Il kamasutra con Bruxelles per far nascere Ita (morta)

La nascita della nuova Alitalia (“Ita”) dalle ceneri della vecchia compagnia sta avvenendo nella migliore tradizione italiana: un complesso kamasutra normativo con l’Ue e migliaia di esuberi. Il governo e la Commissione Ue – la direzione Antitrust guidata da Margrethe Vestager – si sono infilati in un groviglio che si può sciogliere solo se tutte le decisioni vengono prese in simultanea. Il quadro è questo. Bruxelles è pronta a sanzionare l’Italia obbligandola a riprendersi il prestito ponte da 900 milioni assegnato nel 2017 ad Alitalia dall’esecutivo Gentiloni (ministro Carlo Calenda). La decisione arriva a babbo morto – la vecchia Alitalia, in amministrazione straordinaria, quei soldi non li restituirà perché non li ha – ma un problema lo crea ai commissari che devono cedere parte degli asset (52 aerei su oltre 100) a Ita, il cui decollo è previsto per il 15 ottobre. Una volta formalizzata la bocciatura Ue, infatti, ci si troverebbe in una situazione di dissesto conclamato e i commissari avrebbero problemi a effettuare il passaggio.

Il governo se ne è reso conto e studia una curiosa deroga ad hoc. Per questo da Roma è partita la richiesta irrituale agli uffici di Bruxelles di aspettare ancora un po’. E così ieri una portavoce di Bruxelles si è affrettata a chiarire che “nessuna decisione è stata presa”, nonostante i rumors circolati mercoledì sera. La norma transitoria arriverà a breve, ma non tramite un decreto ad hoc: finirà nel decreto Infrastrutture approvato dal Consiglio dei ministri il 2 settembre scorso, cioè otto giorni fa, e mai pubblicato in Gazzetta ufficiale. Approvare testi in bianco che poi vengono riscritti per giorni non è una novità, ma una prassi imbarazzante. Per salvare la faccia, ieri il governo ha fatto un passaggio nel Consiglio dei ministri convocato per il dl sul Green pass. Una volta risolta l’impasse, le decisioni arriveranno tutte insieme. Vestager si è impegnata a confermare contestualmente il via libera definitivo a Ita, che nasce a controllo del Tesoro e con un capitale di 1,35 miliardi (sui tre stanziati).

La norma transitoria va ad arricchire il già vasto compendio di deroghe ad hoc che hanno permesso l’ultima tappa della disastrata storia di Alitalia. A giugno il governo aveva già deciso di obbligare i commissari, che restano pur sempre garanti dei creditori, a cedere parte degli asset a Ita e il marchio solo a una compagnia già esistente (sperando sia il nuovo vettore a prenderselo); poi nelle bozze del dl Infrastrutture è comparsa una deroga alla normativa italiana che impone a chi rileva un ramo d’azienda da un’amministrazione straordinaria di accollarsi i relativi dipendenti. Questo permetterà a Ita di partire con soli 2.800 dipendenti sui quasi 11 mila della vecchia Alitalia. Per i restanti 8 mila non resta che la cassa integrazione: quella attuale scade a fine settembre (i sindacati hanno chiesto di rinnovarla fino al 2025). Ita ha deciso di procedere con le assunzioni evitando di pescare direttamente dall’ex compagnia di bandiera. ma avviando un reclutamento online nascondendosi dietro un diktat Ue, ma al Fatto risulta che questa non fosse tra le richieste della Vestager (che però, contattata sul caso, non ha ancora fornito una risposta).

Ciliegina sulla torta, mercoledì il presidente di Ita, Alfredo Altavilla, ha rotto la trattativa con i sindacati e deciso di procedere alle assunzioni fuori dal contratto nazionale, con stipendi tagliati fino al 30%. Risultato: oggi si manifesta a Montecitorio. “Non si possono usare soldi pubblici per licenziare”, dice il leader della Cgil, Maurizio Landini. Vale la pena infine di notare che Ita parte dimezzata rispetto ad Alitalia, specie nei voli a lungo raggio, i più redditizi. È già successo nelle crisi precedenti della società e non è andata bene.

“Essere ottimisti è da criminali. Io preferisco la sana speranza”

Padre Antonio Spadaro, gesuita e intellettuale, vive e opera su una collinetta che guarda a ovest Trinità dei Monti. Mi riceve un sabato mattina di settembre e mi conduce per via di una architettura escheriana all’apice di una scala attorno al cui ballatoio sono le stanze de La Civiltà Cattolica, la rivista che dirige, e, in un corridoio rivolto a nord, il suo studio. Gli chiedo se è giusta la percezione comune che i preti vivano fuori dal mondo. “No”. Gli chiedo se fa la fila alla Asl, se va al supermercato. “Le cose che riguardano la rivista le cura l’amministrazione; da mangiare lo preparano le persone che se ne occupano. Non è la mia quotidianità ordinaria, ma se serve lo faccio”. È interessante il tema della discontinuità della vita di un prete rispetto al quotidiano comune. “L’inattualità per me non è un luogo di riposo mentale. Penso che la Storia concreta lo sia. Anche con la rivista tendo ad avere la tentazione del quotidiano, mi devo ricordare che Civiltà Cattolica è un quindicinale. La mia attenzione è accesa da quello che accade. Il momento presente diventa una finestra, illuminata da dietro, come l’ambra, da uno sfondo etico: vedo la battaglia tra il Bene e il Male, tra Dio e la sua assenza. L’inattuale è il grande scenario su cui si staglia il presente, ma ciò che attira la mia attenzione è quello che accade ora. E le singole persone”. Gli domando quanto contano i ruoli nel giudizio sulle persone: “Posso stare davanti a una persona estremamente influente e annoiarmi. O stare con un influente e ascoltarlo per il suo carattere e la sua capacità”.

