Sulla possibile rielezione di Sergio Mattarella al Colle, oltre all’endorsement negativo di Giorgia Meloni (“non condivido, forzare le regole per la seconda volta è brutto”), si registra il sondaggio del Tg di Enrico Mentana, con il 52% degli interpellati favorevoli a un secondo mandato e il 48% invece no. Come si sa, l’ultima parola sul settennato appartiene ai cosiddetti grandi elettori che si esprimeranno a febbraio dell’anno prossimo, tuttavia cogliere nell’opinione degli elettori normali non esattamente un plebiscito a favore del bis potrebbe rafforzare le intenzioni dell’attuale inquilino del Quirinale, da quanto trapela piuttosto deciso a traslocare alla data prevista (e quindi a non ripetere la “forzatura” di Giorgio Napolitano) . Nella graduatoria dei candidati preferiti, in testa troviamo Mario Draghi, e questa non è una sorpresa, seguito da Giuseppe Conte, notizia piuttosto sorprendente per i tanti che avevano vaticinato una sua rapida scomparsa dai radar dopo l’uscita da Palazzo Chigi. Se l’ipotesi di un Conte Capo dello Stato appare abbastanza remota, la sua persistente popolarità potrebbe essere oggetto di studio sulla divaricazione sempre più netta tra opinione pubblica e opinione privata, quella mediatico padronale di giornali e tv da sempre pregiudizialmente ostili alla figura dell’ex premier. Quanto all’attuale premier, il sondaggio coglie una evidente contraddizione tra chi lo vorrebbe presidente della Repubblica e la maggioranza che, in risposta a un altro quesito, si esprime per la sua permanenza alla testa del governo fino al termine della legislatura nel 2023. Un rebus che, probabilmente, lo stesso Draghi non ha ancora risolto, un po’ perché mancano ancora cinque mesi alla data fatidica (in politica un’eternità), e molto perché mai come per lo scrutinio quirinalesco vale l’antica massima per cui chi entra papa esce cardinale. Una cosa sembra certa: l’ex presidente della Bce, malgrado lo tirino per la giacchetta, fino a febbraio assumerà la posizione del Loto, quella immobile e silenziosa della meditazione zen. Poi, se e quando dovessero portargli su un vassoio d’argento la garanzia dell’elezione sicura, si limiterà a un lieve cenno del capo.
Folli banderuole: il presidenzialismo è diventato “buono”
La battaglia contro il presidenzialismo ha avuto una discreta parte nella nostra educazione sentimental-costituzionale. Vent’anni fa imparavamo sulle pagine di Repubblica – durante gli anni di lotta dura e pura al berlusconismo che reclamava un esecutivo forte per governare senza intralci – a difendere le istituzioni democratiche, la cui salute dipende dai contrappesi, dalla tutela delle minoranze, dalla centralità del Parlamento proprio in opposizione alla visione efficientista e aziendalista del governo del fare di berlusconiana (e non solo) memoria. Oggi sono proprio quelle lezioni di democrazia che ci fanno venire il mal di stomaco quando ci capitano sotto mano certi editoriali repubblichini. Prendiamo Stefano Folli, notista politico del quotidiano della supposta sinistra che ogni giorno ci delizia con un’analisi sul futuro del Paese, girando sempre attorno allo stesso punto, con un unico obiettivo: il mantenimento dello status quo (mica male per un quotidiano progressista).
Ieri il Folli è perfino espatriato su Italia Oggi, dove in una lunga intervista ha disegnato la mappa della situazione: “Lo status quo prevede Draghi a Palazzo Chigi e Mattarella ancora al Quirinale. Draghi al Quirinale sarebbe un cambiamento, per come si stanno mettendo le cose, quasi epocale, perché significherebbe elezioni quasi subito dopo e tante cose che potrebbero accadere e su cui tutti cercheranno di riflettere. Lo status quo è il Mattarella bis, spostando in avanti tutte le contraddizioni. È plausibile che accada. Bisogna vedere come evolverà nei prossimi due mesi non solo la situazione politica, ma anche quelle economica e sociale. Si entrerà nel vivo della partita per il Colle solo a novembre e non penso che il sistema italiano potrà poi permettersi una serie infinita di votazioni, come nel lontano passato. La logica delle cose e l’interesse nazionale prevedono che si tenti un accordo molto ampio il più presto possibile”. Queste infinite votazioni proprio no, non possiamo permettercele.
