I circa 200 miliardi di fondi Ue per il rilancio dell’economia italiana colpita dalla pandemia dovrebbero convincere il premier Mario Draghi e il suo “governo dei migliori” a introdurre nuove regole in grado di ridurre al minimo i rischi che i maxi-esborsi di denaro pubblico comportano un po’ in tutti i Paesi. In particolare appare necessaria una normativa più efficace e stringente sulla corruzione con tangenti dilazionate nel tempo e sui conflitti d’interessi nei passaggi tra il settore pubblico a quello privato (detti “sliding doors”): perché è ormai noto che tanti politici e alti burocrati corrotti di molte nazionalità preferiscono – invece di “mazzette” in contanti o su conti segreti nei paradisi fiscali – pagamenti rinviati a dopo la loro uscita dalle cariche di potere, molto meno rischiosi in quanto nascosti dietro ricchi contratti per consulenze, lobbying, pubbliche relazioni, conferenze, ecc.
Le attuali regole italiane e quelle Ue consentono a banche, multinazionali, lobby, fondazioni o agenzie varie di mantenere la riservatezza sulle prestazioni e sulle retribuzioni dei loro assunti provenienti dal settore pubblico. Questa “discrezione” rende così difficile e spesso impossibile distinguere tra ex governanti e alti burocrati ingaggiati per competenze reali, a prezzi di mercato, e quanti potrebbero essere percettori di tangenti camuffate da stipendi. In queste “mazzette” future è difficile individuare anche il corruttore, che può finanziare contratti di consulenza, assunzioni o conferenze nascondendosi dietro il segreto garantito da banche, società, lobby, fondazioni, think tank e infinite entità di intermediazione.
Sarebbe quindi auspicabile un potenziamento specifico della normativa penale sulla corruzione. Ma, come primo passo, si dovrebbe imporre subito l’assoluta trasparenza sui contratti e le prestazioni nel settore privato di ex governanti ed ex dipendenti pubblici. Anche perché converrebbe agli stessi ex politici ed ex alti burocrati qualificati e corretti poter prendere le distanze dai “colleghi” con incarichi professionali fittizi, ottenuti per fondi, appalti o “favori” elargiti nel loro passato nello Stato.
Draghi conosce bene questa problematica. Quando fu esaminato dall’Europarlamento e dalla stampa – prima di assumere la presidenza della Bce – scontò gli effetti negativi della riservatezza sul suo passaggio dal 2002 alla banca d’affari privata Usa Goldman Sachs, dopo un decennio da potente direttore generale del ministero del Tesoro (dove aveva guidato la vendita ai privati di grandi aziende dello Stato, gestito il maxi-debito dell’Italia e aperto le porte a lucrosi guadagni con la Pubblica amministrazione per multinazionali della finanza e della consulenza). Il suo curriculum di alto livello e l’ampio consenso tra i governi Ue sul nominarlo alla Bce furono in parte offuscati dai dubbi sul passato da banchiere privato. Gli fu contestato, per esempio, che Goldman Sachs aveva comunicato che avrebbe operato anche con governi e agenzie governative, mentre Draghi negava eventuali conflitti d’interessi sostenendo di essersi limitato a trattare con clienti privati. La semplice regola di dovere rendere noti – fin nei dettagli – il contratto nel privato e come è stato attuato avrebbe potuto eliminare le ombre. E può allontanare i sospetti che tra gli impegni imposti da banche e società agli ex governanti e alti burocrati – in cambio di “stipendi d’oro” – possano esserci clausole nell’interesse del “datore di lavoro” privato da rispettare se in futuro tornassero in un ruolo pubblico.
Le istituzioni Ue e molti Paesi membri hanno scelto una linea blanda sui rischi di “corruzione dilazionata”. Di fatto lasciano evaporare nel tempo le inevitabili polemiche su “opportunità” e “conflitti d’interessi” provocate dalle attività private, intraprese perfino da big come l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder (passato al colosso russo Gazprom per il gasdotto North Stream), l’ex premier inglese Tony Blair (diventato ricco con consulenze, conferenze e altri business) o l’ex presidente portoghese della Commissione Ue José Manuel Barroso (assunto dalla Goldman Sachs).
In Italia una richiesta di massima trasparenza sugli arricchimenti da “sliding doors” era stata respinta dall’allora premier Mario Monti, che – dopo un decennio da commissario Ue – era passato alla Goldman Sachs. Draghi e il suo “governo dei migliori” dovrebbero dimostrare discontinuità con i predecessori e introdurre regole più rispettose degli interessi dei cittadini e degli ex governanti corretti anche perché l’ex premier Matteo Renzi, leader del mini-partito Italia Viva, rivendica come legittimo (con le norme attuali) perfino potersi arricchire con business privati senza nemmeno aspettare l’uscita dalla politica attiva.