Stalking, senatrici furiose: riunione sul quesito n°5

La prossima seduta è prevista per il 14 settembre, ma non è affatto escluso che si anticipino i lavori di una settimana, ossia alla riapertura del Senato, ché la Commissione d’inchiesta sul femminicidio ribolle: l’approvazione di uno dei quesiti referendari proposti da Radicali e Lega, quello che vorrebbe limitare l’uso delle misure cautelari solo nel caso di reiterazione delle condotte commesse con l’uso della violenza o di armi, rischia di essere devastante. Perché depotenzierebbe il contrasto a una serie di reati che non comprendono un’aggressione fisica o l’uso di mezzi violenti.

Lo stalking, per tacere del resto come lo spaccio, il furto o le frodi come ha segnalato Fabio Roia presidente vicario del Tribunale di Milano (dove è a capo della sezione Misure di Prevenzione) e consulente proprio della Commissione istituita per fare luce sulle cause e le dimensioni del femminicidio e di ogni altra violenza di genere. Di cui è presidente la dem Valeria Valente che al Fatto dice senza mezzi termini: “Condivido pienamente l’allarme lanciato dal giudice Roia e dai nostri altri consulenti a cui una settimana fa ho chiesto alcuni approfondimenti proprio sugli esiti possibili dell’approvazione di quel referendum. Sono emersi una serie di elementi convergenti che mi portano a dire che dall’approvazione del referendum deriverebbe una normativa insostenibile tale da minare e incrinare il sistema: le misure cautelari presuppongono l’esistenza di un pericolo sociale che nei casi di cui ci occupiamo c’è eccome”. Valente parla a titolo personale, ma in molti, nell’organismo che presiede, la pensano come lei. “Sono convinta che in Commissione Femminicidio affronteremo il tema in maniera puntuale: sin d’ora mi sento di dire che quel quesito referendario sembra fatto con l’accetta senza guardare all’impatto sui reati che stiamo cercando di tutelare in via preventiva. Insomma non ci siamo proprio: qui si va nel senso opposto” dice la senatrice Alessandra Maiorino del Movimento 5 Stelle.

Si fa sentire anche il partito di Giorgia Meloni. “Fratelli d’Italia è contraria a due dei sei quesiti referendari, nello specifico quello su carcerazione preventiva e abrogazione della legge Severino” spiega Isabella Rauti, anche lei in Commissione d’inchiesta sul Femminicidio. “Quanto al primo, se il quesito referendario venisse approvato resterebbero sguarnite di misure cautelari molte condotte criminose anche di rilevante entità; e l’arresto in flagranza sarebbe immediatamente seguito dalla remissione in libertà dell’arrestato”.

FI candida il fratello di Cosimo Ferri: Iv s’allea con la destra

“Jacopo è il miglior candidato per Pontremoli”. Bastano sette parole a Cosimo Ferri, già sottosegretario alla Giustizia e oggi deputato di Italia Viva, per benedire l’insolita alleanza: a Pontremoli, Comune in provincia di Massa-Carrara al voto alle Amministrative di ottobre, i renziani sosterranno il candidato del centrodestra. E non solo per motivi politici, dato che Jacopo Ferri (nella prima foto), forzista da una vita e oggi aspirante sindaco, è fratello dell’onorevole Cosimo (nella foto a destra).

Con gli affetti di mezzo, dunque, non c’è niente da fare. Tre giorni fa la consigliera comunale del Pd Elisabetta Sordi ha formalizzato la propria candidatura, che però potrà contare soltanto sul sostegno dei dem e dei partiti alla sua sinistra. Italia Viva guarda altrove, con Cosimo già impegnato nella campagna elettorale per il fratello: “Un partito riformatore e innovatore – ha scandito a La Nazione nelle scorse ore – deve agevolare progetti civici e sostenere nell’interesse dei cittadini le migliori azioni amministrative. Jacopo è questa sintesi ed è una figura che saprà unire e rappresentare tutti”.

Con tanti saluti alla Sordi e al centrosinistra, che adesso si ritrova un problema niente male. Se altrove il contributo di Italia Viva non è determinante, a Pontremoli la famiglia Ferri è infatti conosciutissima. Enrico, padre di Cosimo e Jacopo, fu ministro ai tempi di Ciriaco De Mita, poi segretario del Psdi e eurodeputato coi socialisti e con Forza Italia, ma soprattutto restò per quattordici anni sindaco di Pontremoli a cavallo tra gli anni 90 e i primi 2000. Jacopo, dopo una carriera in Consiglio comunale e in Regione Toscana, adesso ne vuole seguire le orme col placet del fratello renziano.

Un intrigo che ha spiazzato il Pd locale: “Cosimo è stato eletto in Parlamento coi voti del Pd – ricorda al Fatto la candidata Elisabetta Sordi – e Italia Viva in Regione fa parte di una coalizione di centrosinistra. Che l’onorevole Ferri sostenga un familiare è del tutto normale, ma che garantisca anche il suo appoggio politico al candidato della destra ci lascia perplessi”.

