Calta&DelVecchio contro l’ad di Generali. Avviso di sfratto per far cedere Mediobanca

Si fa sempre più complicata la permanenza di Philippe Donnet alla guida delle Generali. La battaglia sulla pelle dell’ultimo gioiello finanziario italiano è entrata nel vivo e ieri è di fatto partito l’avviso di sfratto per l’amministratore delegato da parte dei due soci italiani più agguerriti. La scelta di Francesco Gaetano Caltagirone e del patron di Luxottica Leonardo Del Vecchio di far confluire le proprie quote (il 10,9% del capitale del Leone di Trieste) in un patto di sindacato arriva a pochi giorni dal cda che il 27 settembre deve decidere se adottare la procedura che gli affida il compito di stilare la lista del futuro consiglio. Equivarrebbe al via libera per Donnet, arrivato nel 2016, al terzo mandato. Caltagirone e Del Vecchio sono invece contrari: lo vorrebbero addirittura fuori prima della scadenza del mandato in primavera. Martedì si terrà una riunione dei consiglieri per valutare la situazione e per il francese le chance si riducono.

Il patto di sindacato non è particolarmente vincolante – impone “una consultazione preventiva per l’esercizio di voto” – ma serve a lanciare un avviso ad Alberto Nagel, l’ad di Mediobanca che è il primo azionista di Generali con il 13%. Nagel difende Donnet solo per mantenere la presa su Trieste. Per costringerlo a cedere i due hanno iniziato a strignere la presa su Mediobanca. Il padron di Luxottica è salito al 19% dell’ex salotto buono della finanza italiana, mentre Caltagirone ha superato il 5%. Il messaggio è chiaro: o Nagel cede, e Donnet si fa da parte, o i due imprenditori potrebbero anche proporre una lista alternativa in Generali, che probabilmente vedrebbe l’appoggio degli altri soci italiani (Fondazione Crt e la Edizione dei Benetton). A quel punto, ça va sans dire, anche la permanenza di Nagel in Mediobanca finirà nel mirino. Al momento, il nome più gettonato per succedere al francese è l’ad di Poste, Matteo Del Fante (che peraltro piace pure a Nagel).

Molto meno chiare sono le idee dei contendenti. Nessuno ha ben capito perché Caltagirone (78 anni) e Del Vecchio (86) hanno deciso di far partire l’assalto. Il dato di fatto è che Trieste assicura una rendita finanziaria e grandi opportunità d’affari nel ramo immobiliare (Caltagirone). La gestione Donnet viene considerata insufficiente a garantirle un ruolo di peso tra i grandi colossi europei, un declino causato proprio dai suoi azionisti, che negli ultimi decenni non hanno mai mollato la presa sul capitale.

Mail Box

 

Anche da noi le donne vengono discriminate

È giusto, anzi giustissimo, preoccuparsi per le condizioni femminili in Afghanistan, ma anche in Arabia Saudita, in Iran, e in moltissimi altri Paesi. Ma è altrettanto giusto fare in modo che da noi, in Occidente, i diritti delle donne non vengano continuamente attaccati e ridotti come sta succedendo in Polonia o in alcuni Stati degli Stati Uniti. Anche in Italia le cose non vanno troppo bene: viene commesso un “femminicidio” (orrenda parola) ogni 72 ore, il lavoro femminile è retribuito in maniera inferiore a quello maschile, i ruoli apicali, in tutti i campi, sono quasi totalmente destinati ai maschi, anche in politica le donne sono quasi sempre relegate a ruoli ancillari, tanto è vero che dopo 75 anni di democrazia repubblicana ancora non abbiamo avuto donne a Palazzo Chigi o al Quirinale. Non va bene, assolutamente, bisogna cambiare marcia immediatamente, non ci si può stracciare le vesti per la “barbarie talebana” che non fa praticare lo sport alle donne e poi continuare a discriminare il “gentil sesso” perpetuando la mentalità maschilista che vuole la donna succube, se non addirittura proprietà, del maschio. Tutte le donne, insieme agli uomini “di buona volontà”, devono immediatamente pretendere una vera e propria rivoluzione culturale e bandire, una volta per tutte, ogni tipo di discriminazione, a tutti i livelli.

Mauro Chiostri

 

Oggi non è più possibile fare della sana critica

Mi sono abbonato pochi minuti fa al Fatto. Indipendentemente dalle mie idee politiche, ho fatto questa scelta perché nel vostro quotidiano e nella vostra linea ho ritrovato quella sana critica e ricerca della verità. E considerato questo tempo, costellato da anatemi e caccia alle streghe, non è poco. Oggi non è più possibile pensare, dubitare e nemmeno parlare. Bisogna ubbidire e basta.

