la toga e sventolando la Costituzione. I conflitti interni (che sono sempre esistiti) erano gestiti e risolti. Oggi invece esplodono e trascinano la magistratura al suo record storico (negativo) nell’apprezzamento da parte dei cittadini.

Che cosa sta succedendo, dunque, a Milano? Il conflitto mortale è stato innescato dalle dichiarazioni rese tra il dicembre 2019 e il febbraio 2020 da Piero Amara, avvocato esterno dell’Eni. È lui a parlare ai magistrati Laura Pedio e Paolo Storari di una fantasmagorica “loggia Ungheria” a cui apparterrebbero magistrati, politici, avvocati, generali, banchieri, funzionari, imprenditori, alti prelati vaticani. La racconta come una vera e propria loggia massonica segreta, con i suoi segnali di riconoscimento (un certo modo di stringersi la mano, premendo tre volte il dito indice sul polso; e una domanda posta all’interlocutore al primo incontro: “Sei mai stato in Ungheria?”). Amara dice di avere, ben nascosta all’estero, la lista degli iscritti, una quarantina, che però non consegna ai magistrati. Nei suoi interrogatori allinea oltre 70 nomi, ma non fornisce alcuna prova. Alcuni dei personaggi citati sono notoriamente in forte conflitto tra loro e ben difficilmente accetterebbero di stare dentro la stessa loggia. Dai suoi racconti, verbale dopo verbale, prende forma, più che una loggia organica e organizzata, una rete complessa e multipla di relazioni, collaborazioni, attenzioni, gratitudini, ricatti, obbedienze, dipendenze. Cita affari, piaceri, scambi di favori. Il collante è quello del potere e degli affari. Centrale la capacità di manovrare le nomine delle persone giuste al posto giusto. Determinanti i rapporti con la magistratura, penale, civile, amministrativa, per aggiustare le cause e addomesticare i controlli di legalità. Sono verità, farneticazioni, o calunnie, quelle di Amara? Il suo è un riscatto o un ricatto? È possibile che il vero sia mischiato al falso, ma non sappiamo in quali proporzioni. E ora per la magistratura sarà difficile discernere il grano dal loglio, perché i verbali di Amara – che andavano tenuti segreti e sui quali dovevano essere compiute indagini rapide, accurate e riservatissime – sono usciti dal controllo della Procura di Milano e diventati noti ai protagonisti. Ma accertare le verità e segnalare le fandonie resta una necessità, perché Amara è depositario di molti segreti e non bisogna cedere alla tentazione, o al disegno, di ridurlo a semplice mitomane. Sui tempi e i modi dell’indagine si è consumata a Milano una rottura che ha avuto anche l’effetto di rendere forse impossibile stabilire se la loggia Ungheria è la P2 del terzo millennio o la più colossale delle bufale. Con un curioso paradosso finale: il primo compito che era stato affidato ad Amara, o che Amara aveva assegnato a se stesso – e cioè intorbidare le inchieste della Procura di Milano sulle operazioni di Eni in Algeria, Nigeria e Congo – è stato realizzato: obiettivo raggiunto. Di più: una mossa di lotta giapponese è riuscita a ridurre la Procura guida d’Italia all’afasia.

Loggia ungheria: ecco i verbali del caso Amara

Pubblichiamo a partire da oggi alcuni stralci — selezionati per rilevanza dei ruoli pubblici — degli interrogatori resi davanti ai pm della Procura di Milano, Laura Pedio e Paolo Storari, da Piero Amara, ex legale esterno dell’Eni, già condannato per corruzione e ora indagato a Perugia per violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete.

 

6 dicembre 2019

Amara: (…) Devo fare una premessa: io facevo parte di una loggia massonica coperta, formata da persone che io ho incontrato attraverso persone di origine messinese dove questa loggia è particolarmente forte. Mi ha introdotto Gianni Tinebra, magistrato con cui avevo ottimi rapporti. Attraverso questa loggia denominata “Ungheria” ho conosciuto Michele Vietti e tale Enrico Caratozzolo, avvocato di Messina; il capo della cellula messinese per quanto mi dissero Tinebra, Vietti e Caratozzolo era Giancarlo Elia Valori. Della cellula “Ungheria” fa parte anche la dottoressa Lucia Lotti (magistrato a Roma, ndr).

