Lasciate ogni speranza, o voi che non ricevete il Green Pass

Come può il desiderio del Green Pass (da parte di un convinto sostenitore del Green Pass) tramutarsi in un’esperienza penosa, ma al tempo stesso assai indicativa di quanto la cattiva burocrazia esista – incredibile vero?! – anche con il governo dei Migliori. Il malcapitato è un docente universitario che viene chiamato a fine febbraio 2021 dal medico curante per il vaccino AstraZeneca, riservato al personale docente: 6 marzo, iniezione fatta e nessun disturbo post-puntura. Dopo l’intervallo di tre mesi che necessita(va) AstraZeneca arriva la seconda dose: 5 giugno. Tutto come prima: iniezione, nessuna disturbo successivo, fine della pratica. Sì, di quella medica, perché da questo momento inizia la rincorsa all’agognato Green Pass che a oggi, 3 settembre 2021, non è ancora arrivato.

Il nostro malcapitato aspetta invano per settimane che arrivi via mail il codice da inserire su Immuni. Telefona al medico per capire se c’è stato qualche errore nell’inserimento dei dati: no, “tutto fatto correttamente”. Esce la notizia che si può avere il Green Pass andando in qualsiasi farmacia con la propria tessera sanitaria: ma anche qui niente, non c’è traccia del suo vaccino. Il malcapitato torna dal medico, il quale suggerisce di compilare il modulo presente sul sito www.dgc.gov.it, strumento messo a punto dai Migliori proprio per chi avesse problemi col Green Pass. Inizia la procedura: inserire il codice fiscale – fatto. Inserire le ultime otto cifre della tessera sanitaria – fatto. Scegliere tipo di evento: vaccinazione – fatto. Scegliere data dell’evento: 5 giungo 2021 – fatto. Risposta: “L’authcode non è disponibile. La certificazione potrebbe non essere stata generata o i dati inseriti non essere corretti”.

Ma il nostro malcapitato non si arrende e ripete l’operazione, anche nei giorni successivi, per circa 20 volte. Ma niente, la risposta è sempre la stessa. Allora fa partire due mail identiche all’indirizzo segnalato sul sito: la risposta in automatico dice che la procedura è avviata con tanto di numero identificativo, però poi silenzio assoluto. Nel frattempo passano le settimane e l’obbligatorietà del Green Pass si avvicina sempre di più. L’Asl del malcapitato attiva un servizio analogo, evidentemente per i tanti disperati in questa situazione: ma anche questo non funziona. Ormai il primo settembre è alle porte, urge soluzione altrimenti come prendere il Frecciarossa per tornare al lavoro? C’è un numero a cui telefonare in caso di problemi, il 1500, che nelle settimane passate era inattivo, neanche squillava. Il malcapitato riprova, stavolta rispondono: una voce chiede tutti i dati di cui sopra e poi risponde “Purtroppo non riesco a vederla sul server, mi lasci telefono e mail che la contatteremo appena risolto il problema”. Il malcapitato esegue ma altri giorni passano e di risposte niente. Arriva il fatidico 31 agosto, il giorno dopo bisogna prendere il treno. Il malcapitato telefona nuovamente al 1500, spiega la questione, ma ancora niente. “Ma io come faccio domani che devo prendere un treno per Roma?”, risposta: porti il foglio che le hanno rilasciato il giorno del vaccino. Il malcapitato esegue e raggiunge Roma. Non senza problemi però, ossia ad ogni controllo di Green Pass, oltre al foglio del vaccino, deve anche raccontare di nuovo tutto. Vi assicuro, quel che ho scritto non è una parodia, è pura descrizione. Firmato: il malcapitato. No Green Pass suo malgrado.

Regioni, il trucco dei dati per restare in zona bianca

Non comunicare il reale numero dei pazienti Covid; trasformare interi reparti di medicina “ordinaria” in reparti Covid; dimettere i pazienti con celerità. Conteggiare letti di terapia intensiva che sono solo sulla carta. Sono alcuni degli escamotage che alcune Regioni, come Sardegna e Friuli-Venezia Giulia, starebbero utilizzando per “drogare” i dati comunicati ad Agenas e utilizzati per decidere il “colore”.

L’ultimo allarme arriva dal Fvg, dove, per il sindacato dei medici di anestesia e rianimazione (Emac) “i posti di terapia intensiva attualmente attivi e operativi sono molti di meno di quanti dichiarati in questi giorni dall’amministrazione regionale” al ministero. Per Emac, a fronte dei 175 letti di Ti “dichiarati” (e utilizzati da Agenas per il monitoraggio del tasso di occupazione delle Ti, la soglia per restare bianchi è del 10%), quelli in realtà disponibili sarebbero 82. Tanto che il sindacato aveva invitato con una nota la Regione a “correggere” i dati inviati a Roma, considerando che il numero di 175 “è assolutamente irreale e non vero, perché si riferisce a un numero di posti letto intensivi massimi raggiunti in piena crisi pandemica, poi in gran parte smantellati a fine terza ondata e mai più ricoperti”.

