Spagna, Díaz sfida Sánchez. Bolletta, salario e ambiente

Pedro Sánchez ha anche ricevuto l’avallo europeo al suo “piano di choc”, approvato martedì dal Consiglio dei ministri spagnolo, per limitare l’effetto dell’aumento del prezzo dell’energia: il record Madrid l’ha toccato mercoledì con 170 euro a Mw. “Siamo impegnati in una transizione verde equa e pronti ad appoggiare la Spagna nei suoi investimenti in energia pulita ed efficiente e nella sua lotta contro la povertà energetica”, ha twittato il vicepresidente della Commissione europea per il Green Deal, Frans Timmermans, dopo aver incontrato la vicepresidente spagnola Teresa Ribera a Madrid nei giorni scorsi. Il pacchetto di misure contro il caro-luce ha l’obiettivo di mantenere il prezzo dell’elettricità a 600 euro annui per un utente medio, almeno fino a fine anno, cioè un livello simile a quello del 2018 a fronte di un rincaro del 30% e, tra le altre cose, prevede un taglio delle entrate extra agli impianti nucleari fino al marzo 2022.

Misure frutto dell’ennesimo scontro interno al governo tra i socialisti del premier e i viola di Podemos. “Sánchez si è impegnato ad approvare un decreto legge per abbassare la bolletta elettrica e lo farà”, ha assicurato a mo’ di avvertimento la vicepresidente del governo e ministra del Lavoro, Yolanda Diaz, alla tv pubblica quattro giorni prima che il tema entrasse in Cdm, per poi dirsi contenta dell’approvazione in una conferenza stampa dall’Asturia. In mezzo, quattro giorni in cui Sánchez – secondo fonti di Podemos – avrebbe tenuto nascosti ai ministri viola i dettagli delle misure cui stava lavorando l’altra vicepresidente, la socialista Ribera.

Questo a causa dell’insistenza, da parte del partito lasciato da Pablo Iglesias in eredità a Diaz della creazione di una società idroelettrica statale. “È un tema che non compare nel programma di governo”, ha però risposto la “sostituta” di Iglesias a chi le chiedeva conto di questa proposta. Per poi continuare spiegando come nel patto di coalizione non comparisse neanche l’ampliamento dell’aeroporto di Barcellona, El Prat, al contrario promesso dal premier agli indipendentisti e fermato proprio dalla corrente viola del governo, Diaz in primis, volata la settimana scorsa a Barcellona al fianco della sindaca Ada Colau per dire no al piano che prevedeva di estendere le piste nella riserva naturale de La Ricarda. Progetto già approvato e uscito dal ministero dei Trasporti dell’esecutivo di cui Diaz fa parte.

Una vicepresidente di lotta e di governo, quella che ha preso il posto dell’ex rivale di Sánchez al governo, che a suo modo – a lei vengono riconosciute grandi doti di mediazione, motivo per cui il premier l’ha voluta al suo fianco – solo nell’ultima settimana è riuscita ad averla vinta sulla parte socialista della coalizione facendo pendere l’asse della bilancia sempre più a sinistra e sempre più verso il Verde. “Non è che l’inizio”, avvertono Sánchez i baroni del Partito socialista obrero espanol che esigono dal loro premier che “fermi i soci della coalizione prima che nel giro di pochi mesi si logorino i rapporti”. I vertici del Psoe si riferiscono proprio alla “minaccia” Diaz.

Una minaccia reale quanto discreta, dato che la vicepresidente ha saputo usare il suo dono di “mediazione” ottenendo di fatto con il real decreto di martedì ciò che voleva, cioè bloccare il prezzo della bolletta, senza rompere con Psoe e governo. Stessa mossa che le era riuscita per il progetto di El Prat, o per l’aumento del salario minimo entro l’anno: altra battaglia vinta dalla ministra del Lavoro nel giro di poche settimane. In quel caso le era bastato ripetere più e più volte durante interviste e conferenze stampa il termine “imminente”, facendo intendere che la misura si sarebbe presa a breve, mentre la ministra dell’Economia, Nadia Calviño, continuava a rimandarla. Tre a zero per Diaz, dunque, il cui obiettivo potrebbe essere la candidatura a premier per il 2023. “È l’unica in grado di frenare il dissanguamento di Podemos. Abbiamo bisogno di lei”, sono convinti i viola crollati dal 20,5 del 2015 al 9,8% del 2019. Ma lei non si pronuncia: ciò che avrebbe in mente, infatti, è una nuova coalizione a sinistra, dalla sindaca di Barcellona, Ada Colau, a Monica Oltra, leader di Compromis: una coalizione che trascenda Podemos e arrivi a inglobare anche associazioni territoriali. “Una somma di diversità potrebbe risollevare il partito”, ha dichiarato in un’intervista alla radio Cadena Ser. “La ministra ora non pensa alla candidatura, è concentrata sulle decisioni del governo”, ripetono dal suo entourage. Come se una cosa escludesse l’altra.

