Esplode palazzina, tre feriti a Roma “Una fuga di gas”

Due ragazzi si fanno strada tra vigili del fuoco, agenti della municipale e vicini di casa: portano via vestiti, serviranno fino a quando si dovrà dormire fuori casa. Dietro di loro, le mura continuano a fumare. Il botto, ieri alle 7.20, ha svegliato tutta via Atteone, a Torre Angela, periferia est di Roma. L’esplosione al 4° piano della palazzina al civico 136 ha fatto crollare anche il solaio e il tetto del 3°. Le ambulanze del 118 portano via subito 3 feriti: un uomo di 67 anni, inquilino del 3° piano, arriva al Sant’Eugenio con traumi e ustioni; una donna di 57 arriva a Tor Vergata, un uomo di 58 al Policlinico Casilino. Poco dopo le 7.30 i vigili del fuoco sono sul posto con 3 autopompa, un’autoscala, 3 autobotti, un’autogru, un gruppo cinofilo e un nucleo con i droni per cercare i dispersi. A metà mattina si esclude la presenza di persone sotto alle macerie. L’ipotesi più plausibile è la fuga di gas. Restano da sistemare gli sfollati: la signora di 95 anni che vive al 2° piano questa notte non ha dormito in casa. In 9 hanno chiesto assistenza alloggiativa al Campidoglio.

Centemero, la moglie e i soldi a Barachetti: “Gli diedero 220mila, ne riebbero 60mila”

Due società, 17 conti correnti, entrate da 6 milioni, anche da fondazioni culturali, case di riposo, istituti religiosi, società partecipate e amministrazioni locali. È la fotografia scattata dai consulenti della Banca d’Italia rispetto “all’operatività” dell’imprenditore bergamasco Francesco Barachetti a processo oggi con l’accusa di concorso in peculato per il caso della fondazione regionale Lombardia Film Commission (Lfc) che vede già condannati in primo grado i commercialisti della Lega Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni (5 anni e 4 anni e 4 mesi). L’annotazione di 43 pagine, depositata giovedì scorso, svela un “risiko” di fatture e pagamenti. Come quelli, sconosciuti finora, del tesoriere della Lega Giulio Centemero e della moglie di origini libanesi (non indagati). Succede tra il 2017 e il 2018, quando i due versano sui conti delle società di Barachetti 220mila euro (110mila ciascuno), per ricevere nello stesso intervallo di tempo 66mila euro complessivi tra marito e moglie. Il motivo del giro del denaro resta al momento un omissis.

Oltre a questo, come già in parte rivelato dal Fatto l’8 dicembre 2020, ci sono i soldi che Barachetti incassa da due case di riposo e da diversi enti religiosi, per un totale di 1,4 milioni dal 2014 al 2020. Di più: diversi comuni della provincia di Bergamo pagano le fatture all’imprenditore vicino alla Lega. Comuni che in buona parte, annotano i consulenti di Banca d’Italia, sono stati guidati da giunte di centrodestra di cui faceva parte anche il partito di Matteo Salvini. Più stringente il caso dei 200mila euro che Barachetti incassa dalla partecipata Ates srl (Azienda territoriale energia e servizi) con sede a Trezzo sull’Adda (Bergamo). Qui, si legge nella nota depositata ai pm, l’attuale direttore generale Zanello Ugo Ottaviano (non coinvolto nell’inchiesta) dal 1997 al 2014 è stato amministratore di Pontida Fin e di Fin Group, le due maggiori società controllate dalla Lega. Ma non c’è solo questo. Emerge, per la prima volta, come parte del denaro ricevuto, in questo caso dalla casa di cura San Giuseppe, Barachetti lo abbia girato all’ormai ex contabile della Lega Alberto Di Rubba condannato per il caso Lfc. L’assegno di 22.500 euro intestato alla Dea spa, società riconducibile a Di Rubba e in parte al secondo contabile della Lega Andrea Manzoni, sarà depositato dalla compagna di Di Rubba su un conto di Intesa San Paolo.