Ma il Fvg sarebbe in buona compagnia: per il consigliere regionale dei Progressisti sardi, Francesco Agus, la giunta di Solinas da giorni starebbe inviando ad Agenas numeri edulcorati su ricoveri e Ti. “Siamo una regione gialla, quasi arancione, travestita ancora per qualche giorno da bianca: quando le spiagge saranno vuote ai sardi verrà servito, come l’anno scorso, il conto con gli interessi. Abbiamo evidenza di pazienti entrati in pronto soccorso anche il 15 agosto per Covid e che ancora lunedì scorso risultavano ricoverati lì – accusa il consigliere –. Solo lunedì al Santissima Trinità di Cagliari risultavano 8 i ricoverati al Ps, 5 al Bruzzo e 5 al Policlinico”. Per Agus tutti pazienti sfuggiti ai conteggi ufficiali. “Inoltre abbiamo evidenza di direttive arrivate ai medici per sconsigliare i ricoveri e di procedere a dimissioni veloci”.

Manovre che anche ieri hanno evitato all’isola la zona gialla. Sebbene il bollettino fosse ancora impietoso: 269 nuovi casi, 1 decesso, 24 ricoverati in Ti, 227 in area medica. Dando per scontato che la Sardegna abbia regolarmente superato il limite dei 50 casi ogni 100 mila abitanti (uno dei parametri per passare in gialla), è sulle terapie intensive che ci si deve concentrare. Tenendo presente che i letti di Ti totali sono 204, ieri la loro occupazione superava la soglia. I letti Covid totali sono invece 1.603, quindi il tasso di occupazione ieri con 227 pazienti era esattamente alla soglia. Ma, se a quei 227 si aggiungono i pazienti non registrati denunciati da Agus, i numeri cambiano.

Altro escamotage è la trasformazione di interi reparti in reparti Covid, per aumentare il numero dei letti disponibili, abbassando la percentuale di occupazione e annullando le prestazioni sanitarie ordinarie per la popolazione. Ma mancano medici e infermieri e per recuperarli si chiudono gli ospedali. Come è accaduto due giorni fa all’ospedale di Ittiri (Sassari), perché i sanitari servivano al reparto Covid di Alghero.

“Attenzione, potrebbe anche trasformarsi in una misura inutile”

“Non mi sembra una presa di posizione casuale. L’uscita di Draghi arriva all’indomani del fallimento delle manifestazioni no vax, è chiaro che si è aperto un cuneo politico”. Andrea Crisanti, docente di Microbiologia all’Università di Padova, dà prima di tutto una lettura politica all’apertura del premier all’introduzione dell’obbligo vaccinale: “Ma la questione – aggiunge – va letta prima di tutto in un’ottica di sanità pubblica”.

Professor Crisanti, cosa ne pensa dell’ipotesi di obbligo vaccinale?

Personalmente sì, penso sia un giusto passo avanti verso la trasparenza, il green pass era un surrogato dell’obbligo vaccinale, questo è un passo giusto se non altro per chiarezza e rispetto dei cittadini. Il green pass, con i vaccinati che possono riammalarsi e infettare, non è una misura di sanità pubblica.

Dunque nessuna perplessità?

Tutt’altro, un annuncio così repentino mi lascia perplesso. Avrei preferito che alla riflessione sull’obbligo vaccinale si accompagnasse una verifica sul grado di protezione attuale dei vaccini.

In che senso?

Da Israele arrivano dati che indicano come l’efficacia dei vaccini si sta riducendo al 70% per quanto riguarda la protezione dal contagio. Al momento sono preoccupato per questo.

Quindi?

Quindi se il motivo di questa percentuale è che la protezione vaccinale diminuisce con il tempo, allora viva l’obbligo e viva la terza dose. Ma se il problema è un altro, per esempio la particolare aggressività di una variante presente o futura, allora non c’è obbligo vaccinale che tenga.

Perché allora non estendere soltanto l’obbligo di green pass?

No, il green pass non è una misura di sanità pubblica. È semplicemente un incentivo alla vaccinazione per chi ancora, per vari motivi, non l’ha fatto. È una scelta politica legittima, ma è sbagliato veicolare il messaggio che riservare un ambiente chiuso all’ingresso dei soli vaccinati crei un’area di sicurezza al 100%. Purtroppo sappiamo che non è così.

