La nascita della nuova Alitalia (“Ita”) dalle ceneri della vecchia compagnia sta avvenendo nella migliore tradizione italiana: un complesso kamasutra normativo con l’Ue e migliaia di esuberi. Il governo e la Commissione Ue – la direzione Antitrust guidata da Margrethe Vestager – si sono infilati in un groviglio che si può sciogliere solo se tutte le decisioni vengono prese in simultanea. Il quadro è questo. Bruxelles è pronta a sanzionare l’Italia obbligandola a riprendersi il prestito ponte da 900 milioni assegnato nel 2017 ad Alitalia dall’esecutivo Gentiloni (ministro Carlo Calenda). La decisione arriva a babbo morto – la vecchia Alitalia, in amministrazione straordinaria, quei soldi non li restituirà perché non li ha – ma un problema lo crea ai commissari che devono cedere parte degli asset (52 aerei su oltre 100) a Ita, il cui decollo è previsto per il 15 ottobre. Una volta formalizzata la bocciatura Ue, infatti, ci si troverebbe in una situazione di dissesto conclamato e i commissari avrebbero problemi a effettuare il passaggio.
Il governo se ne è reso conto e studia una curiosa deroga ad hoc. Per questo da Roma è partita la richiesta irrituale agli uffici di Bruxelles di aspettare ancora un po’. E così ieri una portavoce di Bruxelles si è affrettata a chiarire che “nessuna decisione è stata presa”, nonostante i rumors circolati mercoledì sera. La norma transitoria arriverà a breve, ma non tramite un decreto ad hoc: finirà nel decreto Infrastrutture approvato dal Consiglio dei ministri il 2 settembre scorso, cioè otto giorni fa, e mai pubblicato in Gazzetta ufficiale. Approvare testi in bianco che poi vengono riscritti per giorni non è una novità, ma una prassi imbarazzante. Per salvare la faccia, ieri il governo ha fatto un passaggio nel Consiglio dei ministri convocato per il dl sul Green pass. Una volta risolta l’impasse, le decisioni arriveranno tutte insieme. Vestager si è impegnata a confermare contestualmente il via libera definitivo a Ita, che nasce a controllo del Tesoro e con un capitale di 1,35 miliardi (sui tre stanziati).
La norma transitoria va ad arricchire il già vasto compendio di deroghe ad hoc che hanno permesso l’ultima tappa della disastrata storia di Alitalia. A giugno il governo aveva già deciso di obbligare i commissari, che restano pur sempre garanti dei creditori, a cedere parte degli asset a Ita e il marchio solo a una compagnia già esistente (sperando sia il nuovo vettore a prenderselo); poi nelle bozze del dl Infrastrutture è comparsa una deroga alla normativa italiana che impone a chi rileva un ramo d’azienda da un’amministrazione straordinaria di accollarsi i relativi dipendenti. Questo permetterà a Ita di partire con soli 2.800 dipendenti sui quasi 11 mila della vecchia Alitalia. Per i restanti 8 mila non resta che la cassa integrazione: quella attuale scade a fine settembre (i sindacati hanno chiesto di rinnovarla fino al 2025). Ita ha deciso di procedere con le assunzioni evitando di pescare direttamente dall’ex compagnia di bandiera. ma avviando un reclutamento online nascondendosi dietro un diktat Ue, ma al Fatto risulta che questa non fosse tra le richieste della Vestager (che però, contattata sul caso, non ha ancora fornito una risposta).
Ciliegina sulla torta, mercoledì il presidente di Ita, Alfredo Altavilla, ha rotto la trattativa con i sindacati e deciso di procedere alle assunzioni fuori dal contratto nazionale, con stipendi tagliati fino al 30%. Risultato: oggi si manifesta a Montecitorio. “Non si possono usare soldi pubblici per licenziare”, dice il leader della Cgil, Maurizio Landini. Vale la pena infine di notare che Ita parte dimezzata rispetto ad Alitalia, specie nei voli a lungo raggio, i più redditizi. È già successo nelle crisi precedenti della società e non è andata bene.