Ivan Picardi

 

L’Abc che la politica non ha ancora imparato

Caro Direttore, mi può spiegare con che faccia i nostri politici impongano ai propri cittadini il Green pass e, pare, pure l’obbligo vaccinale? Loro che nel palazzo del Parlamento si guardano bene dal sedersi l’uno accanto all’altro per il rispetto del distanziamento, mentre i cittadini debbono mandare i loro figli nelle classi pollaio, oppure ammassarli sui mezzi pubblici? Ci dimentichiamo che nonostante la vaccinazione, la nostra percentuale di immunità può essere più o meno efficace contro il virus in base a come può reagire il nostro organismo con la vaccinazione? Cosa hanno fatto questi signori in questi due anni di pandemia? È importante il vaccino, ma fino a che il virus circolerà tra noi, sarà importante oltre alla vaccinazione mettere in condizione le persone nel suo quotidiano di rispettare le distanze , indossare le mascherina e l’igiene. Altrimenti si può mettere l’obbligo che si vuole.

Flavio

 

11 settembre: ricordare non solo le Torri gemelle

Ieri andava ricordato anche un altro 11 settembre. Quello del 1973, giorno del colpo di Stato del generale Pinochet in Cile contro il governo democratico di Allende. Un colpo di Stato voluto, pianificato, organizzato e finanziato dagli Stati Uniti. In particolare si è impegnato per la sua realizzazione Henry Kissinger, che ancora oggi viene ricevuto con tutti gli onori, in Italia e in Europa. Un colpo di Stato che ha provocato molte più vittime degli attentati alle Torri gemelle. Migliaia e migliaia di arrestati, di morti, di torturati, di desaparecidos, colpevoli solo di volere un Cile democratico e indipendente dal dominio americano. Non dobbiamo dimenticare.

Venanzio Antonio Galdieri

 

Bonino sta con Calenda, ma dimentica la Raggi

Emma Bonino è intervenuta a sostegno della candidatura di Calenda a sindaco di Roma, ritenendolo, in virtù delle sue “capacità decisionali e imprenditoriali”. Se Calenda possieda effettivamente queste doti da salvatore, non possiamo dirlo per il momento. E nell’eventualità che venisse eletto sindaco saremo curiosi di vederlo all’opera: ma se ci si limita ad analizzare l’operato dell’amministrazione Raggi non si capisce quali colpe esattamente abbia nella gestione del debito della città. Tuttalpiù decisioni come lo svolgimento di gare d’appalto regolari e il rifiuto di svolgere le Olimpiadi a Roma hanno avuto come conseguenza quella di impedire che si verificassero eventuali episodi di corruzione e che il bilancio andasse ulteriormente in rosso. Quanto alla questione dei rifiuti, non è vero che il problema è la raccolta, ma lo smaltimento, in quanto la chiusura della discarica di Malagrotta ha portato profondi disagi in tutte le province del Lazio, motivo per cui ci si aspetta una risposta non dai sindaci ma direttamente dal presidente della Regione. La Raggi, mentre la maggior parte della stampa era impegnata a discutere dello scandalo Spelacchio, ha fatto sgomberare e demolire otto ville abusive dei Casamonica, sulle quali nessuna delle amministrazioni precedenti, sia di destra che di sinistra, aveva mai osato mettere mano.

Jacopo Ruggeri

Il vero Gesù. Il Messia non è trionfante, ma sofferente: rinnega potere e gloria

Gesù parte con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo (Mc 8,27-35). Da Betsaida cammina verso il confine settentrionale della Palestina, e gira per le borgate. Siamo in territorio pagano. Non c’è folla. Adesso lo sguardo dell’evangelista può riposarsi e scendere al livello dei piedi, del cammino. Sulla strada ci sono Gesù e i suoi discepoli. Parlano. Anzi, Gesù interroga i discepoli: “La gente, chi dice che io sia?”. I discepoli rispondono: “Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti”. Chi dice una cosa, chi ne dice un’altra. Ma a Gesù questo, in realtà, non interessa. La domanda è una scusa o, meglio, un prenderla alla larga. “Ma voi, chi dite che io sia?”: ecco la vera domanda netta e decisa, recisa dalla precedente da un “ma”, ma voi. I discepoli avevano camminato con lui, vissuto con lui. Avevano condiviso la vita, le parole, le reazioni della gente, i miracoli. Ma adesso è tempo di dirsi con chiarezza le cose. Chi risponderà?