Anche perché il tema non si limita soltanto al caso di Pontremoli. Nei 30 Comuni toscani al voto in ottobre, al momento soltanto in quattro il Pd e Italia Viva hanno trovato l’intesa sullo stesso candidato sindaco. E talvolta i rapporti sono persino disastrosi. Come a Sesto Fiorentino, dove Italia Viva corre con il deputato Gabriele Toccafondi (ex Forza Italia) e accusa i dem di essersi asserviti a 5 Stelle e sinistra radicale, per usare gli argomento dell’ultima e-news di Matteo Renzi. Non sorprende allora che nel collegio di Siena, al voto per le suppletive della Camera, i renziani diserteranno la campagna elettorale di Enrico Letta, candidato unitario di Iv, Pd e Movimento.

No sbarchi, no-vax e fascisti. Ecco il “moderato” Salvini

Un De Gaulle in miniatura. Così il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano sembra descrivere Matteo Salvini: sostiene che il leghista ha “una visione” del Paese e che il premier Mario Draghi lo abbia addirittura “cambiato”. In meglio, s’intende. Ma come? A leggere le ultime dichiarazioni di Emiliano, Salvini sarebbe diventato un moderato che ha addirittura abbracciato “l’euro e l’Europa”. Che il tentativo di Salvini sia quello di rivendersi come il leader di un centrodestra moderato con l’obiettivo di annettere quel che resta di Forza Italia, non v’è alcun dubbio. Che nella sostanza ci stia riuscendo davvero, però, è smentito dalle sue stesse dichiarazioni, dalle sue battaglie politiche e dalla sua “Bestia” social che, ogni giorno, dà in pasto ai suoi follower foto di barconi in arrivo verso l’Italia, storiacce di cronaca nera (violenti, spacciatori, meglio se immigrati) ma anche messaggi che vellicano i peggiori istinti anti-vaccinisti. L’obiettivo è chiaro: rincorrere Giorgia Meloni sempre più a destra.

L’ultima battaglia è quella contro la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, accusata di non fare “niente” per fermare gli sbarchi. Per dimostrarlo, ogni giorno, il leader della Lega pubblica post e tweet con i dati dei nuovi arrivi parlando espressamente di “invasione”, corredati con video e foto di immigrati che spacciano o accoltellano agenti di polizia. L’ultimo tweet sul tema è di lunedì: “Milano, una bimba subisce delle molestie. Interviene lo zio della piccola ma viene aggredito e ferito con un coccio di bottiglia. Arrestato un 45enne originario della Costa d’Avorio, pluripregiudicato e con diversi ordini di espulsione mai eseguiti. Lamorgese, chi l’ha vista?”. E giù insulti contro la ministra che “apre i porti a tutti” e contro il governo che ha fatto “diventare l’Italia una colonia dell’Africa”. Poi c’è la versione ancora più hard: la contrapposizione tra gli immigrati e gli italiani in tempi di Covid. “Chiudere in casa gli italiani alle 10 di sera, nelle ore in cui sbarcano migliaia di immigrati a Lampedusa, non ha alcun senso” twittava l’11 maggio. Oggi sfrutta la tragedia del poliziotto morto di Covid a Taranto dopo il contagio in un centro di accoglienza per gridare all’immigrato untore: “È morto per Covid un poliziotto impegnato all’hotspot di Taranto, che ospitava 300 migranti, 33 positivi. Proprio nel centro di accoglienza aveva contratto il virus” ha scritto Salvini su Facebook. Sulla lotta alla pandemia negli ultimi mesi il leghista ha portato avanti una battaglia per le riaperture e contro ogni limitazione. Tant’è che alcuni suoi fedelissimi – tra cui Alberto Bagnai, Claudio Borghi e Armando Siri – sono scesi in piazza contro il green pass. Anche sul caso Durigon il leghista è stato tutt’altro che moderato difendendo per giorni il suo sottosegretario. Nella Lega salviniana non mancano i nostalgici: negli ultimi anni ha accolto molti esponenti provenienti dall’estrema destra. Di fronte a queste evidenti posizioni estremiste, Emiliano al Fatto precisa che da parte sua non c’era alcuna intenzione di fare un endorsement nei confronti di Salvini e che su questi temi, “in primis sui migranti”, resta “ferma la linea di demarcazione tra noi e la Lega”. “Le mie dichiarazioni – continua – registravano solo un cambiamento nella linea di Salvini con il suo sostegno al governo Draghi e al progressivo cambio di linea del suo partito in senso più europeista”. Emiliano però esclude un governo Lega-Pd con Draghi a Palazzo Chigi dopo il 2023: “Questo modello è legato all’emergenza sanitaria ed economica in atto e all’attuazione del Pnrr”.

