Chiamatelo sBocciardo!

Con tuttele bottiglie che ci farà aprire chiamiamolo sBocciardo!

Sono già due gli ori per l’atleta genovese, 100 e 200 stile libero, il bello è che Francesco non ha ancora finito. Una carriera in crescendo, partita per caso a 3 anni quando la fisioterapista che lo seguiva nel percorso riabilitativo consigliò ai genitori di portarlo in piscina.

Ecco dove la disabilità si trasforma nell’occasione della vita e la lungimiranza del personale sanitario diventa salvifica.

Prima per imparare a gestire il proprio corpo senza poter utilizzare le gambe, poi per divertirsi e dal 2015 per inanellare una serie infinita di successi.

L’acqua aiuta parecchio se non puoi camminare, riduce la forza di gravità e ti permette di stare in posizione verticale. Ma quando c’è da nuotare le cose cambiano: puoi contare solo sulle tue braccia e un po’ sugli addominali, a volte le gambe nemmeno galleggiano. A Francesco poco importa, lui parte piano, quasi sornione e poi se li mette alle spalle tutti, uno dopo l’altro. Anche la sua carriera è un autentico crescendo, dal “zero titoli” di Londra, passando all’oro di Rio per arrivare a Tokyo 2020, dove parte della storia è ancora da scrivere.

La fatica fa parte del successo, anzi gli rende decisamente onore e in acqua non c’è vittoria che non passi attraverso sacrifici immani. I nuotatori paralimpici si allenano da professionisti, curano l’alimentazione e l’aspetto mentale.

Nonostante la giovane età, Francesco ha ben chiaro quanto gli stia dando lo sport e si adopera da tempo per restituire qualcosa. Mi capita spesso di sedermi accanto a lui in Commissione Nazionale Atleti e, più che parlare dei propri successi, esprime il desiderio di diffondere la cultura paralimpica e l’importanza dell’attività sportiva per le persone con disabilità.

Fidatevi di Bocciardo: fregatevene delle vere o presunte disabilità che pensate di avere: trovatevi uno sport, uscite di casa e cercate chi può farvelo fare.

 

Calenda double face: complimenti per lo stile

Un mese fa, organizzando la festa del Fatto a Roma, abbiamo pensato a un confronto fra i 4 candidati a sindaco. E li abbiamo invitati. Calenda, Gualtieri e Raggi hanno subito accettato, Michetti ha rifiutato (come la sua vice Matone). La settimana scorsa gli staff dei tre candidati ci hanno confermato la loro presenza. Ieri, al Foglio, Calenda ha dichiarato che non verrà, senz’avere neppure il coraggio e la buona creanza di avvertirci: “Non voglio legittimare quel giornalismo fondato sugli insulti, le insinuazioni e gli sputacchiamenti. Non è un posto serio dove fare un confronto”. Gli abbiamo chiesto via sms a quale Calenda dovessimo credere: a quello che aveva aderito e confermato o a quello del Foglio? Nessuna risposta. Poi, dopo ore, la conferma imbarazzata del suo portavoce, che aveva appreso anche lui la defezione dal Foglio. Naturalmente ce ne faremo una ragione. Già lo conoscevamo come mediocre politico e pessimo ministro: ora scopriamo che è pure un codardo, un cialtrone e un cafone. Ma anche un bugiardo: due anni fa, ospite della nostra festa alla Versiliana, ci ringraziò per la correttezza con cui avevamo gestito il dibattito. Segno evidente che non gli avevamo riservato né insulti né insinuazioni né sputacchiamenti. Purtroppo.

Opinionisti tv, il falò (estivo) delle vanità

La telepolitica d’estate è come il calcio d’estate: vale per quel che vale, inutile farsi illusioni. Nel talk show balneare, dove le prime linee riposano, l’unico diversivo arriva dal collegamento dei forzati dell’ospitata; mezzibusti abbronzati, visi affocati da Lucifero, camicie sbottonate, bibite rinfrescanti sullo sfondo. Ciò nonostante, eccoli ai posti di combattimento per non privare il mondo della loro analisi quotidiana sul rebus della riapertura scolastica, sul sudoku del green pass, sul “Trova il colpevole” della crisi afghana. Si sa, d’estate l’enigmistica tira. Colpisce l’assiduità dei virologi: continuano a ripetere che per avere evidenze la scienza ha bisogno di tempi lunghi e meditati, loro però sono in collegamento quotidiano anche a Ferragosto. Più che un’evidenza, sembra una dipendenza.

