Lombardia, sangue “low cost” all’Humanitas. L’anticorruzione censura l’ospedale S. Paolo

Sacche di sangue vendute da un ospedale pubblico – la Asst Santi Paolo e Carlo di Milano – a uno privato – il Gruppo Humanitas –, con sconti dal 15 al 20%. Un mercanteggiamento al ribasso vietato dalle norme che, se confermato, “determinerebbe un potenziale danno erariale per l’Asst di 1.174.050,48 euro”. È l’accusa mossa ai vertici dei due grandi ospedali milanesi da Regione Lombardia e contenuta nella relazione confezionata dall’Anticorruzione del Pirellone. Un’indagine iniziata nel 2019 e chiusa il 25 marzo 2021, che il Fatto ha visionato in anteprima. Non solo, un altro potenziale danno erariale, si legge sempre nella relazione, potrebbe essere stato causato dall’infinita serie di appalti per uniformare il sistema informatico dei due ospedali. Un sistema strapagato (almeno 18 milioni, ma sulla cifra totale non vi è certezza) a causa di licenze mai attivate, appalti duplicati, affidamenti senza gara, lavoratori impiegati senza contratto, ritardi e inefficienze, che ha determinato “un disservizio ai cittadini, difficoltà gestionali dell’Amministrazione e, soprattutto, una significativa perdita economica per l’Azienda”. Ma la questione più spinosa, per l’Anticorruzione regionale, è quella del mercimonio degli emoderivati che risulta dall’analisi degli accordi tra Asst e Humanitas sottoscritti tra il 2014 e il 2018. Accordi fotocopia, che prevedevano “una riduzione delle spese generali dal 20 al 15% (…) a fronte di pagamento anticipato mensile pari all’80% dell’importo medio della fattura, e saldo trimestrale”. Un contratto che assicurava al San Paolo ricavi sicuri per circa 3,6 milioni l’anno, a fronte di incassi per oltre 10 milioni. Gli ispettori si sono concentrati sull’ultima convenzione, la n. 1473 del 3 ottobre 2018: valeva 10.875.000, scadeva il 31 gennaio 2020 e prevedeva lo sconto. Che però il San Paolo non avrebbe potuto fare. Cinque mesi prima (il 7 maggio 2018), infatti, il Pirellone aveva emanato una Dgr che fissava il costo non derogabile degli emoderivati a 50 euro a sacca. Invece i vertici del San Paolo derogano. Così partono gli esposti ad Arac e Corte dei Conti, che spingono il d.g. dell’ospedale, Matteo Stocco, il 12 febbraio 2020, a chiedere a Humanitas di restituire i soldi mancanti, 321.386 euro per il 2018, 363.660 per il 2019. Humanitas però risponde picche, perché ha un contratto firmato in mano. A fare luce sulla vicenda ci penseranno, molto probabilmente, Procura della Repubblica e Corte dei conti, ai quali Regione Lombardia ha inviato tutti gli atti.

Detenuto pestato a Piacenza, nuovi interrogatori

Un approfondimento medico legale sulle lesioni subite dal detenuto e ulteriori indagini sull’ispettore capo della penitenziaria per capire se era presente o meno al pestaggio. Il gip del Tribunale di Piacenza, Luca Milani, ha ordinato nuovi indagini su quanto avvenuto in carcere nel 2017 ai danni di un detenuto tunisino. Nessuna archiviazione quindi per l’ispettore Giovanni Marro, attualmente a processo con un collega per un altro episodio simile. La Procura, con il pm Emilio Pisante, aveva chiesto l’archiviazione, ma il gip, tenendo conto dell’opposizione dell’avvocato del detenuto, ha assegnato tre mesi di tempo agli inquirenti per approfondire se Marro quel giorno fosse davvero a un consiglio di disciplina, come da lui dichiarato, o al pestaggio, come invece sostiene il detenuto. Una circostanza che ora si dovrà verificare, sentendo gli altri presenti alla riunione, dal momento che il Gip valuta come contraddittorie alcune delle dichiarazioni dell’indagato e che dalle carte non risulta la sua presenza al consiglio.