(…)

Fu Vietti a mandarmi Saluzzo (Francesco, ndr) a Roma. Io già sapevo che faceva parte dell’associazione Ungheria e comunque tale circostanza mi fu confermata dal modo in cui mi salutò premendomi il dito indice tre volte sul polso mentre mi stringeva la mano. L’incontro fu organizzato a casa di un imprenditore, di cui non ricordo il nome, amico di Antonio Serrao, detto Tonino, all’epoca direttore generale del Consiglio di Stato e anch’egli partecipe di “Ungheria”. L’incontro avvenne un paio di mesi prima rispetto alla nomina di Saluzzo a Procuratore Generale di Torino, il colloquio fu estremamente chiaro: Saluzzo mi disse che aveva già parlato con Cosimo Ferri ottenendo la disponibilità di MI, mentre aveva dei problemi con la componente laica del Pd e gli serviva un intervento forte di Luca Lotti. Da parte mia io non chiesi nulla di particolare a Saluzzo, ma una sua messa a disposizione qualora ve ne fosse stato bisogno. Preciso che non ho mai chiesto nulla a Saluzzo tranne che in un’occasione: andai da lui per preannunciargli la visita della compagna di Bigotti, tale Barbara Bonino, la quale aveva un’udienza di separazione col suo ex marito. Questa signora poi effettivamente andò da Saluzzo e lui fu cordiale con lei. Naturalmente io rappresentai a Lotti il mio interesse per la nomina di Saluzzo nel corso di un colloquio intervenuto tra di noi vicino piazza di Spagna di fronte al Gregory Jazz Pub.

(…)

Premetto che in altri casi Vietti, in funzione di sue esigenze a me non note, mi chiese di far guadagnare denaro ad avvocati o professionisti a lui vicini e avvenne in quel periodo anche con l’avvocato Conte, oggi presidente del Consiglio, a cui facemmo conferire un incarico dalla società Acquamarcia S.p.A. di Roma, incarico che fu conferito a lui e al professor Alpa, grazie al mio intervento su Fabrizio Centofanti, che all’epoca era responsabile delle relazioni istituzionali di Acquamarcia. L’importo che fu corrisposto da Acquamarcia ad Alpa e Conte, era di 400 mila euro a Conte e di 1 milione di euro ad Alpa. Questo l’ho saputo da Centofanti che si arrabbiò molto perché il lavoro era sostanzialmente inutile, trattandosi della rivisitazione del contenzioso della società, attività che fu svolta da due ragazze in poche ore, e l’importo corrisposto fu particolarmente elevato.

(…)

Aggiungo che l’avvocato Paola Severino è nella lista delle persone appartenenti a “Ungheria”.

(…)

Domanda dei pm: Le vicende che sono descritte nell’appunto cosiddetto “Keepwild” sono riconducibili ai suoi rapporti con l’associazione “Ungheria”?

Amara: Non tutte. Certamente sono legati a “Ungheria” Andrea Gemma (professore, avvocato, già nel cda Eni, ndr), Antonino Serrao e il Generale Toschi (Giorgio, ex comandante generale Gdf, ndr).

Domanda dei pm: Quali altre persone legate alla vicenda Eni fanno parte di “Ungheria”?

Amara: Ne fanno parte Fabrizio Siggiae ne faceva parte Vincenzo Armanna (ex dirigente Eni, ndr) fino a quando non è stato “posato”. Fu Bisignani, che fa parte anche lui di “Ungheria”, che chiese di ‘posare’ Armanna. Mi chiedete quando sia accaduto e lo colloco nel 2015. La vicenda Eni ha avuto una rilevanza, ma c’erano anche altre relazioni tra di loro che hanno avuto peso maggiore.

(…)

De Ficchy che era persona alla quale io potevo arrivare perché faceva parte dell’associazione “Ungheria”.

(…)

Domanda dei pm: Che rapporti vi sono tra la circostanza di cui ha riferito ieri attinenti alla nomina del Procuratore di Milano e l’eventuale operatività di “Ungheria”?