Come nel calcio estivo, anche per la telepolitica l’estate è la stagione dove si sperimentano nuovi moduli tattici. Oggi sei opinionista nel salotto del lunedì, domani ti colleghi nel talk del martedì, dopodomani annunci che non tornerai in tv fino a giovedì… poi arriva la domenica, e diventi tu il conduttore. Certo, bisogna avere la stoffa dell’ala tornante, in campo come in video. È il caso di Concita De Gregorio (In Onda, La7): le hanno affiancato il veterano David Parenzo, specialista delle coppie estive shakerate (fa fuori un compagno di conduzione all’anno), ma lei tiene botta, pur passata dall’altra parte della scrivania denunzia uno stile garbato ma compreso. Conduttrice sì, ma senza rinunciare al pensierino laterale.

Come ci sono le porte girevoli, ci sono gli opinionisti girevoli, e questa svolta gender fluid nella compagnia di giro dei talk potrebbe diventare una vera tendenza; basta con questi ruoli precostituiti, ci vuole libertà di telecamera; oggi ti senti meglio a condurre, domani a opinare, e un giorno, chissà, presenterai la Prima della Scala, o il Festival di Sanremo, o magari la Prima di Sanremo in diretta dalla Scala di Milano.

MailBox

 

Covid: monoclonali e cure alternative

Mi rivolgo al dottor De Bari firmatario de “Lo dico al Fatto” pubblicato ieri che trovo in larga parte condivisibile. Tuttavia molti fra i suoi colleghi sono scettici rispetto l’obbligo di fatto della somministrazione dei vaccini Covid attualmente approvati in Europa, perché si tratta di terapie geniche non sufficientemente sperimentate e i cui effetti secondari, al di là di quelli immediati, sono da valutare sul lungo periodo.

Resistono inoltre all’obbligo di fatto di somministrazione, perché sono disponibili cure farmacologiche alternative (anticorpi monoclonali) e perché l’ospedalizzazione non pesa sul Sistema sanitario nazionale più della somministrazione dei vaccini alla popolazione.

Riflettere su dove finiscono i soldi spesi per le ospedalizzazioni e quelli spesi per i vaccini sarebbe interessante, ma forse non fondamentale. Ritengono altresì che spesso i protocolli Covid prevedono il ricovero di pazienti che possono essere trattati in sicurezza a domicilio cosa che alleggerirebbe gli ospedali. La loro posizione è che il vaccino debba essere un’opzione di cui possano avvalersi tutti coloro che lo desiderano e non un Tso. Le sembra una linea “no-vax”? Perché la sua posizione in qualità di medico sia da ritenersi più autorevole di quella dei suoi colleghi che sostengono quanto sopra, non è chiaro.

Silvia Toniato

 

Bernard-Henri Lévy non aveva il petto villoso

Direttore non ci siamo! Sono certo che Bernard-Henri Lévy le farà causa e sono disposto a sostenere le spese legali del filosofo, tanto si vince facile. Lei non può affermare impunemente che abbia il “petto villoso”, perché ciò è falso: il “Bernard-Henri Lévy, petto” è valorizzato dalle candide camicie sbottonate, da sempre riconosciuto quale il più bel décolleté di Francia e forse d’Europa. Roba da matti: informazione asservita ai talebani…

Giovanni Boccedi

 

Chiedo venia e mi batto il petto.

M. Trav

 

Salvini tuona. Lamorgese “trema” a suon di mojito

Salvini ha tuonato contro Lamorgese: “Deve fare il ministro dell’Interno!”. Lei si è preoccupata, avendo cotanto predecessore, di prenotarsi subito un posto al Papeete, dove consumerà tanti mojitos. Sarà soddisfatto il grande lavoratore?

Fabrizio Virgili

 

Vaccini: no alle tifoserie, meglio porsi domande

Si vuole dividere il mondo in pro e no-vax. Lasciando perdere polemiche del tipo “non tutti i medici sono d’accordo con la vaccinazione a tappeto, come il premio Nobel Montaigner”, bisogna chiedersi se: 1) è giusto spendere tutti i (nostri) soldi per vaccinare chi corre rischi quasi nulli come i giovani, oppure se non sarebbe meglio usarli per migliorare la ricettività delle strutture ospedaliere a vantaggio di tutti i malati. 2) Se il vaccino può debellare il virus trasformandolo in un raffreddore o se le mutazioni possono mantenere o peggiorare la situazione attuale, come al momento indicano i dati (anche relativi ai paesi con più vaccinati). Ancora non mi capacito di come alcuni medici facciano l’associazione “vaccinato = sano”, “non vaccinato = malato”: se così fosse i pro-vax non potrebbero essere infettati e non dovrebbero avere nulla da temere… e a quel punto, a cosa servirebbe il Green pass?