È la lezione di Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti, profondamente fatta propria da Papa Francesco, che nel libro di conversazioni Adesso fate le vostre domande (Rizzoli) confida a Spadaro: “Ho faccia tosta, ma sono anche timido”: “Ecco, il Papa: mi colpisce profondamente la sua genialità umana, quasi al di là del fatto che sia Papa. Sento che è un uomo di Dio: può essere Papa, prete o laico, non cambia molto. Incidentalmente è Papa, il che rende la situazione molto interessante”.

Spadaro lo accompagnerà nel viaggio in Ungheria e Slovacchia. Nel 2018 il primo ministro ungherese Orbán pronunciò il discorso che lo incoronò leader di una democrazia cristiana nazionalista e illiberale. Esistono due cristianità diverse, con valori opposti? “Esiste un solo Vangelo. ‘Ama il prossimo tuo come te stesso’ è il messaggio al suo cuore. Una cosa è la valorizzazione della storia di un popolo, del suo cammino nella Storia, altro la rigidità per cui l’orizzonte è esclusivamente interno a un popolo. Il messaggio del Vangelo è ‘a tutte le genti’, radicalmente universale. Usare Dio per illudere, per il potere, porta alla blasfemia”.

Nell’episodio del Grande Inquisitore de I fratelli Karamazov l’Inquisitore dice a Gesù, ricomparso sulla Terra: “Perché sei venuto a infastidirci?”. La Chiesa ha regnato con la spada ascoltando “lo Spirito intelligente”, Satana, e rinnegando Gesù. “Quella è la dinamica ordinaria, la grande tentazione, la grande tragedia: espellere Gesù dalla vita religiosa. Ma la vita religiosa si incarna in persone umane, coi loro limiti. Non è una vita angelicata. Ci sono sempre stati tensione e conflitto, fin dagli Atti degli Apostoli”.

Si dice che i gesuiti siano litigiosi, intriganti, interessati al potere. “Ognuno di noi gesuiti è molto sé stesso, le originalità personali sono molto esaltate. Ho visto conflitti legati alla gestione del potere, o di poteri meschini. Io ho imparato a non schivare il conflitto. Una delle osservazioni che mi fece il mio maestro era ‘perché non ti arrabbi mai?’ Perché temevo di non essere amato abbastanza. Figlio unico, pensavo che entrando in conflitto con una persona rischiavo di perderla. Non era giusto. Devo voler bene ed essere voluto bene per quello che sono. L’altro ha diritto di ricevere la verità da te”.

Spadaro non ignora il negativo. Tutta la sua persona esprime una compresenza di apertura (nel volto sorridente, nei modi amichevoli) e di ironia inquieta, non addomesticata. Il suo passo preferito delle Scritture è Ezechiele 16, dove Dio promette punizione a Gerusalemme “sposa infedele” e “spudorata sgualdrina”: “È anche uno dei preferiti del Papa. A volte il rapporto con Dio viene inteso in senso angelicato, come fosse di puro Spirito, asettico. Il mondo della preghiera è un mondo svirilizzato. Invece lì c’è un rapporto materiale e passionale, un corpo a corpo”.

I suoi commenti al Vangelo della domenica sul Fatto hanno un respiro cinematografico: un movimento di macchina ci precipita nel contesto della Galilea di quei giorni e uno zoom ad alta definizione rivela, con metodo insieme affettivo e tecnologico, dettagli misteriosi, gesti minimi, singole parole che illuminano il senso universale del messaggio di Cristo. È un metodo simile a quello che adotta per pregare: “È il modo della contemplazione, lo consiglia Sant’Ignazio: si legge un brano del Vangelo o della Bibbia e si immagina di essere presenti come testimoni o personaggi. Nella scena di Gesù che nasce, mi incarno in uno dei servi o in un pastore, interagisco con Giuseppe, con Maria”. Dunque la fede è legata a una pulsione tele-scopica e veridittiva: credere di vedere e dunque credere? “C’è anche la preghiera della formula, recitare il Padre Nostro o l’Ave Maria in silenzio, o passeggiando in giardino. O guardando la realtà e vedendola legata al Creatore”. Ma come vedere Dio nella realtà quand’essa è avvilente? “La preghiera è la consapevolezza di un legame. È rispondere positivamente a un’attrazione”. Nessuno dice “pregate perché funziona”: forse perché non funziona? “L’efficienza non fa parte del cristianesimo. Il Salvatore ha salvato il mondo morendo in croce”.

Chiedo se quando gli muore una persona cara si produce in lui uno smottamento della fede. “No. È una fase filosofica successiva al dolore. Ricordo la morte di mio padre: ho sentito lo scolorarsi di cose che prima mi sembravano importanti. Come se l’ombra della morte si proiettasse sulla mia vita spegnendo le cose futili che non davano senso alla mia vita. Dei miei genitori avverto la mancanza, ma non l’assenza, cioè sento la presenza”. Cioè i morti sono senzienti altrove? “Sì”. Chiedo se ha prove di questo. “Prove materiali, no. Ma ci sono eventi, segnali. Nulla di esoterico. A volte ricevo segni durante gli esercizi spirituali, a volte trovo oggetti”.

Sul tavolo ha Odissea di Nikos Kazantzakis: “Un autore che mi interessa molto. C’è bisogno di chiavi interpretative alte, che solo la poesia può dare. Omero e Virgilio sono attuali, esprimono valori che rispondono al bisogno di fare di questo mondo un mondo migliore”.

Ignazio dice che dobbiamo “renderci indifferenti nei confronti di tutte le cose create”. Marco Aurelio aveva detto che bisogna essere “indifferenti solo alle cose indifferenti”. Un buddista direbbe che niente deve esserci indifferente, perché tutto è interdipendente. “Ignazio scrive in un’epoca storica, alla fine dell’Umanesimo-inizio Rinascimento, in cui si scopre la centralità dell’uomo, un valore che ci portiamo dietro. Vediamo tutto riferito a noi. Ma Ignazio intendeva: dobbiamo renderci conto della realtà in cui siamo immersi, tutto è frutto della Creazione e noi vi abbiamo accesso, siamo chiamati a goderne. La coscienza dell’uomo è attraversata da grandi movimenti anche cosmici, come intendeva Pierre Teilhard de Chardin. L’indifferenza ignaziana significa rendersi conto come davanti a Dio non sappiamo la strada migliore. È il presupposto della libertà: non è astrazione della sensibilità, è fare un passo indietro, di rispetto, ed essere aperti alla scelta. Altrimenti siamo travolti dalle passioni”.

