Almeno sino alla Rivoluzione francese la legge era la trascrizione della volontà del sovrano assoluto verso i suoi sudditi e non vincolava il re. In epoca contemporanea, tuttavia, le democrazie rappresentative si sono affidate al potere legal-razionale, basato su leggi razionalmente stabilite, approvate dai Parlamenti e vincolanti anche verso i governi: esse permettono ai cittadini subordinati di verificare la legittimità dell’applicazione e la coerenza delle norme con quelle di livello superiore, quali i principi costituzionali. Questa è la teoria rispetto alla quale la prassi non è sempre conforme. Max Weber, che ne è stato il principale studioso, avrebbe da ridire se leggesse l’inflazione normativa prodotta in questi mesi per garantire l’attuazione della volontà del nuovo vettore pubblico ITA.
Una prima ondata di norme su misura si è manifestata con il decreto 99 di fine giugno, approvato con legge in vigore dal 25 luglio. A distanza di poche settimane queste norme si sono tuttavia rivelate insufficienti alle esigenze di ITA che, ricordiamo, è un soggetto di diritto privato, non esentato dal principio dell’eguaglianza di fronte alla legge. Nel Consiglio dei ministri del 3 settembre sono state approvate nuove norme, modificative delle precedenti. Quelle di giugno stravolgevano i compiti dei commissari di Alitalia, facendoli divenire – da garanti della continuità produttiva dell’azienda nell’interesse dei suoi creditori incagliati – strumento esplicito per la realizzazione dei piani di ITA. Si tratta di ruoli incompatibili dato che i commissari di Alitalia sono venditori dei suoi asset e ITA non è che un potenziale compratore in mezzo ad altri, dunque una controparte, portatrice di interessi divergenti.
Eppure la norma di giugno stabiliva che l’amministrazione straordinaria dovesse provvedere “al trasferimento alla (nuova) società (…) dei complessi aziendali individuati nel (suo) piano” e inoltre a porre “in essere le ulteriori procedure necessarie per l’esecuzione del piano industriale medesimo”. Pertanto i commissari sono stati obbligati a vendere a ITA e non ad altri ciò che a ITA interessa, senza considerazione del fatto che in questo modo si sarebbero resi difficilmente vendibili o comunque deprezzati gli asset restanti. Ma ITA non doveva essere in totale discontinuità con Alitalia secondo la volontà dell’Unione europea? E come si concilia questa esigenza con la continuità resa invece obbligata dalla norma?
Non bastando questo abito normativo su misura, il nuovo decreto ha stabilito che il marchio Alitalia, che per accordi con l’Europa dovrà essere ceduto tramite gara, potrà essere acquisito solo da vettori aerei già esistenti. Questa regola viola però i principi di concorrenza, essendo finalizzata a favorire l’offerta di ITA, e non garantisce inoltre la massimizzazione del valore da parte dei commissari, un effetto che è egualmente prodotto da un’altra norma. Infatti le bande orarie di decollo/atterraggio non trasferite a ITA dovranno essere restituite per la riassegnazione gratuita da parte dell’Autorità competente e non potranno essere cedute dai commissari dentro un secondo ramo volo di Alitalia, di fatto esistente dato che ITA se ne comprerà meno della metà. Anche questa è una perdita di valore notevole per la gestione commissariale.
La disposizione di maggior rilievo sembra però essere un’altra: ITA potrà acquisire da Alitalia anche “singoli beni” e non necessariamente rami d’azienda. La distinzione non è banale: per norme generali, e loro interpretazioni consolidate, nel passaggio di rami d’azienda è necessariamente trasferito anche il personale che vi opera mentre nel caso di beni singoli no. Questa norma è dunque finalizzata a garantire la rottamazione dei dipendenti di Alitalia, evidentemente considerati zavorra dalla nuova azienda.