Ci sono due cosecerte in questo Paese: questi poveri appena gli dai due euro si piazzano sul divano con la loro canotta macchiata e bloccano la ripresa economica; Mario Draghi deve essere presidente del Consiglio per sempre, possibilmente mentre fa il presidente della Repubblica. Problema: l’eventuale impossibilità di sommare i due ruoli (non poniamo limiti alla Provvidenza) in questi ultimi giorni sta facendo impazzire la meglio classe dirigente. Il Foglio, per dire, preferisce Draghi al Quirinale. Linea: Meglio una gallina oggi. C’è chi propende invece per la combo: Mattarella resta al Quirinale un annetto, Draghi finisce la legislatura e poi sostituisce Mattarella (Financial Times e molti altri). Linea: Uovo e gallina. Linkiesta invece del Colle se ne frega: Marione a Chigi fino al 2023 e poi candidato di tutti tranne Lega, Meloni e residui comunisti. Oscar Giannino, che sussurra al cavallo confindustriale Carlo Bonomi, è d’accordo: “Il vero tema è come tenere Draghi anni e anni dove sta adesso, non ingessato al Colle”. Linea: Il vero tema è come avere le uova senza la gallina. Enrico Letta a Rimini ha sostenuto che chiederà a Draghi “di essere il nostro premier almeno (sic) fino alla scadenza della legislatura”: Linea: Frittata oggi e domani. Matteo Salvini ritiene che Marione “sceglierà in autonomia” cosa vuol fare. Linea: Tanto non mi fanno toccare né l’uovo né la gallina. Poi ci sono i “Draghi candidato del centrodestra” e i “Draghi candidato del centrosinistra” e una corrente minoritaria “Draghi fino al 2023 e poi qualunque assetto mi mandi a fare il segretario dell’Onu” (sì, è Matteo Renzi, ma piace pure a Enrico Letta e Paolo Gentiloni; linea: Io punto al pollaio). Renato Brunetta, invece, vuole Draghi al Colle così, in quanto ministro più anziano, potrebbe fare il premier per un mese o due. Linea: Magari ce casca. Noi del Fatto riteniamo invece tutte queste soluzioni di breve respiro e non all’altezza delle sfide del Paese: anche il 2028 è troppo presto. Modesta proposta: sia lo stesso Draghi, indossata l’antica corona ferrea, a indicare il suo successore quando sarà comodo (magari uno dei figli, sennò veda lui). È l’unica via: quando quelli li fai alzare dal divano per votare non sai mai che ti combinano.
Dei concisi sarà il regno dei cieli (e Cl)
Tutti da Cl il sabato sera, ma pure domenica, lunedì e il resto della settimana. Se il grande Tullio Pericoli ne avesse voglia potrebbe ancora deliziarci riproponendo una celebre striscia (concepita insieme a Emanuele Pirella, altro talento non più tra noi) che furoreggiava tra il 1976 e il 2009, prima sul Corriere della Sera poi su Repubblica. Protagonista assoluta Fulvia, giovane signora milanese che riceveva in un celebrato salotto i più bei nomi dell’intellighenzia progressista radical-chic (come direbbe disgustata Giorgia Meloni). Un’ospite a tal punto estasiata dal glamour al fosforo di quelle vette – firme eccelse, padroni dell’universo, e anche qualche premio Strega – che nella vignetta conclusiva, invariabilmente, era lì a saltellare eccitata tra i divani con le braccia al cielo ripetendo come un mantra l’ultimo brandello di conversazione, quasi sempre a sproposito. Di Fulvia scrivemmo in preda a cocente nostalgia quando si cominciò a invocare Mario Draghi come uomo della Provvidenza e sognammo la signora, non più giovanissima ma sempre affascinante, esultare ammaliata: “I Migliori! I Migliori!”. La medesima Fulvia che invochiamo oggi dopo aver osservato i meglio big, i più bei fichi del bigoncio, la crème della crème, gli uomini che non devono chiedere mai, alternarsi sul palco di Rimini, allineati e coperti come allievi del collegio Morosini sul ponte della Vespucci. Una sfilata esemplare che fa gridare al miracolo il Corriere della Sera convinto, era ora, che “un’altra comunicazione politica è possibile”. Non più dunque toni urlati da talk show ma interventi “concisi e concreti” che “hanno spostato la competizione sul terreno dei contenuti, la policy”. Eh signora mia, quanta policy è passata dai tempi di Roberto Formigoni quando Comunione e Liberazione e il Celeste erano consustanziali con quella Compagnia delle Opere non proprio edificante (anche se edificavano parecchio). Tutto dimenticato perché oggi sappiamo che dei concisi e concreti è il regno dei cieli (e dei voti alla vigilia delle amministrative). Mentre ci manca Fulvia che, inconsapevole, ripete radiosa: “Il Meeting! Il Meeting!”.