Risponde Pietro: “Tu sei il Cristo”. Non c’è altro da aggiungere. Gesù non è un illuminato, un maestro, un filantropo. Niente di tutto questo. È il Messia atteso, il salvatore promesso che governerà e unirà il popolo di Israele, l’inviato definitivo di Dio, il compimento delle promesse di liberazione. Gesù non lascia passare un istante né commenta. Risponde immediatamente con un ordine dato severamente: quello di non parlare di lui ad alcuno. La risposta di Pietro è esplosiva. Ma adesso Gesù chiede di non aprire bocca. Non si deve parlare di lui. Che succede? Perché? Perché dire che Gesù è il Messia è pericoloso. Il rischio è un clamoroso fraintendimento. Sappiamo che qualcuno voleva fare di Gesù un re, ad esempio. Speranze nazionaliste rischiavano di proiettarsi su di lui. Gesù non vuole neanche lontanamente essere associato a questi nazionalismi. La sua via è la croce. E difatti cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere. Sofferenza, rifiuto, morte: questo lo attende. La resurrezione seguirà, ma la via non è fatta di gloria, amore e potere. No. E fa questo discorso, dice Marco, apertamente. A questo punto la tensione sale. Accade l’incredibile: Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Non una richiesta di spiegazioni: si mette a… rimproverarlo. Pietro. Proprio colui che aveva detto: “Tu sei il Messia”. Il discorso di Gesù è irricevibile, e Pietro lo rifiuta: perché il dolore, la sofferenza, la morte? Non è Gesù quello che fa i miracoli, che moltiplica i pani e i pesci, che placa le tempeste perché vento e mare gli ubbidiscono…? Il Messia dovrebbe far brillare il proprio potere, la propria vittoria!

La tensione sale. Gesù è senza freni. L’obiettivo si sposta su di lui inquadrandolo in primo piano. Si volta e fissa i discepoli, non Pietro. Ma è proprio lui che rimprovera: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Satana! Gesù chiama Pietro – proprio lui! – Satana! Sì, Satana, perché lo tenta. Lo vorrebbe Messia trionfante e non sofferente. Che se ne vada al diavolo, se è questo che vuole da lui.

Non sappiamo quale sconvolgimento Pietro abbia provato. La scena si allarga subito col grandangolo: all’improvviso Gesù convoca una folla. Da dove? Come? Non sappiamo. Ma sappiamo quel che dice: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. La via è tracciata. Il rinnegamento del potere e del successo è totale, assoluto.

*Direttore de “La Civiltà Cattolica”

 

Il tempo s’è fermato. Il mio Paese e i talib

Sono al contempo felice e triste di essere qui in Italia. E devo ringraziare questo Paese, gli italiani e i media che danno voce al messaggio di un’esule afghana e del suo popolo e Paese martoriato. Da una parte, il mio arrivo qui rappresenta la vita e la speranza.

Dall’altra, posso dire che sono una privilegiata, e questo mi dà un senso di forte tristezza per le amiche e colleghe rimaste imprigionate laggiù.

Negli ultimi anni ho lavorato sodo per realizzarmi come donna e come imprenditrice in Afghanistan, dopo aver vissuto tutta la mia vita in Iran. Sono stata un’immigrata di seconda generazione, nata da un esilio che risale all’invasione sovietica. Tre anni fa, concluso il mio percorso di studi e di formazione in Iran, pur potendo raggiungere i miei familiari in Italia, ho deciso di tornare in Afghanistan come atto politico di cittadinanza attiva, per servire il mio Paese e la mia gente, nel momento del bisogno.

Il tempo da noi si era come fermato. La prima cosa che notai era la mancanza di donne emancipate. Uno stimolo per me a mettermi in gioco con ancora più determinazione. Ho lanciato la mia avventura imprenditoriale con il mio primo ristorante sulle ceneri di “Le Jardin”, gestito prima da alcuni francesi. Aveva subito due attentati terroristici ed era rimasto abbandonato. Quello era il forte senso di rinascita che volevo. Dalle ceneri, come la Fenice. Lo chiamai “Sahar Paz”. Anche il nome è molto significativo. Sahar, infatti, è il mio soprannome e significa “alba”. Di nuovo, un segno di rinascita e luce. Non era solo un ristorante, ma un centro culturale e di attivismo per l’emancipazione di noi donne. Ero circondata da ragazze veramente in gamba, che continuo a sentire quotidianamente, e per cui mi piange il cuore. Gestivamo insieme dei progetti per e con le donne, ma anche destinati ai bambini di strada. Spero davvero che presto anche loro potranno raggiungermi per continuare a costruire insieme giardini di luce lungo la strada dei diritti.

Il successo di Sahar Paz mi ha portato a pensare a un secondo spazio: “Ospite di Sahar”. Ho lavorato duramente otto mesi per realizzarlo ed era pronto a essere inaugurato proprio quando sono stata costretta a fuggire, chiedendo asilo politico in Italia.

Con i talebani alle porte di Kabul tutto è diventato buio in un attimo. Ho chiesto aiuto a mio fratello con la morte nel cuore e la paura di non farcela.

Prima di arrivare a Roma, non sapevo cosa significasse la paura. Ero cresciuta con la piena consapevolezza delle mie capacità. La determinazione e gli ideali guidavano i miei passi. All’improvviso tutto ciò per cui avevamo lottato è svanito in poche ore. L’unico pensiero di noi donne era mettersi in salvo.