Una settimana fa, sul suo giornale, Folli ci aveva spiegato le vere ragioni alla base dei suoi ragionamenti. “Da tempo le capitali dei Paesi amici, nonché gli ambienti economici internazionali (vedi ad esempio gli interventi del Financial Times) hanno fatto la loro scelta: vogliono Draghi a Palazzo Chigi ancora a lungo. Stabilità oggi significa questo e i primi a saperlo sono i partiti”. Insomma, non perdiamoci in quisquilie formali come il voto in Parlamento per il Capo dello Stato: proroghiamo il contratto all’attuale inquilino e facciamogli un pratico 7+7. Che se non sbagliamo i conti, fa 14 anni alla Presidenza della Repubblica. Come dite? Anche voi vi ricordate che alla base della democrazia c’è la rotazione delle cariche direttive? Vabbè, ma adesso abbiamo problemi più grandi. Il presidenzialismo è come il debito pubblico: in un attimo ti diventa “buono”. In più, cari concittadini, mettetevi il cuore in pace: i Paesi amici e gli ambienti economici già hanno deciso. Mario Draghi deve restare al suo posto ancora a lungo. Uno dice: la legislatura scade nel 2023. E poi: con le prossime elezioni politiche entrerà in vigore la riforma che riduce il numero dei parlamentari, dunque sarebbe importante che venisse approvata al più presto una legge elettorale che garantisca il buon funzionamento del sistema anche in presenza di Camere dimagrite. Ma che volete che sia di fronte alla volontà dei mercati? Loro hanno già votato. Per chi? Mario Draghi uno e trino: a Chigi, al Quirinale e forse anche sul trono di Pietro a tempo indeterminato. La democrazia seguirà, come l’intendenza dell’imperatore.
Lavoro 2.0 Altro che salario minimo, sembra lo Spotify dello sfruttamento
Il Reddito di cittadinanza è ormai un genere letterario, credo che dovrebbero istituire dei premi appositi. La prima cosa che si fa nei giornali quando c’è una notizia di reato (rapina in banca, furto con scasso, spaccio, sequestro di persona, furto di cavalli) è andare a controllare se il colpevole prende il Reddito di cittadinanza, in modo da completare la facile equazione: delinquente uguale sussidiato. È solo la punta dell’iceberg, il resto è garrula narrazione diffusa: non hanno voglia di lavorare, meglio il divano, è diseducativo alla fatica (Renzi), è diseducativo alla fatica (Salvini, la ripetizione non è mia, ndr), eccetera eccetera.
Come dicevo, un vero genere letterario. Lo dico subito a scanso di equivoci: chi prende il Reddito di cittadinanza e non ne ha diritto va sanzionato, in primis perché magari lo toglie a chi ne ha più diritto e bisogno e in secondo luogo perché ricorda le vecchie storie di quelli che congelano il cadavere della nonna per continuare a prendere la pensione (non è che per questo si chiede l’abolizione delle pensioni).
C’è però un altro genere letterario che meriterebbe attenzione, e che riguarda sempre il mondo del lavoro: quello delle offerte di impiego. Basta sfogliare uno dei tanti portali di annunci per assaggiare meravigliosi stralci di prosa italiana del XXI secolo, roba che dovrebbe entrare nelle antologie. Tipo il barista per dieci ore al giorno, ma ve ne pagano quattro, il banconista a due euro l’ora, la commessa “stagista con esperienza”, eccetera eccetera. Lettura ricca di colpi di scena, per cui ognuno potrà farsi la sua top ten dell’annuncio più spericolato. Il mio preferito – me l’ero segnato a suo tempo – era un’inserzione per banconista in un negozio di autoricambi a Messina: dieci ore al giorno per sei giorni alla settimana, più la mattina della domenica: totale 66 ore settimanali per 400 euro al mese (ve lo faccio io, il conto: fa 1 euro e cinquanta all’ora). Ma non voglio consigliarvi la mia playlist preferita, fatevi la vostra, tra baristi, commessi, addetti alle pulizie, eterni stagisti, avrete un campionario infinito, una specie di Spotify dello sfruttamento, un pozzo senza fondo.