Nel frattempo le mire di Salvini per federare il centrodestra vanno avanti. Per annettere FI e i centristi, il leghista ha “assunto” due consiglieri speciali: il suocero Denis Verdini, che nell’ultimo colloquio lo ha incoraggiato ad “andare avanti” per accreditarsi all’estero, e Lorenzo Cesa, leader dell’Udc in grado di portargli voti e ras delle preferenze al Sud. Il segretario è tornato a parlare assiduamente anche con Pier Ferdinando Casini. I due si sentono regolarmente e Casini potrebbe essere l’anello di congiunzione tra Lega-FI e un polo centrista nel 2023. Magari in cambio della sua elezione al Quirinale spinta da Matteo Renzi.

E ora Amazon è tutto il mercato dei “pacchi”

Da tre anni l’Autorità per le comunicazioni monitora il mercato dei servizi postali in Italia, una cosetta – si legge nell’ultimo aggiornamento, appena pubblicato – che nel 2020 ha movimentato circa 850 milioni di pacchi e generato un fatturato stimato tra i 5 e i 6 miliardi di euro (le imprese attive, a stare al ministero dello Sviluppo, sono poco meno di 4.000, quelle rilevanti meno di dieci). Ecco, in questi tre anni, seguito pian piano dall’Authority, il gigante Amazon s’è preso non solo un gran bel pezzo delle vendite online, ma – grazie all’integrazione verticale col suo servizio di consegne e alla pressione che può fare su concorrenti e imprese venditrici – anche il mercato dei pacchi: pare ieri, ed effettivamente era ieri, cinque anni fa, che era un piccolo operatore nelle consegne a casa; oggi è il primo, domani sarà praticamente l’unico.

Per capire bisogna partire dall’inizio. La logistica è un mercato enorme: un’ottantina di miliardi in Italia nel 2020 secondo una stima dell’Osservatorio Gino Marchet del Politecnico di Milano. I servizi postali, cioè all’ingrosso la spedizione di pacchi, sono una nicchia, la più visibile, di questo mercato, che ha tre sotto-categorie: i pacchi spediti dal consumatore (C2X), che valgono il 3% dei ricavi, quelli tra aziende (B2B, business to business) e quelli da aziende a consumatore (B2C, business to consumer): quest’ultimo segmento, minoritario fino a pochi anni fa, vale oggi il 70% in volume e il 51% in fatturato (2,5-3 miliardi) con una crescita annua media superiore al 30% nell’ultimo quinquennio contro il 2% del segmento B2B, dominatore del mercato nei decenni precedenti. È nel business to consumer, il settore più promettente e quello che maggiormente “deve” al Covid e alle relative restrizioni, che la posizione di Amazon è ormai dominante.

L’inchiesta Agcom mostra, infatti, che i problemi di concorrenza sono presenti solo nel settore delle consegne a casa e che questi problemi coincidono con la presenza sul mercato dell’azienda Usa. Tradizionalmente il B2C era diviso in consegne deffered (differite) ed “espresse”: una distinzione che non ha più senso, la consegna media, anche tra le deffered, è 1-2 giorni lavorativi. Nel segmento dei pacchi consegnati a casa dalle imprese, la crescita di Amazon è incredibile: si stima valesse circa il 4% nel 2016, il 20% nel 2018, era già al 36% l’anno scorso, è prevista salire ancora al 51% quest’anno e al 66% nel 2022 (un paio di miliardi di ricavi, dunque, apportati al bilancio della casa madre solo dalla divisione Amazon Italia Transport). Gli altri operatori verranno semplicemente espulsi dal mercato o giù di lì: il gruppo Poste Italiane in questa simulazione passa in quattro anni – dal 2018 al 2022 – dal 30 al 19% del segmento B2C; Gls dal 17 all’8%; Brt dal 10 al 4%.

Il ritmo di Amazon semplicemente non è sostenibile per nessuno: “Nel primo quadrimestre di quest’anno, rispetto allo stesso periodo del 2020, sia i ricavi sia i volumi di Amazon hanno registrato aumenti pari al 90% circa (rispettivamente +87% e +91%), nettamente superiori agli aumenti annui medi registrati dagli altri operatori che effettuano consegne e-commerce nazionali, pari rispettivamente al 34% per i ricavi e al 37% per i volumi”, scrive l’Autorità. In sostanza, cresce tre volte più degli altri, perché “è in grado di trasferire il potere detenuto sul mercato a monte delle vendite e-commerce al mercato a valle delle consegne dei pacchi per l’e-commerce”. E qui veniamo alla già citata “integrazione verticale”.

Secondo “Statista”, citata da Agcom, Amazon nel 2019 vendeva in Italia 2,9 miliardi di euro di merci e copriva il 17% del totale delle vendite online: per capirci Zalando, al secondo posto, valeva il 3% e 517 milioni (adesso la situazione è sicuramente cambiata a vantaggio della società Usa). Amazon dunque è oggi contemporaneamente sia un concorrente delle grandi aziende di servizi postali che loro principale committente: è infatti il primo cliente in termini di fatturato di un’impresa su due e tra i tre più importanti di due imprese su tre.