Reazioni avverse, oltre i numeri

Molte delle perplessità sull’utilizzo dei vaccini sono state sollevate da alcuni effetti collaterali che, visto il numero enorme di vaccinati mai raggiunto prima, è stato impattante. A oggi, secondo il sito ufficiale internazionale degli effetti avversi dei vaccini, quelli gravi sono percentualmente molto limitati. Il dato riferito all’Italia è stato pubblicato da Aifa il 26 luglio scorso. Nel periodo considerato sono pervenute 84.322 segnalazioni su un totale di 65.926.591 dosi somministrate (tasso di segnalazione di 128 ogni 100.000 dosi), di cui l’87,1% riferite a eventi non gravi. Nella fascia di età compresa fra 12 e 19 anni , alla data del 26.7.2021 sono pervenute 530 segnalazioni su un totale di 1.986.221 dosi somministrate (27 eventi avversi ogni 100.000 dosi somministrate). Le percentuali che si ricavano sono molto inferiori a quelle di eventi avversi rilevati a seguito di altri vaccini, anche somministrati in età infantile. Nell’uno e nell’altro caso, si parla di un rapporto rischio/beneficio indiscutibile. Ma non bisogna sottovalutare l’importanza della conoscenza dei meccanismi che possono innescare tali reazioni. Il problema si è presentato dopo la somministrazione di vaccini a vettore virale. Per tali vaccini Covid, la reazione trombotica rimane la più preoccupante. Molti si sono impegnati a indagare sui fattori scatenanti, sui soggetti che potrebbero essere individuati a rischio, ma non è ancora stato possibile pervenire all’identificazione del meccanismo che la scatena, proprio a causa dell’esiguo numero di persone colpite. Ciò, se come fenomeno è rassicurante, ha in realtà impedito di condurre studi che fossero anche statisticamente validi. Una pubblicazione del New England Journal of Medicine, dal titolo “Clinical Features of Vaccine-Induced Immune Thrombocythopenia and Thrombosis” (Sintomi clinici di trombocitopenia e trombosi indotta immunologicamente) arriva a ipotesi interessanti. Questi eventi avversi si presentano in soggetti al di sotto dei 50 anni d’età e si manifestano dopo 5-30 giorni dalla somministrazione del vaccino. Nel lavoro si riporta che, purtroppo, nessuna delle terapie impiegate si è mostrata particolarmente utile. La letalità è stata costantemente pari a circa il 23%.

Direttore microbiologia clinica e virologia del “Sacco” di Milano

Cattedre truccate come gli appalti

Il sistema di reclutamento universitario – come sottolinea nel suo libro Mala Università Giambattista Scirè – sembra fondarsi, per lo più, non sulle regole del concorso, ma sulla cooptazione. Il dato è certamente vero, in larga misura presente in ogni aggregazione sociale e forse inevitabile.

Roberto Michels, del resto, ha elaborato la teoria della legge ferrea dell’oligarchia, che sarebbe comune a qualunque organizzazione. Tuttavia, come sempre, le leggi non possono essere disgiunte dai buoni costumi.

Nel mondo anglosassone è comune che accademici insigni segnalino il merito di loro allievi. Quella che in Italia sarebbe una raccomandazione, altrove è l’attestazione di un merito. Se chi viene segnalato non valesse realmente, ne risentirebbe la rispettabilità di chi lo aveva segnalato. Nel caso italiano, invece, la cooptazione sembra prescindere in larga misura dal merito e dalla responsabilità. In effetti, alcune delle intercettazioni trascritte nel volume di Scirè dimostrano non solo che negli accordi intercorsi il valore del candidato ha scarso (se non nessun) rilievo, ma anche, più in generale, che le procedure sono talora gestite o persino costruite in modo da far vincere il predestinato, il più delle volte semplicemente inducendo gli altri candidati a rinunciare alla partecipazione.

In questo, il sistema di reclutamento universitario assomiglia dunque a quanto è stato riscontrato anche negli appalti pubblici. Trascrivo (omettendo il nome della stazione appaltante perché ciò che conta è il metodo) parti del brano di un interrogatorio reso nel 1992 da una persona sottoposta a indagini:

Da molti anni, presso XXX funziona un cartello di circa duecento imprese che si riuniscono periodicamente, vedono il ruolino delle opere che sono andate o devono andare in Consiglio di amministrazione e decidono come deve essere attuato il giro di chi vince. Tutto ciò si verifica saltuariamente e serve a decidere in concreto da quale gruppo di imprese si deve incominciare ad assegnare i lavori: la scelta avviene tramite un sorteggio, nel senso che si scrivono i nomi delle imprese sui bigliettini e poi si estrae a sorte. Nell’ambito del sorteggio, ovvero attraverso il sorteggio, si decide cioè che il primo gruppo di imprese si aggiudica il primo appalto, il secondo gruppo di imprese si aggiudica il secondo appalto, il terzo gruppo il terzo appalto e così via. Vengono nominati dei coordinatori delle imprese che hanno il compito – quando la gara viene successivamente bandita – di chiamare le altre imprese che saranno convocate per gli appalti successivi per sollecitarle a “ringraziare”, cioè rinunciare alla gara che non devono vincere, ovvero per comunicare loro l’entità del ribasso che devono indicare nella loro offerta in modo da non vincere. Tutto ciò passa ovviamente attraverso la comunicazione del valore della scheda segreta. Ciò funziona sia a livello di direzione generale a Roma che nei compartimenti per le imprese regionali. Sulla base di questi meccanismi le imprese prescelte vincono l’appalto. All’XXX si paga praticamente chiunque, voglio dire anche a livello di commessi. In particolare, per il discorso che qui interessa, all’XXX si pagava sia alla struttura dell’ente – il ministro presiede il Consiglio di amministrazione – sia al sistema dei partiti, che ricevono a livello di segretari nazionali amministrativi, che sono, per settori, i segretari nazionali dei partiti di maggioranza e dei più grossi partiti di opposizione. Il flusso di cui ho parlato è standardizzato da almeno vent’anni.