Sala come Cingolani: è green solo a parole. E i 5Stelle che fanno?
Meno male che la noiosa campagna elettorale milanese viene allietata ogni tanto da qualche colpo di scena. Un paio ce li ha regalati il candidato del centrodestra, il pediatra di Licia Ronzulli Luca Bernardo, con le sue dichiarazioni che per lui fascismo e antifascismo pari sono e con l’ammissione di girare con la pistola anche in ospedale. Ora l’ultima scossa arriva dalla candidatura a sindaco di Layla Pavone per il Movimento 5 stelle. Piazzata dal Fatto Quotidiano, hanno scritto molti giornali. Noi del Fatto speravamo invece che rifiutasse l’offerta dei Cinquestelle – come ha spiegato il direttore Marco Travaglio – perché ci ha costretto a cercare una sua sostituta come consigliera indipendente dentro il nostro consiglio d’amministrazione, operazione non facile visto l’alto profilo etico e manageriale di Pavone, persona di indubbie capacità, anche se non nota a Milano per le sue battaglie civili. Quello che lascia comunque perplessi della sua candidatura è l’operazione politica che l’ha generata e che assomiglia a una resa del Movimento 5 stelle a Giuseppe Sala. Qualcuno dentro il Movimento aveva proposto un ingresso nella sua coalizione fin dal primo turno. È stato Sala a rifiutarlo, anche per le proteste di altri suoi alleati, tra cui i renziani, i calendiani, i boniniani, i dem eredi dei miglioristi. Ecco allora il piano B: i Cinquestelle da soli al primo turno, con apparentamento al ballottaggio. Con possibile assessorato (alla digitalizzazione) a Layla Pavone nella futura giunta, se Sala vincerà il probabile ballottaggio con il pediatra con la pistola.
Sala ha dimostrato una grande abilità tattica, stringendo alleanze onnivore ed ecumeniche, sommando forze che in algebra si annullerebbero tra loro e azzerando, quasi del tutto, prima l’opposizione dei Verdi, ora quella dei Cinquestelle. Ha aderito ai Verdi europei, spaccando gli ambientalisti milanesi che in parte lo sostengono già al primo turno. Greenwashing, replicano i verdi rimasti a fare l’opposizione alle scelte di Sala e che appoggeranno invece la candidatura davvero alternativa alle sue politiche urbanistiche, quella dell’architetto Gabriele Mariani, sostenuto da Milano in Comune (in cui ha militato lo storico consigliere Basilio Rizzo) e da Civica AmbientaLista.
I Verdi per Sala e il Movimento 5 Stelle spiegano le loro scelte con l’intenzione di “condizionare Sala”. Vedremo se ne avranno la forza elettorale e il coraggio politico, o se, in cambio di un paio d’assessorati minori, si ridurranno a mosche cocchiere che sperano di guidare un elefante. Sala è per Milano quello che Roberto Cingolani (il ministro della Transizione ecologica) è per il governo Draghi: molto verde a parole, tanti affari e tanto cemento nei fatti. Ci sono alcune questioni su cui Sala dovrebbe dimostrare una svolta verde che francamente non vediamo. Il caso San Siro: accetterà o no il piano di Milan e Inter che vogliono abbattere lo stadio Meazza, per edificare (su terreni del Comune) un nuovo stadio ma soprattutto quasi 50 mila metri quadrati di uffici, alberghi, centri commerciali; un’operazione immobiliare da 1,2 miliardi di euro, con indice di edificabilità 0,51 (invece dello 0,35 che sarebbe imposto dal Piano del governo del territorio). L’operazione Scali ferroviari: altro diluvio di cemento (tra cui un villaggio olimpico) sulle ultime aree cittadine non ancora costruite. Il Piano Aria e clima del Comune di Milano: prevede per la città una riduzione delle emissioni che alterano il clima perfino inferiori ai parametri europei. Cosa cambierà Sala, per ottenere il sostegno di Verdi e Cinquestelle?