Israele verso la 4ª dose e nuovo record di casi. Lancet dice no alla 3ª

Sono 2,9 milioni gli israeliani vaccinati con tre dosi, 5,5 milioni con due dosi, e oltre 6 milioni con una. Sono 10.774 i nuovi casi in Israele ieri, un dato tra i più alti finora registrati, con un tasso di positività del 6,09%, su 189 mila tamponi. I pazienti in condizioni critiche sono 673 (e oltre 82 mila attualmente positivi). I decessi registrati dal 6 al 13 settembre sono stati 31 con tre dosi, 56 con due dosi, e 95 non-vaccinati. Israele ha tassi di vaccinazione tra i più alti al mondo: tra gli 80-89 anni l’87,2% è vaccinato con due dosi, il 75,3% con 3 dosi; tra i 70-79 anni l’87,5% ha fatto due dosi, il 77,9% tre; tra i 60-69 anni la media si alta a 87,5% con due dosi, mentre sono il 69,5% con tre dosi; per i 50-59 anni siamo a 83,5% due dosi, 55,9% tre dosi; nella fascia 40-49 anni l’81,4% con due dosi, il 45% tre dosi; tra 30-39 il 78,3% ha fatto due dosi, il 37,1% tre dosi; 20-29 anni, 72,6% con due dosi, 24,6% con tre dosi; tra i 16-19 anni, ben il 70,8% ha già fatto due dosi, e il 16,1% ne ha fatte tre.

E si parla già di quarta dose, a esporsi per primo è stato Salman Zarka, capo dell’Israel Shield, programma ufficiale del ministero della Salute su Covid-19. Israele corre, anche se i dati attuali sono parziali, tant’è che Rochelle Walensky, direttrice dei Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti, ha ribadito in diverse occasioni che non ci sono ancora dati che dimostrino che un terzo richiamo dei vaccini – Moderna o Pfizer – aumenti la protezione contro l’infezione. Ha sottolineato, invece, la speranza che una terza dose riduca la trasmissione, e quindi anche le infezioni. In un recente view point pubblicato su The Lancet, il vicedirettore dell’ufficio responsabile della Ricerca e revisione sui vaccini della Fda, Philip Krause, ha espresso un punto di vista diverso rispetto alle istituzioni israeliane. “Sebbene l’idea di ridurre ulteriormente il numero di casi di Covid-19 migliorando l’immunità nelle persone vaccinate sia allettante, qualsiasi decisione in tal senso dovrebbe essere basata sull’evidenza e considerare i benefici e i rischi per gli individui e la società: l’evidenza attuale, non sembra mostrare la necessità di una terza dose nella popolazione generale”. Una delle motivazioni principali è che potrebbe persistere “la memoria immunitaria, l’immunità cellulo-mediata, che generalmente sono di durata più lunga”, ovvero le cellule B e T Killer che non vengono però attualmente “misurate” né nei guariti né nei vaccinati. Inoltre, “potrebbero esserci dei rischi se i richiami vengono ampiamente introdotti troppo presto o troppo frequentemente, specialmente con vaccini che possono avere effetti collaterali immuno-mediati (come la miocardite, che è più comune dopo la seconda dose di alcuni vaccini mRna, o la sindrome di Guillain-Barre, che è stata associata a vaccini con vettore di adenovirus). Se un potenziamento non necessario provoca reazioni avverse significative, potrebbero esserci implicazioni per l’accettazione del vaccino che vanno oltre i vaccini anti-Covid. Pertanto, un rafforzamento vaccinale dovrebbe essere intrapreso solo se vi sono prove evidenti che sia appropriato”. Infine, il viewpoint si conclude con una considerazione inusuale, “sarà necessario un esame attento e pubblico dei dati in evoluzione per garantire che le decisioni sul potenziamento siano informate da una scienza affidabile più che dalla politica”. La chiusa è una critica diretta all’ingerenza della politica. Pochi giorni prima della pubblicazione su The Lancet, sia il vicedirettore, Philip Krause, che la direttrice, Marion Gruber – dell’ufficio più importante della Fda in questa fase pandemica – hanno deciso di lasciare l’agenzia il prossimo mese, con una lettera congiunta. Ufficialmente i motivi sono la pensione (la direttrice) e non precisato (il vicedirettore). Tutto questo, proprio mentre si stavano analizzando i dati sulla terza dose e le vaccinazioni pediatriche, stando a alla ricostruzione di Cnn Healt. È stato pubblicato uno studio dell’Università della California, ripreso dal Guardian, in cui si arriva alla conclusione che i ragazzi tra i 12 e i 17 anni sono più a rischio di effetti collaterali dopo il vaccino rispetto al Covid.