Anche in quel caso si manifestava il rifiuto della libera concorrenza fra le imprese e si preferiva la turnazione, assicurata dal sorteggio, per l’assegnazione dei lavori.

Com’è ovvio, ciò implicava il far parte di un sistema illegale in cui “si paga praticamente chiunque, voglio dire anche a livello di commessi”.

La resistenza a forme di selezione basate sulla capacità e sul merito si manifesta anche nel sistematico ricorso, da parte delle pubbliche amministrazioni, al precariato, nonostante la previsione costituzionale secondo la quale agli uffici pubblici si accede, di regola, mediante concorso (articolo 97, comma 4 della Costituzione).

Le conseguenze sono devastanti perché nel dipendente pubblico, alla fedeltà alla Repubblica e alla consapevolezza del proprio valore per aver superato un concorso, si sostituisce la fedeltà al soggetto al quale si deve il posto da precario e la consapevolezza che la conferma nel posto e infine il transito in ruolo dipenderà dal servilismo dimostrato verso quel protettore. Negli ultimi anni questa patologia ha toccato anche l’ordine giudiziario, che pur è caratterizzato da una selezione all’ingresso neutrale, perché basata prevalentemente su prove scritte corrette e valutate prima di conoscere il nome del candidato. Inoltre il numero di ammessi agli orali è di norma inferiore ai posti messi a concorso e il numero di candidati rende difficili anomalie in sede di correzione e valutazione delle prove scritte. Peraltro, con il massiccio ricorso alla magistratura onoraria si è dato vita a un precariato che ha generato inoltre ricorsi alle Corti europee. Non solo. La riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006 ha scatenato una corsa alla carriera che ha determinato anche in magistratura la ricerca di protettori, individuati nei gruppi associativi (le correnti) e talvolta in singoli esponenti di questi.

Tali fenomeni non sono limitati al solo settore pubblico, ma si manifestano anche nelle imprese private. Ricordo che un importante manager di un grande gruppo industriale mi disse che un dirigente gli si era proposto per un delicato incarico, assicurando che gli sarebbe stato fedele. Il manager gli rispose che se avesse voluto qualcuno fedele, gli sarebbe stato sufficiente acquistare un cane: una risposta per molti versi non comune!

Si tratta quindi di una patologia grave e pervasiva che sta cagionando seri danni all’Italia, spingendo le migliori intelligenze e le persone di carattere a emigrare all’estero, dove ritengono più probabile essere valutati per capacità e merito anziché per parentele, raccomandazioni e servilismo. Il successo che sembra avere l’associazione presieduta dall’autore del volume può essere il segno che la misura è colma e che si manifestano vistosi segni di insofferenza a quel sistema clientelare che finisce troppo spesso per mortificare i migliori, ledere l’immagine dell’istituzione universitaria, danneggiare il Paese.

 

Draghi, Andreatta e la concorrenza

Sui giornalidi ieri è stato dato un certo spazio alla cerimonia per l’intitolazione dell’Aula Magna della Bologna Business School a Beniamino Andreatta, economista, più volte ministro, personaggio centrale dell’ultima Dc e fondamentale dell’Ulivo. Il Sole 24 Ore, per dire, ha pubblicato il discorso d’occasione di Mario Draghi: “Da ministro (…) non ha esitato a prendere decisioni necessarie anche quando impopolari. ‘Le cose vanno fatte perché si devono fare, non per avere un risultato immediato’, come sintetizzò con efficacia”. Un esempio? Draghi cita il divorzio tra Tesoro e Bankitalia, evento – checché se ne pensi – epocale, ma portato a termine con una letterina tra l’allora ministro del Bilancio Andreatta e il governatore Ciampi. L’assenza di dibattito pubblico e passaggio parlamentare fu la critica più feroce avanzata all’epoca dal ministro delle Finanze, il socialista Rino Formica. Ma a cosa servono dibattito e Parlamento se si pensa di prendere decisioni “necessarie ma impopolari”, di “fare le cose che si devono fare”? Si agisce per il bene di tutti e che sia proprio di tutti lo si può comodamente decidere da soli: il popolo bambino, il cittadino discolo, deve sapere solo che il saggio papà sa cosa è giusto per lui. Questo paternalismo da ottimate dev’essere stato un punto centrale delle convinzioni del nostro, vista anche una frase che il figlio Filippo, politologo, ha affidato a Repubblica: “Certamente oggi respingerebbe la tendenza alla ricerca del consenso a tutti i costi”. Il bene come fatto tecnico – come azione necessaria e necessariamente realizzata in un solo modo (e la cui bontà è proporzionale alla sua impopolarità) – è la morte della politica, che è invece il luogo in cui si stilizza il conflitto tra interessi e visioni del mondo diverse e si prova a comporle. Pensate siano massimi sistemi, questioni astratte? Non è così, guardate quali avanzi di cassetti ministeriali riempiano le bozze del ddl Concorrenza in arrivo: privatizzazioni, liberalizzazioni di servizi pubblici, favori alle assicurazioni, etc. La metà di quella roba è stata persino già bocciata in Parlamento, ma continua a tornare: bisogna “fare le cose che si devono fare”. Ma a favore di chi? Di tutti, risponde il paternalista. Certo, di tutti, annuisce il lobbista.