Giorgio

 

Durigon ancora in sella e le istituzioni tacciono

Caro direttore, mi chiedo quale ignominia deve commettere un rappresentante delle istituzioni per essere cacciato a calci in culo dal governo del premier dei “migliori” che, a quanto pare, gradisce fare favori alla destra filofascista. Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, non è il garante dei valori della Costituzione: antifascismo, dignità, onore? E la stampa che fine ha fatto? Tutto tace, tranne la vostra voce, sempre più forte, autorevole e libera.

Giancarlo Faraglia

 

La memoria distorta e corta dell’Occidente

Sui talebani i mezzi d’informazione non lesinano commenti che confermano la loro “cattiveria”. Eppure non sono stati i talebani a inventarsi prove fasulle per attaccare l’Iraq, non sono stati loro a gettare nel caos la Libia, o a tirar giù le Torri Gemelle. Noi occidentali vediamo i fatti attraverso il vetro distorto della nostra supponenza: “noi siamo i buoni” quindi i cattivi sono gli altri. Quando un islamista uccide dei civili è un “terrorista che fa strage di innocenti”, quando le nostre bombe fanno strage di donne e bambini, si tratta di “danni collaterali”. Finché regnerà l’ingiustizia non ci sarà la pace, ma alla fine il momento di pagare il conto arriva sempre, cerchiamo di redimerci e cambiamo atteggiamento, seguiamo l’esempio di Gino Strada non per “buonismo”, ma perché è il solo modo di salvare noi e il futuro.

Mauro Chiostri

 

Le paralimpiadi sono un messaggio di rivalsa

Mi piacciono le paralimpiadi perché sono soprattutto rivalsa sui propri limiti. Sono lotta tra rassegnazione e determinazione. Quello che ci offrono questi atleti non è un fisico scultoreo, ma una gigantesca forza di volontà. E un messaggio: tutti possiamo aumentare – con le doti che abbiamo – le nostre possibilità.

Massimo Marnetto

Appello Garanti minori a Mattarella: “Kabul, corridoi per i bambini subito”

Gentile redazione, noi associazioni della società civile e autorità di garanzia con la giornalista Maria Grazia Mazzola, che nel 2009 – con un documento tv Rai esclusivo – denunciò e fece espellere un imam dall’Italia per i suoi proseliti e i suoi rapporti con i terroristi di Al Qaeda, ci rivolgiamo al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, perché Garante dei valori della nostra Costituzione contro la guerra e la difesa dei diritti umani e civili. Nessuno di noi può più avere pace dopo l’esplosione della grave crisi in Afghanistan. Non possiamo rimanere inerti davanti alla tv con le immagini di bambini e adolescenti che non hanno più né sicurezza né cibo da mangiare, in condizioni disumane, con le loro mamme, le famiglie, che non riescono a lasciare il Paese, pur volendolo. Non possiamo avere pace nel vedere che i Paesi più prossimi all’Afghanistan continuano ad alzare e a prolungare muri invece di andare incontro alle migliaia di profughi. Non è umano. In migliaia abbiamo ribadito in Italia la nostra disponibilità all’accoglienza. Apprezziamo gli sforzi del governo italiano nel rimpatriare quanti hanno collaborato col nostro Paese. Ora il problema più urgente ci sembra sia quello di aprire anche strade umanitarie via terra per andare a tirare fuori dalle cantine donne e bambine terrorizzate, senza nutrimento né tutela. Occorrono con urgenza cordoni umanitari ‘bianchi’ interni all’Afghanistan, di Ong riconosciute sul piano mondiale, che possano raggiungere le famiglie più gravemente in pericolo di vita presso le loro abitazioni, ammesso che nel frattempo non vengano giustiziate. Siamo consapevoli che ciò che chiediamo sembra impossibile, ma rispondiamo con le parole di Gino Strada che ha lasciato un monito a tutti noi: “Niente è impossibile” e lo ha dimostrato con i fatti. Ci sentiamo responsabili del tempo che scorre: ogni minuto che passa è una vita umana che può essere spenta. Siamo al bivio di un genocidio – speriamo di sbagliarci – ma senza alcun dubbio di crimini contro l’umanità. Ci appelliamo a Lei, alla tradizione storica italiana basata sulla solidarietà e l’accoglienza che ci ha reso amati nel mondo: chiediamo il suo intervento, la sua sollecitazione internazionale affinché i bambini, le donne, le famiglie siano aiutate a fuggire, ma anche per la popolazione che resta, per il diritto al cibo e alle cure.