Questo e le pressioni che può fare sulle aziende venditrici, tanto sulle merci che sulla scelta dei servizi di consegna, la mettono in una posizione oggettivamente dominante: “Da un lato, il potere di mercato detenuto dal lato della domanda come acquirente di servizi di consegna le consente di incidere sulla capacità competitiva dei suoi concorrenti, ad esempio comprimendone i margini. Dall’altro, la possibilità di consegnare in proprio, riducendo o azzerando i volumi commissionati ai concorrenti, rafforza il suo potere negoziale nei confronti dei fornitori terzi”. Risultato: “C’è la possibilità che Amazon in futuro possa essere l’unico operatore in grado di avvantaggiarsi della crescita del mercato delle consegne di pacchi derivante dallo sviluppo dell’e-commerce”. Se non è chiaro qual è il problema, basta aspettare quando non avrà concorrenti per capirlo.

Stagionali, ecco i veri numeri del boom. Il Reddito e la bufala “divanisti”

Se davvero – come raccontano mezzo arco parlamentare e certa stampa interessata – il Reddito di cittadinanza ha reso introvabili i lavoratori stagionali, allora le imprese italiane devono spiegare come è possibile che, dopo l’entrata in vigore del sussidio, le assunzioni siano aumentate e di tanto. Questo dicono i dati: nei mesi successivi all’introduzione della misura anti-povertà – vale a dire aprile 2019 – i contratti di lavoro stagionale sottoscritti sono sistematicamente aumentati, almeno fino a quando le chiusure dovute alla pandemia non hanno giocoforza comportato un crollo che comunque, alla lunga, è stato meno drastico di come si potrebbe percepire dalle urla di dolore emanate a reti unificate. Tanto che, giusto per citarne una, i rapporti avviati in tutto il 2020 sono stati 656 mila, praticamente lo stesso numero registrato nel 2018, penultimo anno di “normalità”.

Insomma, dai report Inps emerge chiaramente che nelle ultime tre estati, pur con molte famiglie sostenute dal Rdc, le aziende turistiche hanno continuato a beneficiare di un vasto esercito di addetti. Con buona pace di Matteo Renzi, Matteo Salvini, Vincenzo De Luca, di ristoratori, albergatori e titolari di stabilimenti balneari che continuano a ottenere grande spazio sui media per portare avanti una narrazione accettata per fede dal centrodestra e parte dell’opinione pubblica, sebbene smentita dalle statistiche. Un dibattito così delicato, come quello che alcuni partiti di maggioranza stanno cercando con forza di inserire nell’agenda del governo al fine di abolire lo strumento o quantomeno colpirlo duramente, non può prescindere dai numeri. Partiamo quindi, come detto, da aprile 2019, quando le prime 564 mila famiglie hanno ricevuto la carta acquisti associata al Reddito di cittadinanza. Nello stesso mese, le assunzioni di lavoratori stagionali hanno visto un incremento molto robusto: 114 mila contro le 76 mila dell’anno prima. Si tratta di un mese dell’anno in cui i datori compiono la prima infornata per preparare la stagione estiva e, nonostante nel 2019 sia coinciso con l’arrivo dell’aiuto statale, si è riusciti persino ad aumentare di molto gli arruolamenti. Questa crescita di assunzioni è proseguita per quasi tutti i successivi mesi dell’anno, tanto che il 2019 ha chiuso con un totale di 733 mila contratti a fronte dei 661 mila del 2018. Se per il confronto ci limitiamo a considerare solo il periodo tra aprile e dicembre, quindi solo quello con il Reddito di cittadinanza già operativo, abbiamo 637 mila contratti nel 2019 e 558 mila nel 2018. Conclusione: nei primi nove mesi di Rdc i rapporti stagionali sono saliti di circa il 13%.

Parliamo dell’ultimo anno prima della pandemia. Quando, a fine febbraio del 2020, l’Italia ha iniziato a fare i conti con il Covid, la situazione è inevitabilmente cambiata. Tra marzo, aprile e una parte di maggio il Paese si è fermato, in particolar modo il comparto turistico. A giugno ha dovuto riaprire in fretta e le assunzioni sono tornate a volare: 166 mila, quasi perfettamente in linea con il dato nel 2019. Ma è soprattutto a luglio che le imprese hanno recuperato gli ingressi non effettuati durante la primavera, tanto che in quel mese l’Inps ne segna 178 mila contro i 97 mila di luglio 2018. E ancora ad agosto con 72 mila avviamenti, quasi il doppio dei 43 mila del 2019. Alla fine, il 2020 ha chiuso con 656 mila assunzioni, a spanne l’11% in meno del 2019. Si tratta di una contrazione ampiamente giustificata dai mesi di lockdown. Con le riaperture, invece, non c’è stato alcun effetto divano, pur denunciato dalle imprese come conseguenza non solo del Reddito di cittadinanza, ma anche della mole di interventi pubblici approvati per far fronte all’emergenza (bonus da 600 euro e Reddito di emergenza, per fare due esempi). Semmai ci sono state difficoltà di reperimento, andrebbero imputate all’effetto “collo di bottiglia” creato dalle misure pandemiche. Cioè al fatto che, come mostrano chiaramente i dati, le aziende hanno concentrato in soli due mesi le assunzioni che di solito spalmano in un periodo più lungo e questo ha reso un po’ meno agevole trovare i candidati. Molti disoccupati, tra l’altro, si erano già verosimilmente reinventati in altri settori, per esempio nella logistica, per sopperire alla mancata assunzione. Questo a voler tacere su tutti gli altri fattori che hanno reso strutturalmente meno attrattivo il lavoro nel turismo: le basse paghe, le condizioni indecenti spesso offerte, i sussidi molto deboli nei mesi di inattività forzata.