Antinfluenzali, Regioni in rincorsa per le fiale

Alla fine dell’anno scorso la Federazione degli Ordini dei medici stimò che solo il 50% delle fasce di popolazione a rischio – over 60, bambini dai sei mesi ai sei anni, persone con patologie croniche, tumori, donne incinte – era stata vaccinata contro l’influenza. Mentre molte farmacie erano rimaste a secco, senza sieri per la popolazione attiva che cercava la protezione: e si era in piena pandemia. Il risultato di ritardi che quest’anno (almeno sulla carta) non dovrebbero ripetersi.

Le Regioni, che hanno le competenze per la determinazione dei fabbisogni di vaccini antinfluenzali e per l’approvvigionamento attraverso gare pubbliche, hanno anticipato i tempi. Lo ha fatto anche la Lombardia, che nel 2020, in notevole ritardo, dopo varie gare annullate, il 1° ottobre arrivò a pagare cifre stratosferiche: 26 euro a dose, vale a dire circa il quintuplo del prezzo medio. Quest’anno l’assessore al Welfare Letizia Moratti (che ha sostituito Giulio Gallera) ha già ordinato 2,8 milioni di vaccini, dei quali 200mila spray per i bambini. Operazione necessaria per evitare una crisi nella crisi. Perché anche in tempi normali – come da sempre avvertono i medici – le complicanze influenzali possono determinare una forte pressione sugli ospedali.

Il Piemonte, che lo scorso inverno ha vaccinato oltre 95 mila persone, delle quali quasi 70 mila over 65, ha già acquistato 1,1 milioni di dosi, tra vaccini indicati per gli anziani e quelli per i bambini. La Campania, che partirà con la campagna di vaccinazione il 1° ottobre, ne ha ordinate quasi 1,9 milioni. “Il primo siero disponibile – spiegano i collaboratori del governatore Vincenzo De Luca –, sarà il quadrivalente adiuvato, per la somministrazione a persone di età pari o superiore ai 75 anni oppure di età compresa tra i 65 e i 74 con patologie che aumentano il rischio di complicanze”. Il Lazio ne ha acquistate circa due milioni. E potrebbe anche essere solo una prima tranche, vista la richiesta altissima che ci fu nel 2020. La Puglia, che se ne è aggiudicate 1,6 milioni, sta già lavorando ai dettagli organizzativi: la prossima settimana è prevista la riunione con il comitato permanente regionale dei medici di famiglia.

Anche le farmacie, con i preordini all’inizio dell’anno, sembrano aver scongiurato il rischio di rimanere senza, come accadde l’anno scorso, dopo che le Regioni ne avevano fatto incetta, rastrellando 17 milioni di dosi. L’obiettivo adesso è quello di avvicinarsi alle percentuali indicate dall’Oms: la copertura dovrebbe raggiungere il 75% e il 95% negli over 65 e nei gruppi a rischio. Resta da capire, dicono i medici di base, quando bisogna somministrare il vaccino antinfluenzale alle persone – i soggetti fragili – che a breve dovranno ricevere la terza dose del siero anti-Covid. “E dobbiamo anche capire a che distanza di tempo dalla seconda dose si può fare quello antinfluenzale: per ora non abbiamo avuto indicazioni”, osserva Silvestro Scotti, segretario nazionale della Fimmg, Federazione dei medici di medicina generale. Per Scotti, inoltre, non deve trarre in inganno l’incidenza bassa dell’influenza registrata lo scorso anno: “Abbiamo avuto pochi casi, perché erano attive tutte le misure anti-Covid, dalla mascherina alla chiusura delle scuole”.