Barca ormeggiata a fuoco, 29enne resta asfissiata

Era tornata dopo due mesi di charter sulla “Morgane” alle Isole Eolie, in Sicilia, con il piccolo equipaggio della 22 metri a vela che la scorsa notte ha preso fuoco nel porto di Marina di Stabia, a Castellammare di Stabia (Napoli). Giulia Maccaroni, 29enne di San Vito Romano, in provincia di Roma, su quella barca ha perso la vita, durante il sonno. Dormiva sottocoperta e forse non si è nemmeno accorta che all’esterno le fiamme avevano cominciato a divorare parte dell’imbarcazione e a esalare i fumi da plastica, legno e resine insinuatisi nella cabina dove è stato trovato il suo corpo esanime. Sulla salma non sono stati trovati segni né di ustioni né altre ferite: la donna è semplicemente passata dal sonno alla morte. “Non abbiamo al momento elementi che facciano propendere per un incendio doloso”, spiega il Comandante della Capitaneria di Porto stabiese, Achille Selleri. Marina di Stabia è un attracco dotato di un imponente sistema di videosorveglianza. La “Morgane” batteva bandiera inglese, ma era gestita da una società di Gragnano (Napoli).

Milano, pm: “Antincendio malfunzionante”. Dubbi sui materiali del “cappotto termico”

Disperazione e rabbia. Passato lo spavento, alle 60 famiglie rimaste senza casa dopo il rogo che tra domenica e lunedì ha polverizzato “La Torre dei Moro” di via Antonini, a Milano, restano poche cose e molte domande. La prima, è come sia potuto accadere che un grattacielo di 18 piani, moderno (è stato costruito nel 2011), sia “bruciato come un fiammifero”, per dirla con le parole di un inquilino. Da subito l’indice è andato al materiale usato per il rivestimento esterno della facciata, l’Alucobond, responsabile del veloce propagarsi delle fiamme partite da un appartamento al 15° piano. Per Angelo Lucchini, docente di Architettura tecnica al Politecnico di Milano, quel materiale non sarebbe stato a prova di fuoco, tanto che sarebbe divampato “perché il rivestimento è stato realizzato con materiale combustibile in grado di reagire rapidamente all’innesco”. Lucchini ha poi sottolineato come per le facciate quel materiale sia “inappropriato e non si concili con i requisiti di sicurezza previsti dal ministero dell’Interno per gli edifici civili”. Un divieto all’uso però a oggi non esiste, dice il professore, perché “le linee guida preparate dai vigili del fuoco per il ministero hanno valore di raccomandazione”. E neanche i sistemi di sicurezza interni avrebbero funzionato bene. A dirlo, ieri, il procuratore aggiunto Tiziana Siciliano – che ha aperto un fascicolo con l’ipotesi di incendio e disastro colposo – dopo un’ispezione in via Antonini. Gli inquirenti devono attendere la relazione del Nia (il Nucleo investigativo antincendi), ma hanno già avuto evidenze che il sistema antincendio presentava “diverse criticità”. In particolare le “bocchette” dell’impianto da attivare manualmente non erano attive tra il quinto e il decimo piano, mentre hanno funzionato solo in parte tra il decimo e il diciottesimo. Le scale, invece, sembrano corrispondere alle norme di sicurezza, tanto che hanno consentito alla trentina di persone presenti di abbandonare lo stabile. E tra tante domande e dubbi, c’è una sola certezza: la determinazione dei condomini che vogliono giustizia. “La facciata era di un materiale tipo alluminio e pensavamo che fosse ignifuga, ma non lo era e lo abbiamo scoperto a nostre spese. Noi da qua non ci muoviamo perché vogliamo capire”, dice una coppia che abitava all’11° piano. “Speriamo che la magistratura indaghi velocemente, siamo senza casa”, fa eco una vicina con le lacrime agli occhi.

Salivari: obiettivo 100 mila al mese (da fare a casa)

Ci ha già provato, per un breve periodo, la Regione Lombardia coinvolgendo due scuole per ogni azienda sanitaria, alla fine dello scorso anno scolastico. Una sperimentazione, con test salivari molecolari, che ha riguardato 3.617 bambini dalle materne alle medie, fino a 12 anni di età, su base volontaria, su un totale di 6.201 ai quali è stata offerta la possibilità di aderire. Una campagna di screening contro il Covid-19, un monitoraggio a campione che nelle prossime settimane dovrebbe partire a livello nazionale, in tutte le Regioni. Su una popolazione scolastica tra i 6 e i 14 anni di oltre 4,2 milioni tra bimbi e ragazzi, dovrebbe consentire di monitorare con i test salivari, ogni mese, un campione di più di 100 mila alunni delle primarie e delle secondarie di primo grado. Anche in questo caso l’adesione sarà volontaria. Saranno le Regioni stesse a individuare le scuole “sentinella” da tenere sotto osservazione per monitorare l’infezione. Il piano è stato messo a punto dall’Istituto superiore di Sanità e dalla struttura commissariale del generale Francesco Paolo Figliuolo, insieme al ministero della Salute e a esperti delle Università di Pavia, Padova e Milano.