Allora a che serve obbligare?

Se l’efficacia di protezione dal contagio si manterrà elevata – ma al momento non possiamo ancora saperlo – potrà servire. Se invece la protezione sarà inferiore alle attese, bisognerà rivalutare.

Non le pare un po’ improbabile, da un punto di vista pratico, stanare orde di no vax e obbligarli alla vaccinazione?

Bisogna vedere in che misura questo obbligo verrà declinato. Probabilmente con la previsione di sanzioni varie. E comunque c’è un punto ancora non chiaro.

Quale?

Sarebbe bello capire se è obbligatoria anche la terza dose, e anche capire prima se la terza dose è efficace. Ma qui torniamo al discorso sull’analisi dell’efficacia della protezione.

Rimane il problema del lavoro. È giusto obbligare una persona a una misura sanitaria per poter lavorare?

Mi pare che i sindacati siano stati molto chiari: perplessità sul green pass, ma in caso di obbligo vaccinale, allora ci si vaccini tutti.

Il vaccino, insomma, da solo non basta.

No, purtroppo. Da solo non blocca la trasmissione del contagio, non si può e prescindere da altre misure sanità pubblica. Non possiamo rinunciare a tracciamento, contenimento e sorveglianza.

Che autunno si aspetta?

Impossibile dirlo ora. Se i vaccini continueranno a essere efficaci e la gente continuerà a farlo, anche le terze dosi, potremo tamponare. Ma se ci saranno nuove varianti resistenti ai vaccini dovremo ricominciare da capo.

Giappone ko per il Covid Suga: “Niente ricandidatura”

Nella sala riunioni dei dirigenti del Partito liberal-democratico ieri mattina nessuno sospettava ciò che il premier giapponese stava per annunciare. “Per gestire al meglio la pandemia occorre un’enorme quantità di energia, così come per portare avanti la campagna elettorale per la presidenza del partito”, ha esordito Suga Yoshihide con il solito viso imperturbabile e il tono neutro da ex portavoce, per poi concludere: “Per me sarebbe impossibile affrontare entrambi gli impegni, così ho deciso per uno dei due”. Il premier giapponese ha quindi proseguito chiarendo che nell’ultimo mese del mandato tutti i suoi sforzi si concentreranno sulle misure da prendere per arginare in maniera significativa, la diffusione senza precedenti del Covid. Mandando così all’aria la sua improbabile rielezione come capo del partito Ldp.

Si è dimesso in cinque minuti con tanto di inchino, anche se formalmente si dovrà aspettare il 29 settembre per l’addio e la scelta di un nuovo primo ministro. C’entrano in questa mossa i 16.000 nuovi contagiati e le 60 persone decedute nelle ultime 24 ore per Covid-19, ma non si tratta solo degli alti numeri della pandemia ad avergli fatto prendere la via del non ritorno. C’è di più e il premier lo aveva intuito già alla sua nomina, avvenuta un anno dopo le dimissioni del ben più carismatico Shinzo Abe. Molte delle sue scelte non hanno avuto esiti positivi: continui cambiamenti di misure, stati di emergenza, confusa tempistica nella campagna vaccinale. Le critiche nei suoi confronti provenivano ormai sia dagli stessi colleghi di partito che da quelli dell’opposizione, da analisti e intellettuali. Su radio Tokyo Fm lo ha preso in giro anche lo scrittore Haruki Murakami sostenendo: “Deve avere una vista molto buona per la sua età. Io che sono suo coetaneo, di vie d’uscita dalla crisi pandemica non ne vedo proprio nessuna”.

Draghi come Turkmenistan, Micronesia e Indonesia

Turkmenistan, Indonesia e Micronesia: uniche nazioni nell’urbe terracqueo in questo momento con l’obbligo al vaccino anti-Covid (quasi) per tutti.

