Il dramma Serbelloni-Cirinnà: è costretta persino a fare l’orto

Mi trovavo in un piccolo paese del sud, poco tempo fa, e mentre ero alle prese con un problema idraulico, una persona del posto continuava a ripetermi: “Chiami il faccendiere”. Mi sembrava una specializzazione un po’ vaga, per risolvere il problema, finché il tizio non mi ha ripetuto ad alta voce: “CHIAMI IL FONTANIERE!”. Lì ho capito che il fontaniere era l’idraulico, e mi sono sentita ne I Malavoglia. Ho provato la stessa sensazione ieri, leggendo l’intervista rilasciata dalla senatrice Monica Cirinnà al Corriere della sera a proposito dell’appassionante giallo dell’estate: chi ha nascosto 24.000 euro nella cuccia della sua villa a Capalbio?

La faccenda sarebbe già esilarante così (perfino i cani ormai hanno benefattori a loro insaputa), se al tutto non si aggiungesse anche una dichiarazione della senatrice che pare uno sfogo della contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare di Capalbio Lido: “Ero già nei pasticci di mio, nelle ultime settimane. Nei pochi giorni di ferie sto facendo la lavandaia, l’ortolana, la cuoca. Tutto questo perché la nostra cameriera, strapagata e messa in regola con tutti i contributi Inps, ci ha lasciati da un momento all’altro. Volete sapere il motivo? Mi ha telefonato un pomeriggio e mi ha detto, di punto in bianco: ‘Me ne vado perché mi annoio a stare da sola col cane’”.

Insomma, mi è tornato in mente il fontaniere. E poi la mamma di Rose in Titanic quando urla alla figlia che rifiuta un matrimonio combinato: “Vuoi vedermi lavorare come CUCITRICE?”. Con quel “cucitrice” pronunciato col labbro che trema e i lacci del corsetto stretti finché Rose non diventa color melanzana. Se non fosse che Landini è occupato a presidiare le indispensabili barricate contro l’obbligo del green pass nelle mense di lavoro, se non fosse che alla Festa dell’Unità il Pd invita uno che si travestiva da nazista, se non fosse che Italia Viva sta pensando a un referendum contro il reddito di cittadinanza per poi passare a proporre, in futuro, quello per l’abolizione dei cassonetti gialli della Caritas, sulle parole della Cirinnà ci sarebbe da scrivere un “Lavoro salariato e capitale” in salsa maremmana. C’è tanto di quel materiale per un trattato sociologico che io stessa mi sarei messa a scriverlo, se non fosse che si è da poco licenziata la mia dattilografa, sono nei pasticci e non intendo fare l’amanuense.

Un po’ come la Cirinnà, insomma, la quale ci spiega che, tapina, è costretta a fare LA LAVANDAIA, L’ORTOLANA, LA CUOCA. Insomma, quei problemi classici della sinistra vicina alla gente: scopri che la cuccia del cane è un caveau e nel frattempo ti si licenzia la donna di servizio. Speriamo che lo schiaccia-chele per le aragoste non le si sia inceppato, altrimenti si prospetta proprio un’estate di merda, povera donna.

Ma è anche il resto della dichiarazione a sembrare il definitivo scollamento di un bel pezzo di sinistra dalla realtà. Una sinistra in cui ormai, come scriveva ieri la giornalista Giuliana Sias, “ci si batte solo per i diritti civili perché ci hanno costruito il loro pubblico e le loro carriere”.

Ed è emblematico come la Cirinnà parli di normali lavori domestici attingendo a un lessico dal sapore verghiano, trasformando banali mansioni casalinghe in “vecchi mestieri”. Ci mancava solo che lamentasse di dover fare anche il cocchiere e la carbonaia.

Sembrano parole della nobiltà di altri tempi che immagina il mondo del lavoro fatto di manualità e fatica come una sorta di presepe vivente. Col ciabattino illuminato dallo stoppino acceso della lanterna a olio.

Lavandaia, cameriera, ortolana. A sapere che avevo tutti questi titoli mi sarei messa le medagliette sul petto come Figliuolo.