Amara: Sì, nel senso che la rete relazionale di “Ungheria” fu utilizzata per condizionare la nomina del Procuratore di Milano. Come vi ho detto, si sollecitarono candidature di persone amiche o alle quali si poteva in qualche modo accedere, tra cui come ho detto tale Amato (Giuseppe, ndr), che però non fa parte dell’associazione. Amato fu invitato a presentare la candidatura da Ferri e Palamara. Ferri ricopre un incarico molto importante in Ungheria.

Domanda dei pm: Chi aderisce all’associazione “Ungheria”?

Amara: Magistrati, Forze dell’Ordine, alti dirigenti dello Stato e alcuni imprenditori. Conservo una lista di circa 40 persone.

 

14 dicembre 2019

Domanda dei pm: Nel precedente interrogatorio del 06.12.2019 ha fatto riferimento a quella che Lei ha definito una loggia massonica coperta denominata “Ungheria” della quale Lei stesso fa parte insieme ad altri esponenti della magistratura, del mondo politico, dell’imprenditoria, delle forze dell’ordine, dell’avvocatura. Ci può spiegare in quale momento è entrato a far parte in questo gruppo, in che modo, tramite chi?

Amara: Per rispondere a questa domanda devo prima riferire il contesto nel quale è nata la mia partecipazione all’associazione. A partire dal 2005 ho frequentato con una certa assiduità l’O.P.C.O. (Osservatorio Permanente sulla Criminalità Organizzata) nel quale mi coinvolse Gianni Tinebra, all’epoca procuratore a Caltanissetta. Avevo conosciuto Tinebra attraverso Carola Parano (Direttrice dell’Opco) e Giuseppe Toscano (procuratore aggiunto di Siracusa).

(…)

Ho svolto la mia attività nell’ambito dell’Opco, dedicandomi all’organizzazione di convegni e di studi in materia di criminalità organizzata e sono stato particolarmente apprezzato da Gianni Tinebra il quale – a un certo punto – ritenne che avessi le caratteristiche per essere introdotto in un gruppo più ristretto di persone che condividevano gli ideali dello Stato liberale e che erano legati da un vincolo di solidarietà, amicizia e disponibilità, rappresentandomi che nel corso della mia vita questo mi sarebbe stato molto utile. Sottolineo la frase di “Stato liberale” perché questa mi fu più volte rimarcata in quanto il gruppo si proponeva di affermare i principi di uno Stato garantista contro quella che appariva già all’epoca una deriva giustizialista, quello che poi nel tempo mi fu rappresentato essere lo spirito della corrente della magistratura denominata “Magistratura Indipendente”, molti esponenti della quale fanno parte di Ungheria. Mi rendo conto che questa tuttavia era una foglia di fico, in quanto il gruppo si è risolto in un sostanziale scambio di favori. Per quello che io ho potuto vedere, questo gruppo ha rappresentato e rappresenta quello che definirei una sorta di contropotere, a volte anche più forte della politica. Con questa espressione intendo fare riferimento al fatto che il gruppo è in grado collocare persone di sua fiducia in posti chiave, soprattutto ai vertici delle forze dell’ordine e della magistratura, e che le nomine di queste persone vicine al gruppo vengono decise in luoghi diversi da quelli istituzionali. Ricordo, per esempio, che in occasione della nomina del procuratore di Firenze, a me fu fatto il nome di tale Leonida Primicerio da un generale della Guardia di finanza, tale Genzano. Presentai questo magistrato a Luca Lotti, indicandolo come magistrato a sua totale disposizione: vi riferisco come prove di questo che egli durante il mio colloquio con Lotti rimase appostato dietro una macchina in attesa di essere chiamato. Lotti aderì alla mia richiesta, ma tuttavia non riuscì a far nominare Primicerio in quanto Michele Vietti (aderente al gruppo Ungheria) impose la nomina di Creazzo. Tale circostanza, cioè dell’interesse e della volontà di nominare Creazzo, fu da me direttamente verificata con Vietti.