16 associazioni, tra cui Cnca, Conadi, Udi, Sindacato medici italiani e i Garanti dei diritti del minore di Puglia, Molise, Abruzzo, liguria, Piemonte e provincia autonoma di Bolzano

Lavoro: il problema non sono i sussidi bensì i compensi

I sussidi italiani e americani sono diversi, ma le argomentazioni di chi vuole abolirli sono le stesse. Per rendersene conto basta poco. Negli Stati Uniti è sufficiente accendere Fox News per assistere a una sorta di replica in inglese dei comizi di Matteo Renzi e Matteo Salvini contro il reddito di cittadinanza. Uno dopo l’altro sfilano i governatori repubblicani che denunciano la mancanza di lavoratori. “Il 73 per cento delle piccole imprese ha difficoltà a trovarli”, dicono. E poi via all’attacco degli assegni versati a chi è rimasto disoccupato causa Covid: “Incentivano la pigrizia”, “la gente sta sul divano e incassa i soldi”. Pure qui, come in Italia, la campagna è furibonda. Anche perché a luglio negli Usa i posti vacanti hanno toccato la quota record di dieci milioni e per ogni disoccupato sono ora disponibili quasi due offerte di lavoro. Un bel problema specie per le pubbliche amministrazioni che, come ha raccontato Bloomberg, hanno bisogno di 720 mila nuovi dipendenti tra poliziotti, vigili del fuoco, operai, sanitari, netturbini, guidatori di autobus e bagnini per le piscine. Un’occupazione quest’ultima che tradizionalmente attirava frotte di studenti e che ora per tornare seducente ha spinto molti sindaci a elargire incentivi da 100 dollari.

Ma allora è vero, dirà l’osservatore distratto: realmente il denaro versato a chi è in difficoltà spinge alla nullafacenza! Salvini, Renzi e la Confidustria hanno ragione! A smentire questa affermazione ci pensano però i dati. Cifre impietose che dimostrano come negli Stati in cui i governatori hanno drasticamente ridotto i sussidi in nome della lotta ai fannulloni le imprese continuano a non trovare manodopera. Anche lì l’occupazione non aumenta e il numero dei posti vacanti resta di fatto invariato. Con un risultato che minaccia di essere paradossale: con meno soldi in tasca i disoccupati finiranno per spendere meno danneggiando le economie locali.

Ciò che sta accadendo lo spiega bene sul New York Times il premio nobel Paul Krugman. Secondo lui è probabile che la pandemia abbia “consentito a molti americani di rendersi conto di cosa era importante per loro. Alcuni hanno realizzato che i soldi che ricevevano per lavori poco piacevoli semplicemente non erano sufficienti. E ora non vogliono tornare alla vecchia condizione se non a fronte di un aumento di stipendi sostanziale e/o condizioni di lavoro migliori”. Poi, ovviamente, ci sono pure altre cause. Vi sono americani che, per esempio, temono il rischio contagio o che lamentano la mancanza di servizi per i loro figli. Ma il nocciolo del problema è uno solo: chi lavora va pagato di più. Da questo punto di vista negli Usa, ma noi crediamo anche in Italia e in Europa, la pandemia potrebbe avere effetti positivi. Ad Albuquerque, la città più popolosa del Nuovo Messico, da qualche tempo l’amministrazione offre un bonus d’entrata di 15 mila dollari a chi accetta di fare il poliziotto o il vigile del fuoco. E non solo a causa dei sussidi. La novità è che da quelle parti hanno investito gruppi come Amazon, Intel e Netflix i cui salari sono più alti rispetto a quelli pubblici e soprattutto offrono la possibilità di lavorare da casa. Anche a Milano accade qualcosa del genere: nelle scuole lombarde non si trovano 2.000 docenti di informatica e di altre materie tecniche. Chi ha quelle competenza viene meglio pagato dal privato. A dimostrazione, ancora una volta, che il problema non sono i sussidi, ma i compensi. Perché il mercato, per essere davvero libero, deve valere per tutti. Anche per chi lavora.

 

Eppure l’Afghanistan non sarà un santuario del terrorismo

L’attentato anche troppo annunciato all’aeroporto di Kabul non cambia il quadro generale, che è quello di un fallimento a tutto campo dell’intelligence occidentale. E non solo a proposito della caduta di Kabul e della vittoria dei Talebani.