Nella Vecchia Europa è singnificativa la posizione assunta dalla Germania con Angela Merkel: “Non credo che possiamo guadagnare fiducia cambiando ciò che abbiamo detto: cioè nessuna vaccinazione obbligatoria, ma penso che possiamo guadagnare fiducia pubblicizzando la vaccinazione e anche lasciando che il maggior numero possibile di persone nella popolazione diventi ambasciatore del vaccino in base alla propria esperienza”. È il 13 luglio scorso quando Merkel spiega questo concetto al Robert Koch Institut: “Nessuna vaccinazione obbligatoria in Germania”. Angela Merkel rimane il primo ministro più influente d’Europa e pur se la sua cancelleria lunga ben 16 anni è agli sgoccioli, il 26 settembre la Germania va al voto, potrebbe rimanere in carica ancora per mesi se si considera che nel 2017 ce ne vollero cinque prima della Grosse Koalition tra democristiani e socialisti a sostegno del quarto governo Merkel. Pochi giorni dopo la presa di posizione della cancelliera è stata la ministra alla Giustizia Christine Lambrecht a ribadire che in Germania un obbligo vaccinale “non è possibile”, rifiutando una tale opzione addirittura anche per categorie specifiche, come per esempio il personale sanitario: l’Italia è stata la prima in Europa, lo scorso aprile, ad introdurre l’obbligo per i camici bianchi, a giugno la Francia ha preso la stessa decisione. “In compenso, chi rifiuta il vaccino nelle case di cura oppure negli ospedali potrebbe essere sottoposto obbligatoriamente ai tamponi – ha aggiunto Lambrecht –, si può invece ragionare sul fatto che i non-vaccinati debbano pagare per i tamponi affinché questo costo non debba pesare ancora sulla collettività”. Mentre in Italia impazza, quindi, il dibattito dopo l’annuncio del premier Mario Draghi due giorni fa di un futuro obbligo gli unici Paesi ad aver introdotto l’obbligatorietà di massa sono appunto Turkmenistan, Indonesia e Micronesia.

Venghino signori: punture per tutti

Il Turkmenistan, repubblica ex sovietica dell’Asia centrale, presieduta dal 2007 da un dentista, già ministro della Sanità, spesso accusato di totalitarismo, Gurbanguly Berdimuhamedow, ha introdotto l’obbligatorietà del vaccino anti-Covid per i maggiorenni a partire dallo scorso 7 luglio. L’Indonesia ha fatto prima: obbligo in vigore da febbraio, ancor prima dell’inizio del- l’arrivo dei vaccini nel Paese. Ma la situazione pandemica continua a spaventare con una curva, seppur in discesa, che conta ancora ottomila casi al giorno, tanto che le scuole sono aperte a metà, col 50 per cento degli studenti in didattica a distanza, nonostante più del 90% dei ragazzi tra i 12 e i 18 anni e l’85% dei docenti sia già vaccinato. Per chi non si vaccina ci sono multe di 5 milioni di rupie (400 euro, lo stipendio medio è meno di 290 euro). All’opposto in Micronesia, arcipelago di 607 isole per 100 mila abitanti, pur non essendo investiti dalla pandemia, hanno reso comunque il vaccino obbligatorio da luglio.

Anche in Kazakistan l’obbligo è molto esteso: scuole, trasporti, vendita al dettaglio, banche, alberghi, scuole, spettacoli. In Arabia Saudita c’è l’obbligo per tutti i lavoratori, settori pubblico e privato indistintamente, che devono svolgere la loro mansione in presenza e per chiunque debba entrare in uffici governativi, a scuola o sui mezzi pubblici. In Sudafrica il ministro della Sanità Joe Phaahla ha affermato che il governo consentirà alle aziende di decidere se rendere obbligatorie o meno le vaccinazioni per dipendenti e clienti. Ristoranti, bar, negozi di alimentari e altre attività dovranno stabilire le proprie politiche riguardo all’accesso dei clienti non vaccinati. Il ministro ha spiegato che il governo intende incoraggiare le persone a farsi vaccinare senza nessun obbligo ma con incentivi per gli immunizzati come l’accesso a partite di calcio e concerti. Attualmente questi eventi pubblici non sono consentiti dalle restrizioni per il Covid-19.

Nessuna imposizione da Washington

Negli Stati Uniti non ci sono obblighi imposti da Washington, l’amministrazione di New York City si è mossa prima di tutti per il green pass in ristoranti al chiuso e palestre, ad esempio e da questo mese tutti gli operatori sanitari dovranno vaccinarsi. In Grecia entro questo mese dovranno completare la vaccinazione medici e sanitari che vorranno continuare a lavorare. In Australia l’anti-Covid è obbligatorio soltanto per i lavoratori delle case di riposo per anziani. Nel Regno Unito l’obbligatorietà nelle case di riposo scatterà da ottobre. Ma la notizia che arriva da Londra ieri è un’altra: gli esperti del comitato medico-scientifico britannico indipendente che assiste il governo di Boris Johnson sulla campagna vaccinale anti-Covid (Jcvi), il Cts inglese insomma, hanno negato la luce verde alla somministrazione – pur autorizzata dalle agenzie del farmaco – dei vaccini ai bambini e ragazzi sani fra i 12 e i 15 anni. Secondo l’organismo, il rapporto fra rischi e benefici, infatti, per questa fascia d’età non suggerisce il via libera basato solo su considerazioni di cautela sanitaria generale, mentre la vaccinazione fra i giovanissimi rischierebbe di creare intoppi all’attività scolastica. In Italia la somministrazione del vaccino, così come autorizzato dall’Ema, l’agenzia del farmaco europea, è ormai da mesi a beneficio degli over 12.