Durigon e i vizi della destra. Da Matteotti a Borsellino
Il caso Durigon è qualcosa di più di uno scandalo estivo su un sottosegretario di Latina. Questa vicenda illumina bene i tre vizi storici della destra italiana: l’assenza di memoria; le nostalgie fasciste e il rapporto tra interesse di partito ed etica pubblica.
Salvini ma anche Giorgia Meloni dovrebbero prendere le distanze da Durigon per dimostrare di avere maturato gli anticorpi contro questi tre vizi e la loro reticenza è un brutto segnale per la destra.
Proviamo a guardare ‘da destra’ alla frase sul parco Falcone Borsellino che dovrebbe tornare a essere parco Mussolini.
Paolo Borsellino era un uomo di destra. Contro la sua volontà poco prima di morire fu votato dai parlamentari del Msi come presidente della Repubblica. Giovanni Falcone lo salutava ironicamente con il braccio destro alzato. Dopo essere stato monarchico, era tesserato e delegato del Fronte universitario d’azione nazionale del Msi. Anche Vito Schifani, agente di scorta di Falcone, morto a Capaci, era stato iscritto al Fronte della gioventù. La frase di Durigon è quindi un affronto allo Stato ma anche alla destra ed è emblematica del vizio della memoria oltre che della nostalgia fascista.
Inoltre quella frase è sintomatica della scarsa attenzione all’etica pubblica: il fratello di Benito fu coinvolto da alcune ricostruzioni storiche nello scandalo Sinclair Oil che potrebbe essere il movente più credibile, secondo questa tesi, dell’omicidio Matteotti. Durigon probabilmente non sa nulla di tutto questo e la sua scelta di elevare sull’altare Arnaldo Mussolini sarà dettata dalla volontà di compiacere la pancia dell’elettorato destrorso pontino, però involontariamente rivela una tara antica della destra italiana: la difficoltà a distinguere tra affari privati e interessi pubblici, tra Stato e partito.
Non ci sono certezze sul punto ma – secondo alcuni storici – è più probabile che Matteotti sia stato ucciso nel 1924 dai fascisti per un movente ‘corruttivo’ piuttosto che ‘politico’. Matteotti faceva paura perché si temeva potesse denunciare in Parlamento i rapporti tra alcuni personaggi del fascismo, tra i quali proprio Arnaldo Mussolini, con la società petrolifera statunitense Sinclair Oil interessata a una concessione in Italia.
Insomma, secondo questa tesi, Matteotti non faceva paura per quel che aveva già denunciato nel suo ultimo discorso in Parlamento sui metodi antidemocratici dei fascisti alle elezioni, ma per i documenti che poteva avere nella valigetta quando fu ucciso sulle bustarelle degli americani per entrare nel mercato del petrolio italiano.
La frase di Durigon innalza al rango di eroe un gerarca sospettato di rapporti opachi con una multinazionale straniera e degrada Borsellino, uomo di destra che allo Stato, alla legge e all’etica pubblica ha sacrificato la vita. Una scelta che in fondo non sorprende. Il sottosegretario che sogna il Parco Mussolini è lo stesso che rivendica a fine cena la nomina della Lega del generale della Finanza che dovrebbe fare le indagini sui 49 milioni di contributi pubblici al suo partito.
Basta vedere il documentario di Fanpage con il video rubato della sua rivendicazione di controllo delle indagini sul partito da parte del partito stesso per capire la coerenza della proposta Durigon, pronunciata davanti a Matteo Salvini, sul parco di Latina.
Sarebbe quindi interesse di Giorgia Meloni e Matteo Salvini chiedere le sue dimissioni per dimostrare che la destra di oggi è più vicina a Borsellino che ai Mussolini. Se la destra italiana continuerà a mostrarsi malata toccherà a Draghi dimostrare che lo Stato italiano in questo secolo ha maturato gli anticorpi.