Poi c’è quel sottolineare che lei la cameriera la STRApagava ed era perfino in regola, quasi stupita di se stessa, della sua magnanimità.

Infine, un altro passaggio che trovo insuperabile. Quello in cui la Cirinnà si lamenta che la cameriera si sia licenziata perché si annoiava sola col cane.

Una cameriera si è licenziata perché forse di spadellare, accudire il giardino, lavare, stirare in una villa in campagna a Capalbio sola come un cane e senza neppure una cuccia-caveau non aveva più voglia e la Cirinnà lo trova inconcepibile. Trova anomalo che un’ortolana-lavandaia-cuoca-dog sitter-guardiana della villa possa ambire pure a una vita sociale. Al pane e alle rose. Alla cuccia e alle banconote. Quante bizze, questo proletariato.

P.s. Ieri, in giornata, la Cirinnà ha chiesto scusa per le parole utilizzate. Lo ha comunicato direttamente lei su Twitter. Il suo araldo era in malattia.

Università: un miliardo del Pnrr in regalo ai privati

Perdersi nelle centinaia di pagine del Piano di ripresa e resilienza (Pnrr) e dei suoi allegati è molto facile e molte scelte del governo, pur assai rilevanti, rischiano di finire in secondo piano nel dibattito pubblico: è passata quasi inosservata, ad esempio, la riforma degli alloggi per gli studenti universitari e invece siamo, di fatto, di fronte a un vero e proprio regalo agli immobiliaristi.

Prima, però, facciamo un passo indietro. Il Covid ha costretto molti cosiddetti “fuorisede” ad abbandonare la città dove studiavano e ancora oggi le incognite restano tante. Certo, il prezzo degli affitti sembra essere leggermente sceso (-2,5%), ma sul ritorno in presenza delle lezioni pesa la mancanza di un’organizzazione condivisa e ben ragionata. Le criticità emerse con la pandemia si sono innestate su problemi strutturali, come i ritardi nell’assegnazione dei posti letto e le disomogeneità fra regioni. La scarsità degli alloggi disponibili fa sì che negli studentati viva solo il 5% degli universitari italiani, contro una media europea del 17% (dati Eurostudent).

In questo contesto di disagio, la versione definitiva del Pnrr prevede lo stanziamento di 960 milioni di euro per la residenzialità studentesca. L’obiettivo? Portare i posti per gli studenti fuorisede dagli attuali 40 mila a oltre 100 mila entro il 2026.

Come raggiungere questo traguardo? Eccoci giunti al punto cruciale: la revisione della legge 338/2000 e del decreto legislativo 68/2012 sulla realizzazione degli alloggi studenteschi. La riforma prevede “l’apertura della partecipazione al finanziamento anche a investitori privati, o partenariati pubblico-privati” e una lunga serie di altre concessioni ai signori del mattone.

Innanzitutto il governo sosterrà la “sostenibilità degli investimenti privati” con un regime di tassazione agevolato (“simile a quello applicato per l’edilizia sociale”). Poi, i nuovi alloggi potranno essere utilizzati dai gestori in modo “flessibile”. In altre parole, quando non serviranno a ospitare studenti, potranno essere affittati a terzi. Non solo: saranno ammorbiditi anche i requisiti sugli spazi comuni minimi. In cambio, i gestori dovranno soltanto provvedere a camere singole “meglio attrezzate”.

Infine, la ciliegina sulla torta. Il ministero dell’Università e della Ricerca coprirà in anticipo (!) ai privati gli “oneri corrispondenti ai primi tre anni di gestione delle strutture”. In sintesi, il governo riempirà generosamente di soldi pubblici le tasche dei costruttori privati, nella speranza che ciò possa triplicare gli alloggi studenteschi disponibili in Italia. Questa misura, che il Pnrr definisce una “architettura innovativa e originale”, nel migliore dei casi sarà un pasto gratis per gli immobiliaristi. Nel peggiore, non scalfirà il problema dei posti letto. In ogni caso, il percorso legislativo è stato avviato, dato che alcune delle modifiche previste dal Pnrr sono già state inserite nel recente decreto Semplificazioni.