Cauda del Gemelli: “Meglio il consenso”

In Italia dissenso rispetto all’obbligo arriva dal Policlinico Gemelli di Roma, addirittura da direttore del dipartimento Malattie infettive Roberto Cauda: “Come medico sono favorevole alla massima copertura vaccinale. Ma come accade in altri Paesi, penso a quelli scandinavi, su questi temi preferisco il consenso all’obbligo. Però, se la situazione epidemiologica evidenzia delle difficoltà nel contenimento della pandemia, con il rischio dell’arrivo di temute varianti, a mali estremi occorre rispondere con estremi rimedi. Però è sempre una scelta politica”.

Nuove balle sul Reddito, così Matteo scambia i numeri con la propaganda

Possiede il dono della sintesi Matteo Renzi. E, infatti, ieri è riuscito a condensare due totali inesattezze sul Reddito di cittadinanza in una breve frase di appena dodici parole. Da Ponte di Legno, impegnato nella sua scuola di politica, ha affermato che, nonostante la presenza del sussidio, “i poveri restano poveri ma sono subalterni ai politici; è voto clientelare”. Per sostenere il suo referendum abrogativo della misura e, in generale, le posizioni revisioniste in asse con il centrodestra, si è rifatto come al solito a valutazioni che molto hanno a che fare con la propaganda e le sensazioni (sue) e molto poco con i numeri.

Che gli indigenti siano rimasti tali malgrado il Reddito, per esempio, è smentito dall’Istat: nel 2019, primo anno di operatività del sostegno targato Movimento Cinque Stelle, i poveri assoluti si sono ridotti di oltre 400 mila, passando da 5 a 4,6 milioni.

Nel 2020, l’indicatore è invece tornato ad aumentare ma come inevitabile effetto della pandemia; tuttavia, sebbene gli individui nel disagio siano ora 5,6 milioni, è diminuita l’intensità, cioè quel valore che misura “quanto poveri sono i poveri”. “Tale dinamica – ha precisato l’Istat alla fine di giugno – è frutto anche delle misure messe in campo a sostegno dei cittadini (reddito di cittadinanza, reddito di emergenza, estensione della Cassa integrazione guadagni, ecc.)”. In pratica, l’impatto del sostegno è tutt’altro che pari a zero. C’è poi la seconda parte della frase: “I poveri sono subalterni ai politici, è voto clientelare”. In genere l’equazione corretta è quella contraria e cioè che il clientelismo prospera proprio laddove mancano le misure sociali, poiché le famiglie in difficoltà sono più ricattabili. In ogni caso anche questa affermazione è smentita dai numeri: il Movimento Cinque Stelle – artefice del Reddito di cittadinanza – ha in realtà vissuto un crollo dei consensi dopo aver approvato la legge.

Nel 2018 aveva ottenuto il 32% alle elezioni politiche; a maggio 2019, subito dopo il pagamento delle prime 600 mila carte acquisti, è sceso al 17% alle elezioni del Parlamento europeo. Nelle Regioni del Sud, mentre alla Camera aveva superato il 47%, nella circoscrizione meridionale delle europee (che comprende anche l’Abruzzo) si è fermato al 29,1%.

Decisamente confuso il leader di Italia Viva appare anche sul tema delle politiche del lavoro connesse al Reddito: “Nel momento in cui lo metto sul tavolo – ha detto alla Stampa riferendosi al proposito di abolire il Rdc – entra in scena chi dice ‘salviamo l’assegno di povertà, togliendo il caos dei navigator’”. Quello che lui definisce il “caos dei navigator” è però già destinato a esaurirsi a fine anno, non c’è bisogno di abrogarlo esplicitamente: i 3 mila operatori assunti dall’Anpal servizi sono stati reclutati in via provvisoria solo per tamponare la fase iniziale, data la storica debolezza dei centri per l’impiego. Nelle intenzioni iniziali i navigator dovevano durare fino ad aprile 2021; poi sono stati prorogati solo per la pandemia e perché le Regioni sono indietro con le assunzioni nei centri per l’impiego (meno di mille su 11.600).