Salvini, Renzi e cielle: chi è povero è peccatore
“È meglio un povero che un bugiardo”, sta scritto nella Bibbia. Avrebbero dovuto saperlo, e magari ricordarlo all’ospite, gli organizzatori del Meeting cristiano di Comunione e Liberazione, dove Salvini ha biasimato il Reddito di cittadinanza: “L’unico provvedimento che non rivoterei, crea solo un deserto economico e morale perché diseduca le persone alla fatica e alla sofferenza”. Accanto a lui c’era Letta – tocca ricordare che il Pd votò contro il Rdc, un provvedimento che c’è in tutta Europa – oltre a Lupi, Tajani, Rosato e Meloni in videocollegamento. La pochade della Restaurazione è tale che il Corriere ne fa un quadretto spiritosissimo: “Solo Conte ha difeso l’importanza dell’assegno per i più poveri, mentre per il resto si è levato un coro di critiche, condivise dalla platea ciellina… Conte ha cercato di manifestare il suo no con ampie bracciate di dissenso, ma non ha trovato alleati nei due rappresentanti di centrosinistra presenti” (al Corriere credono che Italia viva sia centrosinistra).
Quel povero illuso di Conte non s’è accorto che il Paese investito dai denari del Piano nazionale di ripresa e resilienza va spedito verso la crescita e chi resta indietro è una zavorra di cui liberarsi. Avrete notato che ultimamente i cultori del neo-liberismo (tale è Salvini, che ha provato per anni a vendersi come scardinatore delle élite per conto dei popoli e talpa che scava sotto il “sistema”, per rivelarsi vieppiù il ragazzo di bottega dell’establishment e dei banchieri) non si accontentano di fare in modo che i ricchi stiano sempre meglio. Onesta era in ciò la flat tax: una scostumata dichiarazione d’amore per i padroncini, su su fino ai finanzieri, a scapito di chi guadagna poco. Questi difensori della rendita e del capitale ormai millantano un fondamento etico per le loro posizioni.
Che uno come Salvini, capo di un partito che si è intascato 49 milioni di denari pubblici, parli di “deserto morale” è auto-parodico. Ma è suggestivo che tiri in ballo la “sofferenza”, l’insufficiente sofferenza a cui sarebbero sottoposti 5 milioni di poveri assoluti (più 1 dovuto alla pandemia), esattamente come quel Renzi che – spiaggiato su una poltrona, promuovendo il suo libro – ha detto: “Voglio riaffermare l’idea che la gente deve soffrire, rischiare, giocarsela. I nostri nonni hanno fatto l’Italia sudando e spaccandosi la schiena, non prendendo soldi dallo Stato”.
A chi parlano costoro? Cosa c’è dietro questo disprezzo per i poveri mascherato da elogio del duro lavoro da parte di due mestieranti della politica le cui biografie di bambagia sono sovrapponibili? C’è tutto il peggio delle moderne società inegualitarie: fatalismo, stigma sociale, mitologia del rischio e del farsi da sé, lode del lavoro usurante e sottopagato. Non si accontentano di indicare nei deboli il freno alla società dei benestanti: devono anche umiliarli. Come? Parlando di merito. Il merito è la giustificazione di ogni ingiustizia. In teoria non ci sarebbe bisogno: il governo dei Migliori fa già tutto quello che vogliono loro e Confindustria (del resto se infarcisci la cabina di regia del Pnrr di consulenti turbo-liberisti, si sa già dove andrai a parare). I poveri sono nullafacenti per indole. Anche quando lavorano, se continuano a essere poveri è per colpa loro, perché non hanno rischiato abbastanza. “I 5Stelle hanno cambiato idea su tutto. Gli è rimasta una cosa, e gliela smontiamo noi: il Reddito di cittadinanza”, ha detto quel miracolato di Renzi, uno che di lavoro fa il senatore della Repubblica e lo stipendiato di una monarchia teocratica islamica senza alcuno scrupolo. “Va rivisto il Reddito di cittadinanza – questo è Salvini – siamo pieni di imprenditori, ristoratori, albergatori in Calabria che non riescono a trovare personale. Molti rispondono che preferiscono stare a casa, con l’aria condizionata, piuttosto che andare a lavorare”. Gli scansafatiche che mangiano alle nostre spalle (523 euro in media al mese) non sono più “i migranti col tablet”: nel misero calcolo elettorale, questi politici (tutti tranne Conte) vogliono ingraziarsi gli imprenditori e nel contempo mettere operai, rider, precari che si spaccano la schiena per salari infami contro i poverissimi percettori del Rdc. Perciò ritengono una priorità eliminare il Rdc, non alzare il salario minimo: in sostanza il Rdc fa concorrenza sleale ai salari che le imprese elargiscono graziosamente ingrassando il loro intoccabile sacro profitto. Chi non produce non merita aiuti statali (“Sussidistan”, lo chiama Bonomi, che invece per le aziende i soldini li vuole). A parte che se i criteri sono la produttività e il merito loro sarebbero i primi a cadere, ci si accorge che costoro stanno minando il concetto di welfare? Va bene, se non si vogliono dare soldi pubblici ai poveracci, non resta che la vecchia soluzione: prendere i soldi privati a chi ne ha evidentemente troppi.