Fra i diretti interessati (ossia gli studenti) inizia a serpeggiare qualche malumore. Giovanni Sotgiu, coordinatore dell’Unione degli Universitari, dice al Fatto: “L’intervento previsto nel Pnrr per aumentare i posti letto nelle residenze universitarie va nella direzione giusta, ma è sicuramente ancora insufficiente se si guarda al numero totale di immatricolazioni e lo si rapporta alla percentuale di beneficiari di posti letto”. Per Sotgiu l’aumento della soglia di cofinanziamento statale è positivo, ma “è necessario che i fondi raddoppino e si lavori sugli standard di qualità degli alloggi, oltre che sul numero”.

Non sono solo queste le preoccupazioni degli universitari. Sotgiu sottolinea che “la possibilità di cofinanziamento da parte dei privati, in un ambito determinante per l’accesso all’università pubblica di tante studentesse e tanti studenti, rischia di conferire una discrezionalità sui criteri di accesso alle residenze – come è già accaduto a Venezia – che può facilmente rivelarsi limitante ed escludente, ampliando le già note disuguaglianze territoriali”. Che fare, allora? “Stato e Regioni dovrebbero stanziare la quantità di finanziamenti sufficienti a coprire in toto il fabbisogno di posti alloggio, così da non dover subordinare i criteri di accesso agli interessi dei privati”.

Non c’è da nascondersi dietro un dito: la torta degli affitti studenteschi fa gola a molti. Nel settore alcuni si stanno già muovendo. Un esempio? Dopo i Giochi di Milano-Cortina del 2026, il villaggio olimpico diventerà in parte uno studentato, di cui si occuperà la Coima sgr dello sviluppatore Manfredi Catella, che gestisce 27 fondi immobiliari e vale 8,4 miliardi di euro di investimenti.

Invece di realizzare un massiccio piano di residenzialità pubblica, nel Pnrr si è insomma deciso di supportare (e garantire) gli investimenti privati. Il diritto allo studio, così, rischia di passare in secondo piano. Su un punto cruciale della vita universitaria, che avrà un impatto su migliaia di giovani, il governo sembra aver rinunciato a intervenire con decisione e coraggio.

 

“Noi del Comitato di Bioetica restiamo contro l’obbligo vaccinale”

Giorni fa il Comitato nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della vita (Cnbb), organo consultivo della presidenza del Consiglio, ha auspicato l’obbligo vaccinale per “coloro che svolgono funzioni pubbliche e comunque attività lavorative che pongano il cittadino a stretto e continuo contatto con altri soggetti”. Anche la Consulta di Bioetica, che per quanto autorevole è un’associazione privata, vuole l’obbligo per tutti. Molto più cauto è il professor Lorenzo d’Avack, giurista e filosofo del diritto, presidente del Comitato nazionale di Bioetica (Cnb) della presidenza del Consiglio.

Professore, a novembre, prima dell’inizio delle vaccinazioni, il Cnb si pronunciò per l’obbligo solo per alcune categorie, che poi erano gli operatori sanitari. E sulla scuola?

Avevamo dei dubbi anche perché vaccinare solo i docenti non ci sembrava sufficiente. Tenga conto che allora lo stato di necessità era dato soprattutto da un espandersi della pandemia, mentre oggi mi pare collegato soprattutto al fatto che siamo usciti dal lockdown e cerchiamo di fare una vita più normale possibile.

Il Cnbb, che ha competenze scientifiche, si è pronunciato di sua iniziativa a favore dell’obbligo. Perché voi no?

Dal governo nessuno ci ha chiesto niente. Le ricordo che il ministro Roberto Speranza alla Camera citò il Cnb per dire che era favorevole alla non obbligatorietà del vaccino. Anche a noi può capitare di esprimere pareri d’iniziativa, ma forse il tema avrebbe richiesto una sollecitazione.