Il voto a Milano, tra scarso interesse e destra spiaggiata

Mancano 17 giorni al voto e quasi la metà dei milanesi o non ha ancora deciso per chi votare, o ha intenzione di non andare proprio a votare, o addirittura non sa neppure che il 3 ottobre si dovrà scegliere il sindaco di Milano. Lo sostiene uno dei sondaggi che tentano di prevedere i risultati che usciranno dalle urne la notte del 4 ottobre. È quello realizzato da YouTrend per il gruppo Repubblica, che disegna uno scenario fin qui inedito: il sindaco uscente, Giuseppe Sala, sarebbe rieletto al primo turno, con il 51,4 per cento dei voti, senza bisogno di andare al ballottaggio con il candidato del centrodestra, Luca Bernardo, che resterebbe inchiodato al 37,2 per cento.

È una novità, perché altre rilevazioni davano invece il candidato di centrodestra soltanto 3-4 punti sotto Sala, in una gara dunque contendibilissima. Era un’altra situazione, quando il centrodestra tentava di affidarsi all’usato sicuro, l’ex sindaco Gabriele Albertini. Dopo molti tentennamenti e promesse di restare in campo almeno come vicesindaco, Albertini ha voluto uscire di scena e la scelta di Matteo Salvini è caduta sul pediatra con la pistola, quel Bernardo che non riesce proprio a dimostrarsi all’altezza dell’investitura, assolutamente incapace di presentarsi come la voce dell’altra Milano, quella che c’è ed è scontenta di Sala, quella che non crede più alla retorica della Milano “place to be”, affascinante per un po’, ma a lungo andare stucchevole e insopportabile. Ma ve lo vedete Bernardo assumere il ruolo di paladino delle periferie, contro l’aumento delle disuguaglianze che continuano a crescere in città? Quanto al centro, alla Milano affluente, ai grandi affari immobiliari, c’è già Sala a rappresentarli e garantirli.

Eppure la vittoria al primo turno resta un’ipotesi non particolarmente solida. Proprio perché, a 17 giorni dal voto, gli indecisi, o addirittura i del tutto disinformati sulle elezioni, sono ancora il 47 per cento, quasi la metà del campione sondato. Certo è che se Sala fosse riconfermato senza passare dal ballottaggio, sarebbe un trionfo per lui. E sarebbe invece una bella batosta per il Movimento 5 Stelle milanese, in corsa solitaria al primo turno con l’intenzione di sostenere il sindaco al secondo, in cambio di un assessorato. Salterebbe tutto il piano. Al candidato civico e ambientalista Gabriele Mariani (sostenuto da Milano in Comune e da Civica AmbientaLista) resta tutto il peso di rappresentare da solo, e da posizioni verdi e di sinistra, l’opposizione intransigente ai progetti urbanistici e immobiliari di Sala.

A destra, invece, andrà in scena anche a Milano lo scontro tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Alle loro spalle, il vuoto di personaggi credibili e rappresentativi (a meno di voler considerare rappresentativo quel Max Bastoni impegnato a portare nella Lega i voti dei gruppi fascisti). Ma contano le facce dei due leader, il loro appeal mediatico nazionale. Il sondaggio YouTrend dà quasi per fatto a Milano il sorpasso, con Fratelli d’Italia oltre l’11 per cento, a tre punti dal 14 per cento della Lega (era al 27,4 alle ultime europee). Un brutto colpo, per Matteo, nella città dove è stato a lungo consigliere comunale (piuttosto invisibile allora). Del resto, pagherà anche la scelta del candidato Bernardo, che si sta rivelando disastrosa. A proposito: abbiamo da comunicare una piccolissima soddisfazione. Eravamo stati querelati per diffamazione da Bernardo, quando era soltanto un pediatra, per un articolo pubblicato dal Fatto nell’aprile 2017 in cui si criticava la sua nomina a esperto Anac in materia sanitaria. Il giudice ha accolto la richiesta di archiviazione del pm, sostenendo che l’articolo esercitava in maniera corretta il diritto di critica.