Non tutte le Regioni, però, potrebbero procedere allo stesso ritmo, data la quantità di test da processare, che si aggiungono ai tamponi che già vengono eseguiti quotidianamente. Per questo, inizialmente, ministero della Salute e Iss non erano favorevoli. Peraltro, almeno fino al via libera dell’Ecdc (il Centro europeo di controllo delle malattie), alla Salute solo Pierpaolo Sileri puntava sui salivari, ritenuti poco precisi da altri. “Nessuno fino ad ora ha sollevato obiezioni ma se ci fossero difficoltà e ritardi ci confronteremo con Figliuolo”, dice Raffaele Donini, assessore alla Salute dell’Emilia-Romagna e coordinatore della commissione Sanità della Conferenza delle Regioni. Ai governatori il piano è stato presentato da Figliuolo, che ha già chiesto di individuare i fabbisogni per poter assicurare la fornitura dei test salivari molecolari. Sul mercato oggi ci sono due modelli: lollisponge e salivette. Ma quest’ultimo potrebbe essere scartato, perché nei bimbi più piccoli si sono verificati casi di ingestione accidentale del roll di cotone.

Entrambi però sono facili da somministrare, conservare e trasportare. Per questo dovrebbero essere coinvolti in prima persona i genitori. Nei primi due mesi, per rodare la macchina, i campioni saranno raccolti, nelle scuole, da personale sanitario delle Asl e della Difesa. Poi entreranno in gioco le famiglie, dopo una breve formazione. In base alla prima bozza del piano, i genitori dovranno firmare il consenso, eseguire i test sui bambini e portare i campioni a scuola, dove sarà individuato un responsabile della raccolta e dell’invio ai laboratori.

L’Iss ha calcolato che per avere un campione mensile di oltre 100 mila alunni (109.342, per la precisione, testati ogni 15 giorni) sarà necessario individuare oltre 182 mila alunni, ipotizzando un’adesione del 60%. Tra le Regioni c’è chi è già pronto. Il Lazio, cui sono stati assegnati 17 mila test salivari, vorrebbe raddoppiarli con risorse proprie. Pronta anche la Campania, dove dovrebbero essere coinvolti 20 mila studenti al mese, mentre in Emilia-Romagna saranno 8 mila. Le scuole, su base provinciale, saranno individuate secondo tre criteri: la rappresentatività del territorio, la percentuale stimata di adesione, la fattibilità logistica della campagna.

Regole in mensa e lavoratori: tante norme e poche certezze

Pubblichiamo un estratto di un articolo pubblicato su IPSOA quotidiano (www.ipsoa.it)

Su green pass e mense aziendali il dibattito è sempre aperto. Per la consumazione al tavolo al chiuso, i lavoratori possono accedere nella mensa solo se muniti di certificato e spetta ai gestori dei servizi verificarne il possesso. Restano tuttavia molti dubbi.

Una nota della Regione Piemonte del 10 agosto ricorda come il dl 22 aprile 2021 n. 52 prescriva l’obbligo del green pass per l’accesso ai servizi di ristorazione svolti “da qualsiasi esercizio per il consumo al tavolo, al chiuso”. Risulterebbero escluse le mense aziendali e i servizi di catering su base contrattuale, esclusione confermata da una circolare del ministero dell’Interno di aprile. Si ritiene dunque che nelle mense aziendali l’accesso sia consentito a tutto il personale, fermo restando il rispetto delle norme per contenere il contagio. Il fatto è che, in forza dello stesso dl dal 1° giugno in zona gialla, le attività dei servizi di ristorazione, svolte da qualsiasi esercizio, sono consentite anche al chiuso nel rispetto di protocolli e linee guida. A leggere la nota del Piemonte parrebbe dunque che l’espressione “attività dei servizi di ristorazione svolte da qualsiasi esercizio” non includa le mense aziendali.