Avevo anche un visto per l’India e mio fratello come alternativa mi aveva fatto i biglietti, ma i voli civili erano ormai bloccati. Poi grazie a mio fratello, all’Italia, al Governo e agli sforzi di Angelo Argento, presidente di “Cultura Italiae”, sono qui ora nel vostro Paese e mi sento considerata, dopo anni di paura, per la prima volta una persona anche se donna. Un sollievo per me, certo. Ma non posso dimenticare i bambini, le donne e gli uomini rimasti nel mio Paese senza possibilità di uscire. Sento di fare poco per il mio Paese, ed è terribile.

Un popolo intero è in lacrime. Abbiamo già conosciuto il regime dei talebani per sei anni e sappiamo di cosa sono capaci, nonostante vogliano provare a mostrare un’altra faccia. Per strada non si vede più una donna. Tutti vivono nel terrore e non escono di casa. C’è paura e incertezza, soprattutto per la mia generazione che ha imparato a cominciare a camminare sotto lo scudo di protezione dell’Occidente. È su questa generazione che dobbiamo concentrare i nostri sforzi. Loro sono la speranza del Paese. Sono il nostro futuro. E con “nostro” intendo della comunità internazionale, che in questo momento ha perso un Paese, un alleato, un interlocutore, anche se non è detto che la storia non riservi alla fine un futuro eccellente per l’Afghanistan, glorioso come il suo passato. Abbiamo i talenti, abbiamo le competenze! Molti giovani sono formati, pronti e desiderosi di costruire un Paese democratico. È su di loro che bisogna scommettere. Non possiamo pensare che un Paese con un passato di arte e poesia sprofondi nell’ignoranza e condanni le donne a essere sepolte in casa e trattate come oggetti.

Allora guardo avanti, penso al futuro e mi pongo anch’io un obiettivo per il 2030. “#Afghanistan2030 – Next Leaders”. Lo chiamerò così. Auspico che nel 2030 realmente le potenze internazionali ottemperino agli impegni presi con l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. L’obiettivo, fra i tanti, è costruire una società pacifica e sviluppare istituzioni egualitarie a tutela dei diritti civili, umani, al diritto all’istruzione, alla parità di genere.

Penso a me stessa, alle mie colleghe, alle amiche e ai tanti intellettuali, artisti, attivisti, giornalisti costretti alla fuga oggi dall’Afghanistan. Li immagino riprendersi il Paese e lottare per l’autodeterminazione del popolo afghano. Perché accada è necessario che tutti, compresi i governi dei Paesi europei e la società civile che ci stanno ospitando oggi come rifugiati aiutino la crescita di questa giovane classe di next leaders. Con “Culture Italiae” e lo spin-off “Solidarietà Italiae” stiamo lanciando il progetto “Afghanistan 2030 – Next Leaders” che punta a mettere in salvo e dare accoglienza dignitosa a chi come me sta lottando per il futuro del nostro Paese. Un progetto innovativo, giovane, agile, basato su un importante partenariato fra istituzioni e privati, che si proponga come nuovo modello possibile di accoglienza, offrendo a questa generazione di esuli talentuosi adeguate opportunità di inserimento e formazione.

Sono un’imprenditrice e sento che possiamo creare qualcosa di grande e giusto che renderà più ricca l’Italia stessa. In una seconda fase, attraverso l’attivazione di visti speciali e corridoi umanitari, speriamo di riuscire a continuare il nostro sogno, uniti anche in esilio, costruendo l’Afghanistan del 2030. Bisogna che nel frattempo il mondo, coeso, faccia pressione sui talebani per approvare un governo che rappresenti tutti, che garantisca l’emancipazione femminile e i diritti basilari, oggi a rischio.

La resistenza è un tema che mi sta molto a cuore. Una parte del Paese sta lottando, guidata da Ahmad Massoud, mio coetaneo, figlio del leone del Panshir, formatosi in Europa. Immagino che anche lui e i suoi uomini si sentano abbandonati. Ai tempi di suo padre, i talebani erano osteggiati anche dall’Occidente. Ora non mi è chiaro quale sia la posizione internazionale nei loro confronti. Mi riferisco agli attori che stanno facendo accordi con loro: Russia, Cina, Pakistan, Iran, Arabia Saudita.