Trattandosi di annunci di lavoro, c’è sempre un riferimento, un contatto, un numero da chiamare o una mail a cui scrivere, e ci si chiede come mai, ogni tanto, non risponda l’ispettorato del lavoro: è lei che cerca un commesso a un euro e cinquanta l’ora? Venga con noi. Non sarebbero indagini difficili, ma non le fa nessuno, peccato (lo dico anche per i giornali, sarebbe una fonte inesauribile di spigolature divertenti).
Intanto, in Europa, ventuno Paesi su ventisette hanno un salario minimo garantito. Traduco: se lavori non puoi prendere meno di una certa cifra. E sono, in certi casi, cifre da capogiro 1.555 euro mensili in Francia, 1.626 in Belgio, 1.685 in Olanda, per non dire del Lussemburgo, dove nessuno, per legge, può lavorare per meno di 2.202 euro mensili. Per chi vuole guardare oltreoceano, negli Stati Uniti siamo a 1.024 euro, niente male.
Qui no. Qui il salario minimo era in una bozza del famoso Recovery plan, che sciccheria, ma poi è sparito – puff! – quando il testo è arrivato in Parlamento. Mistero: chi sarà stato? Come mai? Come si dice in questi casi, le indagini sono ferme, si brancola nel buio, si seguono tutte le piste. C’è evidentemente un caso di sordità selettiva, perché un salario minimo, a ben vedere “ce lo chiede l’Europa”, ma da quell’orecchio, chissà perché, l’Italia non ci sente.
Reddito di cittadinanza, dignità e nuovi schiavisti
Ai primordi della Rivoluzione industriale il giusto salario era costituito dal cestino di alimenti necessari a far sostenere all’operaio 16 ore di lavoro al giorno. Solo un secolo dopo (da Henry Ford in poi) si comprese che, rendendo i lavoratori protagonisti di acquisti e consumi di beni non solo di prima necessità, la loro paga diventava la leva per importanti miglioramenti macroeconomici.
L’offerta di beni e servizi, ai giorni nostri, è destinata, con esclusione dei gravemente disagiati, ad ampie platee della popolazione. Sembra che ciò risulti indigesto ad alcuni politici, che vagheggiano un ritorno alle origini, con sofferenze e sudore per chi cerca un lavoro e paghe ai livelli minimi di sussistenza. Al salario si assegna una funzione calmieratrice per non consentire perdite di produttività, minacciata dal Reddito di cittadinanza (d’ora in poi Rdc, ndr). 600-700 euro, in questa logica, sono un appetitoso salario. Offrirlo ai nati stanchi brucia importanti risorse pubbliche. C’è poi chi vorrebbe destinare quelle somme direttamente agli imprenditori capaci, meglio di mago Merlino, di trasformarle in tantissimi posti di lavoro. Gli esempi abbondano: la Whirpool e i tanti delocalizzatori seriali, fruitori di consistenti contributi pubblici…
Nell’inconscio di queste proposte v’è un profilo funesto che va purtroppo messo in luce. Fondamento della Costituzione è la dignità della persona. Alcuni articoli sui principi fondamentali (2, 3 e 4) uniti a quelli di tutela del lavoro (36, 37 e 38) ne assicurano la tutela. Rientra tra i diritti fondamentali dell’uomo ricevere un trattamento che garantisca il minimo vitale indispensabile perché la sua personalità non venga compressa fino all’abbrutimento e alla perdita di ogni speranza. Ciò è avvalorato proprio dalla tutela dell’inabile (articolo 37). Se quest’ultimo, per la sua soggettiva condizione, ha diritto al mantenimento e all’assistenza senza poter offrire nulla in cambio, è coerente al sistema che chi, abile ma inibito da circostanze obiettive a svolgere un lavoro, riceva misure di mantenimento e di assistenza e che possa controbilanciare l’ausilio offertogli dalla comunità con prestazioni a favore della stessa nei limiti del non sfruttamento.
Il ritorno in termini di lavori sociali e utili, di cui al comma 15 dell’articolo 4 dl n. 4/2019, è oggi previsto in modo aleatorio, poco incisivo e per un incongruo numero di ore. Una riforma di quel precetto, rendendo obbligatorio il lavoro socialmente utile per un numero fisso di ore settimanali (sedici o diciotto) consentirebbe di eliminare le false prospettazioni sul Rdc avanzate da interessati demolitori della pax sociale e di fornire maggiori servizi alla collettività.