Arriviamo infine al 2021. Anche qui, le chiusure natalizie e pasquali hanno ridotto le assunzioni stagionali, che fino ad aprile sono cresciute rispetto al 2020 ma tenendosi sempre ben lontane dai periodi pre-pandemici. Già con i primi allentamenti delle restrizioni, i contratti hanno vissuto un boom: a maggio sono stati oltre 142 mila, un record rispetto a tutti gli anni precedenti presenti in archivio. Tra alcune settimane l’Inps pubblicherà quelli di giugno e potremo vedere quanto sia stato robusto il recupero. Ma, intanto, anche l’esplosione di maggio dimostra che si è di nuovo creato un collo di bottiglia.

Chi prende il Reddito di cittadinanza si offre spesso nelle attività stagionali, tanto che l’ultima rilevazione Anpal (di ottobre 2020, poi non sono più state aggiornate dal ministero, non si sa perché) diceva che – dei 350 mila percettori che avevano trovato un impiego – 48 mila hanno operato nella ristorazione e 44 mila nell’agricoltura. Il fatto che il Reddito disincentivi il lavoro è smentito da ogni dato ufficiale. A dirla tutta, per capirlo basterebbe la semplice logica: come si può rifiutare uno stipendio da 1.200 euro in cambio di un sostegno statale che vale in media 548 euro per l’intera famiglia? Questo è quanto “intascano” i nuclei beneficiari: si va dalla media di 447 euro per i single ai 700 euro per le famiglie con quattro bocche da sfamare. Come queste cifre possano indurre la gente a rifiutare una regolare retribuzione da lavoro (che tra l’altro può garantire una pensione futura) resterà un mistero e, prima o poi, gli imprenditori che hanno approfittato dell’eco concessa dai giornali per instillare questo racconto dovranno dare spiegazioni. A meno che non vogliano spiegarlo i vari Renzi, Salvini e De Luca, dato che in tutti questi mesi si sono fatti imperterriti portavoce di quelle stesse imprese.

Israele, che non è un’isola, con il Covid lo è diventato

Tel Aviv-Milano-Tel Aviv. Un tempo, un volo diretto di più o meno quattro ore. Nulla di più semplice.

Non più. In questi mesi ho preso l’aereo per l’Italia due volte. Una volta a giugno e una seconda in agosto. Ed è stata una grande lezione in burocrazia Covid. Il viaggio prevedeva un tampone molecolare negativo eseguito in Israele entro le 72 ore precedenti il volo. Non era chiaro che fosse necessario, ma giravano voci che la compagnia lo potesse richiedere. E comunque ho deciso di farlo anche per essere certa di star bene. Poi c’era da riempire un modulo europeo digitale che chiede informazioni sul mezzo di trasporto e il viaggio, sul contatto normale e di emergenza, l’indirizzo permanente e quello temporaneo, non facilissimo da compilare, ma si impara. E ci voleva anche il certificato di vaccinazione israeliano (riconosciuto in Italia) e il modulo israeliano del ministero della Salute, simile a quello europeo, solo più semplice e amichevole, da inviare esattamente 24 ore prima della partenza. Non un minuto prima.

E finalmente sei in aeroporto. La sensazione, in Italia e in Israele, è ben strana. Sono semi vuoti, i duty free aperti ma sonnolenti, le hostess di terra imbarazzate dal loro nuovo ruolo di burocrati tra mille regole, diverse per ogni Paese. I passeggeri, abbastanza pochi, alieni con mascherina chirurgica. Per il ritorno in Israele, poi, si ricomincia daccapo: viene chiesto un nuovo tampone molecolare, con numero di passaporto e in inglese, esattamente entro le 72 ore precedenti il volo. Non è facilissimo trovare l’ambulatorio e ricevere il referto, costoso tra l’altro, in tempo. Anche perché in Italia in agosto molti ambulatori sono chiusi per ferie o non fanno referti in inglese. Finisco la saga con l’atterraggio a Tel Aviv: due minuti per un altro tampone molecolare, durante la notte arriva il risultato. Negativo.

Questa volta, in agosto, anche 10 giorni di quarantena che posso accorciare a una settimana con l’ennesimo tampone molecolare. Ma da domenica sera sono cambiate di nuovo le regole e per chi ha già fatto il terzo richiamo del vaccino o il secondo vaccino meno di sei mesi fa, qui non è più obbligatorio rispettare la quarantena.