 

 

Drammatica siccità: anche il ghiacciaio della Capra muore

In Italia – L’estate è proseguita a inizio settembre, e in città come Firenze, Napoli e Alghero si sono superati quasi ogni giorno i 30 °C. Tuttavia aria più instabile ha causato temporali al Sud e in Sardegna, attenuando il secco sebbene in modo irregolare e con danni. Sabato 4 ecco i primi rovesci estesi della stagione in Sicilia, allagamenti lunedì 6 nel Salento e nel Siracusano, nubifragi giovedì sul Cagliaritano, fino ad arrivare al violento tornado che venerdì sera ha ucciso due persone a Pantelleria, come di recente era accaduto anche a Ladispoli e Cesano (Roma) il 6 novembre 2016. Invece al Settentrione è proseguita la siccità, definita “drammatica” dall’Autorità di bacino del fiume Po dal Piemonte meridionale all’Emilia Romagna (a Novi Ligure sono piovuti appena 26 mm d’acqua dal 1° giugno, un quarto del normale). Incendi boschivi sulle alture di Carrara e Albenga, sulle Alpi ci sono rifugi che chiudono anzitempo la stagione per mancanza d’acqua e molti fiumi, come il Tanaro a Garessio (Cuneo), sono completamente asciutti, in attesa che un po’ di pioggia – ancora insufficiente a colmare il deficit – arrivi a metà settimana. Il Cnr-Isac segnala che l’estate 2021 è stata la sesta più calda dal 1800 a livello nazionale, con anomalia di +1,6 °C a cui hanno contribuito gli intensi calori al Sud. Si è conclusa la seconda edizione della “Carovana dei ghiacciai” di Legambiente, che ha percorso Alpi e Appennini per sensibilizzare cittadini e amministratori sulla gravità di cambiamenti climatici e deglaciazione: l’ultima tappa, sul Gran Paradiso, ha contemplato un simbolico commiato musicale al morente ghiacciaio della Capra (Valle Orco).

Nel mondo – Di pioggia ne è arrivata anche troppa, e di colpo, nel Sud-Ovest francese: mercoledì 8 settembre la città di Agen è finita sott’acqua per 129 mm di pioggia in tre ore, più di quanto si fosse mai misurato perfino in un giorno intero. Ma è andata ben peggio con le alluvioni lungo il Nilo Bianco in Sudan, nonché in Nepal, in Messico centrale (17 vittime in un ospedale per un black-out con avaria di dispositivi salvavita), e nelle Filippine, toccate dalla tempesta tropicale Conson e poi sfiorate dal super-tifone Chanthu che adesso minaccia Taiwan. In Nord America l’uragano Larry ha raggiunto ieri notte Terranova in categoria 1, e trasformato in depressione extra-tropicale ora sta inusualmente correndo a portare bufere di neve in Groenlandia. Una tardiva ondata di calore ha interessato Europa occidentale e Scandinavia con nuovi record di temperatura massima per settembre, sia locali (38,2 °C ad Almeria, Spagna, 31,1 °C a Quimper, Bretagna) sia nazionali (28,6 °C in Norvegia). L’estate 2021 secondo il servizio Eu-Copernicus è risultata la più calda in Europa con 1 °C sopra media e il determinante contributo della calura eccezionale in Russia, superando quelle del 2010 e 2018; stagione dal caldo record anche negli Usa, dove è stato superato seppure di un soffio il primato nazionale dell’estate 1936, in pieno “Dust bowl” che seccò le Grandi Pianure. Uno studio dell’University College London su Nature (Unextractable fossil fuels in a 1,5 °C world) dice che per avere una possibilità su due di rimanere entro 1,5 °C di riscaldamento globale al 2100 (Accordo di Parigi) occorre lasciare sotto terra nel prossimo trentennio il 60% delle riserve note di petrolio e metano e il 90% del carbone. Un ulteriore appello ad agire in fretta contro la degradazione di clima e biodiversità, pericolosa anche per la salute umana, arriva da un editoriale congiunto (Call for emergency action to limit global temperature increases, restore biodiversity, and protect health) che hanno pubblicato oltre 200 prestigiose riviste mediche internazionali, tra cui The Lancet. Riusciremo a dargli retta?

 

La Libia, l’Italia, l’Egitto: ecco i “Paesi dei misteri”

Misteri piccoli e grandi, curiosi o tragici, sono sparsi come scatolame sul “terreno Italia”. Nessuno li raccoglie e restano misteri. Non viene mai il momento in cui si dice “finalmente possiamo fare luce”. Invece di solito segue dimenticanza. Rivelazione mai.

Pensate al caso del sindaco di Riace, ve lo ricordate, l’uomo accusato di accogliere migranti nel paesino spopolato della Calabria? Era eletto ma è stato espulso, era a capo di una piccola comunità fiorente ed è stato cacciato. Non poteva più risiedere dove era stato eletto, pur non avendo violato alcuno dei suoi doveri. Come si fa con una storia così, priva di senso, di fondamento e di colpe o reati, che nessuno ha potuto mostrare? Si abbandona, si dimentica. Non se ne parla più.

Ecco, è in questo modo che, dopo avere sollevato casi di gravità indicibile, quei casi si abbandonano contando non tanto sulla instabilità della memoria quanto sull’istinto che avverte sia il giornalista sia il lettore: il fatto è strano, ma è meglio lasciar perdere.

