Le culture negroafricane e le spiritualità orientali potrebbero insegnare agli europei a diventare figli di Kant. Poiché il pianeta è rotondo e finito, scriveva Kant, noi siamo in qualche sorta “condannati” all’ospitalità; il cosmopolitismo deve essere ospitale.
Con la sua affermazione, Kant riprendeva il filo del vangelo in ciò che esso ha di più radicale: il teologo Christoph Theobald non esita a fare dell’ospitalità il segno messianico per eccellenza. Quello che in Kant è interessante è che egli lega questa esperienza messianica alla finitudine della creazione. Comunque sia, questo è ciò che l’Europa non conosce più, tanto sembra aver confinato l’esperienza cosmopolita a una piccola élite finanziaria di nomadi che non conosce più radicamento nazionale. È una minuscola minoranza che passa la vita nelle sale vip degli aeroporti, piegata sul suo smartphone 5G, senza più capire ciò che vivono quei due terzi della popolazione dell’Europa occidentale che non hanno fatto studi superiori. Il divario non è più solo finanziario, è anche educativo e, in fondo, culturale. E, poiché l’ascensore sociale, frutto della scuola della Terza Repubblica, è in panne dalla metà degli anni Novanta, questi due terzi di popolazione patiscono l’ansia e la realtà del declassamento, i fine mese a fare la spesa all’emporio solidale, e i servizi di rianimazione sovraccarichi quando sopraggiunge un’epidemia… a fronte di un gruppuscolo di privilegiati che il terzo della popolazione dotata di “istruzione superiore” cerca di imitare a ogni costo. Un terzo è molto, ha osservato il sociologo Emmanuel Todd. Si può vivere in endogamia quasi completa e di conseguenza diventare perfettamente ignoranti di ciò che in Francia provano milioni di uomini e donne in povertà (cioè con meno del 60% del reddito mediano, circa 1.000 euro al mese) e anche tutti gli altri che hanno una sola paura: precipitare a loro volta nella miseria. Così, quando i ceti popolari scendono in piazza, fanno sciopero o, che è poi la stessa cosa, votano Le Pen, la piccola élite “cosmopolita” si sente fortemente tentata dalla sindrome della fuga a Varennes. È proprio questa, a mio giudizio, una delle poste in gioco del dialogo tra i gilets jaunes e le élite dei centri città che hanno in mano le redini mediatiche, politiche e finanziarie.
FS Da come lo descrivi, il fenomeno mi sembra anche spiegare l’“insensibilità” di quel 10% di straricchi nei confronti della maggioranza della popolazione umana. O anche quella dei popoli euroamericani nel loro complesso, che, pur rendendosi conto che c’è qualcosa che non quadra se detengono da soli l’80% delle ricchezze del pianeta, fondamentalmente non si identificano con le umanità del cosiddetto Sud globale; può tutt’al più capitare che ne provino pietà o commiserazione, cosa differente dalla compassione o dalla comune fraternità. Non intendo certo generalizzare: di esseri di buona volontà ne esistono dappertutto. Ciò non toglie che le società occidentali sembrano fare fatica a rinunciare a uno stile di vita che devasta il pianeta e di cui il mondo intero deve sopportare i costi, come pure a stabilire rapporti economici più equi con il resto del mondo.
GG Quello che dici mi fa pensare alla parabola dei tre anelli di Lessing, un altro grande Aufklärer (filosofo illuminista), contenuta nel suo Nathan il saggio. Muore un padre, che è un re. Ciascuno dei suoi tre figli pretende di essere l’erede legittimo, poiché detiene l’anello del potere. È dunque ovvio che due dei tre anelli sono falsi. Solo uno può essere autentico. Come riconoscerlo? Alla fine arriva il profeta Nathan e dice, in sostanza, ai tre uomini: “In effetti non si sa chi sia il vero erede, si ignora chi tra voi possieda il vero anello. Ma si verrà a scoprirlo nel corso della storia, grazie all’ospitalità etica di cui ognuno darà prova nei riguardi degli altri fratelli”. Certo, quello che Lessing ha in mente quando scrive sono le tre religioni abramitiche che si disputano il territorio europeo e la legittimità dell’eredità di Abramo. Ma in verità si potrebbe dire che è il lascito dell’utopia democratica ed egualitaria in cerca di un erede. Uno dei tre figli è l’Europa, le Europe, un altro potrebbe essere l’Africa, le Afriche. Non ci sono tre eredi, sono 60! In fin dei conti, è l’ospitalità etica di cui ognuno saprà dar prova nei confronti degli altri che proverà chi è il vero erede di questa utopia.
FS Sono d’accordo su questo punto. Non è più il tempo di proclamare i valori, ma di incarnarli. Sta qui il grande deficit. Abbiamo avuto un’Europa dichiarativa. Ma quando si tratta di incarnare quei proclami nella contemporaneità, nella crisi mondiale che stiamo attraversando, nell’attualità del mondo – che è davvero rovente: Israele, la Palestina, l’ambasciata americana a Gerusalemme, i morti di Gaza… –, c’è come un’impasse. Il fatto che neppure si arrivi, da un punto di vista etico, a nominare un massacro come tale, a designare i crimini e le violenze col loro nome, e che non si cessi invece di eufemizzare la realtà con il linguaggio, è appunto il segno della totale dicotomia tra la capacità di dichiarare i valori, che vengono sbandierati e propalati per il mondo, e la capacità di incarnarli. È forse in questo scarto che dobbiamo cercare un’apertura. Riguardo all’ospitalità, osserviamo che la Germania ha fatto uno sforzo considerevole nel 2019 – un gesto che ha avuto per Angela Merkel un costo politico enorme –, ma mi chiedo se è noto il fatto che in certi Paesi africani la popolazione straniera può arrivare al 40%. Persone che sono comunque accolte. Una percentuale che può raggiungere e anche superare il 50%. L’idea sarebbe quella di andare al di là del precetto etico dell’ospitalità e di farne una cosmopolitica che legherebbe gli Stati tra loro, obbligandoli ad accogliere la vita momentaneamente fragilizzata e a prendersene cura. Passare dal dovere dell’ospitalità al diritto all’ospitalità, con tutti gli obblighi vincolanti che discendono dal diritto.
GG Quale Paese hai in mente? La Costa d’Avorio? Il Libano?
FS Penso alla Costa d’Avorio… al Gabon.
GG Io penso anche al Ciad. I rifugiati del Darfur sudanese e quelli centrafricani costituiscono quasi un quarto della popolazione di quel Paese. Ed è tanto più sorprendente in quanto le popolazioni autoctone non sono, in molti casi, molto meno bisognose delle popolazioni di profughi ospitati in campi di fortuna. Come minimo, questi campi rivelano la difficoltà degli Occidentali a manifestare l’ospitalità: il campo di Lesbo, per esempio, è la vergogna dell’Europa. Hai citato i massacri di Gaza… Si potrebbe pensare anche al libro Rwanda, la fin du silence di un ufficiale francese che prese parte all’Operazione Turquoise in Rwanda. L’autore riflette sul continuo non-detto che si vive in Francia riguardo al contributo di quell’operazione nel ritardare l’avanzata del Fronte patriottico rwandese (Fpr)…
FS Mettendo così in salvo i genocidari…
GG … mentre l’Fpr cercava di mettere termine ai massacri…