Chiedo se c’è una componente estetica nella vita sacerdotale: vestiario e liturgia parlano di una ricerca di cosmesi, di messa in ordine della vita. “Certamente c’è. Nel cattolicesimo la liturgia dà ritmi, tempi. Ci sono colori, odori, il profumo, l’incenso. La ritualità è un aggancio profondo a questo mondo. Rivela una materialità elevata allo Spirito. Non puoi saltare la materia, devi esservi pienamente immerso per esprimere il tuo rapporto col sacro. Questo dà una prospettiva, un modo di vedere la realtà che sottolinea l’armonia e le dissonanze”.

Spadaro dice di trovare Dio “nelle persone e negli incontri”. Le persone spesso sono terribili, dico; gli incontri ci destabilizzano. “Scelgo di fidarmi. A me non interessa l’ordine, mi interessa Dio. Che è ordine e disordine. Ci sono persone profondamente ordinate in un ordine intangibile, rigido; Dio interviene con eventi che lo sconvolgono. C’è un racconto di Flannery O’ Connor che mi piace da morire (Brava gente di campagna, ndr): una giovane professoressa di filosofia ha una gamba di legno, simbolo della sua personalità molto rigida. Arriva da lei un venditore di Bibbie che la seduce, pur non amandola. La porta su un prato, e nel momento in cui diremmo che queste due persone si incontrano nell’incontro amoroso, lui le ruba la gamba di legno. Questa atrocità è segno della Grazia. Perché la donna ha avuto il suo mondo strutturato dalle sue stampelle distrutto da un sentimento autentico”.

Nel suo libro di saggi sulla letteratura e la poesia della frontiera, Nelle vene d’America (Jaca Book), Spadaro cita Emily Dickinson, che in una lettera scrisse: “L’amore salva sé stesso, perché noi, nei nostri momenti supremi, siamo solo i suoi emblemi tremanti”. Ma di cosa parlano i preti quando parlano d’amore? Non decidono, facendo voto di castità e celibato, di recidersi un’arteria di conoscenza? “Se si fraintende la castità come vivere senza passioni, non si è generativi; se non si ama nascono le perversioni, e la vocazione è un bluff. Ci sono tanti modi di prendersi cura degli altri”. La cura è la sua canzone preferita di Franco Battiato. “Battiato non si acchiappa. Era un siciliano, e dunque un filosofo. Della stirpe di Empedocle di Agrigento”.

Per i siciliani la Sicilia è ventre, prigione dorata, ospedale mentale. “Ho vissuto lì fino a 21 anni, a 22 sono entrato nel noviziato a Genova. Sono plasmato dalla Sicilia, dai suoi panorami: il mare e, al di là del mare, la terra. Il desiderio di vedere qualcosa ‘al di là’ l’ho ritrovato in alcuni luoghi del mondo, e ho sempre pensato al mio originario. Cercavo di scappare. Adesso avverto il desiderio di tornare a respirare quei panorami”.

Domando se c’è stato un momento preciso in cui ha sentito la vocazione. “Sì. Nel 1985. Ero a Montepulciano, a un corso di esercizi spirituali. Ho avuto la distinta sensazione che ero chiamato a quella vita, mi sono sentito profondamente me stesso e a casa”. Perché nei gesuiti? “Non lo so”.

È molto attivo sui social. Chiedo se avverte il rischio di narcisismo. “Potenzialmente lo stimolano. È una tentazione. Se posto una foto e entro 15 secondi non ricevo un like mi sento abbandonato dal mondo. Non io: controllo dopo, magari. Ma Internet è un dono di Dio. L’umanità ha sempre espresso un desiderio di unità. Internet consente la trascendenza. Certo, c’è il peccato originale. Devo vedere cosa è Internet nel progetto di Dio”.

A proposito di unità e divisione, chiedo se crede a Satana. “Io credo in Dio”. Ripeto la domanda. “Che ci sia il tentatore, certamente. Il divisore. Internet è un nuovo campo di battaglia tra il divino e il diabolico”.

Ha insegnato all’Istituto Massimo. “Lettere (è laureato in Filosofia, ndr), a studenti di Liceo Scientifico che mi hanno dato tantissimo. Sono stato inviato per obbedienza. Niente di quello che ho fatto l’ho scelto, neanche essere direttore di Civiltà Cattolica”. Chiedo se si è mai sentito a disagio nel lavoro. “Sì. Quando vedo il muro davanti cerco di aggirarlo, altrimenti prendo il piccone e comincio a picconare. Cede il mondo, si aprono brecce, si modifica la realtà”. Gli presento il caso di quelli che consegnano pizze, dei respinti, degli sconfitti che non possono uscire dalla loro vita. “Magari ci provano”. Dunque è ottimista? “Faccio fatica a dire di sì. Diciamo che mi piace sperare”. Adorno diceva “essere ottimisti è da criminali”. “Ecco, forse aveva ragione Adorno”.

Sileri, Antitrust: “Nessun conflitto d’interessi”. Operò in clinica senza oneri per la Regione

L’Autorità garante per la concorrenza e il mercato che vigila sui potenziali conflitti di interessi, non ha dubbi: va esclusa “qualunque rilevanza” della vicenda delle presunte prestazioni sanitarie a carico del Servizio sanitario da parte di Pierpaolo Sileri. Come si legge in un report inviato ad agosto al Parlamento, per l’Autorità presieduta da Roberto Rustichelli, a dispetto della segnalazione fatta a maggio da Codacons, il sottosegretario alla Salute non ha violato la disciplina di incompatibilità e meno che mai è incorso in un caso di conflitto di interessi. Insomma Sileri non ha infranto alcuna legge da quando è membro del governo. Ma, a quanto pare, neppure prima: una volta eletto al Senato si è messo in aspettativa senza assegni dall’Università Tor Vergata di cui all’epoca era già dipendente in regime di non esclusività.