Pensate ai misteriosi “mercanti di carne umana”. Mai uno alla sbarra. Pensate alla “Libia uno”, primo ministro Al-Sarraj, residenza – per sicurezza – nel mare di Tripoli, credenziali fornite dal Segretario generale dell’Onu. Tratti fondamentali: deve apparire il punto forte della presenza italiana, ricevere fondi e armi italiane, fare e ricevere visite ossequiose all’Italia e dall’Italia, senza rispondere delle spaventose prigioni libiche, come se lui non fosse il capo. E inoltre deve riunificare la Libia. Pensate alla “Libia due”, con un nuovo capo Abdul Hamid Dbeibeh, venuto non si sa da dove, che subito si è recato da Erdogan con 14 ministri al seguito. E chi è davvero, e lavora per chi, il generale da fumetti Haftar, che muove e ferma le truppe (bene armate, in divisa) senza regioni note, né prima né dopo, ma viene persino a Roma in divisa a farsi onorare. Chi sono e per quale compito sono stati mandati i mercenari turchi, i mercenari russi, i mercenari egiziani?

C’è una guerra nel Sahel, ma di quella guerra manca il racconto, non solo politico ma anche di cronaca. Si considera in guerra tutta la striscia del Sahara che preme sugli “Stati oppressori”, dalla Tunisia al Marocco, senza spiegazioni o notizie da o per il governo italiano. In particolare la Tunisia è in tumulto, ma sembra che non sia una questione da discutere. Ci sarà una ragione se l’Egitto decide di ignorare “ferme” richieste italiane (notizie sul cittadino italiano Zaki detenuto da più di un anno senza ragioni conosciute e con risposte beffarde, ma accettate dall’Italia con grazia. Ma era stato accettato con grazia anche il silenzio-beffa sulla morte di Regeni). Un comprensibile scatto d’ira del presidente del Consiglio italiano verso il presidente turco Erdogan ha fatto trattenere il fiato per le possibili conseguenze del fatto (continuando a immaginare l’Italia come un modesto Paese di serie B), tutti aggrappati alla speranza che l’offesa sarebbe stata dimenticata.

Resta un mistero l’invenzione del “caso Soros”, che Georgia Meloni ama chiamare “usuraio”, forse per brutti ricordi della storia, non per il fatto accidentale che George Soros sia ebreo. Resta il fatto che qualcuno è riuscito a fare di lui un nemico del popolo capace di tutto, e la persuasione è diventata un luogo comune e un fatto vero. Soros si trova (e resta) al vertice di una gogna inventata, forzata e mantenuta con vigore per emettere un nuovo tipo di condanna. È infatti la controfigura del sindaco di Riace, uomo del tutto privo di mezzi e di trovate illegali, ma accusato, espulso, esiliato, condannato perché non si prestava a cacciare i profughi. Intanto ci siamo dimenticati che il politico italiano fotografato mentre carezza la Meloni e dice idee e opinioni agli uomini d’affari di Cernobbio, è lo stesso che ha tentato di far sbattere una barca della Guardia di Finanza italiana contro la barca salva-vita di Carola Rackete pur di non permettere lo sbarco di migranti che stavano in mare da giorni. È vero che molto del modello Salvini-Meloni, di un’Italia cieca e ottusa verso ciò che succede nel mondo, è stato in parte smontato e che le tenerezze riguardano più i due leader tra loro che il Paese che vorrebbero guidare. È anche vero che una rispettabile assemblea di leader della vita economica italiana ascolta e applaude i due come se si trattasse di eventi di vita normale. Inutile meravigliarsi. Molta storia italiana è una storia di misteri. Questi sono tra i più squallidi.

 

Salvini mente sulla pelle degli altri

 

“Il problema non sono i non vaccinati, ma il virus che varia. Le varianti nascono come reazione ai vaccini”.

Matteo Salvini

 