È in atto una specie di gara tra le agenzie di intelligence su chi la spara più grossa sulla ineluttabile proliferazione del terrorismo sotto i Talebani. È molto probabile, invece, che l’Afghanistan post-americano non segua queste previsioni. Perché? Perché i Talebani non sono un movimento terrorista ma un insurgency nazionalista arrivata a vincere dopo venti anni di lotta. Che non ha alcun interesse a governare dando spazio a competitori che diventino il pretesto di una seconda invasione e occupazione. I Talebani hanno imparato la lezione Bin Laden.

Ma l’Afghanistan non sarà il nuovo santuario del terrorismo jihadista soprattutto per un’altra più profonda ragione. La pistola si va scaricando. Appare sempre più evidente che la matrice principale del terrorismo nell’intero Medio Oriente sono state proprio le guerre americane. Il loro esaurimento sta disinnescando la carica di risentimento e di odio anti-occidentale che ha infiammato l’eversione mondiale dopo settembre 2001. È questo il tabù che l’intelligence teme di violare per non vedersi tagliare i budget.

Sta emergendo un colossale fiasco. Nessun servizio ha osato mettersi di traverso alla guerra contro il terrorismo scatenata dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001. Strategia sbagliata, che ha accresciuto la minaccia terroristica invece di stroncarla. Fino al 2014-15 gli attentati sono cresciuti invece di diminuire. Il terrore jihadista dopo il 2001 è letteralmente esploso. Nel 2000 il Dipartimento di Stato aveva identificato 13 gruppi di fondamentalisti islamici attivi in Medio Oriente, con un totale di 32 mila affiliati combattenti. Nel 2015 questi gruppi erano diventati 44 con quasi 110 mila combattenti. Gli attacchi globali erano aumentati di 9 volte nello stesso arco di tempo, il 91% dei quali contro gli Stati Uniti o i loro alleati.

Dal 2016, dal ritiro delle truppe in Irak iniziato da Trump, alla drastica riduzione dell’intervento militare coperto in Siria, allo sfinimento dell’occupazione dell’Afghanistan, ha preso corpo una inversione di tendenza della virulenza terroristica. Fino a raggiungere oggi il 60%. Il declino del terrorismo dura da quasi 6 anni consecutivi ed è più intenso nei luoghi dove il ritiro delle truppe americane e degli alleati degli Usa è più massiccio. In Irak si è passati da quasi 10 mila morti nel 2016 a 644 nel 2019. Meno 93%; nei Paesi che stanno uscendo dall’orbita degli Stati Uniti, come il Pakistan, dove si è passati da 2700 vittime civili nel 2013 a 169 nel 2020. Meno 94%; in Europa Occidentale, dove dall’avvio della Conferenza di pace in Siria e dalla prosecuzione del cessate il fuoco iniziato nel dicembre 2016, gli attacchi terroristici sono decresciuti fino a quasi azzerarsi.

Nel biennio 2015-16 vi furono in Europa trecento vittime di attentati, ascritti da media e governi all’esplosione di uno scontro irrazionale di civiltà, mentre oggi appare evidente che erano contraccolpi dei bombardamenti francesi e inglesi in Siria. Dal 2017 in poi si è verificato in Europa un solo caso di attentato grave, con undici vittime, ad opera di un lupo solitario dell’estrema destra. La controprova di ciò è che i paesi europei che non hanno compiuto raid aerei né interventi cruenti sul terreno siriano – Italia in testa, poi Germania e blocco scandinavo – sono rimasti completamente immuni o solo sfiorati dagli attentati.

C’è solo da sperare che la lezione del fallimento afghano apra un varco verso una visione meno ingannevole della sicurezza.

 