“Sileri è un collega preparatissimo e onestissimo”, dice Giuseppe Petrella, ex direttore della Scuola di specializzazione di chirurgia generale dell’ateneo romano. Proprio una convenzione tra la Scuola e una clinica privata è all’origine delle polemiche che hanno investito il sottosegretario, accusato di aver operato anche a pagamento alla Nuova Villa Claudia di Roma nonostante l’aspettativa per mandato parlamentare. “Sono stato io a mandarlo lì affidandogli l’attività di tutoraggio di studenti e dottorandi”, spiega ancora Petrella che definisce le polemiche su Sileri “irreali, anzi kafkiane”. Perché nel rispondere all’istruttoria condotta dalla Regione Lazio per capire se ci siano state irregolarità o un danno alle casse della amministrazione, Tor Vergata ha risposto che è tutto ok, altro che sanzionare in via disciplinare Sileri autorizzato a continuare ad operare pur essendo divenuto senatore “allo scopo di evitare la perdita della professionalità acquisita”. Ma Sileri poteva operare a pagamento? Ha esercitato nella struttura dal 20 marzo 2018 al 25 gennaio 2019 e non nel periodo pregresso, come ha evidenziato la stessa regione Lazio. E questo smentisce la circostanza che alla Nuova Villa Claudia fosse di casa da anni come era stato ventilato in un’interrogazione di Antonello Aurigemma di Fratelli d’Italia. Ma lo aveva fatto allorquando dal regime intramoenia aveva ormai optato per quello extramoenia, ossia quando non aveva più un rapporto di esclusiva con l’Università. Cosa che non placa le polemiche: ora sarà l’Ordine dei medici a dover decidere se l’attività svolta da Sileri sia stata esorbitante rispetto a quella autorizzata dall’Università. Intanto però la regione Lazio ha riconosciuto che ha operato alla Nuova Villa Claudia in maniera occasionale “con oneri a carico del singolo utente ma non a carico del Servizio sanitario regionale”.

“L’ex segretaria di Davigo calunniò il pm Greco”

È la lettera anonima ricevuta dal consigliere del Csm Nino Di Matteo, contro il procuratore di Milano Francesco Greco, insieme ai verbali secretati milanesi di Piero Amara il motivo per il quale è indagata a Roma per calunnia Marcella Contrafatto, ex segretaria di Piercamillo Davigo al Csm. Lo si legge nell’avviso di conclusioni indagini depositato due giorni fa dalla procura di Roma. “Inviando una missiva in forma anonima – si legge – del seguente tenore ‘Uno dei verbali dell’interrogatorio Amara’ … ‘ben tenuto nascosto dal procuratore Greco chissà perché (altri verbali c’è anche lui), unitamente alla copia word di un verbale di interrogatorio” di Amara, Contrafatto “incolpava, sapendolo innocente” il procuratore Greco “di un reato, di condotte omissive” durante le indagini nate dalle dichiarazioni dell’ex avvocato esterno dell’Eni su una presunta loggia massonica “Ungheria”. Di Matteo ha denunciato a Perugia. Mesi prima, tra fine ottobre e i primi di novembre 2020, ha denunciato, a Milano, il nostro collega Antonio Massari dopo che al Fatto sono arrivati due plichi con verbali di Amara corredati da lettere anonime. Ha denunciato, alla procura di Roma, pochi mesi dopo, anche la giornalista di Repubblica Liana Milella. Per le spedizioni ai giornalisti, però, evidentemente le indagini sono ancora in corso dato che non c’è alcun riferimento nell’avviso notificato. Contrafatto rischia anche il licenziamento disciplinare. L’8 settembre, quando l’avvocato Riccardo Bolognesi ha ottenuto un rinvio della decisione del Csm, ha rivelato che l’incolpazione disciplinare, secretata, “non riguarda l’invio a Massari. Evidentemente tra ottobre e novembre c’erano in giro altri fattorini”. Quei verbali ricevuti dai giornalisti e da Di Matteo sono gli stessi che il pm milanese Paolo Storari aveva consegnato all’ex consigliere Davigo. Entrambi sono indagati per rivelazione di segreto.

Carcere degli orrori, 120 indagati: “Tortura e omicidio colposo di un uomo schizofrenico”

Chiusa l’inchiesta sul carcere degli orrori di Santa Maria Capua Vetere. È la stessa Procura sammaritana a dare la notizia e i dati con un comunicato: sono 120 le persone indagate per le violenze avvenute il 6 aprile del 2020. A giugno furono eseguite 52 misure cautelari, e furono diffusi alcuni video del sistema di videosorveglianza. Si vedevano gli agenti della penitenziaria picchiare senza pietà alcuni detenuti il giorno dopo una rivolta. I reati contestati sono: tortura pluriaggravata ai danni di numerosi detenuti, maltrattamenti pluriaggravati, lesioni personali pluriaggravate, abuso di autorità, perquisizioni arbitrarie, falso in atto pubblico anche per induzione aggravato, calunnia, frode processuale, depistaggio, favoreggiamento personale, rivelazioni di segreti d’ufficio, omessa denuncia, e cooperazione nell’omicidio colposo di un detenuto algerino schizofrenico, Hakimi Lamine. È in corso un altro procedimento per individuare gli agenti provenienti da altri penitenziari, sconosciuti ai detenuti e coperti da casco e mascherina.

