Aveva promesso a tutti i ragazzi che aveva seguito nel quartiere di Brancaccio a Palermo in quegli anni che, ovunque essi avessero deciso di sposarsi, le nozze le avrebbe celebrate lui. Era anche questo Don Giuseppe Puglisi, il sacerdote ucciso da Cosa Nostra il 15 settembre 1993 nel giorno del suo 56° compleanno a causa del suo impegno per salvare i giovani dai tentacoli della mafia.
Questo dei “matrimoni itineranti” del sacerdote dichiarato Beato dalla Chiesa nel 2013 – molti di quei giovani a cui si era legato durante la catechesi offerta loro sarebbero presto andati al nord a lavorare – è un risvolto poco noto della sua vita, ma a conoscerlo benissimo è Girolamo Trimarchi, cittadino di Mathi, piccolo centro del Torinese ma originario di Palermo, ex operaio Pirelli oggi in pensione e con una mezza dozzina di nipotini all’attivo: una vita tra coscienza di classe e lotte sindacali ma sempre nel solco dell’esempio dell’amico prete, figura iconica del cattolicesimo sociale e della lotte alle mafie.
Lui era infatti uno di quei ragazzi di quel quartiere difficile del capoluogo siciliano che poi Don Puglisi avrebbe sposato in trasferta. Era l’estate del 1971, il 7 agosto per l’esattezza. Le nozze si svolsero a Napoli, nella chiesa del quartiere della sposa, Olimpia Marigliano, che oggi nel piccolo paese ai piedi delle Valli di Lanzo conoscono anche per i suoi corsi di cucina organizzati per i ragazzi di un centro diurno e rivolti anche ai bimbi delle elementari.
“Ci disse ‘picciotti, se lo vorrete vi sposerò ovunque voi andiate a vivere’ – conferma Girolamo –. Lo promise e lo fece, da quel che so, praticamente con tutti quei ragazzi del nostro gruppo che si sposarono fuori da Palermo. Don Puglisi era un giovane prete all’epoca, ma per lui noi eravamo quasi dei figli. Per quel che poteva ci istruiva, aiutava, ci controllava, ci proteggeva: insomma ci teneva a toglierci dalla miseria e cercare di darci delle opportunità. Soprattutto puntava a tenerci lontano da certi ambienti, così contigui e allo stesso tempo pericolosi per i giovani più fragili e quindi più facilmente attratti dalla malavita e dai facili guadagni: non mi sono mai pentito di aver aderito ai valori di don Pino, poi divenuto più che un amico – continua Mimmo – nemmeno quando al mio arrivo a Torino ho dormito per una settimana alla stazione, nemmeno quando per vivere, i primi tempi prima di trovare il fatidico posto in fabbrica, ho raccolto rifiuti per strada come netturbino abusivo…”.
Girolamo, detto “Mimmo”, da una vita ormai in Piemonte, i soldi non li ha fatti ma è uno di quegli eroi invisibili che grazie a scelte di campo che si fanno anche grazie ad esempi come quello ricevuto da Don Puglisi e alla coerenza che implicano, si è costruito onestamente una famiglia e un’esistenza di cui “essere fieri… e riconoscenti”. Oggi Mimmo è anche noto nella zona in cui vive, oltreché per l’hobby di intrecciare cestini di paglia, arte ereditata dal papà con cui sbarcava il lunario ai tempi della vita a Brancaccio, anche per il suo impegno nel volontariato civile con l’Ata (Associazione Territorio e Ambiente).
Inoltre, Girolamo non è uno che esibisce i sentimenti: questa storia fino a pochi giorni fa la conoscevano – serbandola per pudore nel cassetto dei ricordi più intimi insieme alla foto che li ritrae con un raggiante e “capellone” Don Puglisi – oltre ai protagonisti, solo i suoi familiari e gli amici più cari. E se si parla d’emozione è facile capire perché quel pudore riemerge più forte al capitolo della morte del Don, tanto da non riuscire più a continuare… Tanto da rendere, dopo la barbara uccisione del sacerdote e dopo la morte dell’anziana madre, sempre più radi i ritorni nella città natale.
Quella tra Mimmo e Olimpia è però anche una storia d’amore tra due immigrati che si conoscono al nord negli anni 60 certo come tante, ma impreziosita da quello che non è solo dunque un aneddoto e nemmeno, per quanto bellissimo, accessorio narrativo ma un omaggio a quei valori di quel prete scomodo ma che manteneva sempre le promesse, che tanto avrebbero poi contato nella loro vita di sposi e cittadini. Ed è molto di più di solo un bel ricordo anche per la famiglia che hanno creato: Girolamo e Olimpia celebrano con tutti i loro cari, proprio a settembre, i cinquant’anni di matrimonio.