“Zoom e clic”: la lezione di Renzi ai “ragazzi” di Iv

Cosa avranno imparato i 400 ragazzi under 30 che, per una quota individuale di 100 euro, negli ultimi tre giorni hanno partecipato alla scuola di formazione politica di Matteo Renzi? “Meritare l’Europa”, il titolo della kermesse andata in scena da mercoledì a venerdì a Ponte di Legno (Brescia), splendido luogo di montagna dove soleva trascorrere le vacanze Umberto Bossi, un’era geologica fa. Il dominus 2021 è però Renzi, quasi sempre con camicia fuori dai jeans e sneakers d’ordinanza. Sguardo sornione e battuta pronta, ha portato i ragazzi pure a fare una passeggiata sul ghiacciaio Presena a oltre 3 mila metri. Ieri, nell’intervento conclusivo, dopo due giorni di dibattiti in cui si sono alternati, tra gli altri, Elena Bonetti e Roberto Cingolani, Matteo Bassetti e Teresa Bellanova, Raffaella Paita e Lorenzo Guerini, con Giovanni Malagò più piacione dello stesso Renzi, l’ex premier ha lasciato la platea con delle chicche racchiuse in dieci tweet. Dieci perle di saggezza che andiamo sommariamente d elencare.

“Inseguire le idee, non i like. I sondaggi passano, i valori restano”. E qui siamo alle mani avanti, visto che i sondaggi di Italia Viva sono sempre inchiodati al 2%, indi per cui bisogna accontentarsi d’altro. Cosa sarebbe la politica senza idee? Solo che qui il nostro parte con un pippone in cui spiega che “per vincere bisogna andare a prendere i voti a destra, altrimenti si perde”. “E quando l’ho detto, i miei m’hanno massacrato. Ma conquistare i voti dell’altra parte politica non significa snaturarsi”, aggiunge. Ora però, come nel gioco dell’oca, saltiamo qualche casella e andiamo al tweet numero sette, che Renzi dal palco spiega così: “Sappiate ascoltare, ma anche parlare. La potenza della parola è fondamentale in politica. Servono leader, persone che si prendono la responsabilità di guidare e fare scelte, non solo i follower. Invece a sinistra si è sempre in cerca di un leader e, quando lo trovano, fanno di tutto per farlo fuori”. Insomma, ogni riferimento a se stesso e alle note vicende coi suoi ex compagni del Pd è puramente voluta. E a proposito di ex, quando recita il tweet numero nove, ovvero “la vostra vendetta sia sempre il sorriso”, sul mega schermo compare l’immagine di Nelson Mandela, ma il pensiero di molti va a Enrico Letta, che di fronte a Renzi non riesce a sorridere manco adesso.

Ma torniamo indietro, al tweet numero due. “Sappiate andare controcorrente”. “Noi in questa legislatura l’abbiamo fatto tre volte: opponendoci affinché Luigi Di Maio, che nel 2018 aveva già un accordo in tasca con Maurizio Martina, non diventasse premier. Poi favorendo la nascita del Conte-2, lasciando Salvini a bere mojito al Papeete. Infine, portando il migliore di tutti, Mario Draghi, a Palazzo Chigi al posto di Conte e Casalino. Quest’anno al governo c’è uno migliore di me, l’anno scorso no”. Il terzo tweet è “fate zoom e non clic”, nel senso di “non fermarsi al web ma studiate e imparate a conoscere le persone”. Il quarto è “siate figli di migranti e diventate migranti voi stessi”, e qui a illustrare c’è l’immagine dei due scienziati turchi che in Germania hanno realizzato il vaccino anti Covid per Pfizer-Biontech. Ogni tanto, per darsi un tono, butta lì interi periodi d’inglese smozzicato. Le lingue sono il suo pallino e, col suo girovagare per il mondo, qualche lezione Renzi deve averla presa: in questa tre giorni s’è lanciato più volte anche nel francese.

Il quinto tweet è memorabile: “Scegliete i migliori, non gli amici”. E sembra una massima esternata solo per attaccare l’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede reo, secondo il leader italovivo, di aver messo a capo del Dap Francesco Basentini come sorta di riconoscimento per l’inchiesta sulle estrazioni petrolifere in Basilicata che, per vicende fuori dalle indagini, portarono, nel 2016, alle dimissioni della ministra Federica Guidi dal governo Renzi. “Mettere gli amici nei posti importanti è controproducente: quell’inchiesta è finita nel nulla e abbiamo visto cosa accade nelle carceri italiane con i fatti di Santa Maria Capua Vetere”, afferma Renzi. “Potete essere amici dei migliori, ma non mettete gli amici al posto dei migliori”, ha spiegato ai giovani allievi. Ci par di ricordare, però, che, se c’era un premier che nei posti chiave metteva solo amici e fedelissimi, questo era lui. Un fenomeno talmente noto da diventare categoria politica: il Giglio magico. Velocemente, gli ultimi tweet: “Non solo riaprite, ma riempite teatri e musei”; “Credete nella scienza e nella ricerca, non a quelli che vogliono i vaccini gratis”; “Siate patrioti d’Europa e cittadini del mondo”. E in onore proprio dell’Europa l’annuncio che il prossimo anno la kermesse si terrà a Ventotene. In serata, infine, un salto a Castenedolo per presentare una riedizione di un libro su Mino Martinazzoli, insieme a Marta Cartabia e Pier Ferdinando Casini. Una figura, quella dell’ultimo segretario Dc, lontanissima da Renzi. “Ha fatto diventare Martinazzoli renziano a sua insaputa”, sussurrano alcuni ex Dc bresciani che non hanno affatto gradito la presenza dell’ex premier.