Green pass nel settore pubblico. Il privato resta appeso a Salvini

C’è ancora da sciogliere il nodo del settore privato. Almeno stavolta l’obbligo del Green pass non arriverà per tutti, si discute di trasporti, ristoranti e bar, cinema, teatri, stadi, palestre e piscine, dove l’utenza/clientela è già tenuta a presentare il certificato verde, ma non chi ci lavora, a spanne mezzo milione di persone. È delicato il tema del la sospensione dal lavoro, che nel privato è regolata dai contratti collettivi come in generale la materia disciplinare. E poi c’è Matteo Salvini, sconfessato da Giancarlo Giorgetti oltre che dalla Confindustria, ma pur sempre leader della Lega, che è contrarissimo perché non vuole lasciare i no vax a Giorgia Meloni: chiede tamponi gratuiti per chi non si vaccina e difficilmente sarà accontentato perché il governo non intende spendere soldi pubblici per chi sceglie di non offrire il braccio. Potrebbe strappare, però, il rinvio a dopo le Amministrative del 3 e 4 ottobre.

Il decreto dovrebbe essere approvato domani, giovedì, dal Consiglio dei ministri. Riguarderà senz’altro il pubblico impiego, cioè i circa 1,2 milioni di dipendenti pubblici estranei ai comparti della sanità (c’è già da aprile l’obbligo vaccinale) e della scuola (tenuti a presentare il Green pass in forza del decreto 111 del 6 agosto) che ne occupano 3,5 milioni. Dovrebbe entrare in vigore a ottobre, il 10 o il 15, per dare il tempo di vaccinarsi a chi si convincerà. È un decreto lungamente atteso, elaborato nel corso di settimane segnate quasi ogni giorno da annunci di ministri e articoli di giornale che certamente hanno avuto qualche effetto in termini di spinta a vaccinarsi. Lo stesso Mario Draghi aveva perfino aperto a una possibile generalizzazione dell’obbligo vaccinale, a quanto pare accantonata.

Le norme Controlli, multe e regimi “speciali”

Era quasi tutto pronto la settimana scorsa, quando il governo ha poi scelto di fermarsi all’obbligo vaccinale per i dipendenti delle Rsa e al Green pass per il personale esterno di mense, pulizie e altri servizi per le scuole. Anche per il settore pubblico, comunque, restano questioni aperte: quella dei controlli, chi dovrà farli e come dai ministeri al più piccolo Comune, come sta avvenendo nelle scuole dove non si registrano gravi criticità; se servirà sempre il Qr o a volte basterà un certificato; quella della magistratura e degli organi costituzionali, che hanno ordinamenti propri; quella delle sanzioni amministrative che saranno aumentate, si dice fino a mille euro dai 400 oggi previsti per clienti e gestori dei servizi gravati dall’obbligo di Green pass.

La materia è delicata, si prevede un ampio e articolato contenzioso anche per le disparità di trattamento, che peraltro ci sono già. Si pensi solo ai treni a lunga percorrenza su cui serve il certificato mentre sui regionali no; ai ristoranti che hanno regole diverse dagli alberghi e dalla generalità degli esercizi commerciali. Anche il procedere settore per settore suscita perplessità, ma l’epidemia è in evoluzione: solo tra un mese vedremo cosa succederà, specie negli ospedali, dopo la riapertura delle scuole.

Terza dose Medici, malati gravi e forse gli over 80

Nel frattempo il ministero della Salute ha chiarito chi dovrà fare la terza dose di vaccino. È prevista a partire dal 20 settembre come già annunciato dal commissario Francesco Paolo Figliuolo, per i trapiantati, per i pazienti trattati con cellule T o formaci inmunosoppressivi o mielosoppressive, per gli immunodepressi, i dializzati e i malati di Aids: la cosiddetta “dose addizionale” va fatta almeno 28 giorni dopo l’ultima dose. C’è poi la terza dose detta “booster”, destinata a “mantenere nel tempo o ripristinare un adeguato livello di risposta immunitaria”, per le “popolazioni” ad “alto rischio per condizione di fragilità” che potrebbero essere gli ultra80enni ma non è definito, “o per esposizione professionale”. E questi sono medici e infermieri, vaccinati per lo più all’inizio del 2021. La durata del Green pass dei vaccinati è stata prolungata a dodici mesi, ma secondo gli studi condotti in Gran Bretagna e Israele – che già prevedono la terza dose per tutti – la protezione almeno dalla malattia grave diminuisce rapidamente dal quinto/sesto mese. Con ogni probabilità la dose “booster” non toccherà solo a medici e infermieri.