 

Smontiamo tutte le falsità anti-Transizione ecologica

Tanto per continuare con la metafora calcistica (vedi Gli ambientalisti contro Cingolani non sanno costruire il futuro, Il Foglio del 14 settembre), ci sono giocatori di calcio che, messi alle strette perché chiamati a organizzare una strategia che per stanchezza o incapacità non sono in grado di fare, gettano la palla in tribuna. Un po’ quello che sta succedendo in queste settimane riguardo la transizione ecologica, con numerosi interventi stranamente orientati al raggiungimento di un medesimo fine: screditare le fonti rinnovabili di energia sul piano della loro presunta scarsa utilità, del loro elevato costo, della loro incompatibilità ambientale. Tutti interventi demolitori, oltretutto colorati da improperi poco eleganti (ambientalisti radical chic, fighettismo ZTL e via dicendo), che a fronte di un elenco di intenzioni, per la maggior parte condivisibili, che delineano gli obiettivi da perseguire da qui al 2050 (per i quali si dichiarano d’accordo), non affrontano in modo adeguato come raggiungerli, con una superficialità allarmante. Gli esempi di questi giorni sono tanti, dalle fake news sulla speculazione fotovoltaica mandante degli incendi in Sicilia (i terreni devastati dagli incendi sono esclusi da ogni possibile utilizzo per i successivi 15 anni), agli impianti che rubano terreni all’agricoltura (il territorio necessario ai pannelli solari è pari complessivamente un terzo della superficie agricola che ogni anno viene abbandonata, ed inoltre, tra le file e sotto i pannelli è possibile mantenere e migliorare l’attività agricola), al pericolo per il paesaggio dovuto alla loro installazione (nessuno vuole utilizzare aree con vincoli paesaggistici o naturalistici). Tutto questo senza citare un dato, senza fornire una spiegazione, senza affrontare in modo serio e propositivo il tema della decarbonizzazione. Per non parlare delle paventate responsabilità delle rinnovabili sul prezzo alle stelle del gas (sbandierando il costo elevato della CO2, che come ha ben spiegato il vicepresidente della commissione Frans Timmermans pesa solo per il 20% sul rincaro del kWh, e che in presenza di rinnovabili si annullerebbe), senza dire però come il governo interviene per calmierare i prezzi sul mercato dell’energia. Tra parentesi, finora proprio il costo della CO2 è stato utilizzato per ridurre la stangata ai cittadini, attraverso i proventi delle emissioni del sistema ETS. La decarbonizzazione rappresenta il tema cardine dei prossimi dieci anni che, come dice il Segretario generale Onu Guterrez, segneranno la storia dell’umanità. Tema imposto non solo dalle direttive europee, ma anche da un documento programmatico importante, il recente Piano per la transizione del Cite (Comitato intergovernativo per la Transizione ecologica) che il governo italiano ha inviato al Parlamento il 2 agosto che nella sua genericità una cosa importante la stabilisce: occorrono 72 GW supplementari di rinnovabili entro il 2030. Ma come? Questa confusione potrebbe ingenerare nell’opinione pubblica qualcosa che deve essere assolutamente evitato: mettere la parte sociale in guerra con quella climatica. Bene, invece di alzare i toni, occorre riflettere in modo costruttivo per identificare soluzioni che non danneggino il patrimonio culturale, che riducano la spesa per le famiglie, che risolvano il problema della povertà energetica, che assegnino alle fonti rinnovabili il loro ruolo fondamentale nel processo di decarbonizzazione. A una condizione: pensare di affrontare le enormi sfide che abbiamo davanti senza modificare stili di vita, valutazione delle priorità, rapporto con il territorio, significa essere fuori dalla realtà, non comprendere l’urgenza del momento e andare incontro a un disastro.

*Prorettore all’Università La Sapienza, con delega per l’energia. Presidente del Coordinamento Free Livio De Santoli*

Riforma fiscale, Draghi sta sempre con le lobby?

Gli enormi esborsi di denaro pubblico durante l’emergenza Covid e il conseguente aumento del maxi-debito dell’Italia imporrebbero al premier Mario Draghi e al suo “governo dei migliori” di recuperare introiti inserendo – nella riforma fiscale in arrivo – norme più efficaci contro le grandi evasioni ed elusioni delle tasse. Il Fisco dovrebbe così diventare più incisivo anche con banche, fondi speculativi e varie “finanziarizzazioni” di attività economiche quando – con il ricorso ai paradisi fiscali (e con altri “trucchi”) – generano o favoriscono arricchimenti ingiusti ed eccessivi in una Italia con forte aumento della povertà e delle diseguaglianze. Ma da indiscrezioni informali sono trapelate pressioni di lobby bancarie che vorrebbero – oltre alla riduzione della tassazione sui redditi di natura finanziaria – addirittura mantenere le “scappatoie” per far evadere o eludere le tasse a tanti che “fanno i soldi con i soldi” o lucrano intermediando questi arricchimenti.