Michetti. Il maxifantasma Durigon nella marcia della destra in affanno

Chiedono tutti di lui. Perché questo è il suo territorio ed è lui che ha fatto le liste. Doveva presentare i candidati della Lega in Campidoglio e i presidenti di municipio. Solo che all’associazione delle auto storiche della Rustica, piccolo club della periferia est di Roma, Claudio Durigon non c’è. Dà forfait all’ultimo minuto, tant’è che anche gli organizzatori rimangono spiazzati. “Viene, viene” rassicuravano alle 19, dopo mezz’ora dall’inizio dell’evento. All’ora di cena, però, quando il coordinatore regionale del Lazio non si fa vedere, arriva il colpo di scena: Durigon non verrà. Le versioni sulla sua assenza sono contrastanti. Dalla Lega fanno sapere che è “in giro nel Lazio per ultimare le liste”, mentre Claudio Lozzi, segretario regionale dell’Ugl viabilità e logistica, ex dc convertito al Carroccio, dice che “ha avuto problemi familiari e non ce la fa”. Non è andato nemmeno a Itaca, la festa della Lega a Formello aperta ieri sera da Matteo Salvini (“forse passerà il segretario a tarda sera” dicono a La Rustica). Il timore di dover rispondere alle domande dei giornalisti non è contemplato, ma il sospetto viene.

Come che sia, l’ex sottosegretario all’Economia, dimessosi dopo la polemica sul parco di Latina da intitolare al fratello di Mussolini, tornerà a Roma lunedì. “Arriverà carichissimo per la campagna elettorale” dicono dal Carroccio. Farà diversi eventi con Michetti ma soprattutto con i candidati della Lega in consiglio comunale. Quelli che ieri sera lo aspettavano per ricevere l’incoronazione. C’era il candidato sindaco Enrico Michetti, i candidati all’assemblea capitolina Flavia Cerquoni e Maurizio Politi, il candidato al IV municipio Roberto Santoro e l’europarlamentare Cinzia Bonfrisco.

L’impronta di Durigon sulla serata però si vede subito: di residenti del quartiere La Rustica ce ne sono pochi, al massimo una ventina, venuti qui per l’aperitivo e la pasta al pomodoro gratis. Gli altri sono esponenti dell’Ugl, sindacato di cui Durigon è stato vice segretario generale, e giornalisti. Ci sono quattro bandiere, tre della Lega e una di “Prima l’Italia”, il movimento che Salvini sta lanciando per esportare la Lega al Sud. Con l’aiuto di Durigon, ovviamente, che nei prossimi giorni sarà nominato vicesegretario. “Qui eravamo tutti democristiani, anzi lo siamo ancora – dice la signora Franca, venuta per incontrare l’ex sottosegretario – Claudio ci piace tantissimo”. I candidati prendono la parola ma nessuno li ascolta. Nemmeno Michetti che ieri ha dovuto leggere gli ultimi sondaggi di BiDi Media che lo danno in vantaggio al primo turno al 31% ma perdente contro tutti gli altri, compreso Carlo Calenda, al ballottaggio. E il perché si capisce appena inizia a parlare. In cinque minuti di discorso non parla mai del quartiere e dei suoi problemi (giovedì, per dire, sono state arrestate quattro persone per aver organizzato un raid a colpi di coltellate contro i migranti). Ma Michetti vola alto, verso il vuoto: “Il Campidoglio deve tornare ai romani – dice – bisogna far tornare grande questa città”. Nessun applauso, le patatine e i crodini sono più importanti. I candidati leghisti prendono la parola per due minuti a testa, ma nessuno scalda la platea: “Ma Salvini viene? E Durigon?”.