Ok dei giudici al certificato in Galizia

La Corte Suprema spagnola ha autorizzato la richiesta del Green pass per poter accedere a bar, ristoranti e locali notturni delle zone ad alto rischio Covid della Galizia. In precedenza il Tribunale regionale della Galizia aveva invece respinto la misura sull’obbligo del Green pass, che era stata annunciata dal governo regionale. “La richiesta del Green pass è idonea, necessaria e proporzionata”.

Ddl Zan, Pd e M5S votano il rinvio a dopo le Comunali

Una provocazione, come la definiscono nel centrosinistra, che però rischia di mettere di fronte all’opinione pubblica il fatto compiuto: Pd, M5S, Italia Viva (e Lega) voteranno questa mattina in Senato per allungare i tempi del ddl Zan e rimandare il voto a dopo le elezioni amministrative. La mossa di pura tattica parlamentare è arrivata ieri da FdI che in conferenza dei capigruppo ha chiesto e ottenuto che oggi l’aula del Senato voti sulla calendarizzazione del ddl Zan entro settembre. Proposta che sarà bocciata e il voto sarà rimandato a fine ottobre, dopo le comunali. Una prospettiva che sembrava impossibile a luglio quando il centrosinistra faceva di tutto per andare al voto e la Lega si opponeva. Ora tutto si è ribaltato perché c’è la campagna elettorale e nessuno vuole perdere voti. Non solo: un voto oggi affosserebbe il ddl Zan. Intanto ieri il Parlamento Ue ha votato una risoluzione per chiedere agli Stati membri di rispettare i diritti Lgbtq e di riconoscere unioni e matrimoni omosessuali: Pd e M5S hanno votato a favore, Lega e Fdi contro.

“Candidato o assessore non importa: voglio ancora essere utile”

Riecco Domenico Scilipoti Isgrò. Lo ricorderete, eroico responsabile nel 2010: eletto con Antonio Di Pietro, si scoprì berlusconiano dopo una rapida analisi di coscienza e salvò il fragile governo del Cavaliere. Ne ricavò un seggio al Senato per la legislatura successiva. Oggi, più modestamente, combatte l’oblio a Terme Vigliatore, il paese di sua mamma: 7.241 anime in provincia di Messina. “Ma lo scriva bene: non sono candidato – dice – e non voglio nemmeno fare l’assessore. Se le mie competenze e la mia esperienza amministrativa dovessero tornare utili, sono al servizio della comunità. Penso di essere la persona giusta per aiutare a recuperare una dialettica corretta tra la maggioranza e l’opposizione”.

La responsabilità mica è acqua. Scilipoti sogna un governissimo a Terme Vigliatore.

No! No! Attenzione. L’impegno in politica è una cosa seria. Serve rispetto, dialogo. Quello che voglio dire è che non cerco incarichi personali, ma posso dare una mano. A prescindere da chi vincerà le elezioni, con la buona volontà la mattina dopo si potrà trovare una soluzione. Ognuno con le proprie idee, con spirito costruttivo, nell’interesse del paese.

È passato dal Paese al paese. Dal Senato a un piccolo comune.

Noi medici siamo abituati a lavorare in piccolo, ma anche in grande. Non è delegittimante. Sono stato un medico di frontiera, un chirurgo, un ginecologo. Ho fatto di tutto. Posso dare una mano nelle favelas di Rio come in un grande reparto cittadino. Mica impegnarsi nelle piccole cose è riduttivo.

Dunque fa il kingmaker a Terme Vigliatore.

No! No! Sono solo una persona che ha conoscenze e può essere utile per il suo profilo professionale e la sua conoscenza della macchina burocratica. Specie in campo socio-sanitario.

Senza candidarsi? (In Sicilia si vota il 10 e 11 ottobre, le liste si chiudono oggi).

Sono a disposizione senza chiedere ruoli. Poi se ci sarà bisogno che ci metta la faccia, posso pure farlo.

