Circola una battuta tra persone informate dei fatti circa le ambizioni di Renato Brunetta . Il re della lotta ai “fannulloni”, oggi convertitosi alla demolizione dello smart working, è il ministro più anziano dopo Mario Draghi e in caso di impedimenti del presidente del Consiglio toccherebbe a lui prenderne il posto. Ma Brunetta pensa davvero che quell’incarico potrebbe finire a lui in forma stabile.
Sogni di un professore che ha quasi vinto il Nobel e si è dovuto accontentare della Pubblica amministrazione? Oppure solo voci malevole (messe in giro però anche da amici suoi)? Non è questo il punto. La questione è che esiste uno schieramento largo, il “Centrone” di Draghi secondo cui la formula politica che attualmente governa l’Italia debba durare più a lungo. Almeno fino al 2023, forse anche dopo.
Questo è il nodo del contendere dietro la partita del Quirinale. L’ipotesi di un Mattarella bis (sciagura costituzionale) servirebbe a consolidare il “Centrone”, ma anche una salita di Draghi al Colle potrebbe attivare vari dispositivi di prolungamento della legislatura.
Intanto perché un Draghi presidente della Repubblica avrebbe le carte in regola per gestire una fase 2 della sua esperienza al governo. E poi perché le elezioni non le vuole nessuno se non la destra e una parte della Lega.
A questo schema lavorano ormai in tanti ed è questo che, ad esempio, aiuta a capire il senso sia della paginata consegnata al Foglio dall’ex segretario Pd Nicola Zingaretti, con cui ha messo in guardia il suo successore, Enrico Letta, dalle pastoie di una formula modello “larghe intese”, sia l’allarme di Goffredo Bettini alla festa del Fatto Quotidiano, con cui ha invitato il Pd a ritornare alla prospettiva dell’alleanza con Giuseppe Conte e il M5S.
Questi allarmi rendono evidente che una parte del “Centrone” abita proprio dentro il Partito democratico. Facile, infatti, collocare nel partito di Draghi, le frattaglie centriste che sono rimaste in circolazione, a partire da Italia Viva di Matteo Renzi. Il quale definisce Draghi il suo “capolavoro politico” e sa bene che in una formula come quella attuale i partiti inesistenti, ma presenti in Parlamento, hanno più spazi. Stessa cosa per Azione di Carlo Calenda – il quale a Roma punta ad assestare un colpo diretto al Pd per favorirne la vocazione centrista – e in realtà anche per Forza Italia per quanto quel partito sia in balia degli eventi e incapace di darsi una prospettiva propria. Certo, in caso di voto anticipato gli azzurri non si farebbero mettere ai margini e quindi il patto con Salvini è bell’e pronto, ma nell’attuale palude draghiana ministri come Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, oltre al già citato Brunetta, si trovano in una comfort zone.
Messa così, però, il centro infinito che ruota attorno a Draghi non avrebbe sostanza. A sorreggerne le speranze sono le due ali di Pd e Lega.
Nel partito di Letta i “renziani in sonno” hanno come occupazione costante quella di sparare contro ogni possibile riavvicinamento strategico al M5S. Da Lorenzo Guerini ad Andrea Marcucci al presidente della Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, il punto dirimente resta questo. E, come in una sala degli specchi, a sorreggerne la prospettiva c’è la componente della Lega capeggiata da Giancarlo Giorgetti, che sembra avere poco appeal di massa, ma che si fa forte del sostegno di leader locali come Luca Zaia. Salvini viene marcato a vista anche se non bisogna sottovalutare l’attrazione che anche per il leader leghista il grande calderone potrebbe avere soprattutto in asse federativa con Forza Italia.
Il “Centrone” lo si capisce meglio se lo si guarda dai giornali più importanti. L’alfiere di questo schieramento è Repubblica diretta da Maurizio Molinari, basta leggere gli editoriali di Stefano Folli. Lo stesso vale per il Corriere della Sera dove prevale un po’ di più l’attrazione fatale per ogni cosa che sappia di tecnico autonomo dal Parlamento (si vedano gli ultimi editoriali di Massimo Franco e Sabino Cassese). Confindustria, ovviamente, con Carlo Bonomi che uno schieramento così filo-industria se lo sogna, oltre ad altre forze collaterali (in particolare la Chiesa). Il Centrone in fondo è una grande Democrazia cristiana, placida e tranquilla, che governa l’esistente e garantisce gli interessi consolidati. E deve tener fuori le parti che non conformano all’obiettivo. In primis il M5S e Giuseppe Conte in particolare. Ovviamente la sinistra di Pier Luigi Bersani e i dem renitenti come Bettini o quella parte del partito che si riconosce nel vicesegretario, Peppe Provenzano.
Mario Draghi che nell’era Dc è nato e cresciuto, per poi costruire il curriculum all’estero, rappresenta un punto di riferimento eccellente. Ecco, il vero limite del Centrone è che senza Draghi le grandi ambizioni qui descritte vanno a farsi benedire. Ecco perché si spera in san Sergio (Mattarella). Bis.