Jagger, la crostata, le grilline, i talebani e i problemi matematici
Se tre talebani in tre minuti uccidono tre mercenari russi, quanto tempo impiegano 100 talebani a uccidere 100 mercenari russi? Quando qualcuno sottopone il vostro gruppo di amici a esami simili, vi consiglio di dire subito “è un gioco che conosco già”. Non correrete il rischio di fare la figura del tonto, lo lascerete fare a un altro; e, mentre la compagnia si dibatte nei tentativi e nelle discussioni, voi potrete cullarvi nella beatitudine di un risolino scettico e riposante. Tanto, se alla fine qualcuno risolve il problema, avrete sempre la certezza che anche voi, a pensarci un attimo, avreste trovato la soluzione. Resta il fatto che, non solo in vacanza, è divertente scervellarsi su problemi matematici un po’ più complicati del sudoku. Ecco quelli di quest’anno (le soluzioni le trovate in fondo, compresa quella dei talebani “che conoscete già”):
1) Se Jagger pesa quanto Richards e Wood; e cinque Richards pesano quanto Jagger e Wood; e Watts pesa quanto Jagger e Richards; e Wood pesa 30 kg; quanto pesano Richards, Jagger, e Watts?
2) Quattro deputate grilline vanno in pasticceria e comprano ciascuna una crostata e una torta, tutte diverse. Chiacchierano un po’ in attesa dei pacchetti, pagano e se ne vanno. Ma, confuse dall’ennesimo tweet delirante dell’Elevato, ciascuna prende per sbaglio una crostata e una torta che non sono sue. Lucia ha preso la crostata di Fabiana. Chi ha preso la crostata di Giulia ha preso la torta di Laura. La crostata presa da Laura era di chi ha comprato la torta presa da Giulia. Chi ha preso la torta di Lucia?
3) Se un magazziniere Ikea e mezzo mangia seduto per terra una pagnotta e mezzo in un giorno e mezzo, quante pagnotte mangiano seduti per terra sette magazzinieri Ikea in sei giorni?
4) Sei vip della tv sono seduti in prima fila al Premio Strega. Tre siedono fra Fiorello e Barbara. Due siedono fra Maria e Fabiofazio. Bonolis non è seduto a nessuna delle due estremità, né accanto a Maria. Neppure Fiorello e Mara sono sedute alle estremità, o l’uno accanto all’altra. Barbara siede a destra di Fiorello. In che ordine sono seduti?
5) Quattro giornalisti occidentali cercano di stimare quanti afghani siano accalcati dentro l’aeroporto di Kabul. Le loro ipotesi: 1630, 1690, 1780 e 1850. Uno di loro sbaglia di 10, uno di 60, uno di 100 e un altro di 160. Quanti afghani sono accalcati all’aeroporto di Kabul?
6) A Capri, una signora manda la cameriera dal fruttivendolo con 1000 euro per comprare fichi (che costano 30 euro ogni cinque), uva (che costa 50 euro ogni 7 grappoli) e kiwi (che costano 90 euro ogni tre). Quanti frutti compra, dei tre tipi, spendendo tutti i 1000 euro?