Riotta, bugie atlantiste sui talebani e il pakistan

Gianni Riotta, neoeditorialista di Repubblica, intervistato a Sky Tg24 da Milo D’Agostino, ha affermato: “È noto che i Talebani sono una creatura del Pakistan”. È noto solo a lui. È già un falso, come ho cercato di dimostrare nei precedenti articoli, che i servizi segreti pachistani abbiano aiutato il movimento talebano, ma nessuno si era mai spinto a dire che questo movimento è stato creato dal Pakistan. Nel 2001 prima dell’attacco all’Afghanistan, il Pakistan, alleato degli Stati Uniti, aveva fornito agli americani le basi aeree perché i loro bombardieri potessero agire partendo più da vicino. E allora che senso ha creare un movimento per poi distruggerlo? Ce lo spieghi Gianni Riotta. Come ho già raccontato, ma con la disinformatia occidentale, così unilaterale e zeppa di menzogne da superare quella sovietica, è necessario ogni volta, poiché siam soli, ripetersi, il più devastante attacco al movimento talebano fu opera dell’esercito pachistano, quello della valle di Swat del maggio del 2009. Quell’attacco oltre a un numero imprecisato di morti provocò un milione di profughi (in realtà saranno due). Il Corriere della Sera titolerà: “Un milione in fuga dai Talebani”. Invece fuggivano dall’attacco dell’esercito pachistano teleguidato dal generale americano David Petraeus. Commenterà lo stesso Petraeus: “La sfida dei Talebani ha ‘galvanizzato’ l’esercito del Pakistan”. E allora come può essere, lo chiediamo a Riotta e a tutti i Riotta, che il Pakistan fosse un alleato dei talebani o addirittura li avesse creati? Il titolo del Corriere capovolgeva la realtà ed è esattamente questo tipo di disinformazione che oggi in Occidente pretende di informarci. I Talebani, a differenza dei “signori della guerra”, armati dagli americani, non avevano nemmeno missili terra-aria Stinger e allora, lo chiediamo a Riotta e a tutti i Riotta, che aiuto mai è venuto loro dai servizi segreti pachistani? La verità è che quello talebano-afghano fu un movimento spontaneo che reagì agli abusi, ai soprusi, agli stupri, alle prepotenze, dei “signori della guerra” che si erano trasformati, loro stessi e i loro sottoposti, in bande mafiose che spadroneggiavano in Afghanistan come volevano. Dirà il giovane Omar: “Come potevamo restare fermi mentre si violentavano le ragazze e si faceva ogni sorta di violenza sulla povera gente”. Ai giovani talebani afghani si uniranno poi molti studenti delle madrasse pachistane, ma fu anche questo un movimento spontaneo, dal basso, che nulla aveva a che vedere col governo del Pakistan.

Si possono considerare i Talebani come si vuole, ma non si può arrivare al punto spregevole di volergli togliere anche la dignità di una guerra di indipendenza, vinta con armi di fortuna, contro alcuni dei più potenti eserciti del mondo, contro la disinformazione occidentale, contro l’opinione pubblica occidentale che non ha mai emesso un fiato per le centinaia di migliaia di vittime civili che abbiamo fatto in Afghanistan, con i nostri bombardieri più che con i nostri soldati.

I Riotta, e tutti i Riotta, prima di dire sciocchezze e alimentarsi delle proprie menzogne, dovrebbero almeno cercare di informarsi un poco. Leggersi per esempio due libri di Ahmed Rashid, lo scrittore e giornalista pachistano considerato il maggiore esperto dei problemi dell’Asia Centrale e in particolare dell’Afghanistan: Talebani del 2001 (edizioni Feltrinelli) e Caos Asia del 2008 (edizioni Mondadori). In Talebani Rashid racconta come gli uomini del Mullah Omar arrivarono al potere. In Caos Asia denuncia la corruzione endemica di tutti gli apparati dello Stato all’epoca del fantoccio Karzai (con Ashraf Ghani andrà anche peggio): governo, amministratori provinciali, polizia. Sulla strada del passo del Salang, fondamentale perché collega il nord dell’Afghanistan a Kabul, gli autotrasportatori dovevano pagare venti taglie alla polizia o a vari gruppi di tagliagole. Con Omar si pagava un solo pedaggio, com’è per le nostre autostrade. La magistratura era, ed è rimasta fino all’ultimo, così corrotta che da anni gli afghani preferivano affidarsi a quella talebana. Insomma per avere una sentenza favorevole bisognava pagarsela.

Infine. È la prima volta, credo, nella storia del mondo, che a voler dettare le condizioni non sono i vincitori ma i vinti. In Italia a fare la voce grossa contro la decisione di Joe Biden di ritirarsi dall’Afghanistan, come era stato pattuito con i Talebani nei colloqui di Doha, sono soprattutto Salvini e Berlusconi. A parte che ai Talebani di Salvini e Berlusconi non frega assolutamente nulla, per loro fortuna non sanno nemmeno chi sono, ci vadano i nerboruti leghisti e i forzuti berlusconiani, a cominciare da Giorgio Mulé, a combattere i Talebani. Per lo meno ce ne saremmo liberati per sempre.