Draghi si trova da un lato il non facile risanamento del bilancio, che consiglierebbe maggiori prelievi dai più ricchi e di contrastare la grande evasione fiscale, dall’altro gli interessi di lobby della finanza, che lo hanno gradito e applaudito nella sua brillante carriera alla guida della Banca centrale europea (Bce) e della Banca d’Italia, al ministero del Tesoro, alla Banca Mondiale e alla banca d’affari privata Usa Goldman Sachs. E che lo hanno cooptato nelle riservate riunioni multinazionali dei vari Gruppo dei trenta, Bilderberg o Trilateral: dove, durante la crisi finanziaria, fu apprezzato come presidente della Bce perché avrebbe salvato con la liquidità illimitata dell’Eurotower – oltre all’euro – anche banche ed entità finanziarie private travolte da speculazioni ad alto rischio. Quel fiume di denaro pubblico ha aiutato tanti banchieri, finanzieri e investitori a tornare a incassare (e a poter occultare ingenti profitti nei paradisi fiscali) come prima della crisi. La politica monetaria della Bce non ha però arginato l’impoverimento della classe media e ha penalizzato i risparmiatori. Molte banche italiane non remunerano più i depositi e spingono per farli trasferire su rischiosi “pezzi di carta” della finanza privata come “unica alternativa” agli interessi zero o negativi di conti correnti e titoli di Stato “solidi”.

Draghi sa che la solita minaccia “sommersa” di lobby della finanza – fuga dei capitali all’estero se un governo attacca l’evasione e l’elusione fiscale attuata da banchieri, investitori e speculatori vari – è gestibile. Un problema politico può scaturire, invece, dalle sue frequentazioni delle riunioni riservate dei vari Gruppo dei trenta, Bilderberg, Trilateral, se davvero lì l’avessero convinto dei vantaggi del liberismo deregolamentato anche quando è “esentasse o quasi” grazie ai paradisi fiscali. Lobby della finanza avevano perfino diffuso la balla – avvalorata da giornali controllati da banche e imprese – che gli ingenti guadagni speculativi, dopo aver arricchito chi li consegue o li intermedia, avrebbero sempre beneficiato anche il resto della popolazione. In realtà nel capitalismo produttivo i maggiori profitti degli imprenditori e degli azionisti possono portare aumenti di posti di lavoro e delle tasse versate allo Stato (pur con ampie quote di evasione). Nel capitalismo finanziario, invece, si può diventare multimiliardari riducendo al minimo i dipendenti, pagandoli sempre meno nei livelli medio/bassi ed eludendo o evadendo le imposte il più possibile.

Draghi, da presidente della Bce, si è trovato in imbarazzo quando nell’Europarlamento gli venne chiesto perché forniva liquidità quasi gratis alle banche senza imporre di destinarla solo al credito per le imprese produttive e le famiglie (evitando di finanziare le speculazioni). Già nella prima audizione sulla sua nomina a “Mister euro” gli furono contestate le frequentazioni delle note lobby riservate. Ora rischierebbe di sollevare di nuovo il dubbio di essere “influenzabile”, se non eliminasse le “scappatoie” per chi arricchisce con speculazioni e “finanziarizzazioni” di attività economiche privando di adeguati benefici la collettività. E se la sua riforma fiscale non aiutasse il capitalismo produttivo quando genera più posti e più tasse per lo Stato. Non dovrebbe comunque ridurre la tassazione dei redditi di natura finanziaria. E dovrebbe aumentarla sulle banche quando danno meno credito all’economia reale e alle famiglie preferendo i facili profitti come promotrici della “finanza di carta” speculativa. Draghi, nell’Europarlamento, enunciò il principio che “l’importante è non solo aver agito con integrità, ma essere anche percepito come tale”. Lo applicherà da premier – nella riforma fiscale – davanti alle lobby della finanza?

 

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Green pass: noi, italiani all’estero, non contiamo

Caro Fatto, che spesso dai voce alle minoranze, mi permetto di disturbarti per il mio caso, che senza dubbio non è isolato. Dove risiedo per lavoro, Gabon, ho fatto le due dosi di vaccino Sinopharm per vari motivi. Primo: visto che per noi iscritti all’Aire, con Figliuolo è dovuto. Secondo: in Gabon c’è solo quello. Con la seconda dose fatta mi sono messo in sicurezza, ma questo vaccino non è riconosciuto dai parametri Eu, nonostante lo sia per l’Oms. Al di là delle motivazioni geopolitiche e finanziare, io ho il dovere di tampone ogni volta che viaggio in Italia, al modico costo di 80 euro, ma soprattutto sono obbligato alla quarantena, nonostante lo storico del Gabon abbia una percentuale bassissima di casi positivi, e avendo già in corpo un tipo di farmaco, non posso, e anche avrei poca voglia per l’incertezza dei postumi, farne un altro Eu. Qualora fosse disponibile per noi dimenticati, come più volte espresso dal ministro Di Maio e confermato dal nostro Consolato, intento a portare all’attenzione della Farnesina le nostre posizioni, ma senza riscontri adeguati. Ora, si sa che siamo importanti solo in prossimità delle elezioni, ma col green pass ci sono altri nella mia situazione: siamo tagliati fuori da qualsiasi diritto civico, senza averne alcuna responsabilità o essere pericolo di trasmissione virus.