Chi invoca l’eliminazione del Rdc, perciò, intende togliere la dignità a poveri e disagiati: il che implica soggezione e mancanza di libertà di scelta per quelli fino a una condizione sostanzialmente servile rispetto alle classi dominanti. Cioè una riedizione, moderna ed edulcorata, della nozione di schiavitù.
La storia di Massimo di Bergamo, sulle pagine del Fatto di alcuni giorni fa, dimostra con rigore euclideo il fondamento delle precedenti osservazioni e l’utilità del Rdc per contrastare le forme sempre più smaccate di sfruttamento di chi ha bisogno di lavorare. Il discrimine è tra chi crede nella dignità della persona e di chi parteggia per profittatori e caporali, gli schiavisti del 21° secolo.
D’altro canto o si usa questo sistema o si ricorre a una metodica tipica della prima fase del New Deal: pagare i disoccupati perché scavino buche per poi riempirle. Ma, a questo punto, occorre corrispondere un salario vero e non già un sussidio seppure non esiguo. Quale che sia il sistema, è doveroso garantire agli indigenti dignità e speranza, secondo gli insegnamenti della Chiesa cattolica, dimenticati, guarda un po’, proprio da chi agita rosari e crocifissi nei comizi.
Matrimoni per dittatori, malattie per criceti e apparecchi per l’udito
Ogni custode moderno del fuoco sacro, della sensitività e della malinconia primigenia, si difende da questa nostra civiltà intesa al successo coltivando la pazienza cordiale e la volontà silenziosa, affinché la sua vita prosegua serrata, e si arricchisca: lentissimamente, ma senza sperperare nulla. E poiché la vita ideale si sviluppa per profondità e modo (essa è tema, è forma), niente di meglio che affidare il nodo delle inquietudini contemporanee alle proprie Pagine di diario.
In pellegrinaggio alla tomba di Dominique Aury, autrice del romanzo erotico Histoire d’O. Sulla lapide memorabile una semplice frase: “La morte si slacciò il reggiseno di pizzo nero e allargò le gambe”.
Da un recente sondaggio risulta che le donne, durante la giornata, parlano molto più degli uomini. In effetti, guardate le coppie anziane: è sempre l’uomo che ha l’apparecchio acustico.
Non ho una donna. Ma a volte fingo di averne una. Torno in salotto e urlo: “Non ho detto questo!”.
Il matrimonio non mi ha mai convinto. Prendete Hitler. Affronta una guerra mondiale, bombardamenti quotidiani, i russi che prendono Berlino. Poi sposa nel bunker Eva Braun e il giorno dopo si ammazza. Se non ce l’ha fatta Hitler…
Idea per racconto. Hitler torna dall’Argentina. Risponde a un annuncio: “Cercasi dittatore”. Si presenta. Viene scartato perché troppo qualificato.
Una cosa che mi sono sempre chiesto: se entri in banca con una pistola e ti metti a urlare: “Ehi! Mani in alto, tutti a terra!”. Senza chiedere soldi. “Voi, mani in alto!”. E poi te ne vai. È reato?
Secondo una ricerca scientifica, il telefono cellulare dà il cancro ai criceti. Ho detto al mio criceto: “Mettilo giù!”.
Ieri Barack Obama doveva andare al cesso, ma prima ha telefonato a Renzi per informarlo.
Una mia zia aveva l’hobby di farsi scopare da vip dello spettacolo. Credo si sia fatta chiunque. Un anno, dietro le quinte di Sanremo, Pippo Baudo mi vede e mi fa l’occhiolino, come per farmi capire che anche lui si era trombato mia zia. Un altro anno, ai Telegatti, mi fece l’occhiolino il cane Rex.
Tornato in città dopo le vacanze. C’è così tanto traffico che ieri mi ci sono volute due ore per passare col rosso.
L’altro giorno mio nonno ha mischiato il Viagra con le pillole per il ferro e adesso non riesce a smettere di indicare il Nord.
Consigli per la prossima guerra umanitaria: bombe a mano ripiene di Nutella.
A luglio faceva così caldo che in Piazza Navona ho visto esplodere due barboncini.