 

Qual è l’anima gemella, würstel al supermercato e la musica di John Cage

E per la serie “Nella mia barchetta possono dormire sei persone se sono amiche abbastanza”, la posta della settimana.

Caro Daniele, mi sto guardando in giro in cerca dell’anima gemella. Come giudicare se una persona è adatta a noi?

(Valerio Nicastro, Milano)

 

Puoi giudicare quanto vuoi: alla fine è solo questione di fortuna. Comunque, quando una donna mi attrae per qualche motivo, un criterio che utilizzo è notare quello che compra al supermercato. Ci sono donne che alla cassa pongono sul tapis roulant cibi che non comprerei MAI (un esempio per tutti: i würstel), sicché non riesco a immaginarmele in una vita insieme. Poi però mi chiedo: “Ma se questa donna fosse, che so, Raffaella Modugno, che mi piacerebbe tanto come madre dei miei figli, penserei la stessa cosa? Come reagirei, se comprasse una confezione di würstel?” Bè, innanzitutto sarei alquanto sbalordito che Raffaella Modugno facesse la spesa nel mio stesso supermercato, dato che non ce l’ho mai vista. E subito dopo cercherei di attaccare bottone con lei usando la frase infallibile per rimorchiare donne belle al supermercato, frase che va detta con un’ironica faccia disgustata: “Che gusti pessimi!” Una donna bella, infatti, trova assai noiosi i complimenti, glieli fanno tutti. Se invece la critichi su qualcosa, si sente attratta da te in modo irresistibile. Per questo la maggior parte delle donne, dai 20 ai 30 anni, finisce a letto con degli stronzi maggiori, cioè uomini che le trattano malissimo. Basta vedere con chi si mettono le modelle: rare quelle che fanno scelte intelligenti. In genere rinsaviscono solo dopo batoste inenarrabili, alcune di loro avendo accettato per anni anche le percosse dello stronzo (per molte donne, purtroppo, se la storia d’amore non le fa soffrire non è una vera storia d’amore: questo bug cerebrale è noto nella letteratura scientifica, ed è argomento di discussione in molti addii al nubilato, essendo diffuso assai, oltre che lo spunto di “Teorema”, una vecchia canzone di Marco Ferradini e Herbert Pagani) (a Roma, amici ristoratori avevano il compito di avvisarmi quando da loro era prenotato un addio al nubilato, così, piazzato a un tavolo nei pressi, ne ricavavo tanto materiale, e quasi sempre qualche nuova trombamica). Poiché le donne belle si mettono quasi sempre con degli stronzi, dicevo, a te arrivano spesso seriamente danneggiate, e devi lavorarci su parecchio prima di far apprezzare loro la bellezza di un rapporto sereno, calmo, disteso, pacifico, quieto, beato, armonioso, placido, tranquillo, riposante al punto che sarebbe quasi monotono, se non fosse che a letto il tuo cazzo è contemporaneamente Hulk e Gesù. Da ragazzo, a Rimini, rimorchiavo turiste svedesi sposate, poi andavo a confessarmi. E don Sergio: “Daniele, non ti stai confessando. Ti stai vantando.”

 

I giovani stanno riscoprendo John Cage!

(Tommaso Orioli, Torino)

Era ora. Il pubblico italiano conobbe questo geniale esploratore di possibilità musicali negli anni 50, quando si presentò come esperto di funghi a “Lascia o raddoppia?”, dove vinse 5 milioni. Eseguì pure un suo brano, che Mike Bongiorno definì “musica strambissima”. Mike: “Torna in America o resta qui?” John: “Mia musica resta”. Mike: “Ah, lei va via e la sua musica resta qui. Ma era meglio il contrario: che la sua musica andasse via e lei restasse qui”. Celebre una sua composizione intitolata 4’33”. Sono 4 minuti e 33 secondi di silenzio: può essere suonata con qualsiasi strumento. John Cage scrisse inoltre un brano per pianoforte le cui note dovevano essere cucinate e poi mangiate. Glenn Gould ne fece una celebre variazione: cucinate le note, le diede da mangiare al gatto.