Un’esegesi che contrasta con la formulazione palesemente onnicomprensiva usata dal legislatore “servizi di ristorazione svolti da qualsiasi esercizio”. E proprio lo stesso Dpcm 2 marzo 2021 ne fornisce una conferma testuale riferendosi anche alle “attività delle mense e del catering continuativo su base contrattuale”. Resta da sottolineare che costituirebbe una forzatura trarre un limite al campo di applicazione del decreto 52 dal fatto che il Dpcm del 2 marzo 2021 consentisse tout court le “attività delle mense e del catering continuativo su base contrattuale”, visto che si tratta di un Dpcm risalente a un’epoca in cui ancora non era stato previsto l’accesso a determinati servizi se non con green pass.

Una Faq del governo del 15 agosto 2021 ha quindi precisato che “per la consumazione al tavolo al chiuso i lavoratori possono accedere nella mensa aziendale o nei locali adibiti alla somministrazione di servizi di ristorazione ai dipendenti, solo se muniti di green pass analogamente a quanto avviene nei ristoranti”.

Tutto chiaro allora? Non proprio. Continua a restare senza risposta con riguardo alle mense aziendali, così come agli altri servizi e attività ivi indicati, un interrogativo che abbiamo evocato già all’uscita della stessa bozza del decreto: l’art. 3, nel consentire esclusivamente ai soggetti muniti di pass l’accesso a tali “servizi e attività”, si riferisce anche ai lavoratori impiegati in quei servizi e attività, compresi i lavoratori lì distaccati da altre aziende (ad esempio, gli addetti alle pulizie)?

Se così fosse, non pochi sarebbero i problemi. Titolari o gestori delle mense aziendali sarebbero autorizzati a effettuare personalmente queste verifiche? Quali implicazioni si produrrebbero sul prosieguo del rapporto di lavoro dei soggetti sprovvisti della certificazione? Non si creerebbe una disparità di trattamento rispetto ai lavoratori non addetti, né distaccati, ai servizi e attività specificamente indicati?

Si tratta di problemi solubili nella prospettiva del Testo Unico della sicurezza sul lavoro. Non condivido le lamentele di chi sostiene che verseremmo in una situazione normativa lacunosa o addirittura confusa, magari dichiarando “lacunosa” o “confusa” una situazione normativa solo perché non gradita. È il caso di avvertire quanti continuano a invocare l’emanazione di un’apposita legge che in realtà una legge già c’è: come abbiamo dimostrato in più occasioni, e come ha efficacemente confermato il Garante della Privacy, le norme in vigore indicano con chiarezza procedure, soggetti obbligati, rispettivi obblighi. Senza che almeno a questo scopo nemmeno si renda necessario il ricorso a uno strumento come un nuovo Protocollo, notoriamente nel sistema delle fonti del diritto di per sé inidoneo a modificare o derogare a un atto avente la forza di legge quale il d.lgs. n. 81/2008.

 

Domani il D-day green pass. I “no” agitano piazze e treni

Una raffica di pugni a un giornalista davanti al ministero dell’Istruzione a Trastevere, dove manifestavano i precari della scuola che non vogliono il green pass. Francesco Giovannetti, videomaker per i siti del gruppo Gedi, è finito al pronto soccorso in ambulanza, mentre la polizia ha fermato un 57enne con precedenti vari e armi in casa. “Mi ha detto ‘ti taglio la gola se non te ne vai’, ho chiesto se mi stava minacciando e ha cominciato a colpirmi”, ha detto Giovannetti.

È il terzo caso in pochi giorni. I giornalisti che seguono no vax, no green pass e proteste varie contro quella che chiamano “dittatura sanitaria” rischiano di farsi male anche domani, nel giorno in cui il certificato verde diventa obbligatorio anche per lavorare a scuola e per prendere aerei, treni e navi e chi lo contesta promuove blocchi ferroviari in 55 stazioni di tutta Italia, a partire dalle 14,30: “Non ci fanno partire con il treno senza il passaporto schiavitù? Allora non partirà nessuno!”, scrivono sulla chat di Telegram intitolata “basta dittatura”, con una svastica incorniciata in un segnale di divieto anche se poi in queste piazze chi grida al nazismo sanitario o equipara il green pass alle leggi razziali del 1938 si ritrova accanto a chi inneggia, se non al Terzo Reich, almeno al “fascismo del XXI secolo”, per dirla con una t-shirt indossata da simpatizzanti di Forza nuova. Sono in pericolo anche i medici identificati con la campagna vaccinale: a Genova il professor Matteo Bassetti, l’infettivologo che mesi fa piaceva alle destre contrarie al lockdown e oggi ostili ai vaccini, è stato minacciato e insultato sotto casa. È stato denunciato un 46enne. Bassetti come Fabrizio Pregliasco, virologo della Statale di Milano, sono anche bersagliati al telefono da quando i loro numeri sono finiti sul canale Telegram degli arrabbiati. Ilfattoquotidiano.it ha rimediato la sua parte di insulti per aver pubblicato un’articolata panoramica dei contenuti della chat, riferendo anche di minacce a politici a partire dal ministro Roberto Speranza e degli indirizzi di casa di altri medici messi a disposizione di chi vuole insolentirli o peggio.