Conservate le perplessità che avevate a novembre?

Non abbiamo trattato di nuovo il problema ma penso che, se lo facessimo, diremmo ancora no all’obbligatorietà salvo casi eccezionali e soprattutto in caso di maggiore espansione della pandemia.

L’area individuata dal Cnbb è più ampia.

Se parliamo di categorie professionali in contatto con altri soggetti, come scrive il Cnbb, non vedo quali non siano in contatto. Sarebbe più chiaro e limpido dire che c’è l’obbligo vaccinale.

Il vostro ragionamento sarebbe lo stesso anche se, invece dell’obbligo, fossero ampliate le attività subordinate al green pass?

Credo di sì, ma io sono solo uno su 22 membri del Cnb.

Perché siete contro l’obbligo?

Il principio si ricava dall’art. 32 della Costituzione: nessuno può essere sottoposto a un trattamento sanitario se non manifesta una volontà favorevole.

Però l’articolo 32 consente trattamenti obbligatori per legge.

Sì ma legati a particolari stati di necessità. La pandemia lo è per alcuni, per altri in questo momento meno.

Le imprese vogliono l’obbligo.

È comprensibile. Vediamo uno scontro tra diritto alla salute e diritto all’economia.

Vi sentite accerchiati?

(Ride, ndr) No. Il ministro Speranza non ci ha chiesto niente, nel mondo politico c’è una spaccatura. C’è chi preferisce cercare il consenso anziché violare le libertà individuali.

Il 1° settembre non si potrà prendere il treno senza green pass, non è una riduzione delle libertà?

Certamente. C’è chi sostiene che il green pass è una forma indiretta per non parlare apertamente di obbligo vaccinale. Noi, nel nostro parere, non neghiamo l’opportunità del certificato vaccinale ma avvertiamo di possibili disuguaglianze. Per chi non si vaccina c’è il tampone, ma quanto costa il tampone ogni 3 giorni?

“È vero, abbiamo fatto poco: ma molti soldi sono bloccati”

“Molte risorse, seppure stanziate, sono in attesa dei provvedimenti di riparto. E fino a quando non saranno perfezionati non vi potrà essere erogazione e quindi nemmeno spesa. È però vero che sul fronte dei servizi aggiuntivi del trasporto pubblico locale ne sono state utilizzate molte meno di quelle previste”. Fulvio Bonavitacola, vice presidente della Campania, è il coordinatore della commissione Trasporti della Conferenza delle Regioni. Conferma quanto scritto ieri dal Fatto: degli oltre 1,1 miliardi di fondi stanziati nel 2020 e nel 2021 per potenziare gli autobus in vista dell’imminente riapertura delle scuole, ne è stato usato poco, solo il 22%. Ma precisa: “Non confondiamo stanziamento, riparto, spesa”.

Bonavitacola, non c’è un ritardo da parte delle Regioni?

Chiariamo che i soldi messi a disposizione dal governo Conte 2 e dall’attuale governo per fronteggiare l’emergenza Covid nel campo dei trasporti avevano e hanno due obiettivi. Da un lato compensare le aziende di trasporto pubblico locale per il crollo dei ricavi provocato prima di tutto dal lockdown, dall’altro finanziare servizi aggiuntivi a fronte della contrazione del coefficiente di riempimento dei mezzi, per molto tempo limitato al 50%.

Sì, ma dove sono finiti i finanziamenti?

Ci sono comprensibili differenze tra le diverse realtà regionali: in Campania, per esempio, abbiamo rispettato standard di spesa per potenziare il trasporto pubblico in linea con le risorse ottenute. Ma in linea generale la maggior parte dei fondi sono stati utilizzati per compensare i mancati ricavi delle aziende. Ai servizi aggiuntivi ne sono andati molti meno. Ma c’è un motivo: la riduzione della domanda dovuta al ricorso alla didattica a distanza.

