Nel corso dell’estate Maurizio Landini, segretario della Cgil, ha tenuto banco soprattutto per le polemiche sul Green pass. Dei temi generali del lavoro si è discusso poco e di questo ora il leader sindacale vorrebbe parlare.
Segretario Landini, qual è la posta in gioco di autunno?
Siamo a un passaggio fondamentale per produrre un cambiamento del modello sociale e di sviluppo. Al centro va posto il lavoro nella sua qualità e nel suo significato più profondo: cosa si produce, perché e con quale sostenibilità ambientale e sociale. Abbiamo l’occasione del Pnrr che esige la necessità di fare i conti con la transizione ambientale, digitale e generazionale. Noi rivendichiamo che il mondo del lavoro sia messo nella condizione di poter partecipare e decidere sulle scelte che verranno compiute. Per questo rivendichiamo che si definisca il protocollo nazionale con le parti sociali per la realizzazione del Pnrr.
Il segretario del Pd, Letta, ha proposto di rinverdire il modello Ciampi.
Rispetto al 1993 non abbiamo bisogno di moderazione salariale, anzi il contrario. Servono riforme precise, non è sufficiente un Patto generale di intenti. Siamo in un’altra fase storica e quel modello non rappresenta la complessità della situazione attuale.
Preferite quindi un confronto puntuale sui singoli punti?
Nel 1993 dovevamo entrare in Europa, oggi dobbiamo costruire una nuova Europa e c’è bisogno di fare riforme: fisco, pensioni, diritti dei lavoratori, una politica industriale che manca da venti anni. Serve un sistema partecipato per poter intervenire su diverse scelte.
Ma potete fidarvi di un governo come quello Draghi? Sui licenziamenti non è andata bene.
Siamo abituati a fare i conti con i governi che ci sono. I temi indicati sono tutti da affrontare a partire dalla prossima legge di Stabilità e noi chiediamo di avere lo spazio per discutere. Quanto ai licenziamenti, essere riusciti a strappare il ricorso alla Cig, anziché licenziare, può consentire ai lavoratori di essere tutelati e alle imprese di riorganizzarsi. E per i settori che hanno la scadenza al 31 ottobre, fino alla riforma degli ammortizzatori è necessario il prolungamento del blocco dei licenziamenti. La partita è aperta e se possiamo rivendicare un ruolo del governo e delle associazioni imprenditoriali contro il far west delle multinazionali è anche merito nostro.
Sulle delocalizzazioni il governo continua a prendere tempo e ad annacquare il provvedimento.
Non si tratta solo di definire delle regole, peraltro presenti in altri paesi europei, ma di politica industriale. Dietro casi come Gkn, Gianetti, Whirlpool in realtà c’è il tema del ruolo pubblico nell’economia. Le maggiori imprese italiane hanno una presenza pubblica e occorre recuperare una dimensione di questa natura senza la logica delle decontribuzioni o dei finanziamenti a pioggia, ma individuando filiere e settori strategici in cui collocare gli investimenti. Solo che, innanzitutto, vorremmo poter discutere mentre finora non c’è stato un confronto con il sindacato e registro un’assenza di dibattito nel paese.
Se mancano lavoratori in alcuni settori è colpa del Reddito di cittadinanza o di lavori pagati poco?
No. Il lavoro povero o il part time involontario coinvolge almeno 4-5 milioni di lavoratori poveri, soprattutto giovani e donne. Su questo servirebbe una legge sulla rappresentanza che riconoscesse i contratti nazionali firmati da sindacati davvero rappresentativi. Abbiamo bisogno di lavoro stabile e di eliminare la precarietà, ma c’è anche il problema della formazione continua. In tempi di transizione digitale ci sono lavori che spariscono, ma anche molte altre attività che diventeranno lavoro.
Anche la Cgil pensa che il Reddito di cittadinanza vada rivisto?
Sono contrario a chi pensa che occorra cancellare un istituto che combatte la povertà, ma serve migliorarlo dal punto di vista dell’accesso ai servizi: casa, scuola, etc. Va poi separato dalle politiche attive che invece significano investimenti e un sistema formativo permanente.
E sulle pensioni? Quota 100 scade il 31 dicembre, che si fa dopo?
Occorre una revisione di fondo della legge Fornero, non c’è solo “quota 100”. Chiediamo che con 41 anni di contributi si possa andare in pensione senza vincoli anagrafici e che a partire da 62 anni ci sia una flessibilità in uscita. Occorrono regole diverse a seconda della gravosità del lavoro e poi chiediamo una pensione di garanzia per le giovani generazioni così come occorre riconoscere la specificità del lavoro femminile.
Nel corso dell’estate ha tenuto banco la polemica sul Green Pass. Davvero non è stata una strizzata d’occhio ai lavoratori no-vax?
Per noi vaccinarsi è una responsabilità e un dovere sociale. Già il 6 aprile abbiamo fatto un accordo per la vaccinazione nelle aziende. È il momento che Parlamento e governo si prendano la loro responsabilità. Noi siamo d’accordo sull’obbligo vaccinale e non abbiamo, in principio, nulla in contrario al Green pass, ma non va usato per aggirare l’inadempienza del governo sulla legge. Il problema non riguarda solo i luoghi di lavoro, ma tutto il Paese.
Sergio Cofferati vi critica dicendo che mensa e ristoranti sono la stessa cosa.
La mensa non è un ristorante, ma è un servizio e un diritto di chi lavora, già messa in sicurezza con i protocolli. Si rendano gratuiti i tamponi, non si può pagare per lavorare o per mantenere un diritto conquistato.
Il Fatto ha avviato una petizione per le dimissioni da sottosegretario di Durigon. È d’accordo?
Siamo una Repubblica democratica e antifascista, il nostro Paese ha riconquistato la libertà e la democrazia perché ha sconfitto il fascismo. Chi la rappresenta ha giurato sulla Costituzione e deve rispettarla, non sostenere il suo contrario. È una responsabilità che il governo si deve assumere.