Mail box
“Corriere” e Dell’Utri: abbonamento disdetto
All’inizio della pandemia avevo sottoscritto un abbonamento all’edizione digitale del Corriere della Sera, soprattutto per l’ottima cronaca sul Covid-19. Sono rimasta di sasso l’altro giorno quando ho visto un’intera pagina dedicata agli auguri di compleanno a Marcello Dell’Utri. Dell’Utri? Condannato per mafia almeno due volte. Una condanna già definitiva confermata dalla Cassazione. Un’offesa per i lettori e per tutte le persone per bene. Domenica ho scritto una mail per disdire l’abbonamento, ma per iscritto non è possibile indicare il motivo della disdetta. Così, sul tasto apposito, ho chiesto di essere richiamata. Il servizio telefonico funziona nei giorni feriali. Ieri mattina ho chiamato e ho chiesto espressamente di comunicare il motivo della disdetta: la pagina dedicata a Dell’Utri, inqualificabile su un giornale serio. Poco fa mi hanno chiamato, come avevo chiesto, e ho ribadito che desideravo si sapesse il motivo della disdetta. La pagina è a pagamento, d’accordo, ma un editore trova mille ragioni per rifiutare una cosa così scandalosa.
Vanna Lora
Dov’è il rischio contagio delle Amministrative?
Nessuno parla del Green pass per le prossime elezioni amministrative. Sono stato designato come presidente di seggio, dopo essere stato ignorato per sette anni. Sono entrato nel giro (si fa per dire) perché, nelle ultime consultazioni, migliaia di nominati si sono dileguati con le scuse più disparate. E ho imparato cosa vuol dire essere presidente di seggio. Reclutare scrutatori e segretari in mezzo alla strada con il miraggio di 150 euro di guadagno e una disponibilità infinita per riuscire a formare il seggio. Comunque è un dovere civile al quale non mi sottraggo. Ma mi chiedo: quale regole del green pass varranno? Potrà votare solo chi in possesso del lasciapassare? Se così sarà c’è una platea potenziale di dieci milioni di non votanti. Se così non sarà, io che dovrò vivere sette giorni per dieci ore al giorno lì dentro sarò possibile oggetto di contagio per ovvi assembramenti. Chi mi cautela, chi mi protegge?
Daniele Poto
Il Parco dei Nebrodi: discarica a cielo aperto
Il cuore del Parco dei Nebrodi è ridotto a una vergognosa discarica a cielo aperto. Il 19 e 20 agosto scorsi con mia moglie siamo stati testimoni di un vero e proprio scempio ambientale ed ecologico. Lungo la forestale che da Portella Femmina Morta arriva al lago Biviere un transito ininterrotto di mezzi motorizzati. Il lago Maulazzo è letteralmente circondato di auto in sosta, una sorta di enorme parcheggio sui prati e sotto gli alberi. Fuochi liberi accesi un po’ dappertutto (ed eravamo ancora in piena emergenza incendi in Sicilia), campeggio libero con tende montate nel bosco. Un grande vociare ad alta voce e poi urla, strepiti, cori, radioline accese; qualcuno aveva addirittura montato sul tettuccio di una vecchia Panda una cassa acustica che per tutto il giorno ha inondato i dintorni del lago con musica e canzonette ad altissimo volume. Ma soprattutto quintali di rifiuti di ogni tipo abbandonati intorno allo specchio d’acqua, sui prati, nel bosco. C’è di tutto: lattine di birra o di bibite, un tappeto di fazzoletti di carta, plastica in ogni sua declinazione e versione, un “firmamento” di pacchetti di sigarette. E lungo i 7 km di sterrata dalla Portella a Biviere, intorno ai due laghi non c’è uno straccio di contenitore per la raccolta dei rifiuti e la maggioranza degli allegri e incivili gitanti motorizzati se interpellati a campione e richiesti di un commento, la prima cosa che ci tengono a sottolineare è: “La colpa dei rifiuti abbandonati è dei pubblici amministratori che non mettono i cassonetti per la raccolta”. Viceversa la risposta di quelli che la sanno lunga è: “È inutile metterli i cassonetti; in mezza giornata si riempiono e poi la gente continua a buttare i rifiuti che si spargono a terra e siamo punto e a capo”. La riflessione del camminatore è invece: “Che ce li mettono a fare i cassonetti se poi non c’è nessuno che va a svuotarli con regolarità almeno quotidiana?”. E Legambiente che fa? Si limita a stilare comunicati di denuncia?Ah, quasi mi dimenticavo. Tutti i locali negano la presenza della mafia sui Nebrodi e dintorni: “No, no, qui la mafia non c’è. In Sicilia sì, ma da altre parti, non qui”. Da morire dal ridere.