È un’area magmatica che mette in difficoltà la polizia, costretta a seguirne le evoluzioni su Telegram. Non si capisce chi comanda, si vedono insieme soggetti che non ti aspetteresti mai. Come a Milano, dove domenica c’è stato l’assalto al gazebo dei Cinquestelle. Fra i circa tremila no vax c’erano le destre estreme di Forza Nuova e Lealtà e Azione, facce note delle curve di Inter e Milan, ma anche personaggi un tempo vicini alle Brigate rosse e anarchici duri e puri, mentre mancavano i settori più consistenti dell’antagonismo e dei centri sociali.

Non è facile capire dove possono andare, la lista delle 55 stazioni può essere uno specchietto per le allodole, da Agropoli a Villa San Giovanni pasando per Roma Tiburtina “davanti alimentari Pam”, Milano Porta Garibaldi, Torino Porta Nuova, Napoli Piazza Garibaldi. Nessun preavviso alle questure, si firmano “Popolo, Autogestito, Pacifico” e per il 6 settembre annunciano uno “sciopero generale”. Già da oggi ci saranno controlli nelle stazioni. Sulla chat sono in 40 mila ma al Viminale non si aspettano assalti di migliaia di persone. Anche qualche centinaio o qualche decina di persone, specie se decise a cercare lo scontro, l’incidente o la manganellata, possono creare problemi se davvero vorranno entrare nelle stazioni. Si temono peraltro iniziative a sorpresa, compresi possibili atti di sabotaggio alla rete ferroviaria che fanno parte del repertorio di alcuni dei gruppi coinvolti, affezionati a una certa estetica del gesto esemplare. E c’è il rischio che le aggressioni a giornalisti e medici possano provocare danni più gravi di quelli registrati finora. Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha convocato il coordinamento che si occupa delle minacce ai cronisti, problema antico su cui si mobilita il sindacato di categoria.

I tesori di Alessandro Magno e l’Afghanistan da salvare

Tra i tanti personaggi che hanno fatto la storia dell’Afghanistan, forse non tutti sanno che ha un importante ruolo Alessandro Magno. Il suo progetto non era fumoso e ingannevole come altri ieri e oggi (“esportare la democrazia”, “sconfiggere il terrorismo” e via dicendo), ma semplice e al tempo stesso incredibile: creare un impero universale. Ci riuscì con la grande avanzata verso oriente che sbaragliò la potenza persiana, e il suo passaggio da queste parti lasciò forti segni.

L’area, si sa, era un tratto strategico sulla Via della Seta, ma costituiva anche un gigantesco bivio per chi, giungendo da Occidente, invece di dirigersi in Cina voleva deviare verso l’India. Percorsi che nascono in antico ma restano in uso per secoli, dando luogo a tante lotte per il possesso di quello “snodo”.

Queste vicende hanno lasciato resti consistenti: e fra i tanti problemi per cui i Talebani sono ora attesi alla prova (soprattutto quelli riguardanti la vita delle persone) c’è anche il rispetto dei beni culturali e storici. Per la verità, essi hanno già affrontato il tema, e lo riporta il New York Times: “Dato che l’Afghanistan è un Paese pieno di antichi manufatti, e che tali reliquie fanno parte della storia, dell’identità e della ricca cultura del nostro Paese, tutti hanno l’obbligo di proteggere, monitorare e preservare questi manufatti: antiche fortezze, minareti, torri…”. La presa di posizione è chiara, ma pesa come un macigno il “precedente” dei Buddha di Bamiyan (le due statue colossali scavate nella roccia risalenti al VI e VII secolo), distrutti nel 2001. Il sito peraltro è dal 2003 sotto l’egida dell’Unesco; una ditta italiana ha consolidato le pareti rocciose superstiti; sono in corso tentativi di restauro finanziati (dal 2014) dalla Corea.