(…)
Tornando al mio ingresso in Ungheria, ricordo che Gianni Tinebra organizzò una cena di presentazione presso la sede di Opco, servita da un catering a Siracusa. Alla cena parteciparono oltre a me e Tinebra, Alessandro Centonze (sostituto procuratore della Dda di Catania), Sebastiano Ardita (sostituto procuratore a Catania), Giuseppe Toscano (procuratore aggiunto a Siracusa), il figlio Attilio Toscano (professore associato di Diritto amministrativo a Catania). Doveva partecipare alla cena anche Giuseppe Zafarana , all’epoca, mi pare, con il grado di colonnello della Guardia di finanza, che poi invece non venne. Ho poi saputo a proposito di Zafarana che era entrato in Ungheria presentato da Giuseppe Toscano. La cena si è svolta tra il 2006 e il 2007

(…).
Tinebra poi mi disse che aderivano alla associazione anche i magistrati Franco Cassata (Procuratore Generale a Messina), Fazio (presidente della Corte d’Appello di Messina) e Francesco Paolo Giordano (sostituto procuratore a Caltanissetta). Ricordo tra gli episodi nei quali un associato è stato obbligato a fare qualcosa che in condizione di libertà forse non avrebbe fatto, quanto mi riferì Alessandro Centonze. All’epoca Tinebra (procuratore a Caltanissetta) voleva che fosse richiesta l’archiviazione di un procedimento a carico di Silvio Berlusconi. Il Sostituto che aveva in carico quel fascicolo era Alessandro Centonze il quale non voleva chiedere l’archiviazione, ma fu costretto a farlo in virtù del vincolo associativo come lui stesso mi disse.

(…)

La gestione complessiva delle vicende processuali di Silvio Berlusconi a Caltanissetta portò Tinebra a essere nominato responsabile del Dap, come lui stesso mi disse.
(…)

Nel 2009 Tinebra mi presentò Michele Vietti. L’incontro avvenne in occasione di un convegno organizzato a Siracusa da una organizzazione culturale – che mi riservo di indicare sia quanto a nome che a date –. Vietti mi fu presentato nel corso di un incontro privato tra me, lui e Tinebra in corso Gelone a Siracusa (presso un bar), Tinebra volle presentare me a Vietti come persona di sua fiducia. In quella occasione mi dissero che i promotori dell’associazione erano – oltre a loro due – Enrico Caratozzolo e Giancarlo Elia Valori. Mi dissero che loro quattro, oltre che essere promotori di Ungheria, erano anche massoni e mi spiegarono che non c’era coincidenza necessaria tra l’appartenenza alla massoneria e all’associazione Ungheria, tuttavia circa l’80% degli aderenti alla massoneria. Quanto a Caratozzolo, mi dissero che egli nonostante la giovane età, era particolarmente importante, anche in ragione di un consolidato rapporto tra suo padre e Michele Vietti, entrambi massoni. Sempre in quella occasione, mi riferirono che Giancarlo Elia Valori era il capo di Ungheria.
(…)

Domanda dei pm: Lei ha avuto rapporti diretti con la Severino che attestassero la partecipazione di quest’ultima a Ungheria?
Amara: No, non ho avuto rapporti diretti con lei su questo tema. Faccio però presente che Paola Severino è presente nella lista degli appartenenti a Ungheria e – come ho già detto – la sua partecipazione mi è stata riferita chiaramente da Michele Vietti. Ho avuto una sola interlocuzione con la Severino nell’ambito della mia attività di legale nominato dalla struttura commissariale dell’Ilva. In particolare abbiamo avuto una conference call di coordinamento in quanto la Severino seguiva le vicende Ilva milanesi. Questo è avvenuto nel 2016.
(…)

Domanda dei pm: Ci descriva cosa è accaduto dopo che Lei si è manifestato con Verdini.
Amara: Il rapporto con Verdini, a differenza di quello con Vietti, è stato caratterizzato da grande confidenza e Verdini mi ha presentato diverse persone che appartengono all’associazione. Innanzitutto, Cosimo Ferri, che io già sapevo essere legato a Ungheria, perché me lo avevano detto sia Tinebra che Ardita. Oltre a Cosimo Ferri mi furono indicati come esponenti di Ungheria i magistrati Pontecorvo e Racanelli, entrambi hanno fatto parte del Csm. Ricordo in particolare un incontro avvenuto tra me, Ferri, Pontecorvo, Racanelli e Verdini all’interno della Galleria Alberto Sordi a Roma. In quell’incontro, io sapevo già che eravamo tutti legati a Ungheria e comunque il tenore della conversazione non lasciò equivoci sulla comune appartenenza. Da Verdini ho saputo dell’appartenenza alla associazione del generale Toschi della Guardia di Finanza, del generale Del Sette dei Carabinieri e del generale Saltalamacchia dei Carabinieri. (…) Da Verdini ho appreso anche che Luigi Bisignani è un appartenente di Ungheria e lo stesso mi disse Michele Vietti. Con Bisignani ho avuto anche rapporti diretti.