Difficile non provare repulsione per certi cosiddetti leader che soffiano sul fuoco no-vax sperando di raccattare qualche voto in quel vasto serbatoio di ignoranza e disperazione. E che lo fanno dichiarando preventivamente di essersi regolarmente vaccinati, insieme ai familiari e alle persone care, come se l’aver scelto di mettersi al sicuro li autorizzasse a mandare il prossimo allo sbaraglio. Raramente la politica era scesa più in basso, con a ruota il circo “bla bla vax” dei talk, dove blaterano di libertà alcuni utili “cazzoni” (Fedele Confalonieri). Poiché l’uso consapevole della menzogna appartiene alla propaganda, ma non spinto fino al punto di giocare con la vita del prossimo. Nel partito antivaccino, accanto a coloro che ne contestano l’efficacia per le più svariate ragioni, e accanto ai fuori di testa, presenti statisticamente nel genere umano, troviamo una categoria che secondo il professor Umberto Galimberti esprime un qualche disturbo della personalità: “I desiderosi di appartenere a un grande club dell’opposizione”. Sono i bastian contrari che abbiamo incontrato negli anni universitari quando sostenevano di aver affrontato, e con la lode, tutti gli esami del corso ma non la tesi di laurea, coronamento rituale di tanta fatica. Quelli che al nostro sconcertato “come mai” rispondevano con orgoglio, ma senza mostrare il libretto, che il loro voleva essere un gesto dimostrativo contro un non meglio precisato “sistema”. Li abbiamo ritrovati, quando la sinistra andava ancora di moda, che si dichiaravano orgogliosamente “comunisti” nelle cene a bordo piscina, disposti a scendere in piazza per contestare il famigerato “sistema”. In questi giorni siamo convinti di averli riconosciuti nelle manifestazioni no-vax e no-pass, mentre un po’ ingrigiti ma sempre battaglieri inveiscono contro il “sistema” di Big Pharma, a loro dire foraggiato dai governi per inocularci chissà cosa. Spesso sono persone animate dalle migliori intenzioni, convinte di essere più forti del virus, che si sentono finalmente protagoniste di una guerra degna di essere combattuta. Da implacabili oppositori del “sistema”. Dei più sfortunati leggiamo di frequente le storie strazianti, tra sofferenze, tardivi rimorsi e famiglie distrutte. Andy Warhol disse che ognuno avrebbe avuto il suo quarto d’ora di celebrità. Forse non pensava anche a costo della vita.

 

Quattro desideri, troppi genitali e il santo Mikula: catastrofe annunciata

Dalle novelle apocrife di Ivan Krylov. C’era una volta un contadino di Novgorod che invocava di continuo il Santo Mikula, specialmente quando l’avida moglie gli dava il tormento. Si chiamava Eustachio, e una mattina che si recava al campo, avendo elevato come al solito una preghiera al Santo, d’un tratto Mikula gli apparve davanti e gli disse: “Il mio nome è sempre sulle tue labbra. Sei molto devoto. Quindi ti dico: lascia l’aratro, e torna a casa da tua moglie. Là esprimerai quattro desideri, e qualunque cosa nominerai sarà tua. Ma fai molta attenzione, perché sarà tua per sempre!”. Il contadino si prostrò in ginocchio; quando rialzò gli occhi, Mikula era sparito. Lasciato l’aratro, Eustachio corse dunque a casa, tutto contento. “Già qua?” lo apostrofò la moglie. “Perché non sei al campo? Hai paura che guadagnando troppo pagherai più tasse? Che senso ha avere un campo e non ricavarne un profitto?”. Eustachio, che faticava a riprendere fiato, dopo un bicchiere di acquavite replicò: “Non indovinerai mai cosa mi è successo, moglie mia! Ho appena incontrato il Santo Mikula. Mi ha promesso che esaudirà quattro desideri. Devo riflettere, ma sto pensando a terreni, ville, oro e argento!”. “Santo cielo! Davvero?” esclamò la moglie, asciugandosi le mani sul davanzale. “Oh, tesoro! Regalami uno di questi desideri. Sarà una ricompensa per tutti i sacrifici che mi hai fatto fare in questi anni di matrimonio”. “Ma figuriamoci!” disse lui. “Come se non ti conoscessi. Hai sempre delle idee strane. Magari chiedi delle stoffe. Delle stoffe al Santo Mikula! O magari mi trasformi in uno di quei gatti che ti piacciono tanto. No, no: troppo rischioso regalarti uno dei mie quattro desideri”. “Marito mio, ti prometto a mani giunte che resterai sempre un contadino quale sei, perché ti amo più di qualunque gatto”. “E va bene” disse lui. “Ma, per l’amor del cielo, cerca di desiderare qualcosa di prezioso!”. “Allora il mio desiderio è questo” disse solennemente lei. “Chiedo che tutto il tuo corpo sia fornito di cazzi. Sulla testa, sulla fronte, sulle braccia, sulle mani, sull’addome, sulla schiena, sui fianchi, sul sedere, sulle gambe e sui piedi. E che ogni cazzo sia bello duro!”. Di colpo, mentre Eustachio sbarrava gli occhi incredulo, cominciarono a comparirgli cazzi ovunque: lunghi, corti, grossi, sottili, smussati, appuntiti, a cetriolo, a salsiccia, a falce, a melanzana. Alla fine si rimirava con tristezza: “Cosa ti è saltato in mente?”. “Quello moscio che avevi non mi bastava. Adesso sono un’ereditiera di cazzi!”. “Sì? Adesso è il mio turno. E desidero che tu abbia tante vagine quanti sono i miei cazzi!”. Di colpo, sulla moglie cominciarono a comparire vagine: sulla fronte, sulle braccia, sulle mani, intorno ai seni, sull’addome, sui fianchi, sulle ginocchia, sulla schiena, sul sedere, sulle gambe, sui piedi. Larghe e strette. Con pelo riccio, liscio e senza. Vergini e no. “Santo cielo! Perché mi hai fatto questo?” esclamò inorridita la moglie. “Be’” replicò lui “con tutti questi cazzi che mi ritrovo, una sola figa non mi sembrava abbastanza”. “Sciocco! Adesso ci restano solo due desideri. Presto, usane uno per toglierci di dosso tutti questi cazzi e queste vagine, e col desiderio rimasto trasformarci in gente ricca!”. Eustachio desiderò come voleva la moglie, ma dimenticò un particolare: e così le vagine della moglie sparirono tutte. E lui si ritrovò senza alcun cazzo. “Santo cielo!” esclamò lei. “Hai fatto un altro guaio! Presto, prega Mikula che ci riporti a come eravamo, un cazzo a te e una vagina a me”. Ma di certo ci fu un malinteso, poiché a lui toccò la vagina, e a lei il cazzo. La vera nobiltà si dimostra nell’accogliere il rovesciamento del destino.

