“Dire che la destra e la sinistra non esistono è come dire che non esistono il Nord e il Sud: o si è disorientati o si cerca di disorientare”
(da Indipendenza di Javier Cercas, Guanda, 2021 – pag. 151)
Con la sortita di Goffredo Bettini – “guru” del Pd – alla Festa del Fatto Quotidiano, a favore dell’elezione di Draghi al Quirinale e di un’alleanza strategica con il M5S di Conte per formare una coalizione di centrosinistra, si riapre una prospettiva di bipolarismo e di alternanza: i due assi portanti di una democrazia parlamentare. Era stato proprio l’avvento o l’irruzione dei Cinquestelle sulla scena a introdurre un terzo polo nella vita politica italiana. Ma ora, di fronte al work in progress unitario all’interno del centrodestra, torna a profilarsi una contrapposizione fisiologica fra due poli che si contendono la conquista della maggioranza e del governo.
Trent’anni fa fu il referendum popolare promosso da Mario Segni per una riforma elettorale di stampo maggioritario a smuovere la palude dell’immobilismo che caratterizzava la cosiddetta Prima Repubblica. Non a caso quell’iniziativa fu sostenuta sul piano mediatico da giornali diversi come Repubblica di Eugenio Scalfari e il Giornale di Indro Montanelli, oltre al sottoscritto sul settimanale L’Espresso che organizzò anche i banchetti con il notaio a Roma e a Milano per raccogliere le firme sotto la richiesta della consultazione popolare.
La stagione referendaria, con le sue luci e le sue ombre, aprì – appunto – la strada del bipolarismo e dell’alternanza al governo del Paese. Quella, come la Storia s’è incaricata poi di dimostrare, non era e non è la soluzione automatica di tutti i mali. Ma senza bipolarismo e senza alternanza si rischia di cadere dalla padella alla brace. Cioè di subire mali peggiori: il trasformismo parlamentare, il clientelismo, la corruzione, la commistione fra maggioranza e opposizione, i governi dei tecnici o di taglia XL.
Per troppo tempo abbiamo sentito ripetere il ritornello che destra e sinistra non esistono più, che “non siamo né di destra né di sinistra” o perfino che si può essere contemporaneamente una volta di destra e una volta di sinistra. La verità rimane scolpita in quel memorabile saggio di Norberto Bobbio, intitolato proprio Destra e sinistra e pubblicato da Donzelli nel 2004, in cui il filosofo torinese spiegava in termini semplici e chiari qual è la differenza, documentata peraltro dalla successiva evoluzione o involuzione della società. Scriveva in sintesi Bobbio che la sinistra tende a ridurre il più possibile le disuguaglianze sociali, mentre la destra spesso porta ad aumentarle, com’è avvenuto e continua ad avvenire ormai da alcuni anni a questa parte.
Calata nell’attuale contingenza della politica italiana, questa riflessione induce a concludere che, dopo la parentesi del governo Draghi e della sua maggioranza extra-large, sarà opportuno ripristinare le regole della normalità democratica. E ciò indipendentemente dal fatto che “Mister Bce” vada al Quirinale, come molti auspicano, oppure che resti a Palazzo Chigi per completare l’attuazione del Recovery Fund, con i finanziamenti europei che Conte s’era già procurato.
Si può essere liberamente di destra o di sinistra. Ma sia gli elettori di una parte sia quelli dell’altra farebbero bene ad augurarsi un “ritorno al futuro” del bipolarismo e dell’alternanza. Un governo democratico si legittima attraverso un responso elettorale, un’investitura popolare, una maggioranza parlamentare il più omogenea e coesa possibile. E sarebbe opportuno, perciò, tornare alle urne alla scadenza naturale della legislatura, nel 2023, dopo l’elezione del nuovo presidente della Repubblica.