Cesare Sartori
Test ingresso Medicina: un altro bel pasticcio
Vi scrivo riguardo il test di medicina sostenuto da migliaia di studenti. Mio nipote, dopo aver passato l’estate a studiare e frequentare un corso di preparazione molto impegnativo e costoso, dopo aver risposto a centinaia di quiz e aver provato i test degli anni precedenti, si è trovato ad affrontare una prova inspiegabilmente difficile, che non ha tenuto minimamente in considerazione lo studio svolto e le difficoltà affrontate dai ragazzi in questo anno e mezzo di scuola. Ora sembrano aver preso la decisione di togliere le domande sbagliate o mal formulate! Ma cosa accadrà a chi a quei quesiti aveva risposto correttamente? Mio nipote è tra questi, e se gli verrà abbassato il punteggio svanisce il suo sogno di entrare a Medicina per colpa di questi pasticcioni!
Viviana Dal Corso
Sputnik. Chi s’è vaccinato in Russia ha l’esenzione dal pass fino al 15.10
Gentile redazione, sono un cittadino italiano residente in Russia per ragioni di lavoro: ho eseguito il ciclo completo di vaccinazione contro il Covid con lo Sputnik V. Le autorità sanitarie locali mi hanno rilasciato un certificato di vaccinazione internazionale bilingue (russo/inglese). Ho programmato il mio rientro in Italia per ferie a metà settembre e ho richiesto all’ambasciata italiana a Mosca, oltre alla Asl della mia città, Milano, se posso ottenere il Green pass presentando la documentazione in mio possesso. L’ambasciata mi ha risposto che Sputnik V non è riconosciuto dalle autorità italiane ed europee, mentre la Asl non mi ha mai risposto. Ho interpellato anche il mio medico di base, il quale dubita che una autorità sanitaria italiana possa autorizzarmi, per problemi di compatibilità tra i vaccini, a fare una eventuale terza dose con un siero riconosciuto dal blocco occidentale per permettermi di ottenere il Green pass. Mi trovo in una situazione kafkiana, obbligato a fare un test Pcr per ottenere un certificato provvisorio valido due giorni. Essendomi vaccinato, ho dimostrato senso di responsabilità civica ed è frustrante subire queste pesanti restrizioni a causa di una malcelata politica di protezionismo volta a non intaccare gli interessi delle Big pharma americane ed europee.
Paolo
Gentile Paolo, sono 15 mila gli italiani che si trovano nella sua stessa situazione, dopo essersi vaccinati, per svariati motivi, con lo Sputnik V. Lei, così come gli altri in questa condizione, può usufruire fino al 15 ottobre di una esenzione dal Green pass. Cosa succederà dopo? Per ora valgono le parole del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, il quale ha detto che per ottenere il certificato verde, dopo quella data, servirà una terza dose con un vaccino approvato dall’Ema. In realtà il governo italiano potrebbe validare autonomamente Sputnik, e con esso i vaccini contenuti nell’elenco di emergenza dell’Oms. Questo in virtù di una clausola del Regolamento europeo. Non credo però che finora non l’abbia fatto per favorire le Big pharma: la linea è stata quella di attenersi alle indicazioni dell’Ema. Ciò non toglie che questo penalizza tutti gli italiani che hanno ricevuto il siero russo, già autorizzato in quasi 70 Paesi. Sappia, comunque, che ci sono già state interrogazioni parlamentari per risolvere questo problema.
