La prima volta lo hanno candidato mentre era tra gli indagati del più importante processo per disastro ambientale in corso in Italia. E gli è andata piuttosto bene: nel 2016 Salvatore De Felice, ingegnere e dirigente Ilva, è stato il più votato della lista che ha portato il centrosinistra a vincere le elezioni di San Giorgio Ionico, paese di 23mila abitanti alle porte di Taranto. Forte di quel successo, il Pd lo ha ricandidato anche alle Amministrative che si terranno il prossimo ottobre, ancora come capolista, incurante del fatto che nel frattempo De Felice – ex capo dell’area Altiforni e per un breve periodo direttore dell’impianto durante la gestione dei Riva – è stato condannato in primo grado a 17 anni di carcere nel processo “Ambiente svenduto”. Non è l’unica grana giudiziaria in corso per il politico democratico: è tra i 9 imputati per la morte di Lorenzo Zaratta, bimbo morto nel 2014 a 5 anni di un tumore al cervello che, secondo la Procura di Taranto, è stato provocato dalle emissioni dell’acciaieria.
De Felice da queste parti è considerato una specie di asso pigliatutto per i Dem. Del partito è stato segretario locale. E dopo l’ultima tornata elettorale e il pieno di preferenze ha ricoperto il ruolo di consigliere comunale, dividendosi fra l’attività politica e le udienze del processo, che si è concluso il 31 maggio scorso con la condanna di 27 imputati a 280 anni di carcere. La vicenda penale è quella che riguarda l’avvelenamento della città di Taranto fra il 1995 e il 2012. La sentenza non ha punito solamente l’inquinamento ambientale, ma anche la costituzione di un’associazione a delinquere in grado di far approvare leggi ad hoc, di ostacolare interventi per la riduzione delle emissioni e norme favorevoli alla sicurezza degli operai. Una rete di potere che ha avuto importanti sponde nella politica, nelle istituzioni, nei media e nel mondo sindacale. Questo gruppo di potere, secondo i giudici, ha promosso la costante massimizzazione del profitto a scapito dell’ambiente e della salute dei cittadini.
Le condanne più pesanti della Corte d’assise sono state per Fabio e Nicola Riva (22 e 20 anni di carcere), figli del defunto Emilio, capostipite della dinastia industriale; per l’ex capo delle relazioni esterne Girolamo Archinà (21 anni e 6 mesi); e per l’ex direttore dello stabilimento Luigi Capogrosso (21 anni). Tra i condannati, 3 anni e 6 mesi per favoreggiamento, c’è anche l’ex governatore della Puglia, Nichi Vendola.
Le accuse formulate dalla Procura nei confronti di De Felice erano di disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari e omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Per la magistratura tarantina, che sequestrò la fabbrica, i vertici dell’Ilva, e quindi anche De Felice, avrebbero operato “con continuità e piena consapevolezza una massiva attività di sversamento nell’ambiente di sostanze nocive per la salute umana, animale e vegetale, diffondendo tali sostanze nelle aree interne allo stabilimento, nonché rurali e urbane circostanti; in particolare idrocarburi policiclici aromatici, benzopirene, diossine, metalli e altre polveri nocive, determinando gravissimo pericolo per la salute pubblica e cagionando malattia e morte fra i residenti dei quartieri vicini al siderurgico”.