7) Tre volte l’età che avrà fra tre anni, meno tre volte l’età che aveva tre anni fa, dà la sua età attuale. Quanti anni ha Berlusconi?
Soluzioni: 1) Richards: 15 kg; Jagger: 45 kg; Watts: 60 kg. 2) Giulia. Il primo indizio fissa una crostata. Sappiamo che Giulia non ha preso la propria crostata, e che Laura non ha preso la propria torta, per cui Fabiana ha preso la crostata di Giulia e la torta di Laura. Da qui in poi è facile. 3) 28 pagnotte. 4) Maria, Fiorello, Bonolis, Fabiofazio, Mara e Barbara. Cioè in ordine di importanza secondo il Pantheon tv attuale. 5) 1790. 6) 50 fichi, 35 grappoli d’uva e 15 kiwi. 7) 18. Come si vede dalla foto con Salvini. Problema dei talebani: 300 minuti.
Mail box
Afghanistan, anni 70-80: c’era la democrazia
Negli anni 70 e 80, in Afghanistan c’era una democrazia socialista, in cui le donne giravano in minigonna e avevano tutti i diritti. Il governo fu buttato giù con la forza dalla guerriglia islamica creata e finanziata da Usa e dagli inglesi, per abbattere un esecutivo alleato dell’Urss. Così hanno torturato e impiccato il presidente Najbullah, ma allora erano “combattenti per la libertà”, poi si sono scontrati con gli Usa e sono diventati islamici cattivi. Quegli stessi diritti sono calpestati ogni giorno in Arabia Saudita e altri paesi arabi alleati dell’Occidente, nella totale indifferenza dei media. Quegli stessi diritti che c’erano già in Afghanistan quaranta anni fa.
Venanzio Antonio Galdieri
Caso Gregoretti: ora processo agli accusatori
Caro direttore, Salvini ha ottenuto l’archiviazione sul caso dei migranti trattenuti sulla nave Gregoretti. Non voglio fare un peana a Salvini, ma vorrei dire che 152 senatori votarono per mandarlo a processo, per far fuori l’avversario. Ora si accorgono di aver avuto l’effetto opposto: è possibile che questi senatori, gente intelligente, avvezza alle segrete cose del potere, non abbiano capito che stavano per pestare un enorme escremento? Per di più hanno fatto sprecare tempo e soldi nostri alla macchina giudiziaria. Non dovrebbero essere loro ad andare a processo per spreco di risorse e stupidità politica?
Enrico Costantini
Invece i 152 senatori hanno fatto benissimo: i politici sono cittadini come gli altri e devono essere giudicati dai tribunali, non dal Parlamento.
M. Trav.
Montanari sfata i tanti luoghi comuni del Paese
Un plauso a Tomaso Montanari per il suo gesto di denuncia. Se fossero in tanti ad assumere simili determinazioni, sarebbero sfatati molti luoghi comuni sugli italiani che, a oggi, risultano vergognosamente fondati.
Vincenzo Orsini
Draghi, basta aspettare: via i fascisti dal governo
Ho visto una foto di Berlusconi insieme a Salvini per una futura alleanza: ma la canottiera dov’è? Bossi nel 1994 la fece in canottiera. Siamo punto e a capo? C’è comunque una differenza con Bossi: lui era antifascista e lo sbandierava forte e chiaro. Salvini, invece, è un fascista visto che sceglie di non dire nulla su Durigon. Ora aspetto che Draghi, che parlava di antifascismo, dica e faccia qualcosa, fuori Durigon dal governo!
Ghisotti Roberto
Gino Strada si merita il premio Nobel postumo
Sino a oggi l’unico premio Nobel per la pace postumo è stato assegnato nel 1961 al segretario generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, Dag Hammarskjöld. Secondo me Gino Strada, per tutto il bene che ha fatto per la gente sparsa in tante zone di guerra nel mondo, meriterebbe anche lui il premio Nobel per la pace postumo.
Claudio Trevisan
Bonomi, Giavazzi, aziende e Stato sociale
Non approvo gli attacchi di Bonomi al sindacato e delocalizzazione di aziende. Non mi scandalizzo, sta facendo il suo lavoro di dipendente di Confindustria. Lo scandalo morale è di chi glielo permette. Parlo del restauratore e del suo consigliere Giavazzi. Con buona pace di Modigliani e Keynes dei quali sono stati allievi, senza metterne in pratica il messaggio. Stato sociale significa diritti per i poveri. Per tutti.