Natascia Ronchetti
Finalmente! Il capro espiatorio è servito
Deve essere stata l’euforia: infatti ieri per sbaglio hanno intervistato entrambi – e cioè Repubblica e La Stampa – lo stesso luminare, Davide Tabarelli di Nomisma. D’altronde i giornali del gruppo Gedi non stavano nella pelle quando l’altro giorno il ministro Cingolani ha dato loro l’assist, parlando di un imminente aumento della bolletta del 40%: finalmente hanno potuto dire, a scapito dei loro inserti verdi e blu, che la transizione ecologica non sta in piedi, d’altronde “qui si pensa al green deal e a Greta e non si vedono le questioni centrali come l’economia” (sempre Tabarelli). Il tutto condito con un elogio del nucleare – come quello fatto da Federico Rampini, ormai più a destra dei giornali di destra – senza il quale l’utopia di una transizione verso un pianeta a emissione zero fallirebbe. Ma si può davvero agitare il costo dell’energia senza citare i costi che l’aggravarsi della crisi climatica comporta (oltre alla perdita di vite umane, ma quella magari è secondaria se l’economia è tutto)? Ne citiamo giusto alcuni: i miliardi di euro di danni causati da eventi estremi, la siccità che presto provocherà un’impennata delle materie prime, gli incendi indomabili. Davvero peggio del caro bolletta? E in ogni caso: non viene in mente a tutti costoro che la soluzione del problema energetico sarebbe un incremento massiccio delle rinnovabili stesse, che farebbe tra l’altro scendere i costi del gas? Macché. Per De Bortoli (Corriere della Sera) siamo di fronte a un “populismo ambientalista”, per Chicco Testa (Il Foglio) a un “fighettismo ztl”. Loro, insomma, sono i paladini dei poveri e delle famiglie. Poveri che quest’estate sono stati a 40 e passa gradi per oltre due mesi in città. Poveri che tra un po’ non potranno manco permettersi l’acqua e il pane, se il mondo continua a scaldarsi e inaridirsi così.
“Conte mi chiama. Grillo? Non dormivo”
Esce domani in libreria il saggio scritto da Romano Prodi insieme al giornalista del Corriere della Sera
Marco Ascione “Strana vita, la mia” (Solferino). La prima presentazione si terrà martedì 21 settembre a Roma, nella libreria Feltrinelli di Galleria Alberto Sordi insieme al segretario del Pd Enrico Letta. Ne pubblichiamo un breve estratto.
In un contesto già non semplice per il governo dell’Unione, si inserisce anche il blitz di Beppe Grillo, l’8 giugno 2006. Il fondatore dei 5 Stelle, all’uscita di Palazzo Chigi, dopo aver incontrato il Professore, racconta di avergli presentato il suo programma: “È un nostro dipendente, se non lo rispetta lo licenziamo”. Ma soprattutto ironizza sul fatto che Prodi aveva “dormito”. Magari per quella sua abitudine di serrare le labbra o socchiudere gli occhi quando medita una risposta.
“Venne da me a Palazzo Chigi con la sua telecamera. Fu un colloquio normale. Anzi, un bel colloquio. Quello che io dico in privato lo dico anche in pubblico. Successivamente mi irritò molto, commentando in modo malizioso che durante il nostro colloquio dormivo. Non c’era alcun motivo per dire una sciocchezza così impensabile e ridicola. Evidentemente non dormivo, ma la sua osservazione strumentale, mai evidenziata nonostante la telecamera, serviva a rafforzare il suo pregiudizio. Cosa per me sorprendente: in anni molto lontani era venuto a trovarmi a Nomisma con i canovacci dei suoi spettacoli sugli sprechi per chiedermi di aiutarlo a verificare l’esattezza scientifica delle sue informazioni. Io me li godevo i suoi show, mi ricordo ancora quello sull’acqua minerale che, con notevole spreco di energia, faceva il giro del mondo. C’era un rispetto, credo condiviso. Così almeno pensavo. Non solo mi divertivo, mi piacevano le sue analisi sugli sprechi. Con l’episodio di Palazzo Chigi piegò un rapporto personale a un gioco politico. Grillo aveva cambiato spettacolo. E il secondo fu inferiore al primo. Ora siamo in una terza fase. Posso dire di aver apprezzato alcune scelte sul rapporto con il Pd e il governo Draghi. Sul futuro dei 5 Stelle ho un pensiero ben preciso. Se continuano con le scissioni, un futuro non potrà esserci. O il Movimento trova una linea politica ben precisa, che tutti seguono, o implode. Bisognerà anche capire se il Partito democratico e il M5S, o ciò che resta del Movimento o ne prenderà il posto, si limiteranno a una relazione interessata o lavoreranno a un programma vero. Non potrà che essere un programma con tanti compromessi, purché degni di una maggioranza riformista. Con una coalizione che anche nel tempo tenga fede agli accordi”.
Movimento, Grillo, scissione, Giuseppe Conte. Già. Che fine farà l’ex premier che si è voluto avventurosamente misurare con la guida del Movimento? È proprio Conte, forse inaspettatamente, a chiamare più volte Prodi nelle settimane successive all’addio a Palazzo Chigi. “Sì, è vero. Si è creato un buon rapporto, ovviamente non di comunanza politica. Abbiamo parlato di economia, dei problemi dell’Italia, non certo di questioni partitiche”.