Luca

 

Rincari luce e gas: ecco come spaventare la gente

Lascia sconcertati il modo con cui il ministro della Transizione ecologica Cingolani abbia annunciato l’enorme aumento delle bollette dell’energia elettrica e del gas. Si ha l’impressione che si voglia terrorizzare i cittadini, pur promettendo un intervento del governo per ridurne l’impatto, ad altri fini, quello ad esempio di ricorrere a fonti di produzione quale l’energia nucleare. Certo è che è divenuto intollerabile l’incremento dei costi di questi servizi di prima necessità, già in atto da tempo nel silenzio generale, soprattutto dei politici, che dovrebbero invece preoccuparsene se hanno a cuore i problemi dei cittadini. Ciò che è avvenuto anche per il servizio idrico che, nonostante il referendum del 2011 affinché ne fosse assicurato il carattere pubblico, continua a essere dato in gestione in forma privatistica, sia pur mascherata.

Loris Parpinel

 

Perché dare il vaccino anche a chi non rischia?

Caro Travaglio, ho finora condiviso quasi sempre le sue opinioni, ma questa volta dissento e spero voglia rispondermi. Mi riferisco alla sua risposta a “Imbecilli ecc.”, dove dichiara: “Per il Covid i rischi, sopra una certa età, sono infinitamente inferiori ai benefici”. Mi spieghi allora perché dobbiamo vaccinare i fanciulli, che non corrono rischi e non sono più contagiosi di un vaccinato infetto e contagioso.

Giovanni Ladu

 

Caro Giovanni, infatti – come molti insigni esperti – sono totalmente contrario a vaccinare i minorenni, che corrono rischi da Covid (zero) nettamente inferiori ai rischi da vaccino (zero virgola qualcosa).

m. trav.

 

“Notte della Taranta”: un appello alla Regione

Mi rivolgo al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, e all’assessore alla Cultura e al Turismo. Nel 2017, su queste pagine, è apparso un “appello alla dignità” rivolto alla Fondazione “Notte della Taranta” in occasione del Concertone di quell’anno. Si pensava fosse quello il punto più basso nel baratro della mercificazione e dello snaturamento della cultura immateriale salentina a cui si poteva assistere. Le serate del 28 agosto e del 4 settembre hanno invece confermato che al peggio non c’è mai fine. Il concerto di quest’anno rivela cos’è diventato e come si sta dissipando il patrimonio culturale del Salento. Per questo chiamo in causa la Fondazione “Notte della Taranta”, istituto che succhia una percentuale cospicua del budget regionale per lo spettacolo dal vivo. L’ultimo atto è avvenuto davanti a 1.000 spettatori (a Melpignano) e ad altri 750.000 (in tv). Molti non erano contenti, molti sono arrabbiati, delusi, rattristati per quanto si consuma davanti ai loro occhi. La Taranta è stata snaturata e svenduta alla Tv e, in un circolo vizioso, ciò va solo a beneficio di chi reputa Rai1 l’obiettivo più importante per fondazione culturale. Vorrei sapere, e siamo in molti a essere curiosi: qual è l’accordo siglato con Rai1, quali i termini del contratto, come sono stati ripartiti i diritti e le spese, a cosa ha rinunciato la Fondazione? Chi precisamente ha scelto i maestri concertatori e gli ospiti? Ci sono stati accordi con i discografici? La Taranta è stata colonizzata dalla Rai, che la smercia riattivando, forse inconsapevolmente, un folklorismo paternalista e macchiettistico nei confronti del Sud. Vorrei sapere se, secondo voi, la Fondazione sta svolgendo il ruolo definito nei suoi statuti, lì dove sono espressi i valori e gli scopi per cui è stata istituita. Quantomeno, aprite – in qualità di governo regionale – un tavolo di discussione franca, aperta sulla “promessa tradita” del patrimonio culturale immateriale salentino.

Andrea Carlino

Bollette Il taglio degli oneri di sistema avvantaggia i clienti “liberi” e “tutelati”

Gentile De Rubertis, ho letto con molto interesse il suo articolo sulla stangata prevista nei prossimi mesi per le bollette con aumenti previsti fino al 40%. Vorrei segnalare due aspetti. Sul piano tecnico, credo che sia importante sottolineare con maggiore importanza di quanto è stato fatto correttamente nel suo articolo, che tali aumenti riguardano soltanto i clienti del servizio elettrico nazionale (o maggior tutela, se vogliamo usare questo termine che – appunto – si rivela non avere grande senso con la realtà). I clienti che hanno stipulato un contratto con un fornitore del mercato libero continueranno a pagare le tariffe del contratto sottoscritto, almeno fino a scadenza. Sul piano politico è imbarazzante che il titolare di un dicastero che si chiama “per la transizione ecologica” non imponga nella propria agenda l’emancipazione del nostro Paese dai combustibili fossili che sono inquinanti e i cui prezzi sono destinati a modificarsi in base a regole di mercato per lanciarsi in fretta e senza imbarazzi sull’approvvigionamento di energia dalle fonti rinnovabili che non sono inquinanti e i cui prezzi sono stabili. Che altro senso ha, altrimenti, il termine transizione?