L’unico altro monumento Unesco, oltre a Bamiyan, è l’altissimo Minareto Jam (65 metri) presso il fiume Hari Rud: costruito in mattoni, è decorato da raffinati motivi geometrici. La moschea più antica del Paese, i cui ruderi sono assai suggestivi, è quella di Haji Piada (VII secolo), ma sono pure importanti quelle di Kabul, dove inoltre il Museo Nazionale, ripetutamente sconvolto dagli eventi, custodisce un importantissimo patrimonio (ai tentativi di riordino hanno partecipato anche specialisti italiani). A sud della Capitale, risale al V secolo la fortezza Bala Hissar, in restauro con finanziamenti indiani. Herat va ricordata non solo per aver ospitato la nostra missione, ma anche per la Moschea del Venerdì, la poderosa cinta muraria dalle infinite torri, la Cittadella fondata da Alessandro Magno e più volte ristrutturata.

Eccoci dunque di nuovo al Macedone e al suo impero universale. Dopo la sua morte (323 a.C.), come è noto, quell’impero fu diviso fra i suoi successori, fa cui spicca Seleuco I, re di Siria, il cui territorio si estendeva fino all’Hindukush e comprendeva perciò anche l’area oggi afghana. A lui, o forse addirittura allo stesso Alessandro, spetta la fondazione di Alexandria Oxiana, cioè Alessandria sull’Oxus, oggi Amu Darya, situata nella località detta Ai Khanum presso una maestosa ansa del grande fiume. Lo scavo, eseguito da una missione francese, ha rivelato fra l’altro un grande edificio residenziale, un ginnasio, un teatro, un arsenale entro una poderosa cinta di mura, con planimetrie e soluzioni costruttive di tipo ellenico. Anni di abbandono hanno però consentito vandalismi di ogni tipo.

Una città greca in Afghanistan? Non solo, si formò anzi un grande Stato ellenico coloniale tra la valle dell’Amu Darya e quella dell’Indo, su aree oggi appartenenti non solo all’Afghanistan stesso, ma anche a Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan, Pakistan. La regione principale era quella in antico detta Bactriana: al declino dei Seleucidi (fine I a.C.), a emergere fu proprio una dinastia originaria di quell’area, i Kushana, colti e cosmopoliti. Sbalorditivi i ritrovamenti di Begram, 60 chilometri a Nord di Kabul: sculture, avori, vasi di tipo ellenistico-romano, e soprattutto raffinati vetri dipinti, o decorati a rilievo, o con applicazioni di foglie d’oro. Un tesoro del Museo di Kabul che, come gli altri, andrà tutelato.

Sparsi per un’area dai confini talvolta incerti (a un’ampia parte si attribuisce il nome indiano di Gandhara), anche altri ritrovamenti concorrono a dare l’idea di una cultura felicemente ibrida. Statue e rilievi raffigurano divinità greco-romane, o addirittura scene di baccanali, o miti classici riadattati. Un rilievo del II d.C., oggi al British Museum, narra un episodio della Guerra di Troia, l’entrata in città del famoso Cavallo: il sacerdote troiano Laocoonte tenta di fermarlo; dietro di lui alza le braccia al cielo la profetessa Cassandra, che però indossa abiti indiani…

Intervistò il talib, la reporter fugge. I media di Kabul: “Proteggeteci”