Complicato? La situazione, ovunque nel mondo, cambia di giorno in giorno, di ora in ora. Come il Covid-19. Bisogna adattarsi.

Quando in Italia mi chiedevano, in giugno, come fosse la situazione in Israele, rispondevo guardando i numeri dei nuovi malati al giorno e dei vaccinati (a maggio erano morti in Israele solo sette malati, il più basso numero dall’inizio della pandemia con un record di solo 200 nuovi malati al giorno), che la crisi sembrava ormai passata. Quando me lo hanno chiesto in agosto, ho risposto invece che siamo in piena quarta ondata. Solo in questi giorni, anzi ore, grazie al terzo vaccino per tutti, dai 12 anni in su, stanno finalmente scendendo in Israele i numeri dei malati gravi, ma ieri il numero di nuovi contagi ha toccato il record di 10.947, uno su tre sotto i 12 anni.

Rimane proibito l’ingresso nel territorio agli stranieri, tranne che per ragioni di ricongiungimento familiare, mentre dall’annuncio dell’abolizione della quarantena per i vaccinati tre volte, le prenotazioni di voli sono aumentate del 300%. Gli israeliani adorano viaggiare. Si sentono un po’ isolati. Israele non è un’isola, ma è come se lo fosse, avendo il Libano a nord, le alture del Golan e la Siria a nord-est, la Cisgiordania e la Giordania a est, la Striscia di Gaza e l’Egitto a sud-ovest.

È un Paese piccolo, grande come la Lombardia, con circa nove milioni di abitanti. Come la Lombardia, ma i lombardi possono uscire dalla Lombardia in mille modi. Da Israele è un po’ più complicato.

Scuola: Green pass solo per i docenti e non per gli esterni

Le contraddizioni ci sono, inutile negarlo. Oggi inizia formalmente l’anno scolastico per almeno un milione di persone tra docenti che devono prendere servizio e personale scolastico. Tra poco più di una settimana toccherà invece a tutti gli alunni di ogni ordine e grado. Si inizia a oliare la macchina e la Conferenza di servizio di ieri tra i presidi e il ministero ha portato alla luce, sotto forma di ultime indicazioni, un paio di belle assurdità: dalla non obbligatorietà del green pass con tampone per il personale esente dalla vaccinazione al lasciare agli istituti la libertà di decidere se far entrare o meno il personale esterno che in quanto tale non ha obbligo di green pass.

I controlli. Si parte da qui. Da oggi e fino a quando non sarà pronta la piattaforma dell’Istruzione che permetterà agli uffici di controllare in modo centralizzato la validità del green pass del personale, le verifiche avverranno manualmente proprio come nei ristoranti: il personale addetto (che dovrà essere identificato dai presidi) inquadrerà il green pass con la apposita applicazione (“VerificaC19”) che dirà se il docente può accedere o meno a scuola. La regola è sempre la stessa: chi ne è sprovvisto ha cinque giorni di tempo per correre ai ripari, poi c’è la nomina del supplente.

Le sanzioni.Le comminano i dirigenti scolastici: sanzione amministrativa e sospensione dal servizio. “Entrambe vanno ottemperate” ha detto Stefano Versari, capo dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione al Mi.

Personale esente Il personale scolastico “esente” da green pass con valido certificato medico non ha l’obbligo di fare un tampone ogni 48 ore, necessario invece in assenza di vaccinazione per alti motivi. A specificarlo, Jacopo Greco, capo dipartimento al ministero dell’Istruzione. Stupisce se si tiene conto che il protocollo d’Intesa con i sindacati prevedeva la gratuità dei test solo per questa categoria, un punto su cui si era combattuto a lungo. Il Mi ha però voluto annunciare che sta “prevedendo azioni di screening periodici nei loro confronti e predisponendo convenzioni con le Asl”. Sul conseguente rischio è intervenuto Gianni Rezza, il direttore dell’Iss. “È auspicabile che vengano messi in conto controlli supplementari sugli esenti da green pass, che non necessariamente sono lavoratori fragili e potrebbero essere esenti per una grave e rarissima reazione alla prima somministrazione del vaccino: una persona esente è esposta al rischio di infezione e di infettare” ha detto. Ha poi sostenuto di aspettarsi “veramente poche” esenzioni.

Personale esterno. Ancora Vessari: “Il decreto legge non obbliga il personale esterno ad avere il green pass per entrare negli istituti scolastici. Le scuole però possono fare una valutazione del rischio per assicurare il massimo della sicurezza prevedendo per chi entra a scuola la verifica del Qr Code”. Addetti alle pulizie, alla mensa e assistenti educativi per i disabili, che pur essendo in contatto con personale e studenti non dipendono direttamente dallo Stato, non sono obbligati al green pass. La decisione se farli acceder o meno sarà lasciata alle scuole.

Mascherine. Chiarimenti anche su questo. La mascherina (che la struttura commissariale distribuirà anche quest’anno) andrà indossata sempre nei luoghi chiusi: viene quindi meno la regola di consentire ai bambini della primaria di rimuoverla quando fermi in posizione statica e distanziati. E niente didattica a distanza, che resta extrema ratio (quarantene ecc). I genitori non potranno chiederla in caso di mancata vaccinazione.