 

Pm a caccia di Silvio, Conte peone nel Pd

 

“Vivo o morto”, il partito dei Pm ordina: condannate Berlusconi. Non lo vogliono mollare. L’ordine del partito dei Pm è quello: prendetelo, vivo o morto. Dead or alive, si diceva nel vecchio West. Qui da noi è uguale. Nei prossimi giorni Silvio Berlusconi compirà 85 anni. Da una trentina d’anni è tra i tre o quattro leader più prestigiosi di cui l’Italia disponga. È conosciuto nel mondo come statista. Ha una carriera da imprenditore lunga quasi sessanta anni. I primi trenta tranquilli. In quel periodo ha accumulato una quantità inaudita di ricchezze e neppure un avviso di garanzia. I secondi trenta, cioè da quando è entrato in politica, sono stati molto turbolenti. È stato circondato da un numero incredibile di Pm, con ogni probabilità coordinati, i quali hanno cercato in tutti i modi di metterlo in prigione, di eliminarlo dalla lotta politica.

Piero Sansonetti (Il Riformista)

 

“Se avesse accettato di fare il peone nel Pd, invece di voler essere il leader improbabile del M5S, Giuseppi avrebbe avuto più successo” – Alla Festa dell’Unità di Bologna Conte, sempre più isolato nel Movimento 5 Stelle, trova una sponda nella base dem –. L’avvocato con la pochette nega diverbi con Di Maio, che punta a sfilargli la leadership pentastellata. Come Dago-rivelato, Giuseppi è rassegnato alla disfatta del Movimento 5 Stelle alle Amministrative e punta a vincere come ruota di scorta del Pd a Bologna, Napoli e Roma con Gualtieri al secondo turno…

Dagospia

“Meglio Bianchi”. A Varese la Lega sceglie lo slogan col doppio senso

“Meglio Bianchi”. Due parole che giocano sull’ambiguità del nome del candidato sindaco leghista a Varese, il deputato Matteo Bianchi, ma anche uno slogan che somiglia a una goliardata dal sapore razzista. Meglio bianchi, appunto, con la minuscola questa volta.

Il motto compare sui manifesti elettorali dell’aspirante sindaco del Carroccio e a dare l’interpretazione più maliziosa è proprio un esponente della Lega, che dunque non nasconde l’ammiccamento dovuto al doppio senso. Giacomo Cosentino, consigliere regionale lombardo del partito di Matteo Salvini, ha infatti pubblicato il manifesto sui propri profili social, concedendo una contestata didascalia: “In effetti, soprattutto in Piazza della Repubblica, non se ne vedono più”. Il riferimento, fin troppo chiaro, è alla presenza di migranti in una delle zone di Varese. Il gioco di parole sembra divertire parecchio i leghisti, tanto che Cosentino ha rivendicato la gag anche nei commenti al proprio post: “Ovviamente ho giocato ironicamente sul doppio senso della parola ‘bianchi’”. E a poco serve che, a ben guardare, lo slogan sia annacquato dalla dicitura “Per Varese” che precede il “Meglio Bianchi”. La prima parte del motto è infatti scritta molto più in piccolo e con i caratteri minuscoli, a differenza del resto della frase, sparata in blu maiuscolo su sfondo giallo.

Cosentino però non ha affatto gradito che in molti abbiano criticato il manifesto e la sua ironia. Tanto che, rilanciando un articolo di Repubblica che citava l’episodio, il consigliere regionale si è sfogato: “C’è una categoria di persone che davvero mi fa pena: sono i repressi, i tristi, i rosiconi e gli schiavi del politicamente corretto. Gente rancorosa col mondo diverso dal loro, gente che ti dice che sei razzista, ma sotto casa propria non vuole gli zingari. È questa la stessa gente che usa la prima pagina (in realtà il pezzo pubblicato è uscito online, ndr) di un ‘fantastico’ quotidiano nazionale per provare a mettere in difficoltà Matteo Luigi Bianchi. Ma ci fanno solo un grande favore”.