Così Tremonti & C. hanno sfrattato il Festival economia
Lo scoiattolo, il popolare simbolo del Festival dell’Economia di Trento ideato dall’editore Giuseppe Laterza, è finito suo malgrado nel mirino della Lega e pensa a migrare. Con lui vorrebbe traslocare il gruppo di intellettuali ed economisti che lo hanno creato e fatto prosperare in questi 16 anni, trasformando quella che sulla carta si presentava come una serie di conferenze specialistiche in una kermesse di successo. Del resto Maurizio Fugatti, appena eletto presidente leghista della Provincia autonoma, l’aveva messa subito giù chiara con ruvida schiettezza padana: “Fino a oggi al Festival sono stati invitati solo studiosi e luminari con una precisa visione economica e politica del mondo, espressione della cultura della sinistra nazionale e locale: vedremo come, ma questa distorsione finirà”.
Il nuovo editto bulgaro ha preso forma e vigore il 10 settembre scorso, quando la giunta provinciale, su proposta del presidente Fugatti, ha deliberato che tra le due proposte progettuali presentate per il Festival del 2022 risultate promosse all’esame della Commissione di valutazione istituita a inizio 2020, era preferibile quella del gruppo editoriale del Sole 24 Ore. A rimanere al palo è rimasto il programma elaborato dalla Giuseppe Laterza e Figli S.p.A, la casa editrice che ha ideato e organizzato il festival finora, nonostante la Commissione gli avesse assegnato un punteggio maggiore rispetto a quello ideato dal Sole 24 Ore (89 contro 84 punti).
Non sono bastati gli oltre 50 premi Nobel, i ministri, i sottosegretari, i governatori della Banca d’Italia, gli imprenditori e i finanzieri, sfilati in questi anni fino a Trento sotto la direzione scientifica di Tito Boeri, a battere le potenzialità intraviste dalla giunta provinciale nel progetto del nuovo gruppo proponente, che del resto schiera coordinatori di indubbio profilo. Portabandiera del comitato scientifico è il tributarista Giulio Tremonti, ministro delle Finanze nel primo governo Berlusconi e dell’Economia e delle Finanze nei governi Berlusconi II, III e IV. Sarà coadiuvato nella selezione degli invitati e nell’ideazione degli eventi del nuovo festival di Trento dall’economista Domenico Siniscalco, anche lui ministro dell’Economia e delle Finanze, come indipendente, nel secondo e terzo governo Berlusconi. È stata annunciata anche la collaborazione della giornalista Lucia Annunziata e di un esperto di Internet. “Tremonti mi sembra la figura di riferimento, e questo mi fa pensare appunto che ci sia stata, da parte della provincia governata dalla Lega, una scelta di parte” chiosa Laterza. “La proposta che viene avanzata, quella sì rischia di essere spostata, con due persone coinvolte che sono state a lungo nel Consiglio dei ministri con il centrodestra”, dichiara all’Adige Innocenzo Cipolletta, coordinatore del comitato editoriale, tra i fondatori della kermesse trentina e che è attualmente presidente di Assonime, l’altra associazione imprenditoriale rappresentante delle società per azioni. Tanto che su questa vicenda traspare una vistosa crepa tra la vecchia e la nuova guardia filo leghista, non solo della governance del giornale della Confindustria ma della stessa organizzazione imprenditoriale. “Nel nostro programma erano invitati economisti e scienziati da tutto il mondo. Semmai rischierà ora di essere un festival sbilanciato… io ero presidente del Sole 24 Ore quando nacque il festival e presidente dell’Università di Trento – ricorda Cipolletta – come direttore, al Sole, avevo Ferruccio de Bortoli. C’era Laterza che voleva organizzare un festival dell’economia, stava pensando a una città del centro Italia, io ho proposto Trento. Ma con De Bortoli decidemmo subito che il Sole 24 Ore dovesse essere media partner e non organizzatore. Valutammo che un giornale è meglio se non diventa parte integrante di un programma, sia perché altrimenti gli altri media perdono d’interesse nel seguire il festival, sia perché l’obiettivo era organizzare un festival scientifico. Non mi aspettavo che il Sole 24 Ore facesse una proposta senza prendere in considerazione che il festival l’abbiamo inventato noi”.