G. Carlo Di Girolamo
Malata di cuore senza Pass: per l’ospedale è no
La mattina del 16 agosto mi sono recata al controllo presso l’Ifo, ospedale di Roma, e con enorme dispiacere ho scoperto che chi non ha il Green Pass non può accedere per far le visite di controllo. Mi sento frustrata e ho perso la speranza che curarsi sia un diritto di tutti. Non sono no-vax, ma non sono vaccinata perché sono affetta da patologia cardiaca. Come previsto dal provvedimento, non ho un documento che attesti la mia situazione e così mi rifiutano l’accesso alla struttura. Mi duole che come me, diversi cittadini subiscano la stessa sorte. Perché l’informazione non dice nulla e i cittadini devono scoprire da soli che il servizio sanitario non li accetterà più per le cure?
Lettera Firmata
Covid Il medico: “Cari no-Vax, sono stanco della vostra ignoranza”
Gentile redazione, sono un medico. Sì, uno di quelli per cui si applaudiva all’uscita degli ospedali un anno e mezzo fa. lo sono stanco. No, non sono stanco di fare il mio mestiere. L’ho scelto che ero ancora bambino e lo sceglierei ancora mille volte. Sono stanco, quando prendo un aperitivo, di avere accanto a me chi sta bevendo non so quale porcheria, ma afferma che non farà il vaccino perché “non so cosa c’è dentro”. Stanco di chi afferma “io non sono no-vax, ma credo che questo vaccino sia stato fatto troppo rapidamente e poco sperimentato”, e poco gli importa se cerchi di spiegargli che i dati delle sperimentazioni sono disponibili sulle riviste mediche più prestigiose, e che la rapidità è legata allo sforzo economico enorme fatto dalle istituzioni nazionali e internazionali, e dal lavoro comune di centinaia di ricercatori. Stanco di chi scrive “ha” senza h, ma crede di sapere con certezza che il vaccino a mRNA modifica il DNA, senza sapere che è semplicemente impossibile o, più semplicemente, senza sapere cosa sia l’mRNA.
Sono stanco di chi mi parla della pericolosità dei vaccini, e sfreccia a 160 km/h sull’autostrada. Stanco di chi viene nel mio studio “essendo informato”, perché in 10 minuti su Google crede di poter sostituire 10 anni di studi e anni di pratica medica. Stanco del “le badanti ucraine che conosco dicono che questo farmaco che hanno iniettato a casa a molti pazienti è efficace” (tratto da una storia vera), e ciò gli basta, anche se gli fai presente che per ora nessun farmaco, purtroppo, si è mostrato davvero efficace. Stanco del “dobbiamo tornare a vivere” e in nome di questo non possono pensare neanche di mettere una mascherina. Stanco di chi (s)parla di “dittatura sanitaria” e, allo stesso tempo, stanco della “democrazia sanitaria”, che permette a chicchessia di avere ed esprimere un parere senza le conoscenze mediche per averne uno. E, sulla base di questo parere, decidere di esporre sé stesso (chi se ne frega, in fondo) e gli altri (questo invece mi frega) al rischio di infezione. Il tutto, ovviamente, va messo da parte se il no-vax di turno sta male e deve accedere, gratuitamente, in pronto soccorso o in rianimazione. Perché, serve ricordarlo, tutti noi che lavoriamo negli ospedali curiamo tutti, senza distinzione, anche chi avrebbe potuto evitare di entrarci se fosse stato meno no-vax. Stanco di essere sospettato di essere al soldo di Big Pharma, e di dover spiegare che io, il mio mutuo e le mie vacanze me le pago con il mio stipendio, come loro. Ma va’ un po’ a credere a un medico. Già, perché crediamo ciecamente a un ingegnere che costruisce un ponte, passandoci sopra ogni giorno (siam sicuri che abbia fatto bene i calcoli perché tenga?), perché prendiamo senza problemi un aereo (senza chiedere al comandante e se cade?), paghiamo senza fiatare la riparazione del meccanico senza ergerci a esperti di meccanica, ma un medico no, “è una carogna di sicuro”, parafrasando De André. Non siamo eroi, ma non siamo carogne. Facciamo il nostro mestiere con passione, con i limiti che la scienza oggi ci impone. Come in tutte le categorie, ci sono delle mele marce anche nel nostro mestiere. Ma se la vita media oggi è di oltre 80 anni, è grazie al miglioramento delle condizioni igieniche e ai passi avanti fatti dalla medicina, in ogni ambito. Anche in ambito vaccinale, perché molti di coloro che oggi si sentono in grado di nutrire dubbi, o sfilano per le strade urlando i loro slogan deliranti (“io sono medico di me stesso”…), sono stati vaccinati anni fa. Purtroppo?