E adesso? È corsa contro il tempo? Molte Regioni rilevano che è difficile reperire autobus sul mercato, per fabbricarne uno ci vogliono tre anni…

Non è pensabile attendere la costruzione di nuovi bus, occorre fare leva sull’utilizzo di mezzi adibiti ad altri usi. Per questo è stato importante consentire anche ai mezzi da noleggio con conducente di partecipare a procedure di affidamento dei servizi aggiuntivi. Va ricordato che non tutte le linee sono duplicabili facilmente, le tratte metropolitane su ferro non sono sostituibili alla pari con mezzi su gomma. Con il coefficiente di riempimento al 50% questo ha creato inevitabili disagi. Ora che il coefficiente è stato portato all’80% i disagi ci saranno comunque, ma in misura più contenuta.

Lei è reduce dall’incontro, ieri, tra le Regioni, che entro il 2 settembre dovranno aggiornare i piani per la mobilità, e il ministro alle Infrastrutture e alla Mobilità sostenibili Enrico Giovannini. Avete chiarito i compiti dei controllori?

La legge Finanziaria ha previsto che al personale ausiliario del traffico possono essere conferite le funzioni di controllo e di accertamento del rispetto da parte dei viaggiatori delle norme sull’uso dei mezzi di trasporto. Norma giusta ma di difficile applicazione. Le sanzioni in materia Covid non sono estendibili automaticamente alle violazioni a bordo di un mezzo di trasporto. Credo che occorra una norma ad hoc per chiarire cosa può fare il controllore di fronte al viaggiatore indisciplinato. E poi servono una copertura finanziaria dei costi, che la norma attuale vieta, e l’estensione della possibilità di utilizzo delle risorse destinate ai servizi aggiuntivi anche a copertura delle attività di controllo.

Ed eventuali nuove assunzioni?

Il quadro normativo non lo prevede. Peraltro i costi non possono gravare sui bilanci di aziende già molto stressate per il crollo dei ricavi.

Poche risorse spese al buio: la scuola è sempre l’ultima

La variante Delta, certamente. Ma preoccupano pure i soldi: quelli che sono stati dati ma che non si sa dove siano finiti, quelli che sono stati annunciati ma che ancora non si vedono e quelli che potrebbero non esserci se non si rimpingua quanto prima il fondo da cui arrivano. Partiamo dall’inizio. Ieri la Fondazione Gimbe ha diffuso il suo rapporto periodico sull’andamento della pandemia e le misure messe in campo contro il Covid 19, ma ha anche fatto riferimento all’istruzione. Il “piano scuola – scrive – non convince. Se il Governo si è impegnato a riaprire le scuole al 100 per cento, le misure approvate con il Dl 111/2021 (cioè quello del 6 agosto, ndr) non contengono rilevanti cambiamenti, a fronte di una variante del virus molto più contagiosa”. Anche la condizione nelle aule non sarebbe cambiata di molto, con gli stanziamenti messi a disposizione che spesso sono ancora lettera morta.

“Non esiste – afferma Gimbe nel suo monitoraggio – alcuna rendicontazione pubblica su come siano stati impiegati i 150 milioni del decreto Sostegni”, ovvero quelli che erano destinati a garantire “idonea areazione e ventilazione dei locali” nonché il “distanziamento fisico” dei ragazzi. Inoltre, i 350 milioni del decreto Sostegni bis (quello approvato a luglio) che dovrebbero servire per varie misure “tra cui dispositivi di protezione individuale e riprogettazione spazi” a oggi “sono stati ripartiti tra le scuole solo sulla carta”.

Tutto è progetto, poco ancora di tangibile. Ieri sul Fatto abbiamo raccontato che solo il 22 per cento del miliardo stanziato sotto due governi è stato speso dalle Regioni per i trasporti: “Al di là di generiche indicazioni sullo scaglionamento degli orari di ingresso – dice Gimbe –, spunta solo la figura del mobility manager” Al di fuori della sperimentazione dei test salivari su circa 100 mila studenti al mese, non è poi previsto nessuno screening periodico e sistematico di studenti e personale scolastico. Unica novità: l’obbligo del green pass per il personale scolastico, non esteso agli studenti over 12 per i quali si punta, con un rischio poco “ragionato”, esclusivamente sulla copertura vaccinale.