La “algocrazia” dei social: così si decide cosa va o non va online

Abdullah Öcalan è uno dei membri fondatori del partito dei lavoratori curdi, il PKK: il 25 gennaio 2021, un utente di Instagram, negli Stati Uniti, ne pubblica una foto con la frase “Siete tutti pronti per questa conversazione”. Nella didascalia, spiega che è il momento di parlare della fine dell’isolamento di Öcalan nella prigione sull’isola di Imrali, in Turchia e invita i lettori a partecipare a un dibattito sulla natura disumana dell’isolamento carcerario. Il 12 febbraio il post arriva all’occhio di un moderatore: secondo le regole della piattaforma, Öcalan rientra tra le persone e le organizzazioni considerate pericolose. Il post va dunque rimosso. Ricomparirà solo ad aprile.

Ciò che è accade in mezzo (e che potete trovare raccontato per intero nel numero di Millennium da oggi in edicola) fornisce un interessante affaccio sulla macchina della moderazione, quel misterioso procedimento che inizia con un contenuto rimosso o una pagina bloccata e che a volte non si sa come finisce. Basta scavare un po’ per accorgersi che i meccanismi che determinano cosa va online e cosa no sono più intricati di quanto si possa immaginare e che “l’algocrazia”, per citare il garante della Privacy italiano, fa la sua parte. I dati e le macchine sempre più assumono un ruolo attivo sulle decisioni e ad oggi, non si può dire se sia un male o un bene. Certo è complesso. Ormai le piattaforme e i loro enormi numeri di utenti sono come Stati virtuali con regole, tribunali, garanti e la necessità di tenere tutti al sicuro dentro e fuori. Un potere che gli diamo noi stessi quando decidiamo di iscriverci e che governi e istituzioni non sono finora riusciti a orientare, nonostante le richieste delle piattaforme stesse.

Il nostro viaggio inizia con l’Oversight Board, il comitato di controllo di 40 esperti da tutto il mondo (professori, esponenti di Ong, attivisti per i diritti civili) scelti la prima volta da co-presidenti nominati da Facebook e che da gennaio 2021 ha il compito di esprimersi sui contenziosi di Facebook e Instagram sulla moderazione dei contenuti. Su Öcalan non solo decide che il post va ripristinato ma scopre però anche che il social stesso da almeno tre anni si è dimenticato di applicare alle sue policy un’eccezione relativa alla libertà di discussione, ad esempio, sul tema delle condizioni di prigionia di quegli stessi soggetti che ritiene pericolosi. Una dimenticanza che potrebbe aver fatto rimuovere “per errore” molti altri post. Inoltre, il board rileva che molto spesso agli utenti non è ben chiaro cosa stia succedendo ai propri contenuti e suggerisce alla piattaforma di provare a essere più chiara. Non sempre, infatti, a Facebook riesce. Ancora meno alle altre piattafome.

Ne abbiamo parlato con Mark Smith, il Director Public Policy Strategic Response per Facebook e Instagram. Praticamente è il direttore globale per le norme sui contenuti, prima si occupava di affari internazionali e sicurezza nazionale. Sulle piattaforme, allo stesso modo, ha come obiettivo principe la protezione degli utenti e della comunità. Ne approfittiamo per farci raccontare cosa sia successo durante la tensione israelo-palestinese dei mesi scorsi, quando migliaia di contenuti sulle violenze sono spariti e gli utenti hanno iniziato ad accusare Facebook di essere filo-Israele. Ci spiega che è uno di quei casi in cui la moderazione dei contenuti è gestita con una sorta di unità di crisi, con un “Centro operativo speciale”, quasi fosse una guerra.

A fallare, in quel caso, sarebbe stata la tecnologia, con problemi che hanno portato a credere che stessero intenzionalmente sopprimendo i contenuti. Un bug tecnico del sistema “storie” di Instagram avrebbe cancellato di fatto i momenti salienti pubblicati e gli archivi di milioni di persone nel mondo e “coinvolgendo molti utenti palestinesi.(…) Non appena siamo venuti a conoscenza del problema, lo abbiamo risolto”. Dall’esterno, però, è passato il messaggio che si volesse essere vicini al governo israeliano. “Noi non rispondiamo alle richieste del governo – spiega Smith –. Le nostre policy valgono per tutti”(…) Scopriamo però anche che le regole però non sono statiche, i social le cambiano continuamente, adeguandole a quanto accade nel mondo e alla percezione sociale. I moderatori, in gran parte assunti da società terze, e le macchine, si limitano a obbedire, con tutti i loro molti limiti. Inevitabilmente, trovare un equilibrio tra sicurezza e libertà (di espressione, nello specifico) diventa molto difficile (…).

*Continua su Fq Millennium

“Io tra vanità e scienza. È vero, ho cannato, però ora vaccinatevi”

“Chi perde la grande opportunità di vaccinarsi è un coglione”. A Matteo Bassetti si possono rimproverare parecchie cose, in questo anno e mezzo di pandemia, dalle previsioni sbagliate sulla seconda ondata ai filmini del matrimonio dalla D’Urso, ma sull’importanza dei vaccini non è sceso a patti con nessuno, neppure con la sua rinomata vanità.

Anzi, l’aura da professore più amato dalla destra è andata persa, e lui sembra non preoccuparsene troppo.

Sbaglio o i suoi problemi con i no vax partono da prima del Covid?

Dal 2018. Dirigevo il reparto di malattie infettive a Udine, nel periodo della legge Lorenzin sull’obbligo vaccinale. Io promuovevo l’importanza dei vaccini, ero una sorta di Burioni friulano. Imbrattarono le vetrate del padiglione con scritte tipo “pelato di merda”.

Questa volta, per le minacce, le hanno dato la scorta. Era preparato a questa deriva no vax?

Quando sono stato vaccinato il 27 dicembre sa cosa ho detto? Non che volessi fare il veggente, eh.

Cosa che non le viene sempre bene, per giunta.

Sì, esatto. Ho detto “attenzione perché non sarà così facile far vaccinare tutti gli italiani”. Avevo ragione.