(…)

Sempre Verdini mi disse che Filippo Patroni Griffi, già presidente del Consiglio di Stato, era un appartenente. Patroni griffi mi fu presentato da Luigi Caruso (vicepresidente della Corte di Conti) anch’egli appartenente a Ungheria. Così come Pasquale Squitieri (già presidente della Corte dei Conti).

 

15 dicembre 2019

(…) A settembre 2014 si è insediato il nuovo Csm sul quale, come ho detto, l’associazione Ungheria-Magistratura Indipendente aveva un potere assoluto. Il potere di Ungheria sul Csm si sviluppava secondo il seguente schema: all’apice c’erano Cosimo Ferri e Michele Vietti. Il primo, leader assoluto di Magistratura Indipendente, e il secondo all’apice dell’associazione Ungheria. Cosimo Ferri controllava Luca Palamara, membro del Csm e leader di Unicost. All’interno del Csm il vicepresidente Giovanni Legnini era stato affiliato (nel nostro gergo l’espressione “fatto” o “sverginato”’) a Ungheria da Pasquale Dell’Aversana. Facevano parte ancora di Ungheria i seguenti membri del Consiglio Superiore della Magistratura: Lorenzo Pontecorvo, Antonio Leone, Giorgio Santacroce, Paola Balducci (…), Claudio Galoppi, Pasquale Paolo Maria Ciccolo, Vincenzo Carbone e Giovanni Canzio. Altri componenti del Csm, pur non essendo aderenti all’associazione Ungheria erano purtuttavia controllabili e in particolare Giuseppe Fanfani (direttamente da Lotti e Maria Elena Boschi), Maria Rosaria San Giorgio e Riccardo Fuzio (controllati da Luca Palamara), Luca Forteleoni (direttamente controllato da Ferri).
Un ruolo molto importante nelle decisioni che assumeva il Csm lo aveva Angelantonio Racanelli, allora segretario di Magistratura Indipendente.

(…).

 

16 dicembre 2019

Domanda dei pm: Lei ha riferito di un suo coinvolgimento come associato di Ungheria nella nomina del Procuratore di Milano nel 2016: ci può riferire che attività ha svolto in questa vicenda?
Amara: La nomina del Procuratore di Milano è stata una delle vicende per le quali mi sono impegnato come associato di Ungheria nell’interesse di Eni. Il mio impegno in questa operazione è stato inteso in quanto l’Eni era fortemente interessata ad avere un procuratore di Milano controllabile e soprattutto che potesse “contenere” l’attività investigativa che De Pasquale da anni svolgeva nei confronti di Eni.
La decisione di attivarmi per condizionare la nomina nacque nell’ambito di una interlocuzione continua che avevo con Claudio Granata. Come ho riferito in un precedente interrogatorio, quando il mio rapporto con Granata si è consolidato nel 2014, abbiamo cominciato a ragionare sulla possibilità di creare un certo consenso intorno all’Eni e in particolare di “sensibilizzare” uffici giudiziari, forze dell’ordine e in generale l’opinione pubblica sull’importanza delle attività svolte dall’Eni all’estero. L’obiettivo, poi, in verità, soprattutto nella vicenda milanese, è stato quello di prendere possesso della Procura.
(…)
La candidatura di Greco apparve da subito molto forte e difficile da superare. La scelta di Amato era funzionale allo scopo e cioè di avere un Procuratore gestibile. Amato accettò di presentare la domanda consapevole che – nel caso di nomina – avrebbe dovuto essere disponibile. I tempi furono piuttosto lunghi, per quello che ricordo, e il progetto non andò in portò. La ragione per cui non andò in porto è che la candidatura di Greco era oggettivamente difficile da superare e poi lo stesso Palamara non era interessato in via diretta alla Procura di Milano. Ciò, unitamente alle difficoltà che incontrava all’interno della sua corrente, determinò il fallimento del progetto.