La scuola, anche col governo dei Migliori, sembra essere in fondo alla lista delle priorità (leggi “dei destinatari dei soldi, pure se necessari”). La cinghia è stretta, anzi strettissima, soprattutto per il fondo da cui il ministero dell’Istruzione dovrebbe tirare fuori i soldi per il personale aggiuntivo che sarà assunto, a seconda dei bisogni delle scuole, fino a dicembre.

Ad analizzare i numeri è facile intuire perché si sia deciso di assegnare personale aggiuntivo solo per il recupero degli apprendimenti degli alunni e non per un eventuale e neanche tanto superfluo (siamo pur sempre in emergenza) sdoppiamento delle classi: sarebbe costato troppo. I soldi per questo personale arrivano, secondo quanto stabilito dal decreto Sostegni-bis, da un fondo specifico, istituito dall’articolo 235 del decreto-legge 34 del 2020 anche detto “Rilancio”. In questo fondo, lo scorso anno, erano stati stanziati 1,8 miliardi di euro per l’organico Covid, ovvero per i docenti in più da utilizzare sulle classi smembrate e itineranti. Tolte le spese per quel personale, grazie al ricorso alla Dad sul 2021 residuavano 758 milioni. Di questi, secondo i primi calcoli, 358 milioni andranno ora a pagare i supplenti che sostituiranno chi dopo cinque giorni non presenterà il green pass, 400 andranno al personale aggiuntivo. Il futuro è invece noia. Se non dovesse essere rimpinguato, il fondo rischia di essere incapiente. Intanto, si fa quel che si può. Peccato che potrebbe non essere abbastanza.

Oggi la Sicilia (la Regione meno immunizzata) torna gialla

Il passaggio della Sicilia in zona gialla – evitato la scorsa settimana grazie anche all’aumento in extremis della disponibilità dei posti letto – sarà decretato quasi certamente oggi dopo l’esame dei dati della Cabina di regia. A meno di nuovi colpi di scena, i numeri dicono che la Regione è destinata ad abbandonare la zona bianca, poiché ha nuovamente sforato i tre parametri previsti: ricoveri in terapia intensiva (11%, la soglia è al 10), ricoveri in area medica (20%, il tetto è al 15) e incidenza dei contagi, 186,27 casi ogni 100 mila abitanti. L’unica altra Regione a rischio è la Sardegna, dove per ora restano sotto il limite fissato solo il tasso di occupazione dei reparti non critici, fermo al 14%, ovvero un punto percentuale sotto il tetto massimo previsto.

I dati siciliani, ancora peggiorati rispetto alla settimana precedente, sono la naturale conseguenza dell’andamento della campagna vaccinale: la Sicilia, infatti, è la Regione con la percentuale più bassa in Italia di immunizzati (sono quasi 628 mila mila i siciliani over 40 senza nemmeno una dose). Di fatto, tuttavia, il passaggio da zona bianca a zona gialla comporta ben pochi cambiamenti: ritorno dell’obbligo di mascherina anche all’aperto e divieto di tavolate superiori alle quattro persone. Tra le altre regioni, detto della Sardegna, solo la Calabria raggiunge la soglia del 15% per quanto riguarda i reparti ordinari, mentre l’Umbria è al 9% per quanto riguarda le terapie intensive.

Sono intanto 7.221 i positivi al Covid-19 registrati nelle ultime 24 ore in Italia, in calo rispetto a mercoledì (quando erano stati 7.548). I tamponi molecolari e antigenici effettuati sono stati 220.872. Il tasso di positività che cresce leggermente, passando dal 3,09% al 3,27%. Diminuiscono anche le vittime, 43 a fronte delle 59 del giorno precedente. Si inverte subito la tendenza osservata ieri nel calo dei ricoveri ospedalieri. I pazienti ricoverati nelle terapie intensive sono 503, quattro in più di ieri nel saldo tra entrate e uscite: i nuovi ingressi sono stati 38. I ricoverati con sintomi nei reparti ordinari, invece, sono 4.059, 36 in più rispetto a ieri.