Perché i vaccini sono una cosa di sinistra?

Qualcuno dall’altra parte non ha capito l’importanza dei vaccini.

Non credo che la Meloni e Salvini non l’abbiano capito. I no vax votano, tutto qui.

Il gioco non vale la candela. Ideologicamente io sono da quella parte, ma questa guerra contro la scienza mi fa sentire orfano. E come me tante persone di centrodestra.

Cosa ha votato in passato?

Sono un liberale. Forza Italia, pure Renzi quando era nel Pd.

Quanti casi di reazioni avverse nel suo ospedale?

Pochissime. Poi sa, poco fa ero al telefono con una signora che soffre di fibrillazione atriale e insufficienza mitralica, dopo cinque giorni dal vaccino ha un problema elettrico al cuore. Mi dice “la seconda dose non la faccio”. Le dico: “Attenzione, con i suoi pregressi quel problema le poteva venire comunque”. Con 40 milioni di vaccinati è normale che possano esserci sovrapposizioni temporali tra eventi non collegati.

Il vaccino non è infallibile, comunque.

No, come tutti i farmaci. Se si ha paura degli effetti collaterali bisogna essere coerenti nella vita e non prenderne. A Udine un giorno mi venne uno con un’atrofia giallo acuta da iperdosaggio di tachipirina, è morto. MORTO. Quello che afferma “il vaccino è sperimentale”, poi magari si prende l’antibiotico scaduto dal cassetto del nonno o se gli si ammala la mamma di tumore al pancreas dice sì a qualsiasi cura sperimentale.

Lei è passato dall’essere rassicurazionista ad allarmista: l’avere sbagliato previsioni l’ha segnata?

Ho sbagliato e sono l’unico che ha ammesso un errore.

Ma lei si è chiesto “perché ho sbagliato così clamorosamente?”.

Sì. Perché vedevo la realtà del mio ospedale e la riportavo. La scorsa estate l’ospedale era più vuoto di oggi. Ho pensato che avessimo vinto. Da ottobre in poi però non ho più sbagliato un colpo. E resto convinto che il terrorismo faccia male.

Esagerare invitando alla prudenza non fa morti. Ha mai pensato che una sua rassicurazione di troppo possa aver fatto ammalare, morire qualcuno?

Mi auguro non sia successo e se è successo me ne dispiaccio, raccontavo quello che vedevo da clinico.

Diciamo che forse ha sbagliato nel campo dell’epidemiologia.

Sì, a livello epidemiologico ho cannato. Lo abbiamo fatto in tanti.

Lei passa per uno poco emotivo. Una storia che le è rimasta appiccicata addosso?

Mi viene da piangere ancora quando la racconto. Prima ondata. Vengono da me due operatori tv, Paolo e Luca per un programma Mediaset. Qualche giorno dopo mi chiama uno dei due e mi dice ‘sto male’. Lo ricovero. Il secondo pure. Finiscono nella stessa stanza. Entrambi intubati. Uno mi torna indietro, l’altro, Paolo Micai, no. L’ho dovuto dire io a Luca. Sono ancora segnato.

Ma lei il Covid non se l’è preso?

Pensi che strano, mia moglie se lo è preso a novembre dello scorso anno, io che dormo nel letto con lei no.

Lei ha fatto molte scelte “pop”. Si pone mai lo scrupolo che questa fama nasca da morte e pandemia, che per gli esperti doveva essere un effetto collaterale e non un secondo mestiere?

Io credo che durante la pandemia spiegare quello che succede sia un dovere. La differenza tra me e gli altri è che io dico che mi piace andare in tv, loro non lo ammettono ma ci vanno comunque.

Dalla D’Urso non è andato a fare divulgazione.

La D’Urso parla a persone che magari non vedono la Berlinguer.

Ma lei c’è andato col filmino del matrimonio. Lo rifarebbe?

Mah, sì.

Dica la verità.

Sono andato con mia moglie, perché volevo mandare il messaggio di una famiglia unita.

C’erano dubbi?

Volevo far sapere “amo mia moglie”.

Era gelosa di chi lo definiva un sex symbol?

Mi definivano anche “idolo gay”, lei in un articolo “Lady Gaga”.

Ho detto Lady Gaga, mica Tina Cipollari.

Per carità, diciamo che volevo dare un segnale granitico sul mio matrimonio.

Le hanno offerto dei reality?

No. Molte cose in tv.

Ruoli da testimonial?

Di vestiti, perfino di studi di odontoiatria.

Il suo Instagram è pieno di foto da piacione.

La foto attira l’attenzione, ma accompagna sempre dei contenuti.

Ma un amico che le dice esageri?

Sono piacione? Ch’aggi’ ‘a fa’!

Dicono che lei sia stato raccomandato da suo padre, noto professore.

Studiavo a Yale, era il 2005. Torno e dico a mio padre che voglio restare in America. Lui: no, vieni qui e fai carriera. Peccato che sia tornato e lui sia morto. Da essere il figlio di Bassetti sono diventato “quel raccomandato del figlio di Bassetti”, “il bassettino”, “quello stronzo del figlio di Bassetti”. Mi hanno messo non in un cesso, di più. Ho dovuto passare 5 anni della mia vita per uscire da quel gabinetto in cui avevano tirato anche la catena.

“La telecamera è una droga”, ha detto. Un giorno forse le luci della telecamera si spegneranno. Quale sarà il suo metadone?

Non mi fa paura, anzi spero finisca tutto presto. Voglio riappropriami della mia vita. Ieri sera giocavo a calcetto in braghette con la polizia che mi guardava.

Sicuro? Non la vedremo a spaccare cocchi su un’isola?

Magari a condurre un programma sulla medicina.

Lei che non dice mai un “non lo so”, me ne dice uno?

Non so ancora perché ci siano famiglie in cui si contagiano tutti e altre come la mia in cui solo mia moglie. Perché ci sono persone che arrivano nelle stesse condizioni e alcuni precipitano in poche ore, altri restano stabili. Ecco, questo non sapere ci ha fatto prendere tante cantonate.