Dottor Berardino De Bari
In tutta Europa scarseggiano lavoratori: colpa del Rdc?
Stavolta non si può chiamare in causa il reddito di cittadinanza. Il fenomeno è troppo ampio e la fonte non è tacciabile di populismo trattandosi di Le Monde.
Il giornale francese ha infatti pubblicato un dossier dal titolo inequivocabile: “In Europa, la grande penuria di mano d’opera”. Sulla base di interviste ai responsabili dei vari siti di offerta e richiesta di lavoro, a economisti in Gran Bretagna, Francia e Italia, il quotidiano d’Oltralpe descrive una situazione paradossale: “Ho dovuto aumentare il salario dei miei cinquanta autisti del 20%, solo per poterli tenere” dice il direttore inglese di un’impresa di logistica. Testimonianze analoghe in Francia e i casi di sproporzione tra offerta e domanda riguardano anche Germania, Paesi Bassi: non si trovano lavoratori qualificati, “ci arrivano troppi pochi curriculum”.
I casi riguardano la ristorazione, i trasporti, l’assistenza domiciliare, la sanità, la nettezza urbana, il commercio, l’informatica. Colpa della pandemia che ha stravolto i piani di vita dopo chiusure prolungate. Dell’aumento improvviso della richiesta di assunzioni, arrivate tutte insieme, che non corrisponde alle prospettive sulla fine della pandemia. Colpa anche della Brexit, in Gran Bretagna, con circa 1,2 milioni di lavoratori europei che se ne sono andati. Colpa dei salari e della ultra-flessibilità del lavoro.
Se c’è chi pensa che si tratti di un episodio passeggero, c’è chi prevede un fenomeno strutturale che riguarda la scomparsa di alcuni lavori e l’emersione di altri e che dipende dalla “penuria mondiale di lavoratori qualificati”. L’unico beneficio è il ritorno di un certo potere salariale dopo trent’anni. Una buona notizia.
Sparaci Piero, sparaci ancora
Piero Sansonetti, se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Il direttore del Riformista si è molto risentito per l’articolo di Marco Lillo che ha reso pubblici i numeri – oggettivamente impietosi – della sua avventura editoriale (foraggiata dall’imprenditore Alfredo Romeo, imputato nello scandalo Consip): in edicola Il Riformista ricava cifre irrisorie – una media di 585 euro al giorno – e in due anni di vita ha perso per strada 1,7 milioni di euro. Sansonetti dedica affettuosamente al Fatto una pagina al giorno e un tweet ogni ventisette minuti circa. Ma sui social si è lagnato perché quelli antisportivi saremmo noi: “L’accusa atroce: ‘Vendete poco in edicola’. Voi avete mai visto un giornale che prende di mira un concorrente perché vende poco?”. Difficile capire quale sia l’atrocità cui si riferisce Sansonetti: che il suo giornale venda numeri irrisori è un dato di fatto. Ma il direttore del Riformista ha un moto d’orgoglio: “Noi oggi abbiamo circa 150 mila persone al giorno che ci leggono”. Centocinquantamila sembra una cifra eccezionale, solo che Sansonetti non intende veri e propri lettori, ma visitatori sul web, in gergo tecnico “utenti unici” (come specifica lui stesso in un altro tweet). Per capirci: gli utenti unici del Corriere della Sera sono circa 4,5 milioni, quelli di Repubblica 4 milioni, quelli del sito del Fatto 3 milioni. Centocinquantamila, insomma, è un numero davvero magro. In linea con l’edicola.