Milano-Cortina 2026: addio diritti d’autore e zero euro a chi scriverà la colonna sonora

Non si sa se le Olimpiadi invernali Milano-Cortina 2026 saranno un buco nell’acqua, di sicuro lo saranno per l’autore delle musiche che accompagneranno l’evento, che non solo non prenderà un euro dalla canzone che scriverà per la Fondazione che gestisce i Giochi, ma non vedrà nemmeno riconosciuta la sua autorialità.

I fatti. Nel pomeriggio del 23 agosto il ministero della Cultura ha diffuso il bando redatto dalla Fondazione Milano Cortina 2026, presieduta dal solito Giovanni Malagò, che ha istituito un “contest” (così nel bando) “riservato agli Istituti superiori di studi musicali, ivi inclusi i Conservatori di musica, alle istituzioni autorizzate a rilasciare titoli di alta formazione nel settore musicale ovvero alle realtà musicali del circuito AFAM del Miur, nonché alle bande musicali autonome civili e militari” per individuare e far realizzare MiCosong, ovvero “un’opera musicale che accompagnerà gli eventi di avvicinamento ai Giochi sino al 2026”. La partecipazione al bando è a titolo gratuito, ma la novità è che anche chi vince si troverà con nulla. Non solo, infatti, il contest non prevede un premio in denaro, ma all’articolo 10 si richiede che l’artista vincente ceda alla Fondazione tutti i diritti sull’opera. E per tutti si intende tutti: “Si intendono ceduti a titolo gratuito tutti i diritti patrimoniali d’autore sul brano, ovvero nello specifico – tra gli altri – il diritto di pubblicazione, riproduzione, trascrizione, esecuzione, rappresentazione o recitazione in pubblico, comunicazione al pubblico, elaborazione e modificazione dell’opera, noleggio e prestito…”. Non fosse chiaro: “Il diritto di utilizzare il brano nell’ambito delle attività svolte per l’avvicinamento ai Giochi in tutti i paesi del mondo, con facoltà di modifica, riproduzione e trasmissione dello stesso su qualsiasi media e supporto (a titolo esemplificativo, sito web, social media, radio, televisione, etc.) e in qualsiasi evento, e ciò anche ai più ampi fini promozionali della Fondazione e/o dei suoi aventi causa…”. Finito? Macché, il regolamento va oltre imponendo all’autore anche la perdita del diritto d’autore: “La Fondazione si riserva la facoltà di tutelare il brano musicale nelle forme ritenute, a suo giudizio, più adeguate, ivi compresa la facoltà di depositare, a titolo esemplificativo, a proprie spese e a proprio nome l’opera musicale come inedita”. Di fatto si propone di appropriarsi del brano scritto da altri, il che è in contrasto con le norme italiane, europee e internazionali sul diritto d’autore. A non dire del buonsenso.

Follonica, barca investe e uccide sub mentre lavora

Un sub 39enne è morto ieri mattina mentre era impegnato in attività lavorative in mare a un impianto di itticoltura nel golfo di Follonica (Grosseto). I colleghi di Giorgio Chiovaro – è il nome della vittima – hanno dato l’allarme, una motovedetta della Capitaneria di porto di Piombino ha recuperato l’uomo in stato di incoscienza e lo ha portato al porto, dove era intanto giunta un’ambulanza ed è stato constatato il decesso. Sono in corso indagini sulla dinamica dell’incidente da parte della guardia costiera e della polizia. “È forte e profondo il nostro grido di rabbia e di dolore per l’ennesima morte sul Lavoro – afferma Enrica Mammucari, segretaria generale di Uila Pesca – Ai suoi familiari il nostro sindacato si stringe con affetto. Ma forte e decisa è anche la nostra denuncia per il clima di inerzia e indifferenza nel quale, nel nostro Paese, si ripetono, quotidianamente, incidenti mortali sul Lavoro. E forte e decisa è la nostra richiesta alle istituzioni e al mondo delle imprese affinché si fermi questa autentica strage continua”, conclude.