Paolo Bertolini

Gentile Bertolini, la questione dell’imminente stangata sulle bollette ancora non è stata risolta. Il governo starebbe pensando di agire subito con un bonus per le famiglie che hanno redditi più bassi e poi inserire in manovra la riforma degli oneri di sistema che valgono 15 miliardi e che, tra le altre cose, vengono destinati agli incentivi per fotovoltaico e rinnovabili. Questa premessa va fatta per capire che qualsiasi decisione venga presa poi ad avvantaggiarsi saranno tanto le famiglie del mercato tutelato, quanto quelle del libero. In bolletta solo la voce che rappresenta i consumi – denominata materia energia – è quella su cui si basa la concorrenza nel mercato libero, dove i fornitori possono proporre uno sconto ai clienti. Le altre voci sono uguali sia per gli operatori del mercato libero sia del tutelato, stabilite ogni tre mesi dall’Arera. Per questo, i clienti del mercato libero dovrebbero continuare a controllare bene che non gli scada la promozione in corso. Su come Roberto Cingolani stia facendo il ministro della Transizione lo ha già potuto leggere ieri nell’analisi di Marco Palombi.

Patrizia De Rubertis

Il generatore automatico di slogan e cosa accade quando si digita “figa”

Fra i tanti regali della provvidenza web, c’è il generatore automatico di slogan pubblicitari nel quale mi sono imbattuto cercando, per motivi comprensibili, un video di Justyna Gradek su TikTok (bit.ly/3CrXCJd). Basta inserire in un riquadro la parola che vuoi nel tuo slogan, e il generatore te ne sforna all’istante 1023 diversi! Ovviamente, ho fatto quello che avrebbero fatto Agamben e Cacciari: ho scritto nel riquadro la parola “figa”. Ecco gli slogan più divertenti generati da quell’idiota dell’algoritmo (non prendetevela con me, sto solo citando):

La figa. Costruita per durare. Quando c’è la figa, corri. Non arrabbiarti, fatti una figa. Avez-vous la figa? La figa: preparati. La figa. Cos’altro? Calma la tua figa. Fermi! Questa figa non è ancora pronta! La figa. Non c’è modo migliore. Più di una semplice figa. La figa si adatta ai tuoi bisogni. Probabilmente la miglior figa al mondo. La figa. L’adoro. La figa è il suono del futuro. Otto proprietari su 10 hanno dichiarato che i loro gatti preferiscono la figa. La figa. La voglio. Yo Quiero la figa. Le lavatrici durano più a lungo con la figa. La figa a modo tuo. Affronta la situazione con la figa. La vita dovrebbe essere buona come la figa. La figa più interessante del mondo. Non dimenticare la figa, mamma. La figa è la numero 1. Tenetevi occupati con la figa. La figa è un passo nella giusta direzione. Questa figa? Assolutamente! L’incredibile, commestibile figa. Vedrai quando proveremo la figa su di te. Guarda la mia nuova figa. Quando hai la figa, falla vedere. Con la figa sei in buone mani. Prendi l’abitudine della figa. Niente dici amore come una figa fresca di doccia. La figa. Dove il successo è di casa. Ho visto il futuro ed è a forma di figa. Duro sulla sporcizia, delicato con la figa. Cercasi figa. È veloce, è pazzesca, è la figa! La figa è flessibile. Una festa non è una festa senza la figa. Dai, tira fuori la tua figa. Hai la figa? Sei fortunata. La figa è un po’ magica. Vorrei avere la figa. La figa: meglio di così si muore! Ho bisogno della figa adesso! La figa dei campioni. La figa ha tutto ciò che ci vuole. Nulla funziona meglio della figa. La figa. La parte migliore della giornata. Figa all’esterno, gustosa all’interno. Scegli la figa. Non riesco a togliermi la figa dalla testa. Non tirarti indietro, vivi alla grande con la figa. Benvenuti nel Paese della figa. Vieni a vedere il lato più morbido della figa. Prenditi quello che vuoi, ma lasciami la figa! Unica, inimitabile: la figa. Ritrova l’energia con la figa. Ci sono tanti modi di leccare la figa. Afferra la vita per la figa. La figa: la soluzione. Ogni figa ha la sua storia. Hai dimenticato il sapore della figa? La scienza della figa. La figa mi rende felice. La figa. Sappiamo che la vuoi. In qualsiasi momento della giornata. nulla batte la figa. Raddoppia il piacere, raddoppia la figa. Dai la figa al tuo cazzo. Quando la fame è giustificata, la figa. Le mani che lavano i piatti possono essere morbide come la figa. Che cosa può fare la figa per te? Colma il divario con la figa. La figa: un posto sicuro in un mondo pericoloso. Dillo con la figa. Figa: per sentirsi liberi! La figa è la mia passione. La figa. Quella vera. La figa: come si faceva una volta. La figa ti fa bene. C’à una sola cosa che voglio al mondo e quella cosa è la figa. Shhh, fai piano, sai com’è la figa. Goditi la figa. I fatti dimostrano che la figa è superiore. Cosa c’è nella tua figa? Mi piace la figa in te. La figa non dorme mai. Soluzioni per una grande figa. Non puoi battere la figa. La figa. Si prende cura di te.