Per cui l’ho rimproverata spesso.

Per un attimo ho anche pensato di querelarla.

Perché non lo ha fatto?

Perché mi sono esposto, è il gioco delle parti.

Aifa, via libera alla terza dose: “Dopo sei mesi sarà per tutti”

“Nelle prossime ore ci sarà una circolare del ministero della Salute che indicherà le categorie per la terza dose. Bisognerà attendere almeno sei mesi di distanza dall’ultima dose ricevuta. Tutti i Paesi Ue si stanno muovendo in questa direzione”.

Le parole del ministro della Sanità Roberto Speranza arrivano nel giorno in cui il Consiglio dei ministri sancisce l’obbligatorietà del Green pass per il personale scolastico e per quello delle residenze per anziani. E soprattutto danno il crisma dell’ufficialità alla decisione dell’Agenzia italiana del farmaco, che ha dato il via libera alla terza dose. “Partiremo da chi è più fragile. Non so neanche se sia giusto parlare di terza dose o di completamento dei ciclo vaccinale”, ha detto Speranza intervenendo al Festival della Salute.

Il ministro ha spiegato anche come si proseguirà dopo aver messo in sicurezza le persone più a rischio: “Dopo la prima fascia partiremo dai primi che sono stati vaccinati – ha detto – Mettere in sicurezza le Rsa è una priorità e poi dobbiamo salvaguardare gli over 80 e il personale sanitario. Riconfermo che sulla disponibilità di dosi non abbiamo difficoltà. Possiamo garantire la terza dose”. Stando alle parole del titolare della Salute, quindi, anche per la terza dose si seguirà la strada utilizzata per le prime due: immunodepressi, anziani, personale sanitario e poi tutti gli altri. I richiami saranno a cadenza annuale come avviene ad esempio per l’influenza? “È un’ipotesi, ma va approfondita con la comunità scientifica. Anche il vaccino credo che sarà perfezionato, adattato alle nuove varianti e migliorato” ha risposto. Sul tavolo del governo, poi, c’è anche la questione dell’obbligatorietà del vaccino. Speranza non ha fatto fatica ad ammetterlo: “Non abbiamo paura di dire che l’obbligo è una opzione in campo ”.

“Sganciamo tritolo sul Parlamento”. Nei guai 8 fanatici

Nella loro chat di Telegram, “I guerrieri”, circa 200 no vax che in realtà non si erano mai visti di persona, si erano scambiati l’indirizzo dell’appartamento di Mario Draghi per chiedere verifiche sulla sua autenticità, e fantasticavano di un attentato con un drone imbottito di tritolo, da far precipitare sulla sede del Parlamento per raderlo al suolo.

Minacce ritenute non solo virtuali, quelle degli 8 attivisti dell’area no vax, 5 uomini e 3 donne, 6 dei quali tra i 43 e i 56 anni, e due di 33 anni, perquisiti ieri tra le province di Milano, Roma, Venezia, Padova, Bergamo e Reggio Emilia dal pool antiterrorismo della Procura di Milano. Sono indagati di istigazione a delinquere aggravata. “Dalle parole volevano passare ai fatti”, sostengono gli agenti della Digos e della Polizia postale che hanno proceduto alle perquisizioni prima della manifestazione nazionale no vax prevista a Roma l’11 e 12 settembre.

Nelle chat minacciavano di utilizzare questo evento per “occupare i palazzi” del potere romano e c’erano tracce di “una riunione preparatoria”. E frasi di incitamento a colpire contro non meglio precitati “obiettivi istituzionali”, anche approfittando di visite di ministri nelle rispettive province di residenza, come quella poi annullata di Speranza a Padova il 2 settembre. Nella città patavina per questo episodio è stata perquisita una donna di 53 anni, di professione cameriera ma in chat “guerriera” e convinta no-green pass. Una chat, quella dei “guerrieri”, secondo chi l’ha monitorata, composta da un magma di persone “molto determinate e molto arrabbiate”. Tra di loro una dei tre amministratori della chat, una 43enne di Roma (l’altro è un milanese di 46 anni) e una veneziana che in passato era stata vicina ad ambienti indipendentisti dei “Serenissimi”.

Gli inquirenti hanno ritrovato e sequestrato nella casa di uno degli indagati, a Reggio Emilia, un arsenale di armi bianche e non solo: tirapugni, una spada katana, sfollagente, uno spray al peperoncino. Un altro dei perquisiti, di Bergamo, era in possesso di fucili regolarmente detenuti, ma è stato denunciato per munizionamento oltre il consentito e le armi sono state sequestrate.

Ma qual è l’identikit del “guerriero” medio? Persone di basso profilo, gente comune, i vicini di casa di chiunque: disoccupati, operai, portinai, camerieri, dipendenti di catene commerciali, quasi nessun professionista. Gente fiera e orgogliosa di non essersi vaccinata. Ma senza precedenti di rilievo, senza trascorsi particolari.

Nel decreto di perquisizione firmato dal pm Piero Basilone e dal procuratore aggiunto Alberto Nobili si evince che l’obiettivo dei no vax “Guerrieri” era di “mutare o condizionare la politica governativa e istituzionale in tema di campagna vaccinale”, “mediante azioni violente”.

Nel mirino c’erano in particolare le forze dell’ordine, i giornalisti e il Governo. “I giornalisti, i media, saranno i primi ad andarsene. Se in lontananza, nascosti, vedete furgoni delle Tv private o pubbliche, dategli fuoco… o con loro dentro o vuoto il furgone, dategli fuoco”, si legge in uno degli screenshot delle chat. Secondo gli inquirenti alcuni degli indagati avrebbero detto: “Noi quando andiamo a Roma i primi che dobbiamo colpire sono i giornalisti. Li dobbiamo fare fuori. Vediamo le camionette e i furgoni radio-tv e li facciamo saltare. Ci sono le molotov”. Che per fortuna pare esistano solo nei deliri di qualche fanatico. Durante le perquisizioni non sono stati trovati ordigni. Non risulta che avessero appoggi nella Capitale. E soprattutto “non risulta – hanno sottolineato Digos e Polizia postale – che esistano altre chat analoghe, con No Vax istigatori”.