La Cig non arriva? Il Mef incolpa Inps: “Soldi trasferiti”

Non è un bel periodo per i rapporti tra ministero dell’Economia e Inps. In principio fu la copertura della quarantena per contatti con un positivo per i lavoratori del settore privato: l’Inps ha segnalato più volte al Tesoro che la misura non era stata coperta per il 2021 e a un certo punto ha smesso di pagare. Poi il Consiglio d’indirizzo ha ritenuto che i nuovi sostegni penalizzino il bilancio Inps per 2,5 miliardi. Infine il caso della cassa integrazione in ritardo anche di 5 mesi per decine di migliaia di lavoratori: come Il Fatto ha raccontato l’altroieri c’è un inghippo burocratico dietro i ritardi, ma il Tesoro ha voluto spiegare in una nota che la colpa non è certo sua. Tutti i fondi sono stati pagati secondo legge, il ministero e la Ragioneria generale “hanno fornito tutto il necessario e tempestivo supporto” all’Inps, anche suggerendo una diversa e più flessibile allocazione delle risorse previste, a non dire, si conclude la nota, delle modifiche normative già realizzate per “un più efficiente utilizzo e una migliore allocazione delle risorse”. Tradotto: non guardate noi.

Cantone, la perizia di parte: “Non fu suicidio. Ha due lesioni sul collo, è stata strangolata”

Due lesioni sul collo. Sarebbero la prova che l’impiccagione è stata messa in scena per nascondere l’omicidio. In base a questa teoria, Tiziana Cantone non si sarebbe tolta la vita, ma sarebbe stata strangolata. L’ipotesi emerge dalla nuova perizia giurata, anticipata da Il Mattino, firmata da Mariano Cingolani, ordinario di Medicina legale dell’università di Macerata, chiesta dagli avvocati di Maria Teresa Giglio, madre della 31enne trovata morta a Mugnano di Napoli il 13 settembre 2016. Finora la morte della ragazza – avvenuta dopo la diffusione senza il suo consenso di alcuni video hot che la riguardavano – era stata considerata un suicidio.

Sulla base di alcune fotografie di Tiziana, nel suo parere Cingolani, incaricato da Emme-Team, il gruppo di avvocati che assiste da quasi due anni la Giglio, ipotizza la presenza di due ferite a breve distanza l’una dall’altra sul collo della ragazza, arrivando alla conclusione che la donna non si sarebbe suicidata con la pashmina ritrovata attorno al suo collo dalla zia, ma sarebbe stata uccisa, forse con lo stesso indumento, per cause al momento ignote. Un tassello importante per Teresa Giglio, la “mamma coraggio” che con la sua determinazione è riuscita prima a incidere sull’approvazione della legge sul “revenge porn” e poi a far riaprire il caso giudiziario dalla Procura di Napoli Nord (sostituto Giovanni Corona), che per vederci chiaro ha fatto riesumare il corpo della Cantone per effettuare quella autopsia mai realizzata dopo il ritrovamento del cadavere; un esame medico-legale fondamentale il cui esito non è stato ancora presentato ai pubblici ministeri dai consulenti nominati nei mesi scorsi.

Al momento nell’inchiesta – si procede per omicidio volontario – non figurano indagati, ma si attendono gli sviluppi di un’altra indagine aperta nel 2020 dall’ufficio inquirente con sede ad Aversa (Caserta). È il fascicolo per la presunta manomissione dei dati contenuti nel cellulare e nell’Ipad di Tiziana. Per i consulenti di Emme-Team la manomissione che avrebbe reso “tabula rasa” i due dispositivi, compromettendo la possibilità di conoscere le ultime ore di vita della ragazza, sarebbe avvenuta mentre gli apparecchi erano custoditi dalla polizia giudiziaria (carabinieri) incaricata di indagare sulla morte della ragazza; una morte classificata subito come suicidio, ma che potrebbe essere stata provocata da altre persone.