Dalle novelle apocrife di Charles Didier. A Rouen, la città dai cento campanili, viveva Jean Luc Blanchard, un funzionario municipale che, raggiungendo a stento il metro e quaranta, tutti soprannominavano Pipino. La moglie era una bellezza, negli occhi una fiamma da dominatrice che bruciava all’intorno per un raggio di 200 aune: una settimana dopo il matrimonio, già si diceva che avesse un amante, il barone di Montville. Pipino aveva anche un superiore, il prevosto Toutain, un tipo focoso che, benché abile con le parole, non riusciva a sedurre Madame Blanchard, di cui era perso, poiché lei non era donna da tre uomini; ma, sguinzagliati i suoi sgherri, Toutain scoprì chi era il rivale, e architettò un piano. Inviò Pipino con delle scartoffie a Parigi, certo che la bella moglie, a questo regalo inopinato, sarebbe corsa dal barone di Montville; e a quel punto avrebbe richiamato Pipino, un ingenuo la cui semplicità confinava con la poesia, per spedirlo dal barone a caccia di John Smith, una inesistente spia inglese: l’incontro con la moglie avrebbe posto fine alla tresca col barone; e lui avrebbe avuto campo libero. Avvisato da una domestica dell’arrivo di Madame Blanchard, il barone ordinò che fossero portate in camera da letto una caraffa di sidro, uova di pavoncella, e orchidee; e andò ad accoglierla. Frattanto Pipino, richiamato da Parigi e spedito a Montville in cerca della spia inesistente, faceva circondare il castello dai suoi uomini. Entrato per il sopralluogo, cercò ovunque, mentre il barone gli baciava la moglie dappertutto, indugiando con le labbra negli angoli più nascosti, con estenuante devozione. Pipino bussò alla porta dell’alcova quando ormai vi era in pieno svolgimento la giostra amorosa: “Apri, in nome del re!” Gli amanti restarono di sasso. Era la voce di Pipino! Madame Blanchard, una donna pratica, coordinò i pensieri, e suggerì al barone cosa fare. Quindi il barone, indossata la veste da camera, andò ad aprire: “Cosa vuoi, scudiero?” “Barone, sono un funzionario del re, e ho l’ordine di ispezionare il castello. C’è una spia inglese che si sospetta stia tramando contro il Giglio di Francia!” “Ah!” esclamò il barone di Montville. “Quegli inglesi sarebbero capaci di tutto. Ma in camera mia non c’è nessun furfante: solo una cortigiana che sto intrattenendo. La più bella del regno”, aggiunse in tono confidenziale. “Ciò nonostante, barone, devo procedere. Si faccia da parte!” intimò Pipino. Il barone gli si rivolse come usa fra gentiluomini: “Prima mi lasci coprire il volto di quella donna.” Un minuto dopo, Pipino entrò nella stanza. Guardò su per il camino, dentro una cassapanca, sotto il letto. Quindi ispezionò la persona nuda che, bocconi sulle lenzuola di batista, teneva la testa sotto un cuscino. “Barone, costui potrebbe essere un inglese” disse Pipino. “Hanno la pelle bianca e soffice come le donne. Lo so perché ne ho fatti impiccare parecchi sulla pubblica piazza.” “In questo caso, lasci che la giri”, disse il barone, tenendole il cuscino sulla faccia. “No, non è un inglese” disse Pipino, ammirando quel corpo superbo. Il barone si congratulò della perspicacia, e Pipino tornò dal prevosto a riferire: “Di sicuro non era un inglese.” Il prevosto, furioso del piano fallito, esclamò: “Idiota! Non sai riconoscere neppure tua moglie! Quella nel letto del barone era lei!” A questa notizia, Pipino si congedò con sussiego, e un attimo dopo spronava il cavallo verso casa. Trovò sua moglie a letto, addormentata: aveva fatto prima di lui. Rassicurato, dormì della grossa, e il mattino dopo le raccontò la sua avventura. La moglie lo stuzzicava: “Maritino mio, potrai ancora amarmi, dopo aver visto nuda la più bella cortigiana di Francia?” E Pipino, tronfio: “Vedremo, mia cara. Vedremo.”