 

Carfagna: “Il referendum rischia di salvare gli stalker”

Il rischio che il referendum sulla giustizia di Lega e Partito Radicale vanifichi gli sforzi fatti per l’introduzione del reato di stalking diventa un caso politico. L’allerta lanciata ieri da Telefono Rosa sulle colonne del Fatto Quotidiano è stata raccolta e condivisa da Mara Carfagna, principale promotrice della legge 38 del 2009, anno in cui era titolare del dicastero alle Pari Opportunità del governo guidato da Silvio Berlusconi. Sotto accusa è finito il “quesito 5” del lotto referendario, quello che vorrebbe eliminare la reiterazione del reato come motivo per disporre misure cautelari nei confronti di indagati sospettati di delitti che non prevedono “uso di armi o altri mezzi di violenza personale”. L’attuale ministra per il Sud e la Coesione territoriale ha definito “corretta” la segnalazione dell’associazione che si occupa di proteggere le donne vittime di violenza. Secondo Carfagna, “i promotori hanno forse sottovalutato le conseguenze della cancellazione del pericolo di reiterazione del reato come motivo di arresto”, e ora la ministra chiede “un supplemento di riflessione”.

Il quesito, in sintesi, propone ai cittadini di abrogare il comma c dell’articolo 274 del Codice di procedura penale nella parte in cui si prevede la misura cautelare per il potenziale indagato quando vi sia “il concreto e attuale pericolo” che questo commetta reati “della stessa specie di quello per cui si procede”, tranne per i “delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale”. Ma se il referendum passasse, “uno stalker minaccioso che ha compiuto ripetuti atti persecutori verso la sua vittima – spiega la ministra – potrebbe essere confinato a casa o in carcere solo se il magistrato ravvisa un ‘concreto e attuale’ pericolo che aggredisca fisicamente o uccida”. Insomma, “in ogni altro caso resterebbe libero e in grado di ripetere all’infinito le sue azioni intimidatorie”. Tesi che si sposa in pieno con i dubbi espressi ieri da Antonella Faieta, vice presidente di Telefono Rosa.

La questione assume un’importanza politica rilevante. Carfagna, una dei tre ministri del governo Draghi in quota Forza Italia – gli altri sono Renato Brunetta e Mariastella Gelmini – in questo modo prende le distanze da un’iniziativa sulla quale la Lega, alleato di governo e soprattutto della coalizione di centrodestra, sta investendo moltissimo. E, parlando al Fatto, critica l’iniziativa referendaria non solo nel merito dei rischi per il reato di stalking. “Personalmente – ammette – non ho firmato i referendum perché li ritengo uno strumento classico delle opposizioni”. Al contrario, “chi sta al governo ha il dovere di modificare le cose in altro modo”. Quindi la stilettata finale: in generale, “è contraddittorio invocare una società più sicura per le donne e poi smantellare i presidi che tutelano la loro sicurezza”.

Che possa essere sfuggito qualcosa ai promotori del referendum non è escluso. Fra i relatori dei quesiti c’è anche la senatrice leghista Giulia Bongiorno, avvocato, da sempre impegnata in iniziative a difesa delle donne vittime della violenza e tra le autrici – anche lei – del testo che ha portato all’approvazione nel 2009 della legge sullo stalking. Ieri Bongiorno, che ancora non ha commentato l’allerta di Telefono Rosa, è intervenuta sulla querelle giudiziaria seguita al femminicidio di Vanessa Zappalà, la 26enne di Aci Trezza (Catania), uccisa a colpi di pistola dall’ex fidanzato, già destinatario di un divieto di avvicinamento seguito alle denunce presentate dalla stessa giovane. Un ordine restrittivo disposto dal gip di Catania nonostante il pm avesse chiesto gli arresti domiciliari per lo stalker (suicidatosi dopo l’omicidio). “Sottolineo che sicuramente le leggi su stalking e violenza ci sono”, ha detto Bongiorno all’agenzia LaPresse.

Un appello a ritirare il quesito referendario, nella serata di ieri, è arrivato anche dalla deputata del M5S, Stefania Ascari. Avvocato e componente della commissione Giustizia a Montecitorio, Ascari è stata la relatrice del ddl Codice Rosso, la legge che ha introdotto nuove tutele delle vittime di violenza domestica e di genere. “Il mio invito alla Lega e al Partito Radicale è di ritirare il referendum e aprire un dialogo con le altre forze presenti in maggioranza – dice Ascari al Fatto – perché se l’obiettivo non era quello di depotenziare il reato di stalking, è giusto aprire una riflessione importante”. Per la parlamentare, “andare veloci rischia di creare danni, quando si vuole proporre un referendum bisogna prima coinvolgere le associazioni e, in questo caso, chi si schiera tutti i giorni, sul campo, per difendere le donne vittime di violenza”. Al momento, secondo le recenti comunicazioni dei promotori, i referendum sulla giustizia sono vicini a raggiungere le 500mila firme necessarie per lo svolgimento della consultazione.