Pianeta no vax. I “duri e puri” sono solo l’8% dei vaccinabili

In Italia almeno 2 milioni e 700 mila persone ancora non vaccinate sarebbero pronte a farlo se solo si utilizzasse una migliore strategia comunicativa. I “no vax” duri e puri invece sarebbero solo 850 mila. È quanto emerge dai risultati di una ricerca internazionale condotta su 3 milioni e mezzo di italiani e pubblicata su EClinicalMedicine – The Lancet, che vede in prima linea l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma insieme alle Università di Verona e Belgrado, e al New York Medical College. A parlarne al Fatto Quotidiano è Fidelia Cascini dell’Istituto di Igiene della Cattolica di Roma e prima autrice dello studio: “Siamo partiti da una revisione sistematica della letteratura internazionale sul grado di accettazione del vaccino anti-Covid dall’inizio della pandemia ad oggi, per capirne le cause e quantificare il fenomeno da un punto di vista globale”. Quello che è emerso è un quadro disomogeneo e multiforme, in cui lo zoccolo duro “no vax” sarebbe relegato a percentuali minime rispetto a chi, invece, è semplicemente dubbioso o spaventato dall’ipotesi vaccinale.

“Per stimare la situazione in Italia, abbiamo diviso la popolazione dei non vaccinati in tre sottogruppi: chi vorrebbe vaccinarsi nel corso del 2021, chi invece vorrebbe farlo più avanti e chi non si sottoporrebbe mai al vaccino, basandoci sulla metodologia di un sondaggio della Commissione europea. È emersa la netta prevalenza dei primi due gruppi sul terzo, quest’ultimo quantificabile in solo l’8% della popolazione attualmente ancora non vaccinata”. Se confrontiamo i dati raccolti con il sondaggio della Commissione europea sulla popolazione italiana non ancora vaccinata (circa 10 milioni) ci rendiamo conto che la maggioranza dei non vaccinati, al contrario della narrazione che spesso ne viene fatta, è costituita da persone convincibili se solo si usasse una migliore strategia comunicativa e maggiore empatia. Dall’analisi dei 209 studi internazionali oggetto della ricerca sono infatti emersi quattro elementi alla base del sentimento di esitazione nei confronti dei vaccini.

Il primo è il fattore tempo, ovvero la velocità con cui il vaccino anti-Covid è stato prodotto rispetto ad altri e che ha determinato un sentimento di paura e di perplessità nella popolazione. “Il problema riguardante il fattore tempo nasce anche da un difetto di comunicazione, laddove si è parlato poco e male dell’avanzamento tecnologico che ha reso possibile questa accelerazione” spiega Cascini. “Le nuove tecnologie hanno permesso di accelerare soprattutto le fasi precliniche di sperimentazione, ma il compimento dell’intero processo ha seguito i normali protocolli”. È quindi necessario informare di più, in modo semplice ma rigoroso, sui progressi della scienza che hanno permesso una simile impresa, con una grande opera di divulgazione rivolta al grande pubblico. Questo creerebbe una maggiore padronanza del tema vaccini anche tra i non addetti ai lavori, diffondendo consapevolezza e quindi fiducia.

Il secondo fattore riguarda la carente informazione pubblica sui benefici ma soprattutto sui rischi provenienti dai vaccini. Uno dei principi consolidati alla base della comunicazione del rischio è infatti quello di rendere i cittadini partecipi e del tutto informati. “Astrazeneca durante le ultime fasi di sperimentazione farmacologica aveva avuto evidenza di un bassissimo rischio di trombocitopenia immune protrombotica indotta da vaccino, perché nessuno ne ha parlato?”. Questo purtroppo non è stato fatto e il problema è esploso su tutta la stampa internazionale quando i vaccini erano già stati somministrati a decine di milioni di persone, scatenando il panico nella popolazione anche a causa di reazioni scomposte delle istituzioni. Al contrario, se si fosse informata la popolazione in anticipo attraverso una corretta e tempestiva comunicazione scientifica, forse le notizie di pochissimi casi di reazioni avverse gravi al vaccino sarebbero state recepite come un rischio accettabile e controllabile, come accade con altre preparazioni farmacologiche in commercio.

Il terzo fattore riguarda la libertà di scegliere il proprio vaccino. Di fronte a meccanismi di azione molto diversi tra loro (mRna, vettore virale, ecc.) era prevedibile che si creassero degli schieramenti. “Se si fosse permesso fin da subito alle persone di scegliere, pur considerate indicazioni e controindicazioni cliniche, si sarebbe generato un meccanismo di fiducia maggiore. Per fortuna negli ultimi mesi sono stati fatti passi in avanti su questo fronte, ad esempio con la vaccinazione eterologa”.

Il quarto e ultimo fattore, conclude Cascini, riguarda la fiducia nell’operazione vaccinale. “Un importante anello debole della catena sono proprio gli operatori sanitari, che a volte danno informazioni parziali, discordanti o in alcuni casi sbagliate, quando invece dovrebbero essere un forte collante tra la scienza, la medicina, e i cittadini.” A dimostrazione di quanto dice Cascini c’è l’esperienza diretta di chi tuttora riceve, da parte dei medici, indicazioni contrastanti sulle vaccinazioni, ad esempio per le donne incinta o per i giovani, nonostante i pareri favorevoli di istituzioni e organi preposti. Un problema grave, diffuso e che andrebbe al più presto risolto, che sta diffondendo paura ed esitazione in tante persone che invece vorrebbero vaccinarsi, e che con troppa facilità vengono messe nel calderone dei “no vax”.