La marea NoPass alza il tiro: prima inchiesta e minacce alle stazioni

C’è un elenco, “ecco chi sono i terroristi”, che si apre con Paolo Guzzanti e si chiude con il nome di un medico, passando anche per Mario Draghi e il nostro Andrea Scanzi. Di Luigi Di Maio scrivono “un altro infame da giustiziare”, “è necessario il piombo”. C’è chi insiste a pubblicare il cellulare del professor Matteo Bassetti, già seguito sotto casa e minacciato da un no-vax identificato e denunciato. Poi c’è Gaston Zama, autore de Le Iene, finito nel canale “Basta dittatura” su Telegram per aver chiesto l’intervento della polizia postale: “Sembra un talebano”.

I no-vax ne hanno per tutti, da Maurizio Landini della Cgil a proprietario, direttore, vicedirettori e caporedattori di Repubblica. Ma anche quelli di Libero, che ieri titolava “Criminali no-vax”. E ancora, si rivendica l’imbrattamento del tendone di un centro vaccinale a Cervia (Ravenna): “Meglio vandali che criminali”. C’è pure un fotomontaggio del processo di Norimberga in cui i gerarchi nazisti sono sostituiti da Sergio Mattarella, Draghi, il generale Francesco Figliuolo, l’ex commissario Domenico Arcuri, i professori Massimo Galli, Fabrizio Pregliasco e ancora il bersagliatissimo Bassetti. La chat è sempre più frizzante perché da giorni ne scrivono i giornali, offrendole peraltro un’inattesa risonanza, quindi ora ci sono anche utenti pro-vaccino che si accapigliano con gli anti. Così si arriva a 42 mila, altri 22 mila per “Esercenti no green pass” e 11 mila per “Io non mi vaccino”. Su Facebook anche l’ex ministra Lucia Azzolina, colpevole di aver stigmatizzato l’intimidazione contro Bassetti e l’assalto al gazebo M5S di domenica a Milano, si è presa la sua scarica di veleno: “Non sarò soddisfatto fino a quando non avrete paura a prendere sonno”; “Vi impaleremo tutti”. Attacchi anche al ministro Roberto Speranza, che ipotizza il green pass obbligatorio per tutto il pubblico impiego, e per l’assessore del Lazio, Alessio D’Amato, che vorrebbe far pagare ai non vaccinati le spese dei loro eventuali ricoveri.

Oggi si capirà se questo liquido e magmatico aggregato, che grida alla dittatura rappresentandola con la svastica ma poi è pieno di fascisti, è capace di passare dal virtuale al reale. Con i blocchi ferroviari preannunciati in tutta Italia alle 14:30 in 55 stazioni grandi e piccole, da Roma Tiburtina a Milano Garibaldi a Genova Principe, nel giorno in cui il green pass diventa obbligatorio per i lavoratori della scuola e per chiunque intenda salire su aerei, navi e treni a lunga percorrenza (esentati i regionali, come i mezzi urbani).

L’attenzione del Viminale è alta: “Non verranno tollerati minacce e inviti a commettere reati utilizzando il web”, ha detto il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, men che meno “illegalità” nelle stazioni. Le violenze ci sono già state, anche fisiche. Specie contro i giornalisti, ben tre negli ultimi giorni: ieri i videomaker hanno manifestato a Roma in solidarietà con Francesco Giovannetti di Repubblica, preso a pugni lunedì davanti al ministero dell’Istruzione. Con loro Giuseppe Conte, Virginia Raggi e Roberto Gualtieri.

Le stazioni oggi saranno presidiate, per quanto polizie e servizi siano scettici sull’ipotesi di consistenti assalti ai binari. Si temono semmai azioni estemporanee, non preannunciate. Per venerdì 3 settembre si annunciano sit-in nelle sedi regionali Rai, per lunedì 6 addirittura uno sciopero generale con corteo a Roma. La polizia postale intanto ha fatto quel che chiedeva Gaston Zama. La Procura di Torino procede contro ignoti per istigazione a delinquere, anche in relazione a reati di terrorismo, e violazione della privacy. Si chiede l’oscuramento della chat, però come spiega la stessa direttrice della Postale, Nunzia Ciardi, “non è facile, perché queste società non hanno sede in Italia”, bensì a Dubai, dove si è trasferita la proprietà russa di Telegram.