“Bertolaso? Non so chi sia. Io sono in lista per mio figlio disabile”

Mai più massaggi, ma un posticino nelle liste di Enrico Michetti, a Roma, nello sterminato Municipio IV (da San Pietro a Selva Candida). L’ex soubrette brasiliana Regina Profeta era passata alla cronaca (giudiziaria) come l’organizzatrice della “sala massaggi” per Guido Bertolaso al Salaria Sport Village, nell’epoca dorata della Protezione civile Spa. Il processo dimostrò infondata l’accusa (sfruttamento della prostituzione), la povera Regina lamentò una vita distrutta e si chiese: “Chi mi risarcisce ora?”. Una manciata di anni più tardi è in lista a Roma. “Amo la politica”, dice, e cita una non indimenticabile candidatura nella civica Beautiful di Francesco Rutelli nel 1997. “Rutelli è una persona molto umana”.

Cosa può dare Regina alla città?

Mio figlio è disabile, ha avuto un trapianto di cuore. La mia vita è aiutare i disabili. Voglio vincere per loro.

Quando ha deciso di candidarsi?

È un’idea di Riccardo Evangelista (ex consigliere municipale di Forza Italia passato all’Udc, ndr), mi ha voluto nella sua lista civica. È molto umano.

I suoi esordi sono in Rai. Ha lavorato anche con Arbore e Baudo.

(Inizia a intonare Cacao Meravigliao). La mia vita è la musica, il ballo. Ho conosciuto anche la Carrà e Celentano. Adriano mi manca: è molto umano. Lo scriva: spero di tornare a cantare in Rai. O su Canale 5.

Poi ci fu la storiaccia dei massaggi a Bertolaso.

Non so chi sia. Non l’ho mai visto.

E l’intercettazione di lui che “vede le stelle”?

Il fatto non sussiste! Non sussiste! Io facevo solo spettacolo, lì c’erano solo grandi feste, si ballava e cantava. Venivano i calciatori brasiliani della Roma.

Michetti vincerà le elezioni?

Non lo conosco. Vincerà Evangelista.

La Raggi è stata una buona sindaca?

La gente dice di no.

E se lei fosse sindaca cosa farebbe?

Aiuterei i disabili. Scrivi bene: municipio quattordici, vota Regina per i disabili!

L’aspirante sindaco Calenda campione d’assenze in Europa

È assente, Carlo Calenda, dalla tv e lui se ne duole. Perché nessuno lo invita, tanto che secondo Libero – che arriva a scomodare addirittura la parola “censura” – il leader di Azione e candidato a sindaco di Roma presenterà un’interrogazione all’Agcom per la violazione della par condicio in campagna elettorale. Ma Calenda è assente soprattutto al Parlamento europeo dove, teoricamente, dovrebbe lavorare. Perché lì è stato eletto nel maggio 2019 in lista e con i voti del Pd, partito che poi ha deciso di lasciare solo tre mesi dopo per fondarne uno nuovo. Eppure a Bruxelles negli ultimi due anni risulta essere uno degli ultimi europarlamentari italiani per numero di presenze: secondo i dati del sito Votewatcheurope.com che monitora il lavoro dei membri del Parlamento Ue, Calenda si posiziona al quartultimo posto per numero di presenze tra gli europarlamentari italiani (71 su 75) e addirittura 622esimo sui 705 totali.

Nella speciale classifica che riguarda solo gli europarlamentari italiani, Calenda è tra quelli più assenteisti: pur collezionando il 95,20% delle presenze nei voti chiave, peggio di lui fanno solo l’ex procuratore antimafia Franco Roberti (93,9%), l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia (93,33%), Andrea Cozzolino (90,78%) e Silvio Berlusconi, presente solo nel 61% dei voti. Le percentuali sembrano alte ma bisogna specificare che al Parlamento europeo la media delle presenze si posiziona intorno al 98% e le votazioni, da quando è iniziata la pandemia, possono svolgersi anche senza il bisogno di andare a Bruxelles o Strasburgo: si può partecipare alle sedute e votare comodamente da casa propria. Se prendiamo in considerazione solo l’ultimo anno, cioè da quando è partita la campagna elettorale per il Campidoglio, Calenda scala qualche posizione in quanto a presenze posizionandosi al 66esimo posto su 75. Ma comunque in fondo alla classifica di chi lavora di più. Nel biennio il candidato a sindaco di Roma invece si posiziona al 622esimo posto su 705 europarlamentari partecipando a 9.272 voti su 9.740 totali. In due anni Calenda ha disertato ben 468 voti. Nell’ultimo anno invece si posiziona al 543esimo posto per numero di presenze. Quando gli viene dato dell’assenteista, il candidato sindaco di Roma però risponde che lui ha presieduto il comitato per redigere il rapporto sulla politica industriale dell’Unione europea: un documento approvato nel novembre 2020 che però non è vincolante rispetto alle decisioni degli Stati membri. Oggi non si sa quali effetti abbia prodotto. Un dato, riportato da Votewatcheurope, è sorprendente rispetto all’attività di Calenda da europarlamentare: nel 100% dei suoi voti è stato fedele al gruppo dei socialisti europei a cui è iscritto dall’inizio del mandato. In Italia è tutta un’altra storia.