Da prima giornalista afghana a intervistare dal vivo un leader talebano a profuga. Beheshta Arghand, 24enne anchorwoman afghana di Tolonews ha avuto appena il tempo di fare storia il 17 agosto ponendo domande scomode a Mawlawi Abdulhaq Hemad, e due giorni dopo lasciando raccontare a Malala Yousafzai, l’attivista Premio Nobel scampata ai talebani pachistani come si vive sotto “gli studenti” del Corano, che proprio grazie a Malala è potuta salire su un volo per il Qatar insieme alla sua famiglia. La sua fama, infatti, le ha attirato l’attenzione non positiva dei conquistatori di Kabul in un momento in cui in Afghanistan la tensione nei confronti dei media è altissima. “Se i talebani faranno quanto dicono e quanto promesso, se la situazione migliorerà, se mi sentirò al sicuro e non avvertirò minacce, tornerò e lavorerò per la mia gente”, ha detto Arghand alla Cnn. Sull’intervista al portavoce talebano ha detto: “È stato difficile ma l’ho fatto per le donne afghane. Mi sono detta, qualcuno deve pur iniziare”. “Gli ho detto che le donne vogliono i loro diritti: lavorare ed essere parte della società”. Peccato che anche a detta del proprietario di Tolo, Saad Mohseni, i talebani avessero accettato l’intervista solo per mostrare un “volto moderato al mondo” in quei primi giorni di panico assoluto. Ora, la situazione è cambiata e Arghand non è l’unica giornalista ad aver lasciato ToloNews: “Quasi tutti i nostri reporter sono andati via in seguito alle crescenti minacce ai media, il paradosso è continuare con le nostre coperture”, ha spiegato Mohseni, consapevole che il problema non riguarda solo la sua emittente. Ieri 150 tra giornalisti, cameramen e fotografi in una lettera aperta hanno invitato l’Onu, la comunità internazionale e le Ong a proteggerli.

Risoluzione all’Onu, salta la “safe zone”: Macron ridimensionato

Le Nazioni Unite provano a darsi una svegliata e approvano una risoluzione sulla sicurezza dell’aeroporto di Kabul. Dopo le mediazioni diplomatiche sparisce però dal testo finale il riferimento alla safe zone di cui aveva dato larghe anticipazioni il presidente francese Emmanuel Macron, promotore dell’iniziativa insieme alla Gran Bretagna.

Colpisce anche che dopo l’annuncio dell’iniziativa, ieri i promotori siano diventati tre, con gli Stati Uniti ad aggiungersi alla coppia franco-inglese, mentre nelle dichiarazioni di domenica scorsa Macron aveva presentato, con un’ampia intervista al Journal du Dimanche, la proposta come sostanzialmente francese. Il dettaglio fa capire come tra i Paesi europei, membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, e gli Stati Uniti sia stata una giornata di mediazioni che si riflette sul testo della risoluzione. Questa, infatti, prende atto della “pericolosa situazione della sicurezza intorno allo scalo Hamid Karzai” e chiede “alle parti di lavorare con i partner internazionali per rafforzare la sicurezza e prevenire altre vittime”. Nessun riferimento alla safe zone, ma “ci si aspetta che i talebani aderiscano agli impegni presi affinché gli afghani possano uscire dal Paese in qualsiasi momento, compreso dallo scalo di Kabul, senza che nessuno gli impedisca di viaggiare”. Questa ultima frase prende atto di una “dichiarazione del 27 agosto 2021, in cui i talebani si impegnano a consentire agli afghani di viaggiare all’estero”.

In qualche modo si rilancia l’idea, scacciata pubblicamente, del dialogo necessario con il nuovo potere afghano sia pure per ragioni umanitarie. Le stesse ragioni a cui si è appellato con molta enfasi, come fa dall’inizio della crisi, anche il ministro Luigi Di Maio, che è intervenuto al meeting dei Paesi G7-Nato, quindi con la presenza della Turchia.

Ma sarà proprio Ankara che, in una famelica ansia di proiezione internazionale, ha deciso di accettare la proposta di presidiare l’aeroporto di Kabul in assenza degli americani, a imprimere un’accelerazione ai rapporti complessivi. Che, al di là delle risoluzioni formali, attende di capire quale sia l’assetto politico a cui si pensa per poter imbastire una discussione diplomatica seria. La Russia, da questo punto di vista, ha gettato un sasso nello stagno proponendo per la prima volta una “Conferenza di Pace” in cui siedano anche i talebani e quindi una trattativa serrata.

Resta il problema di chi possa gestire concretamente sul campo le scelte di aiuti umanitari e difesa dei diritti umani. L’Onu, nonostante la risoluzione, ha rinunciato venti anni fa a giocare un ruolo attivo e la sua credibilità sembra ancora pari a zero. Ma anche l’idea di Josep Borrell, rilanciata ieri in un’intervista sul Corriere della Sera, per una forza di pronto intervento europeo, sembra la solita chimera. Intanto la Germania fa sapere di una telefonata tra Macron e Angela Merkel per discutere degli sfollati. Draghi non sembra sia stato consultato.