Alla fine bisognerà ricorrere a Vladimir Putin. Quello “brutto e cattivo”, amico dei populisti di mezzo mondo, despota del XXI secolo quando ci discutono gli avversari e ora una delle chiavi di accesso per Mario Draghi a un G20 che sia davvero efficace. E proprio per questo la Russia, che è tanto autoritaria quanto abile sul piano diplomatico, alza il prezzo del suo possibile impegno.
Ieri il ministro degli Esteri di Mosca, Sergej Lavrov, lo ha detto chiaramente al presidente del Consiglio nel corso del loro colloquio: “Vogliamo capire quale ruolo l’occidente intende assegnare alla Russia”. Al centro delle preoccupazioni manifestate al premier italiano ovviamente il terrorismo, ossessione evidente dei paesi più vicini all’Afghanistan. Ma Lavrov tiene ancora nascoste le carte che più gli interessano: le sanzioni occidentali, il ruolo dell’Ucraina, un riconoscimento complessivo di Mosca quale potenza essenziale per gli equilibri mondiali.
Lavrov parla a Draghi rivolgendosi ovviamente all’intera Unione europea e bene sapendo che al momento non c’è una grande disponibilità dell’altro grande attore decisivo, la Cina. Pechino al momento è riottosa, non ha sciolto le riserve, se ne parlerà ai primi di settembre quando è previsto il colloquio con Draghi.
Immediatamente disponibile, invece, l’India, per ragioni evidenti di contrasto al Pakistan, storico nemico. Narendra Modi ha twittato che è disponibile a una “risposta coordinata”, ma, appunto, per ora non è chiaro l’approdo.
Le cose sul terreno sono destinate a mutare velocemente. La Turchia, infatti, ha fatto sapere che i talebani hanno chiesto ad Ankara di occuparsi della gestione operativa dell’aeroporto afghano e Recep Erdogan ha detto che ci sta pensando. Una possibilità di azione o anche questo un modo di giocare sui tavoli complessi della diplomazia internazionale. Allo stesso tempo gli Usa hanno fatto sapere che i talebani desiderano la loro permanenza “diplomatica” a Kabul, segno di un dialogo tra i due opposti che sembra paradossale, ma ha una logica politica.
L’asse Stati Uniti-Europa, però, è al momento in una fase di stallo, quasi imbambolato rispetto alle rapide evoluzioni. E chissà se si riprenderà. Il rientro è quasi terminato, ma non è chiaro quanti e quali afghani siano stati lasciati indietro. Joe Biden deve ripetere un messaggio importante in chiave interna: vuole morti i responsabili della strage (e per questo potrebbero essere utili i talebani). L’Europa è invece assorbita dal problema umanitario e dei profughi. Ieri il ministro Luigi Di Maio ha proposto ai 26 colleghi Ue di organizzare la prossima riunione del 2-3 settembre in Slovenia anche con l’Unchr dell’Onu incaricata della gestione dei profughi. Il premier inglese Boris Johnson ha detto che “smuoverò mari e monti” per aiutare chi è rimasto in Afghanistan dopo il 31 agosto, ma non è chiaro come farà. Allo stesso tempo, la bozza di risoluzione della prossima riunione dei ministri degli Interni della Ue, resa nota dall’Ansa, dice che al centro del dibattito che si svolgerà lunedì c’è esattamente la paura di un possibile e non gestibile impatto dei migranti. L’Europa al momento è ripiegata su sé stessa, come gli Usa del resto, e non sembra avere altre carte. Chissà che Putin non sia utile.