“Il consenso al leader ha solo un motore: migranti e sicurezza”

Per fermare l’emorragia di voti e riprendere in mano il partito, Matteo Salvini non potrà far altro che “riaccendere il solito motore”, quello “dell’immigrazione e della sicurezza”. Così, secondo il politologo dell’Università di Bologna Piero Ignazi, il leader del Carroccio uscirà dall’angolo a cui lo sta costringendo il cosiddetto “fronte del Nord”, la fronda interna leghista più moderata e di governo, riconducibile soprattutto ai presidenti di Regione Luca Zaia e Massimiliano Fedriga e al sottosegretario Giancarlo Giorgetti.

Professor Ignazi, crede che i governatori forzeranno la mano e si arriverà a una resa dei conti interna alla Lega?

Che ci siano delle differenze tra le anime della Lega è chiaro a tutti. La situazione mi ricorda un po’ quel che succedeva nel Partito comunista degli anni 60, quando da una parte c’erano gli amministratori socialdemocratici, soprattutto nelle Regioni rosse, e dall’altra leader politici nazionali che ancora guardavano all’Unione Sovietica e ambivano alla trasformazione radicale del sistema capitalistico. Quella convivenza è andata avanti per anni e credo che in realtà anche nella Lega possa succedere la stessa cosa, senza che si arrivi a vere fratture.

Salvini però sembra all’angolo.

Questo perché non ha ancora potuto far emergere la sua “anima forte”, non ha ancora spostato il dibattito sull’immigrazione e la sicurezza, veri motori del suo consenso. Quando lo farà, potrà tornare in una posizione di forza anche all’interno del partito.

A quel punto che ne sarà dei suoi rivali interni?

Resterà un gioco delle parti tra una componente e l’altra, come un poliziotto buono e un poliziotto cattivo nei confronti del governo. Nulla di particolarmente nuovo: d’altra parte lo slogan della Lega “di lotta e di governo” risale agli anni di Umberto Bossi.

In questa fase di scontro, con chi sta la base della Lega?

Credo che la maggior parte del serbatoio di voti della Lega concepisce il partito allo stesso modo di Salvini, a eccezione del Veneto dove la Liga è tutt’altra cosa. Ma al punto di vista elettorale non c’è dubbio che la de-territorializzazione del partito messa in pratica da Salvini abbia portato i suoi frutti, facendo arrivare elettori che altrimenti non si sarebbero mai avvicinati.

Ora però Fratelli d’Italia sta mangiando gran parte di quel consenso.

Tra il 2018 e il 2019 in molti hanno percepito la Lega come un taxi da prendere al voto e parecchi di quei voti sono già spariti, è vero, complice l’avanzata di Giorgia Meloni. Ma tornare indietro, rendendo di nuovo la Lega un partito territoriale, non aiuterebbe a recuperare elettori: al Sud il Carroccio ne perderebbe molti altri, mentre al Nord mi è difficile pensare che ne possa guadagnare altrettanti, essendo comunque già vicino al suo limite massimo.

Zaia potrebbe essere un leader nazionale della Lega?

Se per Fedriga sarebbe proibitivo, governando lui una piccola Regione da poco tempo, per Zaia il discorso è diverso, perché amministra una delle zone più importanti d’Italia e da anni mantiene un consenso molto alto. Potrebbe essere un’alternativa a Salvini e magari riuscirebbe anche a essere un bravo politico, la Lega cambierebbe ma credo che una leadership di Zaia significherebbe di nuovo perdere tutti i voti sotto al Po. Non un grande affare.