 

11 gennaio 2020

Domanda dei pm: Vi sono prelati appartenenti all’associazione Ungheria?
Amara: Ho letto nella lista di Caruso tre nomi: Vescovo (o monsignor) Adreatta, Monsignor Rocco Palmieri, Cardinale Parolin (Segretario di Stato di Sua Santità). Non conosco personalmente queste tre persone.
Domanda dei pm: Ci sono degli imprenditori appartenenti a Ungheria?
Amara: Bazoli, la mia fonte è la lista; Antonello Montante che io ho conosciuto circa nel 2007/2008 attraverso il Generale della Gdf Carmine Canonico. L’appartenenza di Montante a Ungheria mi è stata riferita direttamente da Gianni Tinebra e dallo stesso Montante. L’occasione fu quella in cui sia Tinebra che Montante cercarono di far desistere il pubblico ministero Musco dal coltivare iniziative processuali nei confronti di aziende facenti capo a Emma Mercegaglia. Fusillo è un imprenditore pugliese che ho conosciuto e che ho incontrato a Roma. Mi sono presentato a Fusillo con le modalità “Ungheria”, non ricordo chi me lo ha mandato; probabilmente un comune amico.
Iacobini padre e figlio (entrambi coinvolti nell’attuale vicenda della Banca Popolare di Bari). Ho incontrato il figlio di Iacobini nel 2015 a Roma in un bar di via Barberini. Iacobini mi fu mandato da Filippo Paradiso, era Iacobini che sapeva che io partecipavo a Ungheria. Iacobini venne da me in quanto aveva necessità di un contatto con Luca Lotti per ottenere l’approvazione di un decreto legge che riguardava le banche popolari. Non conosco e né ricordo il contenuto di tale decreto. Ne parlai con Bacci e Lotti e organizzai poi un incontro con Bacci e Iacobini nello stesso bar di via Barberini. In quella occasione Bacci disse che il decreto poteva essere approvato, ma che doveva essere firmato un contratto di consulenza tra Iacobini e Bacci o società da lui indicate prima dell’approvazione del decreto e con pagamento dopo l’approvazione. So che il contratto è stato formalizzato, ma poi non ho più seguito la vicenda, Iacobini mi rappresentò che c’era un forte ritardo nell’approvazione del decreto.
De Benedetti è un nome che ho letto nella lista di Caruso. “B.B.” è una sigla che era riportata nella lista e che secondo Caruso era riferibile a Silvio Berlusconi.

Perché adesso è il momento di pubblicare

Quando il 29 ottobre 2019 sono stati consegnati alla redazione del Fatto Quotidiano, con un plico anonimo, i verbali di Piero Amara sulla presunta loggia Ungheria, ci siamo rifiutati di pubblicarli. Per i seguenti motivi. Primo: erano fotocopie che potevano essere state costruite ad arte, possibili polpette avvelenate. Secondo: se fossero stati autentici, i verbali non erano firmati dai pm, quindi erano usciti illegalmente dalla Procura di Milano. Terzo: in entrambe le ipotesi, ci saremmo resi strumento di un danno; se falsi, pubblicando notizie inesistenti; se autentici, avvisando gli eventuali indagati dell’esistenza di un’indagine (molto delicata, visti i nomi citati) che sarebbe stata compromessa sul nascere. Consegnammo i verbali alla Procura di Milano per verificarne l’autenticità e preservare l’indagine. Senza consentire che altri dettassero i tempi delle nostre scelte.