Raggi. Conte con Virginia a “casa” dei clan: “Prima di noi era Mafia Capitale”

“Signora, lei si lamenta e poi va via?”. Roma, interno giorno nel quartiere San Basilio, periferia per davvero, cuore dello spaccio di droga nella Capitale. Giuseppe Conte, come sempre in completo blu, sta in un mercato coperto assieme alla sindaca Virginia Raggi, e cerca di gestire una signora che inveisce contro il Reddito di cittadinanza: “Io so i nomi e i cognomi di gente che lo prende e non dovrebbe…”. Sarà anche questo “la campagna di ascolto” come la definirà poi lo stesso Conte, cioè il tour dell’ex premier lungo l’Italia che partirà lunedì da Napoli, dove l’avvocato si gioca quasi tutto con un suo candidato, Gaetano Manfredi. “Girerò il Paese per imparare e costruire il programma del Movimento” promette. Prima però c’è da lanciare la lista del Movimento a Roma, assieme a quella Raggi con cui l’avvocato ha ricostruito un rapporto prima quasi inesistente. Così eccoli in una delle periferie dove nelle urne del 2016 la sindaca stravinse e dove spera ancora di raccogliere i voti per arrivare al ballottaggio, lei che i sondaggi danno terza.

E a San Basilio appare anche per rimarcare la differenza con il dem Roberto Gualtieri, che qualche ora prima ha aperto la sua campagna elettorale alla Bocca della Verità, nel cuore della Roma dei monumenti. Giulia Tempesta e Riccardo Corbucci (Pd) la accusano di “passerella elettorale”, proprio mentre Conte nel mercato quasi placa la signora infuriata (“Me devo sfogà”). Il resto del tempo lo passa soprattutto a concedere selfie a famiglie e commercianti. “Volete una foto? Prego, 50 euro” scherza l’ex premier. Invece Raggi fa il pieno di lamentele (garbate) da alcune signore: “Nella mia strada i lampioni sono tutti rotti, ma le tasse sono altissime”. La sindaca ascolta, promette, smista: “Segnali tutto a quel ragazzo con la giacca blu, lavora con me”. Poco prima aveva trovato la serrande della palestra della legalità bloccata con colla e silicone. “Un’intimidazione, io sono scomoda ma non ho paura” giura. Poco dopo, in una piazza con una fontana colorata, Conte va dritto al microfono: “Questa è la terza piazza di spaccio in Europa e qui a pochi metri ci sono i clan, ora ci stanno ascoltando”. E sarà la linea principale della campagna di Raggi, ricordare che è lei ad aver affrontato le mafie delle periferie e del litorale, l’amministratrice della legalità. “Perché nessuno prima di Virginia è andato con le ruspe ad abbattere le villette dei Casamonica o degli Spada?” chiede e ricorda l’ex premier.

Ammette che la giunta a 5Stelle “ha commesso errori, certo, ma prima di noi c’è stata Mafia Capitale, mentre il M5S non fa politica clientelare, ha risanato i conti e ha rifatto i bandi”. Raggi annuisce. Presto la sindaca girerà la città, in camper. A fine mese evento con parlamentari, il primo ottobre la manifestazione di chiusura. Non sono previsti appuntamenti con Beppe Grillo. Conte invece è pronto per il suo tour, organizzato da Paola Taverna. La vicepresidente del Senato c’è, dietro il palco di San Basilio. E ribadisce la rotta: “Siamo qui per gettare le basi del nuovo M5S, per seminare, vincere alle Amministrative non è il primo obiettivo”. Mentre l’ex premier chiosa: “Gualtieri è stato un buon ministro, ma Virginia va sostenuta a testa alta”. Ora sarà il tour. Invece la nuova segreteria del M5S potrebbe scivolare a dopo le Comunali. Avrà cinque vicepresidenti, di cui tre donne. La struttura, per il presidente Conte.

“Libera scelta sia: un prof. senza iniezione è uguale all’immunizzato”

Dal 1º settembre per frequentare le università italiane, sostenere gli esami e seguire le lezioni si deve essere in possesso del green pass. Vale anche per i docenti e tutto il personale. Di fatto si estende l’obbligo di vaccinazione per accedere anche ai diritti fondamentali, allo studio e al lavoro, senza la piena assunzione di responsabilità del decisore politico. Molti tra noi hanno liberamente scelto di sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid-19, convinti della sua sicurezza ed efficacia. Tutti, però, reputiamo ingiusta e illegittima la discriminazione ai danni di una minoranza, in contrasto con i dettami della Costituzione (art. 32: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”) e con il Regolamento Ue 953/2021, che chiarisce che “è necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono state vaccinate” o “che hanno scelto di non essere vaccinate”. Nella realtà universitaria, i (già 150 ndr) docenti sottoscrittori di questo appello ritengono che si debba preservare la libertà di scelta di tutti e favorire l’inclusione paritaria. Si violano i diritti di studio e formazione garantiti dalla Costituzione e rappresenta un pericoloso precedente. Auspichiamo che si avvii un serio dibattito politico, nella società e nel mondo accademico, per evitare ogni penalizzazione in base a scelte personali.