Il giuramento di Ipocrita

Diceva La Rochefoucauld che l’ipocrisia è la tassa che il vizio paga alla virtù. Infatti ormai è l’unica tassa che nessuno evade. Una specie di Green Pass obbligatorio per fare politica. Ipocrita Conte che attacca i due decreti Sicurezza del suo ex ministro dell’Interno Salvini senza fare autocritica: il premier che li avallò era lui. Ma ancor più ipocrita chi seguita a definirli fascisti e incostituzionali, scordandosi che a firmarli fu Mattarella (sono “decreti del presidente della Repubblica”, senza il quale non esistono). Super-ipocriti Salvini e gli altri leghisti che nel 2018 elogiarono e votarono in Parlamento il Reddito di cittadinanza e ora ne reclamano a gran voce l’abolizione. Per non parlare del Pd che, più a destra della Lega, riuscì financo a votare contro il più massiccio intervento mai visto contro la povertà, e ora lo difende senza una parola di contrizione per quel No che avrebbe potuto affossarlo. Maxi-ipocriti i giornaloni che continuano a menarla su Conte per aver detto ciò che ora ripetono tutti i leader e gli osservatori con la testa sul collo: bisogna trattare coi talebani (e con chi, se no, visto che sono l’unico potere rimasto a Kabul: con mia zia?) e coinvolgere Russia e Cina (se lo dice SuperMario è un genio della geopolitica, se lo dice Giuseppi è un servo di Mosca e Pechino).

Molti lettori hanno la fortuna di non leggere le cronache romane, sennò scoprirebbero di quali ipocrisie e bugie grondi la campagna elettorale nella Capitale. Siccome la Raggi, data per morta dal 2016, gode discreta salute, non passa giorno senza che i giornaloni inventino una balla. Il Corriere-Roma sbatte in copertina uno scandalo mondiale: “L’ultima offesa a Spelacchio” (l’albero di Natale rinsecchito del 2016 che continua a fornire legna al rogo per la strega Virginia). Quale offesa? Tenetevi forte: “La casetta dedicata ai bambini e al fasciatoio per le mamme installata nel 2018 a Villa Borghese non è mai stata aperta. Eppure doveva essere un esempio virtuoso del riciclo del legno di Spelacchio”. Perbacco. Non è uno scherzo: è il Corriere della sera. Meglio ancora Repubblica: “Raggi, cena con show e la doppia morale 5S. Bufera sull’appuntamento a Ostia: ‘Spettacolo pirotecnico pagato dal Municipio’”, “‘Cena elettorale senza Green Pass’, nuova bufera su Raggi”. La bufera consiste nel fatto che ieri, come ogni anno, Ostia ha chiuso la stagione balneare con una festa in piazza alle 23.30 coi fuochi d’artificio. Sempre ieri, alle 19, la Raggi presenziava a una cena elettorale sulla terrazza di un ristorante da cui i botti neppure si vedono e dove, trattandosi di un locale all’aperto, la legge non prevede il Green Pass. Capito lo scandalo, la bufera, la doppia morale? Ma andé a ciapà i ratt (che fra l’altro a Roma abbondano).

Addio marketing spinto: la fellatio non vende più

Era il 1871 e la multinazionale del tabacco Pearl inserì nel pacchetto delle sigarette l’immagine di una donna nuda. La trovata venne di lì a poco adottata anche dalla Duke & Sons, poi confluita nell’American Tobacco. La conquista del mercato con questo tipo di strategia non passò inosservata alla Woodbury’s Facial Soap, che iniziò a pubblicizzare il sapone attraverso l’immagine di coppie assetate di passione. La tendenza a ricorrere al corpo delle donne per persuadere i consumatori ad acquistare qualsivoglia tipo di prodotto si impose via via sul mercato come una strategia vincente. Nonostante i tempi siano cambiati, c’è chi crede che lo sia ancora, soprattutto in ambito alimentare. Lo scorso anno il brand australiano Swisse – come segnalato da El País – ha realizzato un video per promuovere bevande naturali utilizzando l’immagine di frutti e ortaggi disposti in modo tale da rievocare i genitali. In Inghilterra la messa in onda è stata limitata alla fascia oraria notturna. Talvolta la pubblicità va oltre i contenuti subliminali e utilizza direttamente il corpo per facilitare la vendita. È il caso della catena americana di hamburger Carl’s Jr., che ha ingaggiato i volti più noti della moda, come Paris Hilton, Kim Kardashian, Bar Paly e Charlotte McKinney. Per pubblicizzare i propri panini ha usato pose erotiche, che accostano l’assunzione di cibo al sesso orale, o direttamente corpi nudi in cui il seno viene coperto dai meloni o il fondoschiena dai pomodori. Anche Burger King qualche anno fa ha presentato un nuovo prodotto con allusioni sessuali esplicite, con tanto di riferimento ai centimetri del panino mentre era in procinto di finire dritto nella bocca schiusa di un volto femminile. La modella, che aveva posato per la campagna pubblicitaria, ha poi denunciato l’azienda per aver utilizzato l’immagine senza il suo consenso. In questo caso, non erano poco edificanti solo le immagini, ma anche il linguaggio che ricorreva al vocabolo blow (fellatio) in It’ll blow your mind away, ovvero “Ti lascerà a bocca aperta”. Recenti studi come Does sex really sell? (“Il sesso vende davvero?”) pubblicato su SpringerLink, dimostrano come il ricorso al sesso non incentivi le vendite, anzi: produce effetti negativi dal punto di vista psicologico e si rivela una strategia di marketing inefficace.