L’ipotesi che ci fu prospettata: qualcuno aveva sottratto illegalmente quei verbali dai computer dei pm. Solo mesi dopo abbiamo saputo che erano stati consegnati dal pm Paolo Storari all’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo — convinti di un’inerzia investigativa della Procura — ed erano infine arrivati al Fatto consegnati dalla segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto. Quando fu perquisita, nell’aprile 2020, abbiamo raccontato l’esistenza dell’inchiesta (poiché sarebbe emersa dagli atti della sua indagine) ma scegliendo di non fare i nomi dei presunti aderenti alla loggia. Le vicissitudini processuali di Piero Amara e la sua propensione a creare inchieste farlocche (a Trani, a Siracusa, con l’obiettivo di distruggere le indagini della Procura di Milano su Eni) suggerivano cautela, in attesa che la Procura di Perugia e le altre al lavoro sulla presunta loggia Ungheria potessero effettuare almeno i primi riscontri. Ieri il Fatto ha dato conto di uno di questi riscontri: quello sull’accusa di corruzione rivolta da Amara al magistrato Marco Mancinetti, caduta secondo la Procura di Perugia che ha archiviato Mancinetti e chiesto ai colleghi di Milano di indagare Amara per calunnia. Abbiamo così tenuto fede al nostro impegno, consentendo per undici mesi ai magistrati di svolgere le indagini senza intromissioni. Ora che almeno una parte dei verbali segreti di Amara è stata depositata dalla Procura di Roma negli atti d’inchiesta su Marcella Contrafatto (dunque non sono più segreti, pur essendo ancora oggetto d’indagine di altre Procure) e che sono ormai pressocché impossibili gli inquinamenti probatori, abbiamo deciso di raccontare ai lettori che cosa Piero Amara ha riferito ai pm su quella che definisce “loggia Ungheria”. Alcuni verbali sono ancora secretati, ma molti dei nomi che contengono, di presunti affiliati o di personaggi coinvolti in relazioni e affari, sono ormai da mesi oggetto di chiacchiere e illazioni. Il numero delle persone a conoscenza di quei verbali è alto, in molte “stanze del potere”, e ciò rende possibili pressioni e ricatti. Meglio dunque scoprire le carte, sapendo che ciò che Amara racconta può essere vero, ma può essere anche falso e calunnioso. Il Fatto ritiene che sia giunto il momento di pubblicare tutto. I lettori potranno conoscere tutti i nomi fatti da Amara, sapendo (anche grazie agli articoli già pubblicati, sulle accuse a Mancinetti, Giuseppe Conte, Sebastiano Ardita) che ciascuno di quei nomi potrebbe essere vittima di una calunnia (ci risulta per esempio che il comandante della Gdf Giuseppe Zafarana abbia chiarito la sua posizione, come la pm Lucia Lotti). Qualcuno, in questi mesi, ha preteso più o meno velatamente di impartirci lezioni di giornalismo, insinuando che dietro la scelta di non pubblicare vi fossero chissà quali interessi e che, se si fosse trattato di Silvio Berlusconi (giusto per fare un nome) avremmo pubblicato tutto senza remore. Bene, chiunque potrà ora scoprire che c’è anche Berlusconi tra i nomi degli affiliati indicati da Amara. È l’ora di stroncare i chiacchiericci e le possibilità di ricatto nati da queste carte fuggite dal controllo della Procura di Milano. Così, da oggi, il Fatto Quotidiano vi racconta la vera storia della loggia Ungheria.

Ministero Scossone alla Salute: cambia capo di gabinetto

Goffredo Zaccardi ha lasciato improvvisamente l’incarico di capo di gabinetto del ministero della Salute. La lettera di dimissioni dice motivi familiari che senz’altro ci sono. È pure vero però che Zaccardi, 78 anni, presidente di sezione del Consiglio di Stato e dirigente pubblico di lunghissimo corso, vicino a Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani di cui fu capo di gabinetto allo Sviluppo economico nel governo Prodi 2 (2006-2008), in questi mesi non è sembrato del tutto a suo agio con l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi e l’evidente perdita di autonomia del ministero di Roberto Speranza nella gestione della pandemia. Al suo posto arriva Tiziana Coccoluto (in foto), magistrato, attuale vice capo di gabinetto, molto apprezzata da Speranza e a Palazzo Chigi. Ne deriva un ulteriore rinnovamento di una struttura ministeriale che, anche per effetto di decenni di tagli oltre alla discutibile dilatazione delle prerogative regionali in materia sanitaria, non sempre è apparsa all’altezza della situazione nel corso dell’emergenza. Dopo l’arrivo di Gianni Rezza (ex Iss) alla Prevenzione, si è insediato Giovanni Leonardi nel ruolo di segretario generale, vertice amministrativo del ministero da tempo occupato da Giuseppe Ruocco, al centro delle polemiche sul mancato aggiornamento del piano pandemico. Sono stati nominati Giuseppe Ippolito (ex direttore scientifico dello Spallanzani) alla Ricerca e Sergio Iavicoli (ex Inail) alla Comunicazione.